I COSTI NON DELLA "POLITICA" MA DEL "REGIME PARTITOCRATICO".

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"La Repubblica", MARTEDÌ, 05 GIUGNO 2007

Pagina V - Torino

Cara politica, la Regione taglia
Meno consiglieri nelle partecipate, stipendi ridotti ai manager

Bresso vara un ddl per risparmiare alcuni milioni di euro
Cambia il sistema di incentivi per gli ad in caso di conti positivi
Limitazioni anche per i gettoni di presenza: massimo 12 sedute

MARCO TRABUCCO

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Tagliare gli stipendi dei manager della società partecipate dalla Regione, ridurre il numero dei consiglieri di amministrazione delle stesse e la spesa per i gettoni di presenza cui danno diritto. Sono i provvedimenti contenuti nella delibera che la presidente Mercedes Bresso ha presentato ieri in giunta a che dovrebbe essere approvata lunedì prossimo. Un tentativo di ridurre i costi della politica di cui è difficile per ora quantificare la portata anche se, a regime, quando tutte le oltre 60 società di cui la Regione è a vario titolo socia si saranno adeguate, i risparmi per le casse dell´ente saranno nell´ordine dei milioni di euro.
«Questo disegno di legge è un passo importante per un utilizzo delle risorse pubbliche più efficace - spiega Bresso - Questi risparmi si aggiungono a quelli già realizzati con il taglio delle consulenze (oltre il 60 per cento in meno rispetto al 2004 secondo la relazione della Corte dei Conti 2006), la riduzione da 24 a 16 nel numero dei direttori regionali, la cancellazione di enti superflui e leggi inutili, l´accorpamento delle Asl contenuto nel Piano socio-sanitario che giace in Consiglio. Segni concreti di attenzione al controllo dei costi, senza incidere sui servizi forniti ai cittadini».
Il disegno di legge stabilisce innanzitutto dei limiti per i compensi degli amministratori delle società: il presidente del cda e gli amministratori delegati non potranno percepire più del 70 per cento dell´indennità del presidente della Giunta regionale (circa 118mila euro lordi annui. Oggi alcuni arrivano a 180mila euro incentivi e gettoni esclusi). È il dieci per cento in più di quanto prescritto dalla Finanziaria 2007. Gli altri consiglieri di amministrazione, potranno essere remunerati solo per la loro partecipazione ai cda con gettoni di presenza che, in ogni caso, non devono superare l´importo di 300 euro, per un numero massimo di dodici sedute annue (oggi alcuni consiglieri arrivano a oltre 15mila euro/anno). Il provvedimento pone dei limiti anche agli incentivi: il compenso degli ad rimane tale se, nel triennio di durata in carica, hanno dimostrato di influire positivamente sull´andamento gestionale della società sulla base di parametri prefissati. Nel caso in cui questi obiettivi non vengano raggiunti, lo stipendio sarà decurtato del 30 per cento. Gli amministratori che invece hanno concorso per tre mandati consecutivi alla chiusura del conto economico in perdita, a meno che la perdita risulti più contenuta di quella riscontrata nei tre anni precedenti, non potranno più assumere incarichi gestionali per un periodo variabile di tempo. I compensi di ogni amministratore dovranno poi essere pubblici, in ogni dettaglio.
La norma regola anche il numero degli amministratori nelle società: in quelle controllate dalla Regione non potranno essere più di 5, in quelle controllate con altri enti locali non più di 6 (oggi si arriva, vedi Finpiemonte a 18-20). Le nuove regole varranno per tutte le permanenze regionali in consorzi, fondazioni, associazioni o organismi associativi, per la stessa Finpiemonte e per le società che controlla.
«È solo propaganda - replica però il coordinatore regionale di Fi Guido Crosetto - Bresso in realtà anche solo nominando 14 assessori che non sono consiglieri regionali ha fatto lievitare di molto la spesa».

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"La Repubblica", VENERDÌ, 25 MARZO 2011

Pagina 19 - Interni
 
Il "responsabile" Sardelli: scopro l´identità bambina di ciascuno
"Noi a caccia di incarichi? L´ambizione ci rode tutti"
 
ANTONELLO CAPORALE
Lo psicoterapeuta Luciano Sardelli è il collettore delle ansie plurime dei responsabili. Da capogruppo valorizza ciascuno dei 29 deputati in gara per un posto di sottosegretario, utilizzando uno schema noto all´analisi clinica.
«Faccio riferimento all´analisi transazionale di Eric Berne».
Di fronte a lei c´è un collega che sogna un posto al governo.
«E´ un sogno possibile, gli dico subito. Ma io non conto niente, non incido, sono una figura di secondo piano».
Un po´ lo galvanizza, un po´ lo abbatte.
«Sono capogruppo perché esponente di basso profilo, che si acquieta del proprio piccolo orto»,
Così mette il collega a proprio agio. Lui con le sue miserie, lei con la sua modestia.
«Sono ambiziosi, vanno a caccia di poltrone. L´approdo li consuma e li trascina».
Corpi che dondolano dentro Montecitorio. Nel suo ultimo romanzo ("Una storia poco onorevole") intravede figure stupendamente squallide.
«I responsabili non sono molto diversi dagli italiani».
Il Parlamento è lo specchio del Paese.
«Famelici? Sì, forse famelici. Puntano al potere, a qualunque forma di sottogoverno? E cosa dovrebbero sognare?».
Il potere non si conquista. Si arraffa, diceva De Gaulle.
«Da psicoterapeuta scopro l´identità bambina di ciascuno».
Piangono con lei?
«Si sfogano».
Lei sarebbe il responsabile dei responsabili.
«Un ossimoro. Essendo responsabili, non hanno bisogno di una guida».
Infatti accompagna unicamente la loro mente all´approdo.
«La poltrona. Sì sì sì: voglio la poltrona».
La chiedono come bimbi?
«La chiedono. Siamo tutti rosi dall´ambizione, amico mio. E siamo tutti poveracci. Io, lei».
Berlusconi vi accontenterà e ha già detto che dovete trasformarvi in partito.
«Lo faremo».
Vi ha detto che simbolo ha scelto per voi?
«Ci ha proposto una rosa di simboli possibili».
E´ un papà che pensa a tutto. Voi dovete solo obbedire.
«Adesso siamo un po´ svillaneggiati. Ma ci rifaremo».

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Beltrandi non vede l'ora

Il suo nome è entrato ormai negli annali parlamentari, soprattutto perché il 16 marzo con il suo voto in dissenso dal resto dell'opposizione (è iscritto al gruppo del Pd) il deputato radicale Marco Beltrandi ha impedito che la Camera impegnasse il governo ad accorpare referendum e amministrative, con un risparmio mancato di 300 milioni di euro. Un colpo di genio che ha mandato su tutte le furie colleghi e dirigenti del gruppo democratico (da molti è stato addirittura bollato come "venduto"). Beltrandi, al suo secondo mandato è dunque difficilmente ricandidabile secondo le regole in vigore tra i seguaci di Pannella, sta però creando non poche perplessità anche tra i suoi stessi colleghi radicali, pur tradizionalmente molto tolleranti, per altre due circostanze solo di recente emerse. La prima: sarebbe stato lui, in vista del voto di fiducia del 14 dicembre, magari per crearsi qualche opportunità di rielezione nel centrodestra, dicono i critici, ad avviare il dialogo con La Russa e Berlusconi che avrebbe dovuto addirittura portare i radicali nel governo: una mossa che ha costretto Marco Pannella a scendere in campo direttamente per evitare sconvenienti ribaltoni che avrebbero fatto passare i radicali per cinici opportunisti. La seconda circostanza è la passione di Beltrandi per i vecchi orologi, di cui possiederebbe una ragguardevole collezione del valore di diverse centinaia di migliaia di euro. Un hobby che stona con il tradizionale train de vie degli austeri radicali pannelliani.
Iscritto dal: 11/11/2010
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Pd: Palazzo Chigi ricattato dai Responsabili

