PER IL GIORNO DELLA MEMORIA: TUTTO SULLE FOIBE. CIFRE, TESTIMONIANZE E LUOGHI

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xx-m.senatore

Dal sito www.foibe.monrif.net

Elenco delle foibe note.

Foiba di Basovizza e Monrupino -

Oggi monumenti nazionali. Diverse centinaia sono gli infoibati in esse precipitati. Sul massacro di Basovizza il giornale "Libera Stampa" in data 1/08/1945 pubblicava un articolo dal titolo "Il massacro di Basovizza confermato dal Cln giuliano. Piena luce sia fatta in nome della civiltà. Una dettagliata documentazione trasmessa alle autorità alleate della zona ed al Governo italiano". L'articolo riportava un documento sottoscritto da tutti i componenti del Cln e di quelli dell'Ente costitutivo autonomia giuliana, che così denunciava i crimini accaduti a Trieste tra il 2 ed il 5 maggio "Centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto "Pozzo della Miniera" in località prossima a Basovizza e fatti precipitare nell'abisso profondo duecentoquaranta metri. Su questi disgraziati vennero in seguito lanciate le salme di circa centoventi soldati tedeschi uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti e le carogne putrefatte di alcuni cavalli. Al fine di identificare le salme delle vittime e rendere possibile la loro sepoltura abbiamo chiesto consiglio agli esperti che hanno collaborato, a suo tempo, al recupero delle salme nelle foibe istriane. L'attrezzatura a disposizione dei nostri esperti non è sufficiente data l'eccezionale profondità del pozzo, il numero delle salme e lo stato di putrefazione delle stesse..." Davanti alle accuse che vengono fatte da alcuni organi di stampa, di uccisioni indiscriminate, che avrebbero interessato anche esponenti antifascisti, il giornale "Primorski Dnevník" in data 5/08/1945, smentendo l'uccisione di patrioti italiani, ammette l'infoibamento di italiani a Basovizza e particolarmente di poliziotti e finanzieri. Cosi scrive "... questa nuova Jugoslavia del maresciallo Tito, che per il numero delle vittime, per la vittoria comune occupa senza dubbio il secondo posto, dopo l'Unione Sovietica e che è rispettata ed onorata dalla popolazione slovena, croata e italiana di questa regione, non è possibile che abbia oltre alla Guardia di frontiera fascista, ai poliziotti, gettato nelle foibe anche i combattenti che hanno combattuto da fratelli per la nuova Jugoslavia e dieci soldati neozelandesi...". E, proseguendo, con la definizione cinica dell'alibi che ancora oggi alcuni storici sloveni e croati sottolineano, giunge a dire "... sulla terra che ha sofferto per venticinque anni il terrore snazionalizzatore italo-fascista si è combattuto per anni contro i nazi-fascisti assieme ad onesti italiani ed antifascisti [...] non è questa la prima e nemmeno l'unica grotta dove si polverizzano le ossa dei criminali italiani e tedeschi e di quelli che si sono opposti...". Tra i responsabili degli infoibamenti a Basovizza può essere indicata la Banda Zoll-Steffè che presso le carceri triestine dei Gesuiti imperversò sotto la denominazione della Guardia del Popolo.

Foiba di Scadaicina -

sulla strada di Fiume.

Foiba di Podubbo -

Non è stato possibile, per difficoltà, il recupero. "Il Piccolo" del 5/12/1945 riferisce che coloro che si sono calati nella profondità di 190 metri, hanno individuato cinque corpi (tra cui quello di una donna completamente nuda) non identificabili a causa della decomposizione.

Foiba di Drenchia -

Secondo Diego De Castro vi sarebbero cadaveri di donne, ragazzi e partigiani dell'Osoppo.

Abisso di Semich -

" ... Un'ispezione del 1944 accertò che i partigiani di Tito, nel settembre precedente, avevano precipitato nell'abisso di Semich (presso Lanischie), profondo 190 metri, un centinaio di sventurati soldati italiani e civili, uomini e donne, quasi tutti prima seviziati e ancor vivi. Impossibile sapere il numero di quelli che furono gettati a guerra finita, durante l'orrendo 1945 e dopo. Questa è stata una delle tante foibe carsiche trovate adatte, con approvazione dei superiori, dai cosiddetti tribunali popolari, per consumare varie nefandezze. La foiba ingoiò indistintamente chiunque avesse sentimenti italiani, avesse sostenuto cariche o fosse semplicemente oggetto di sospetti e di rancori. Per giorni e giorni la gente aveva sentito urla strazianti provenire dall'abisso, le grida dei rimasti in vita, sia perché trattenuti dagli spuntoni di roccia, sia perché resi folli dalla disperazione. Prolungava l'atroce agonia con sollievo, l'acqua stillante. Il prato conservò per mesi le impronte degli autocarri arrivati qua, grevi del loro carico umano, imbarcato senza ritorno..." (Testimonianza di Mons. Parentin - da "La Voce Giuliana" del 16/12/1980).

Foibe di Opicina, di Campagna e di Corgnale -

" ... Vennero infoibate circa duecento persone e tra queste figurano una donna ed un bambino, rei di essere moglie e figlio di un carabiniere..." (G. Holzer, 1946).

Foibe di Sesana e Orle -

Nel 1946 sono stati recuperati corpi infoibati.

Foiba di Casserova-

Sulla strada di Fiume, tra Obrovo e Golazzo. Sono stati precipitati tedeschi, uomini e donne italiani, sloveni, molti ancora vivi, poi dopo aver gettato benzina e bombe a mano, l'imboccatura veniva fatta saltare. Difficilissimi i recuperi.

Abisso di Semez -

Il 7 maggio 1944 vengono individuati resti umani corrispondenti a ottanta, cento persone. Nel 1945 fu ancora "usato".

Foiba di Gropada -

Sono recuperate cinque salme."... Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada trentaquattro persone, previa svestizione e colpo di rivoltella "alla nuca". Tra le ultime Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari..."

Foiba di Villa Orìzi -

Nel mese di maggio del 1945, gli abitanti del circondario videro lunghe file di prigionieri, alcuni dei quali recitavano il Padre Nostro, scortati da partigiani armati di mitra, essere condotte verso la voragine. Le testimonianze sono concordi nell'indicare in circa duecento i prigionieri eliminati.

Foiba di Cernovizza (Pisino) -

Secondo voci degli abitanti del circondario le vittime sarebbero un centinaio. L'imboccatura della foiba, nell'autunno del 1945, è stata fatta franare.

Foiba di Obrovo (Fiume) -

E' luogo di sepoltura di tanti fiumani, deportati senza ritorno.

Foiba di Raspo -

Usata come luogo di genocidio di italiani sia nel 1943 che nel 1945. Imprecisato il numero delle vittime.

Foiba di Brestovizza -

Così narra la vicenda di una infoibata il "Giornale di Trieste" in data 