 

Restano fuori dalla stanza. Dentro la maggioranza non ha i numeri per far passare in giunta per le autorizzazioni il conflitto di attribuzione ad uso di Berlusconi nel processo Ruby. Poi, quando arriva l'sms con la notizia che Saverio Romano sarà ministro, i due Responsabili Elio Belcastro e Bruno Cesario entrano di corsa e votano, salvando Pdl eLega (finisce 11 a 10). Accusa il Pd: «Avvalorano la tesi di un premier ricattato» dai Responsabili. Ma la nomina di Romano rischia poi di spaccare il nuovo gruppo. Mentre festeggiano l'incarico governativo insieme ai colleghi, gli altri tre deputati del Pid di Romano chiedono nuove poltrone da sottosegretario, chiamandole «incarichi di responsabilità». Scoppia la furia degli altri sottogruppi rimasti a bocca asciutta nonostante il trasloco in maggioranza per salvare Berlusconi. «Avete un'ambizione smodata», gli rinfacciano. Qualcuno minaccia di mollare. Per riportare la calma interviene Silvano Moffa, il moderato che ha lasciato i finiani pochi minuti prima della fiducia del 14 dicembre: «Siamo un gruppo, basta con i protagonismi personali». Ma la torta rimane troppo piccola per gli appetiti responsabili: della questione è stato investito lo stesso Berlusconi, che ieri sera li ha ospitati a cena a Palazzo Grazioli.
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"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 23 MARZO 2011

Pagina 18 - Interni
 
Maurizio Paniz, relatore del provvedimento: smentisco legami con la persona del presidente
"Non è una legge per Berlusconi e quella è la nipote di Mubarak"
Non credo che siamo troppi gli avvocati del Cavaliere, né io ho mai cercato le luci della ribalta
Ho grande rispetto e gratitudine per quanto fa il capo del governo Lo scriva testuale, mi raccomando
 
ANTONELLO CAPORALE
«Ribadisco conclusivamente il mio grande rispetto per l´Inter».
Ci sia di mezzo il pallone o Ruby, Maurizio Paniz - il più gettonato della larga famiglia degli avvocati berlusconiani, prolifici emendatori del codice penale - risponde con la medesima solennità. «Io sto registrando la conversazione. Desidero informarla che chiedo la verbalizzazione testuale».
Si vede che è alpino.
«Ne sono orgoglioso, è il rispetto dei valori del vivere civile».
Ruby è la nipote di Mubarak.
«Confermo. E´ frutto di un mio convincimento e di una corretta lettura degli atti. Metta testuale per favore».
Neanche Ghedini avrebbe avuto fegato di dirlo in aula.
«Ribadisco che Ruby poteva essere ritenuta parente. Metta testuale, per favore».
Paniz indossa il cappello con la piuma e fa il present´arm.
«Certamente. Abbiamo appena accolto il settimo reggimento proveniente dall´Afghanistan. Testuale, grazie».
E´ un combattente innamorato di Berlusconi.
«Grande rispetto per l´impegno a difesa della Nazione e gratitudine per quanto fa (metta anche questo testuale, per favore)».
Prescrizione breve.
«Assolutamente no. Smentisco che possa esserci relazione con la posizione o la persona del presidente».
Testuale.
«Grazie, sì. È necessario».
È il tono che fa la differenza. Il suo è solenne, deciso, e anche piuttosto patriottico. Prima d´ora non si era mai sentito parlare di Paniz.
«Sbaglia. Ho curato la legge che disciplina la materia dello sci».
Infatti ama la neve.
«Sono il padre della legge sull´affido congiunto».
Il curriculum è luminoso.
«Capogruppo in giunta per le autorizzazioni a procedere».
Avranno avuto timore a far trattare a un uomo così rigido, questioni così delicate.
«Ho valutato i casi Matteoli, Lunardi, Margiotta, D´Alema e Fassino».
Ha trovato fumus persecutionis ovunque.
«Non è corretto».
Col suo voto ha autorizzato qualcuno all´arresto, al processo?
«Non è corretto dare indicazioni nominative».
Non è che siete in troppi di avvocati qui dentro?
«Non credo affatto».
Comunque adesso lei è al centro dell´attenzione.
«Non ho mai cercato le luci della ribalta».
Paniz da Belluno: alpino e juventino.
«Un grandissimo amore, sono presidente del club Montecitorio».
L´Inter, sebbene nemica, è molto avanti.
«Grande rispetto, e anche per il Milan».
A proposito: ha saputo del bacio tra Barbara Berlusconi e Pato?
«Pato è un grandissimo calciatore».
Lei è un fenomeno.
«Metta testuale».
Iscritto dal: 07/09/2000
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I due compari

Le guerre sono due. Una è nelle strade di Bengasi e nel cielo di Tripoli. L'altra è sul molo dell'isola di Lampedusa, dove donne e uomini italiani impazziti di caos e di solitudine tentano di spingere indietro esseri umani disperati che non possono andare altrove. Anche i colpevoli sono due. Uno è il Colonnello Gheddafi. L'altro è chi ha fatto finta che si trattasse di un normale capo di Stato, con cui si possono, anzi si devono avere rapporti normali. Ma se Gheddafi è ormai considerato dalle Nazioni Unite e dall'opinione del mondo colpevole di sterminare il suo popolo, perché Berlusconi, che ha baciato la mano in pubblico all'assassino, in modo da dimostrare che il sodalizio era pieno e incondizionato, fino alla sottomissione (con grandi vantaggi pubblici e privati) dovrebbe farla franca e apparire fra i giustizieri del mondo libero?
Sì, abbiamo notato che se ne sta cauto dietro la porta, ed è uscito solo una volta "mi dispiace". Gli dispiace del trattato o delle vittime? Comunque il ministro della Difesa La Russa riempie la scena con gesti e parole da commedia dell'arte. Ma tutto ciò che sta accadendo e a cui il mondo guarda con ansia (e noi italiani anche con ragionevole paura) è il frutto di un tetro show Berlusconi-Gheddafi, con cavalli, cammelli, tende piantate nei migliori giardini di Roma, donne a centinaia messe a disposizione per bizzarre predicazioni, affari enormi. Alla domanda: adesso tu cosa faresti? Marco Pannella ha risposto: "Avrei cominciato prima. Anzi, abbiamo cominciato prima, con il voto contro il trattato". Credo che sia la risposta giusta. Tutto comincia prima in questa storia, compresa la persecuzione ai migranti. Uno che bombarda il suo popolo era il più adatto a garantire, per conto dell'Italia, viaggi senza ritorno. Il baciamano resti il simbolo di una squallida alleanza, purtroppo controfirmata da quasi tutto il Parlamento, che era fondata su soldi, petrolio e morte. Ricordiamolo anche nel dopo baciamano: i protagonisti di questo brutto momento della storia sono stati (e sono ancora) due. Ognuno deve molto all'altro. Hanno in comune le vittime, perché il trattato non è mai stato cancellato.
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Iscritto dal: 07/09/2000
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Gli arabi e l'intervento/L'ispiratore di Sarkozy

Perché difendo comunque i Raid in Libia

Questo intervento, che ha come primo scopo di proteggere i civili dai massacri, è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale

Gli arabi e l'interventoL'ispiratore di Sarkozy

Perché difendo comunque i Raid in Libia

Questo intervento, che ha come primo scopo di proteggere i civili dai massacri, è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale

Non è un intervento di terra, con carri armati, fanteria, occupazione, green zone e così via. È il contrario, dunque, della guerra, insensata, in Iraq. Il contrario della guerra, giusta, in Afghanistan. Non so se la guerra (giusta) in Afghanistan o la guerra (insensata) in Iraq fossero guerre «neocoloniali» (è infinitamente più complicato di questo); certo è che questa guerra, questo intervento, che ha come primo scopo di «santuarizzare» i civili massacrati di Misurata, Zawia, Bengasi, questa operazione di salvataggio, secondo cui nessun soldato occidentale dovrà posare un piede sul suolo libico è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale.

Appunto, cos'è una guerra giusta? È una guerra che impedisce una guerra contro i civili. È una guerra che, per parodiare una celebre e incresciosa formula (quella di François Mitterrand che tenta di impedire, fino all'ultimo, gli attacchi aerei alle postazioni serbe sulle colline attorno a Sarajevo), sottrae la guerra alla guerra. Infine, è una guerra che, lungi dal pretendere, come in Iraq, di paracadutare, in un deserto politico, una democrazia pronta all'uso, si appoggia su un'insurrezione nascente, cioè permette, e permette soltanto, ai liberatori di fare il loro lavoro di liberatori e aiuta quindi, nella circostanza attuale, i libici a liberare la Libia.

È una guerra di iniziativa francese, ma non è una guerra francese. È una guerra in cui si son visti, fin da sabato scorso, aerei francesi volare su Bengasi e cominciare a distruggere le capacità militari di un Gheddafi allo stremo e che aveva giocato l'ultima carta facendo piovere bombe sulla città. Ma è una guerra in cui sono entrati, a fianco della Francia e degli occidentali, nella stessa coalizione, il Qatar, gli Emirati, l'Egitto, mandatari sia di se stessi, sia di una Lega araba presente, fin dall'inizio, nel cuore di questo movimento di solidarietà mondiale con un Paese messo a ferro e fuoco dal proprio dirigente, sia di un popolo già impegnato (è il caso dell'Egitto) in una sommossa di cui legittimamente vuole universalizzare i comandamenti: è una guerra, dunque, non meno araba che occidentale.

Qual è lo scopo di questa guerra? Di proteggere, davvero, soltanto, i civili di Misurata, Zawia, Bengasi? Di accontentarsi, eventualmente, di un Gheddafi che finga un atteggiamento moderato, metta via le armi e si ritiri nel suo feudo di Tripoli prima di riprendersi la rivincita fra sei mesi, un anno, o di più? Credo di no. Spero di no.

Non si può pensare che la comunità internazionale faccia lo stesso errore che fece con Saddam Hussein lasciando intatta, vent'anni fa, dopo la prima guerra del Golfo, la sua capacità di nuocere, e di agire in maniera criminale.

E non si può pensare che la risoluzione adottata giovedì scorso, con un voto storico, dalle Nazioni Unite, in cui si è saputo convincere cinesi e russi a non servirsi del loro diritto di veto, dia risultati così irrisori.Gheddafi ha commesso crimini contro l'umanità. Il primo riflesso di questo Gheddafi che, ci dicevano, era cambiato, aveva rinunciato al terrorismo ed era diventato (secondo Patrick Ollier, ministro francese - fino a quando? - dei Rapporti con il Parlamento) un fine lettore di Montesquieu, non è stato di dire, appena avuta la notizia del voto all'Onu: «Attaccate i miei aerei militari? In risposta, attaccherò i vostri aerei commerciali, punirò i vostri civili provocando una, due, tre nuove stragi come quella di Lockerbie»? Con questo Gheddafi non esistono negoziati né compromessi possibili. Al suo terrorismo senza limiti la comunità internazionale ha il dovere di rispondere, all'unisono con il popolo libico e il suo Consiglio nazionale di transizione: «Gheddafi, vattene!».

Infatti, cosa vogliono i libici liberi? Chi sono? E cos'è il Consiglio nazionale di transizione che Nicolas Sarkozy, per primo, con un gesto politico decisivo e al tempo stesso coraggioso, ha riconosciuto? Certamente, non sono degli angeli (è da lungo tempo che non credo più agli angeli...). Non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo (di cui alcuni furono, prima di disertare, servitori e debitori). Forse, ci sono fra loro persino antisionisti, magari antisemiti mascherati da antisionisti (sebbene, in nessuno degli incontri avuti a Bengasi e poi a Parigi, con nessuno dei loro dirigenti, abbia mai omesso di dire chi sono e in cosa credo).Penso solo che questi uomini e donne, come i loro fratelli della Tunisia, dell'Egitto o del Bahrein, siano in cammino verso una democrazia di cui stanno reinventando, a grande velocità, i principi e i riflessi. E sono sicuro che questi combattenti, che hanno imparato, di fronte alle colonne infernali e ai carri armati, cosa voglia dire libertà e in quale lingua dello spirito si scriva tale parola, saranno sempre meglio di un dittatore psicopatico che dell'apocalisse aveva fatto la sua ultima religione.

Bernard-Henri Lévy

22 marzo 2011

Iscritto dal: 07/09/2000
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"La Repubblica", MARTEDÌ, 22 MARZO 2011

Pagina 15 - Interni
 
L´esempio Resistenza
Solo in Italia
 
Il leader verde Cohn-Bendit duro contro gli anti-interventisti: perché non protestavano quando il rais massacrava la sua gente?
 
"Chi scende in piazza sta col dittatore; Vendola si ricordi della Spagna del ´36"
La Resistenza italiana fu giusta ma sanguinosa Gli Alleati non la lasciarono sola, perché a volte bisogna scegliere
Vedo appelli contro i raid aerei solo in Italia o dai neostalinisti greci Sono prigionieri delle categorie anni ‘50
 
ANDREA TARQUINI

dal nostro corrispondente

BERLINO - «Attenti, ragazzi, chi scende in piazza contro la missione internazionale cerca magari una terza via ma di fatto non è neutrale, bensì con Gheddafi. Perché niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? Ricordate Francia e Gran Bretagna del ‘36, che lasciarono sola la Repubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini». Daniel Cohn-Bendit, leader verde europeo, è durissimo.
In piazza per la pace: solo in Italia o anche altrove?
«In Germania si va in piazza contro l´atomo. Vedo appelli anti-raid aerei solo in Italia, o in Grecia dai neostalinisti. Finiscono per schierarsi con la Cina, Putin e Chavez. Sono prigionieri delle categorie degli anni ‘50».
Insomma, la ricerca di una "terza via" non la convince?
«In Italia vedo appelli a protestare mossi dall´ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l´imperialismo americano. Come fa Vendola a dire né con Gheddafi né con le bombe? Non faccio paragoni col triste slogan "né con lo Stato né con le Br", ma mi ricordo del 1936. Madrid democratica fu lasciata sola contro Franco, la Legion Condor di Hitler e i reparti di Mussolini. Risultato: stragi, 50 anni di franchismo, e nel ‘39 la seconda guerra mondiale».
Scusi, ma la voglia di pace, di un´altra via tra la guerra e il tiranno, non è importante?
«Arriva il momento in cui bisogna fare scelte. La Resistenza italiana, francese o jugoslava fu giusta, ma sanguinosa. Gli Alleati non la lasciarono sola. Che lo voglia o no, chi vuol lasciare soli i rivoluzionari libici è con Gheddafi, non è neutrale. E schiavo di miti come l´ossessione della pace a ogni costo che a Monaco 1938 portò Londra e Parigi a cedere a Hitler. O il mito del patto Molotov-Ribbentrop, giustificato dall´Urss perché anti-imperialista».
E la nonviolenza alla Gandhi?
«Gandhi vinse contro un imperialismo democratico, non contro un tiranno sanguinario pronto a sterminare il suo popolo. Gandhi poté trovare una terza via, per i rivoluzionari libici la terza via non esiste sul campo. È triste che non lo si capisca. Agire è giusto, come lo fu contro Milosevic e i suoi massacri in Bosnia e in Kosovo. La guerra è sanguinosa, lo fu anche la Resistenza nell´Europa occupata dall´Asse. Ma allora gli italiani dovrebbero rinnegare la Resistenza? I jet occidentali hanno fermato i Panzer di Gheddafi che puntavano su Bengasi per un bagno di sangue. E in Tunisia ed Egitto la rivoluzione ha vinto perché gli Usa, influenti sulle forze armate locali, le hanno convinte a non fare stragi. In Libia è diverso».
La voglia della "terza via" però è forte in una parte dell´opinione pubblica? Perché, secondo lei?
«Per i precedenti della guerra in Iraq, dove non c´era un movimento rivoluzionario da appoggiare, e perché in Afghanistan la situazione è difficile. Ma ricordiamo che dopo la prima guerra alleata in Iraq (contro l´occupazione irachena del Kuwait-ndr), prima ci fu la no-fly zone, poi Saddam massacrò 500mila sciiti e sterminò col gas un´intera città curda. Spesso chi protesta nel mondo del benessere non s´immagina cosa sia vivere sotto dittatori come Gheddafi. Ciò ha a che fare con ideologie marxiste-leniniste: il mondo diviso in cattivi e buoni, l´imperialismo cattivo e tutti i suoi nemici buoni».
Come giudica la non partecipazione della Germania alla coalizione anti-Gheddafi?
«Merkel e Westerwelle sono opportunisti, fiutano aria di pacifismo e temono per le elezioni di domenica. Potrei capirli solo se criticassero l´amicizia passata di Berlusconi e Sarkozy con Gheddafi, ma non lo fanno. In troppi amano solo le rivolte che vengono sconfitte, facile poi chiudere gli occhi davanti alla repressione, come con la Spagna lasciata a Franco».

Iscritto dal: 07/09/2000
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L'aumento per il «risanatore»

 

Due righe nel Milleproroghe valgono centinaia di migliaia di euro a carico dei cittadini. Il caso è quello di Massimo Varazzani, ex ad di «Cassa depositi e prestiti», manager vicino a Giulio Tremonti, dal 22 settembre commissario (il terzo) per il debito del Comune di Roma. Nel Milleproroghe, Varazzani ha visto lievitare il suo stipendio: «Da 100 mila euro lordi a oltre 600 mila», denunciano i Radicali.
Nel testo originario era previsto che «il compenso annuo del commissario è stabilito in misura non superiore all'80% del trattamento economico spettante a figure analoghe dell'amministrazione di Roma Capitale». Mentre nella versione definitiva il testo è cambiato: «Le parole - si legge nel documento - “all'80% del trattamento spettante a figure analoghe dell'amministrazione di Roma Capitale" sono sostituite dalle seguenti: al costo complessivo annuo del personale dell'amministrazione di Roma Capitale incaricato della gestione di analoghe funzioni transattive». Nel Milleproroghe si specifica anche che «le risorse destinabili per nuove assunzioni del Comune di Roma sono ridotte in misura pari all'importo della retribuzione del commissario».
Il segretario romano dei Radicali (ieri pomeriggio hanno protestato sotto il Campidoglio su questa vicenda: Alemanno ha promesso che chiederà lumi a Varazzani) Riccardo Magi ha chiesto informazioni alla Ragioneria del Comune di Roma: «Da risposte informali, Varazzani viaggerebbe ad oltre 600 mila euro l'anno». Ma chi li paga questi soldi? «La gestione commissariale si finanzia da sola, il suo stipendio non viene pagato dal Comune», fanno sapere dal Campidoglio. Funziona così: la gestione commissariale prende 500 milioni l'anno, 300 dal Tesoro e 200 dall'aumento dell'Irpef e della tassa aeroportuale. Da questa cifra, esce fuori il compenso per Varazzani che secondo il Comune «non supera i 400 mila euro lordi annui».
Ma è tutto il costo di funzionamento dell'ufficio del commissario straordinario ad essere aumentato, passando da 200 mila euro a 2,5 milioni. E su Varazzani ci sono anche altri problemi. Intanto il «Documento di accertamento del debito», che contiene l'aggiornamento di quello approvato dal sindaco-commissario Alemanno nel 2008, è stato approvato dal Parlamento con voto di fiducia, quindi «al buio». E Verazzani è anche presidente della Stt spa, partecipata del Comune di Parma: incarico che, in base alla «legge Frattini», non potrebbe ricoprire. E pure sulla nomina a commissario del debito di Roma si è aperto un contenzioso. Oriani, predecessore di Verazzani che aveva saputo della sua rimozione dai giornali, ha impugnato il decreto di nomina del 22 settembre e il Tar del Lazio ha accolto il ricorso, annullando il decreto per «eccesso di potere». La presidenza del consiglio (che il 4 gennaio ha «rinominato» Verazzani, usando come discrimine tra lui ed Oriani la precedente esperienza nel settore privato) si è appellata al Consiglio di Stato, chiedendo la sospensiva della sentenza del Tar, ma Palazzo Spada il 16 marzo ha respinto il ricorso condannando Palazzo Chigi a pagare le spese di giudizio (3 mila euro). Gli atti del supercommissario col superstipendio, adesso, potrebbero anche essere impugnati e ritenuti illegittimi.
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Tranfaglia: addio a Di Pietro. L'Idv gestita da parenti e amici.

 

Di Pietro e la gestione «personale» del partito. Continua ad essere questo il motivo della diaspora che ha colpito negli ultimi tempi l'Italia dei valori: dopo Elio Veltri e Giulietto Chiesa, un'altra figura si scaglia contro un movimento «familiare, governato con pugno di ferro dall'ex pm e da una schiera di amiche e parenti di ogni ordine e grado». Nicola Tranfaglia, 72 anni, professore emerito di Storia dell'Europa e del Giornalismo, ha deciso di dire addio all'esperienza idv: «Mi ci sono avvicinato nel 2008 e per promuovere il partito e sostenerne le battaglie ho girato l'Italia in lungo e in largo. Purtroppo l'Idv ha criteri interni governo che nulla hanno a che fare con il merito individuale e la competenza». Di Pietro, spiega Tranfaglia, l'aveva nominato responsabile nazionale per la Cultura e oggi, nella decisione del suo addio, il professore rivendica un impegno - che lo ha portato a fondare per il partito una Scuola nazionale di formazione «di grande successo» - che però non ha impedito al leader, «senza nessuna spiegazione, di sospendere a tempo indeterminato il mio esiguo rimborso spese mensile, per improvvise difficoltà economiche». Questo l'ultimo colloquio con Di Pietro, riferito da Tranfaglia: «Mi disse che la cultura non era una priorità e che in quanto a strategia lui non aveva niente da imparare essendo l'unico insieme a Bossi, unica persona che stima in Parlamento, ad aver fondato un partito. Potete immaginare quello che ho pensato».
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"La Stampa", 20/03/11

 

L ’IN C H IE S T A D E L L ’E X P M D E M A G IS T R IS , B U F E R A S U L L ’E U R O D E P U T A T O D E L L ’ID V

“Nessun comitato d’affari” Archiviato il Basilicata-gate

“Toghe lucane”, prosciolti i 30 indagati: le accuse sono lacunose

G A ETA N O M A ZZU C A CATANZARO

Il titolare dell’inchies ta Luigi De Magistris oggi è un europarlamentare dell’Idv, dal 2003 al 2009 è stato pm a Catanzaro

Un impianto accusatorio «lacunoso», senza alcuna prova. E’ questo l’epitaffio che chiude la lunga inchiesta «Toghe lucane» aperta nel 2007 dall’allora pm Luigi De Magistris. A scriverlo è stato il gup del tribunale di Catanzaro Maria Rosaria Di Girolamo che ieri ha archiviato le ipotesi di reato a carico di trenta indagati eccellenti: politici, magistrati, forze dell’ordine e imprenditori accusati di far parte di un comitato di affari che avrebbe agito in Basilicata mettendo le mani sui fondi europei, indirizzando le indagini della magistratura, coprendo gli illeciti nella sanità lucana. Un vero e proprio «sistema» che l’ex pm De Magistris aveva individuato indagando sui contrasti nati all’interno del Palazzo di giustizia di Potenza e sui presunti illeciti nella costruzione del villaggio turistico Marinagri di Policoro (Matera) per intascare contributi comunitari.

Un’inchiesta divenuta un «contenitore» del malaffare lucano. Nei faldoni dell’indagine finirono i rapporti tra banche e magistrati, i legami tra magistratura e Regione Basilicata per il tramite della sanità, ma anche l’omicidio di Luca Orioli e Marirosa Andreotta, i «fidanzatini di Policoro». Sotto inchiesta finirono il presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, e l’ex sottosegretario del governo Prodi e ora senatore del Pd, Filippo Bubbico; magistrati come l’ex pm della Dda di Potenza Felicia Genovese (che per questa vicenda è stata trasferita al Tribunale di Roma) e il marito, Michele Cannizzaro, ex direttore generale dell’ospedale di Potenza; Vincenzo Tufano, all’epoca procuratore generale a Potenza; Gaetano Bonomi, all’epoca pm a Potenza; Giuseppe Chieco, all’epoca procuratore a Matera e Iside Granese, ex presidente del Tribunale di Matera; Emilio Nicola Buccico, ex componente del Csm ed ex sindaco di Matera.

A quattro anni dall’esplosione della bomba Toghe lucane per il gup di Catanzaro non vi è alcuna prova dell’esistenza dell’associazione a delinquere. Gli elementi, sottolinea il giudice, «non consentono di sostenere adeguatamente, nei confronti di tutti gli indagati, una fattispecie associativa quale quella ipotizzata, essendo del tutto carente la prova in ordine all’esistenza di un sodalizio». Per il gup, tra l’altro, non sono neanche necessarie ulteriori indagini «vista l’enorme mole di materiale probatorio già acquisito che spazia dall’assunzione di informazioni all’acquisizione di documenti ed intercettazioni».

A chiedere l’archiviazione era stato il pm Vincenzo Capomolla nuovo titolare del fascicolo dopo il trasferimento di De Magistris. L’opposizione di alcune parti offese aveva portato alla celebrazione di un’udienza preliminare che si è conclusa venerdì scorso.

Amaro lo sfogo dell’ex procuratore generale di Potenza, Vincenzo Tufano che «a quelli che hanno provocato questo terremoto e hanno dato dolore alle nostre famiglie e infangato l’onore della Basilicata» ha detto: «Vergognatevi dinanzi agli uomini e pentitevi dinanzi a Dio». Il presidente dei deputati del Pdl, Maurizio Gasparri ha commentato: «L’archiviazione dovrebbe causare sentimenti di vergogna per i magistrati che la svolsero e per i giornalisti che pubblicarono articoli pieni di fatti non veritieri. La vicenda non finisce qui».

De Magistris, ora europarlamentare dell’Idv e candidato a sindaco di Napoli, ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione.

Tutti nomi eccellenti E ora l’ex pg di Potenza dice: «Vergognatevi» Il fascicolo fu aperto dall’ex pm De Magistris che ora non ha voluto commentare

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"La Repubblica", GIOVEDÌ, 17 MARZO 2011

 
Pagina 59 - Commenti
 
trattativa stato-mafia ECCO LA MIA VERITà
 
 
 
 
NICOLA MANCINO
Caro direttore, la Repubblica del 16 marzo 2011 riporta le dichiarazioni rese dall´onorevole Claudio Martelli ai pubblici ministeri del processo Mori in corso a Palermo, nelle quali l´ex Guardasigilli sostiene, con riferimento alla cosiddetta trattativa Stato-mafia, di avermi parlato delle iniziative assunte dal Ros incontrando l´ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.
Rilevo che l´onorevole Martelli comincia a parlarne solo a 17 anni dalle stragi. In un primo momento l´ex ministro è incerto se ne ha parlato con il ministro dell´Interno Scotti o con il suo successore Mancino; poi dice che, forse, ne ha parlato con quest´ultimo subentrato al Viminale il 28 giugno 1992 e insediatosi il 1° luglio successivo.
Non mi è sembrata istituzionale - e già a suo tempo lo feci rilevare - questa ritardatissima ammissione di Martelli - il ministro che viene a sapere dalla dottoressa Ferraro, all´epoca direttrice degli Affari penali del ministero della Giustizia - incarico precedentemente ricoperto da Giovanni Falcone - che il Ros prendeva iniziative non autorizzate incontrandosi con Vito Ciancimino.
Degli incontri del Ros con Vito Ciancimino, l´onorevole Martelli alla domanda dei magistrati di Palermo: «A Mancino riferì in termini esatti quello che le aveva riferito la dottoressa Ferraro?», risponde, come dai verbali di interrogatorio depositati a Palermo: «No, no, no, riferii succintamente che "Guarda che i Ros stanno prendendo iniziative che non sono autorizzati a prendere, non si capisce chi li ha autorizzati a prendere iniziative di questa natura"».
Ribadisco di avere sempre escluso e di escludere anche oggi che qualcuno - e perciò neppure l´ex ministro Martelli - mi abbia mai parlato della iniziativa del colonnello Mori di avere avviato contatti con Vito Ciancimino.
Mi chiedo, comunque, se fu comportamento di leale collaborazione quello di un ministro nei confronti di altro ministro, riferendo genericamente di incontri fra il Ros e Vito Ciancimino. E questa «impropria» iniziativa - mi domando - venne denunciata anche al ministro della Difesa Salvo Andò, superiore gerarchico dei Carabinieri e compagno di partito dell´onorevole Martelli? E se le iniziative dei Carabinieri erano assunte per pure autonome ragioni investigative?
Giudico, perciò, generica e speciosa la tardiva, aggiornata dichiarazione dell´onorevole Martelli.
L´insinuazione che in Parlamento mi fossi sottratto nel luglio-agosto 1992 alla discussione del decreto legge sui provvedimenti contro la mafia è da me fermamente respinta, anche sulla scorta degli atti parlamentari. Affiderò al mio legale la valutazione della perseguibilità di siffatte gravi insinuazioni. All´onorevole Martelli, essendo la prima volta che io sedevo ai banchi del governo, chiesi di essere lui a partecipare al dibattito sulle questioni in discussione, principalmente su quella di sua stretta competenza - ed era anche ovvio. Ma non mi sottrassi ad esprimere in Aula la mia ferma posizione per anticipare la soppressione del Commissariato antimafia e l´anticipazione dell´entrata in funzione della Dia al 31 dicembre 1992 (istituzione nuova da me sostenuta in Parlamento, insieme alla Procura nazionale antimafia, nella qualità di presidente del maggiore Gruppo parlamentare del Senato).
In quella occasione ricordo anche di essermi espresso favorevolmente all´emendamento teso a considerare reato il voto di scambio - qualcun altro aveva minore autorevolezza nell´esprimersi sul voto di scambio.
Quanto a Brusca, faccio rilevare che le confessioni a rate dei pentiti che durano lustri vanno considerate con particolare attenzione anche per valutare se esse siano un tardivo ricordo o un aggiornamento facilitato dalla lettura dei quotidiani.
Ex ministro degli Interni
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"La Repubblica", GIOVEDÌ, 17 MARZO 2011

 
Pagina 12 - Interni
 
L´ultima mossa del Cavaliere rinviare l´udienza del 6 aprile e ritardare i tempi del processo
 
Ecco tutti i movimenti del suo denaro contante
 
I documenti
 
Nel 2010 sono stati prelevati dal conto del Monte dei Paschi di Siena di Berlusconi quasi 13 milioni Nel 2009 quasi 8
La frequentazione di prostitute rende il premier ricattabile. Tra di loro dal febbraio al maggio del 2010, c´è anche una minorenne
La quota maggiore di contanti prelevata a dicembre scorso, mentre si discuteva la fiducia alla Camera
 
(SEGUE DALLA PRIMA PAGINA)
GIUSEPPE D´AVANZO
Che avesse inizio per dimostrare dinanzi al Paese, al popolo che lo ha voluto a capo del governo, al mondo che sempre lo ammira, la sua innocenza, l´inconsistenza di «accuse allucinanti», la barbarie di un´eversiva inquisizione togata. «Andrò a tutte le udienze». Gliela avrebbe fatta vedere lui, sempre presente in aula, vigile e parlante, a quella «certa magistratura politicizzata», l´avrebbe screditata in diretta tv. Gli ingenui credono alle sue parole. Pensano che ancora una volta il Cavaliere ce la farà – ed è tutto un vivamaria – a venir fuori dall´angolo in cui lo hanno cacciato caotiche abitudini. I creduloni si convincono che davvero il capo del governo voglia difendersi nel processo e non dal processo, come ha sempre fatto affatturandosi cavilli, pretesti, legittimi impedimenti, legge ad personam, immunità.
La faccia feroce del Cavaliere non dura molto. Qualche ora, diciamo. Il tempo di dare uno sguardo all´esito delle indagini supplementari consegnate dal pubblico ministero di Milano ai suoi avvocati e il collegio di difesa chiede subito e in gran fretta il rinvio della prima udienza fissata per il 6 aprile. In realtà, un´udienza tecnica: un presidente di sezione assegna a uno dei suoi tre collegi il processo, ma tutto torna buono per prendere tempo e cercare altre vie – politiche, parlamentari, legislative – per venir fuori da guai che gli hanno cancellato dal viso ogni sorriso e ribalderia. Ci si deve chiedere allora che cosa c´è in questi atti istruttori integrativi che lo hanno costretto a gettarsi a corpo morto in pubblico, accettando addirittura qualche domanda, incontrando nientemeno quel che egli considera un ostinatissimo "nemico" come Repubblica che ha documentato le sue ragioni in un colloquio: «per parlare con la mano sul cuore e spiegare come stanno davvero le cose».
Il Gran Venditore sa come vanno queste faccende. Non deve imparare nulla. Le mosse gli nascono d´istinto, come per un riflesso immediato. Meglio anticipare i passi dell´avversario, organizzare una «narrazione» diversa e contraria per neutralizzare il racconto e i documenti che teme. Al peggio, ne nascerà una confusione che renderà indifferente l´opinione pubblica. Ecco allora sciorinare l´intera gamma della fenomenologia della menzogna. Nasconde il vero dissimulandolo («Io in questura ho chiesto solo informazioni di Ruby, nessuna pressione sui funzionari»). Modifica la natura del vero («Hanno messo in piazza 33 ragazze che passeranno il resto della loro vita con il marchio della prostituta»). Deforma la realtà rimpicciolendone il formato (altro che «bunga bunga», «cene spensierate, eleganti. Le ragazze facevano quattro salti in discoteca, Da sole, perché a me non è mai piaciuto ballare. Niente di più»). Dice l´assoluto contrario del vero («Non ho mai pagato una prostituta e poi può mai essere possibile che uno paghi con dei bonifici bancari una prestazione sessuale?»). Infine, non maschera soltanto la realtà, la inventa di sana pianta («Ho sempre avuto vicino a me la mia fidanzatina che per fortuna sono riuscito a tenere fuori da questo fango. Se avessi fatto tutto quello che dicono, mi avrebbe cavato gli occhi. E assicuro che ha anche le unghie lunghe).
Ora per comprendere l´ansia che agita il presidente del Consiglio bisogna scorrere, anche rapidamente, gli atti d´indagine integrativi, gli esiti dell´istruttoria – ora conclusa – contro Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti. Si scoveranno immagini, parole, ricordi, resoconti che sbriciolano il racconto del Cavaliere svelandone menzogne che non potrebbero reggere con decenza a una verifica processuale. Si possono vedere fotografie di ragazze mascherate da poliziotte seminude con le manette bene in vista. Si apprenderà delle istruzioni cui bisognava attenersi, ai travestimenti necessari (in un caso, «come un giocatore del Milan»), a quel che bisogna fare, come e con chi e in quale occasione. Naturalmente questi convegni possono essere «eleganti», come dice il Cavaliere, ma ammesso che ci sia stata anche grazia e distinzione, non si elimina il nocciolo della questione: decine di ragazze venivano retribuite per fare sesso con il Sultano e tra di loro una minorenne. Le ragazze ne parlano tra di loro, discutono di quanto «hanno preso», si invidiano l´attenzione del Cavaliere perché maggiore interesse significa maggiori ricavi. Per dire, si legge in un sms: «Sappiamo che uno dei venti uomini più potenti del mondo ti muore dietro e ti ha pensato tutta la sera…». Alcuni documenti liquidano l´argomento principe del capo del governo. Questo: «Può mai essere possibile che uno paghi con dei bonifici bancari una prestazione sessuale?».
È utile dare uno sguardo alle carte degli accertamenti bancari sul conto corrente di Berlusconi, il numero 1.29 presso la banca del Monte dei Paschi di Siena. Sappiamo, dalle testimonianze raccolte dal pubblico ministero, che le ragazze ricevevano i loro emolumenti in moneta sonante, in buste di 500, 1000, 2000, 5000 euro in fogli da 500. Sappiamo che da quel conto si muovono bonifici di dieci, ventimila euro a favore delle «ragazze». Dice a Repubblica Berlusconi: «Io sono come una Caritas quotidiana. Pago interventi chirurgici, il dentista, le tasse universitarie a tutti coloro che ne hanno bisogno. Alcuni di questi bonifici servivano a pagare il mutuo ai genitori di una ragazza. Dei signori in difficoltà». Tuttavia, se si guarda a quanto denaro contante ogni mese muove Silvio Berlusconi si rimane stupiti. Non usa troppi bonifici, il Cavaliere. Forse non se ne fida. Nemmeno negli assegni o nelle carte di credito ha fiducia. Il Cavaliere firma al suo ragioniere, Giuseppe Spinelli, un assegno e Spinelli nello stesso giorno lo negozia con un´operazione «cambio assegni». Le cifre sono importanti e, se nel 2009 hanno raggiunto i sette milioni 675 mila euro, nel 2010 hanno superato i 12 milioni e 880 mila euro. Le tranche mensili sono molto variabili. Oltre il milione in gennaio, aprile, maggio. Vicino al milione in luglio, settembre e ottobre. Meno di ottocentomila euro in febbraio, marzo e giugno. Un modesto 344 mila euro in agosto e un´impennata a fine anno: un milione e 496 mila euro a novembre e addirittura 2 milioni e 555 mila in dicembre. Assegni per 250 mila, 300 mila euro. Per sedici volte incassato il lunedì; in cinque occasioni il martedì; in quattordici e undici occasioni il mercoledì e giovedì e per tredici volte il venerdì, dunque alla vigilia del week end abitualmente destinato ai bunga bunga. Questo denaro contante palesemente non è tutto destinato alle feste «eleganti» per la retribuzione delle ragazze. È legittima una domanda (forse): ma perché il capo del governo ha bisogno di tanto contante? A chi lo consegna e per quali ragioni? Che cosa deve comprare o finanziare con il cash che non possa essere sostenuto con un pagamento che lascia una traccia (assegno, bonifico)? Ognuno avrà la sua congettura (forse ne avranno anche i pubblici ministeri), soprattutto se si scrutinano gli assegni e le cifre trasformate in contante nel dicembre del 2010, in quel mese orribile che ha visto Berlusconi, a un passo dalla bocciatura parlamentare, combattere voto su voto per sopravvivere. Vale la pena darne conto. In dicembre ci sono undici «cambi assegni» in quattordici giorni, a cavallo del 14 dicembre quando la Camera vota la fiducia al governo. Due soli negoziazioni sono trascurabili , il 21 dicembre per 40 mila euro e il giorno successivo per 14.687 euro. Al contrario, i restanti nove «cambi assegni» sono rilevanti. Ecco la sequenza. 9 dicembre, 270 mila. 10 dicembre, 274 mila. 13 dicembre, 250 mila. 14 dicembre, 250 mila. 15 dicembre, 250 mila. 16 dicembre, 250 mila. 21 dicembre, 350 mila. 22 dicembre, 350 mila. 23 dicembre, 257 mila. A chi sono finiti questi soldi? È anche di questo che ha paura il presidente del Consiglio? Si raccolgono anche qui le ragioni che gli impediscono di affrontare il processo?
Nel "carnevale permanente" dell´Italia di oggi – un mondo rovesciato dove gli ipocriti recitano da iconoclasti, la menzogna diventa verità e la realtà s´adultera in quinta di cartapesta - si agita un bizzarro argomento: chi s´azzarda a raccontare le patologiche abitudini del capo del governo è soltanto un voyeur anche quando quelle disordinate pratiche si mostrano come un reato. Anzi come due reati. Il premier si riempie la casa di prostitute. Nulla quaestio, fatti suoi, se non lo rendessero pericolosamente ricattabile come suggeriscono le parole rassicuranti dedicate nel colloquio con Repubblica alle 32 ragazze. Tra le prostitute però dal febbraio al maggio del 2010, per tredici volte, c´è anche una minorenne e non è più un fatto suo, privato, ma un reato (sfruttamento della prostituzione minorile). Per nasconderlo, una notte di maggio il presidente del Consiglio è costretto a giocare tutta la sua influenza nella questura di Milano per liberare la ragazza minorenne accusata di furto e troppo linguacciuta. È il secondo reato (concussione). La storia è tutta qui, se di guarda all´affare penale. Ma c´è anche una questione politica che accompagna l´affare penale e impone al capo del governo di rendere disponibile la verità perché «chi mente - non importa su che cosa - è un pericolo per la libertà e la democrazia» (Gustavo Zagrebelsky, Quando il potere teme la verità, 17 luglio 2009). C´è stato un tempo che anche Berlusconi fingeva di essere d´accordo. Era il 2 marzo 1994 e il Sultano così ammoniva il popolo: «La gente deve fidarsi solo di chi dice la verità».

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"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 16 MARZO 2011

Pagina 13 - Interni
 
"Ruby adescata già a 16 anni: tredici volte sesso col premier"
I pm: 33 ragazze indotte a prostituirsi nei festini
 

MILANO - Induzione alla prostituzione e prostituzione minorile.

Due reati che, il codice penale, complessivamente punisce partendo da un minimo di 8 fino a un massimo di 18 anni di reclusione.

Da ieri pomeriggio, il direttore del Tg4 Emilio Fede, l'ex agente delle star, Lele Mora e la consigliera regionale del Pdl, Nicole Minetti, rischiano questa condanna. I magistrati milanesi, Ilda Boccassini, Pietro Forno e Antonio Sangermano, hanno infatti consegnato ai tre indagati del Rubygate l'avviso di conclusione indagini. Per capire come Ruby-Karima incrocia il suo destino con quello del premier bisogna partire dal «mondo di Arcore», messo in primo piano dalle sette pagine consegnate ieri ai legali degli indagati.

Non è una sentenza, certo, ma un passo atteso da settimane, e pesante per gli indagati. Per la procura, i tre avrebbero avuto un ruolo preciso per garantire al Cavaliere un continuo ricambio di appariscenti giovani da sacrificare sull'altare delle serate del bunga bunga.

Fede, il selezionatore, colui che controlla la qualità della «merce».

Mora il fornitore, capace attraverso il suo ruolo di agente delle aspiranti veline, di trovare i corpi adatti a soddisfare i gusti del principale. E, per finire, Minetti, da una parte frequentatrice lei stessa dei bunga bunga, ma anche addestratrice delle frequentatrici dell'harem, attraverso la gestione degli appartamenti che Berlusconi mette a disposizione delle più assidue partecipanti di Arcore. Tesi smentita, seccamente, dal difensore del premier, Niccolò Ghedini. «Si è sempre trattato di incontri conviviali più che corretti e senza nessuna implicazione sessuale - ha precisato Ghedini - , come è stato testimoniato da decine e decine di persone presenti».

Sono state almeno 33 le ragazze che tra il 2009 e il 13 gennaio del 2011, risultano presenti alle serate di Arcore. Minetti, Fede e Mora, secondo la convinzione dei magistrati, informavano le giovanissime che dopo l'appuntamento avrebbero ottenuto «pagamenti in denaroo altre utilità». Il fine?È lampante, e ora è messo nero su bianco dai pm: i doni servivano a comprare la loro «disponibilità sessuale». Il reclutamento sarebbe «iniziato nei primi mesi del 2009».

Per la seconda accusa, invece, a tutti e tre gli indagati viene contestata la prostituzione minorile, per «aver favorito l'attività» di Ruby El Marhroug Karima, «la quale - seguendo sempre lo schema dei pm - , compiva atti sessuali con Silvio Berlusconi, dietro il pagamento di denaro e altre utilità». A questo scopo, la giovane marocchina sarebbe stata accompagnata ad Arcore tredici volte, tra il 14 febbraio e il 2 maggio 2010. Agli indagati, però, viene contestato il reato, a partire dal settembre precedente.

Un dato non secondario. Per la procura, infatti, il trio Mora-Minetti-Fede, avrebbe arruolato per il bunga bunga Ruby, durante un concorso di bellezza, tenuto in Sicilia, il 3 settembre 2009. Fede, membro della giuria, l'avrebbe ritenuta l'ideale per le serate del presidente. Mora, l'avrebbe poi avvicinata, promettendole un futuro nel dorato mondo dello spettacolo. Peccato, però, che all'epoca, la ragazzina non avesse ancora 17 anni. Le parti, ora, hanno venti giorni di tempo per tentare di ribaltare le conclusioni delle indagini, chiarire la loro posizione e tentare di evitare una richiesta di rinvio a giudizio tanto imbarazzante quanto, al momento, scontata. «Emilio Fede - fanno sapere i legali del direttore del Tg4, Nadia Alecci e Gaetano Pecorella- si presenterà ai magistrati appena vi sarà la disponibilità. È sua convinzione che in questo modo potrà chiarire l'infondatezza delle accuse già in fase di udienza preliminare». La Minetti, che per età è quella che sembra rischiare di più dal finale di questo probabile processo, potrebbe tentare di percorrere la strada di un rito alternativo. Con uno sconto di pena, e un processo solo a suo carico. Il suo legale, Daria Pesce, nei giorni scorsi non ha escluso questa possibilità.

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"La Repubblica", MARTEDÌ, 15 MARZO 2011

Pagina 21 - Interni
 
Casa An, il gip chiude l´inchiesta archiviazione per Fini e Pontone
"Venduta a un prezzo basso, non ci fu reato"
La protesta di Storace, ispiratore dell´esposto "Ricorreremo ad altri giudici"
 
MARIA ELENA VINCENZI
ROMA - Cala il sipario sulla vicenda della casa di An a Montecarlo. Il presidente dei gip del Tribunale di Roma, Carlo Figliolia, ha archiviato l´inchiesta. Niente truffa aggravata. Il reato non c´è, ha detto il giudice, accogliendo la richiesta del procuratore Giovanni Ferrara e dall´aggiunto Pierfilippo Laviani. L´appartamento in boulevard Princesse Charlotte «è stato ceduto a un prezzo inferiore a quello di mercato», ma «senza alcuna induzione in errore dei soggetti danneggiati». Non c´è truffa, dunque. Per il gip l´indicazione data da Gianfranco Fini di vendere quell´immobile del patrimonio di An non implica, come invece sostenuto dai militanti de La Destra che avevano presentato un esposto, che l´attuale presidente della Camera abbia raggirato o indotto in errore l´ex tesoriere del partito Francesco Pontone. Si chiude così un caso che ha tenuto banco per tutta l´estate 2010, dopo che era emerso che ad occupare l´appartamento era Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini.
Il giudice, nel decreto di archiviazione, prende in considerazione anche quest´aspetto della vicenda. E sostiene in pratica che «non vi è alcuna correlazione» tra il prezzo di vendita della casa e il fatto che quest´ultima sia ora in uso al cognato di Fini. In altre parole, anche se la casa è stata venduta a un prezzo inferiore a quello di mercato, il fatto che oggi sia di Tulliani non è questione rilevante dal punto di vista giudiziario. Tanto che Figliolia boccia la richiesta di ulteriori accertamenti presentata da La Destra, perché «non permetterebbero di acquisire alcun concreto elemento ai fini della configurazione del reato». E proprio a Marco D´Andrea e Roberto Buonasorte, militanti de La Destra ed ex iscritti di An, che avevano presentato il primo esposto nell´agosto scorso e la richiesta di approfondire le indagini dopo che la procura di Roma si era espressa a favore dell´archiviazione, si rivolge il gip. «Gli odierni opponenti - si legge - sono da ritenersi non persone offese ma eventualmente danneggiate dal comportamento degli indagati (il presidente di An Fini e il tesoriere Francesco Pontone, ndr), in conseguenza del valore incongruo attribuito all´immobile alienato, così da determinare loro un danno patrimoniale, da rivendicarsi, in ipotesi, nella competente sede civile».
I magistrati mettono un punto. Scelta che indigna gli autori dell´esposto. «Spero di non dovermi beccare la solita querela dagli incriticabili giudici di questo paese - dichiara Francesco Storace, leader de La Destra - . È una sentenza che lascia senza fiato. Finisce così una storia che ha indignato tutti tranne i faziosi. Ovviamente non ci fermiamo. C´è la Cassazione, il civile, molte sono le sedi giurisdizionali dove far valere le ragioni di una comunità che non si arrende. Quello che è successo può sfuggire alla legge, ma non alla morale, all´etica, alla politica».
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Lo scandalo del Commissariamento al debito del Comune di Roma: brucia milioni di euro dei contribuenti e agisce fuori da ogni controllo e senza la minima trasparenza

Varazzani, le banconote
Quanto abbiamo denunciato oggi dalle pagine de Il Fatto Quotidiano è di gravità inaudita.   
Mentre la città d Roma vive difficoltà estreme e ogni giorno più gravi per i tagli dei fondi in molti settori e per la grave mancanza di liquidità la gestione commissariale del debito di Roma è un'autorità di governo che brucia soldi dei contribuenti e opera in deroga alla legge ordinaria e al di fuori di ogni controllo istituzionale.   
Grazie alle sconcertanti misure contenute nel decreto milleproroghe, convertito di recente, il costo del funzionamento dell'ufficio del commissario Varazzani sarà più che decuplicato passando da circa 200 mila euro a 2,5 milioni di euro annui, mentre il compenso per il commissario d'oro, che prima aveva come tetto l'80% di quanto percepito da figure apicali dell'amministrazione, ora può raggiungere il "costo complessivo annuo del personale dell'amministrazione di Roma Capitale incaricato   della gestione di analoghe funzioni transattive" e contemporaneamente "le risorse destinabili per nuove assunzioni del comune di Roma sono ridotte in misura pari all'importo della retribuzione del Commissario". Tutto ciò mentre, proprio durante la discussione del milleproroghe, il governo ha fatto approvare al buio il documento di accertamento del debito del comune di Roma, omettendo di fornirlo nonostante le ripetute richieste venute dal parlamento nel corso dei lavori sia in commissione che in aula. 
I contribuenti italiani e quelli romani in particolare (con l'aumento dell'addizionale Irpef, tasse aeroportuali, contributo di soggiorno) stanno già pagando i costi di un piano di rientro della cui gestione non sappiamo nulla: rendiconto, incassi, pagamenti. Ecco come Alemanno e Tremonti affrontano il grave problema del debito che da tre anni ci dicono aver determinato la mancanza di azione politica di questa amministrazione. Chiediamo al sindaco e al ministro di pubblicare al più presto il documento di accertamento del debito e l'importo effettivo corrisposto al Commissario Varazzani.
Dichiarazione di Mario Staderini, segretario di Radicali italiani, e Riccardo Magi, segretario di Radicali Roma
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"La Repubblica", SABATO, 12 MARZO 2011

 
Pagina 27 - Cronaca
 
Parcelle da centinaia di migliaia di euro. L´accusa è abuso d´ufficio
 
Calabria, incarichi d´oro a una dirigente indagato il governatore Scopelliti
 
 
 
 
 
REGGIO CALABRIA - Il Presidente della Regione Calabria, Giuseppe Scopelliti, è indagato nella qualità di ex sindaco di Reggio Calabria, dalla Procura di Reggio per abuso d´ufficio nell´ambito dell´inchiesta sugli incarichi affidati alla dirigente comunale del settore Bilancio, Orsola Fallara, morta suicida nel dicembre scorso. Scopelliti, accompagnato dal suo legale, Nico D´Ascola, è stato sentito per un paio d´ore dal Procuratore Giuseppe Pignatone, dall´aggiunto Ottavio Sferlazza, che dirige le indagini sul caso Fallara, e dai pm Francesco Tripodi e Sara Ombra. Al centro dell´indagine ci sono le somme che Orsola Fallara si autoliquidò come rappresentante del Comune nella Commissione tributaria provinciale. Dalla documentazione acquisita dalla Procura quegli incarichi non le potevano essere affidati, essendo lei una dirigente interna. Incarichi, tra l´altro, che le fruttarono parcelle per diverse centinaia di migliaia di euro. Scopelliti, nel corso dell´interrogatorio ha respinto tutte le accuse, dicendosi estraneo ai fatti. «Sono molto sereno e fiducioso», ha aggiunto, evitando di commentare la vicenda nel merito. Parte dell´inchiesta riguarda anche altre consulenze ed incarichi professionali che la Procura ritiene illegittimi.
(g.bal.)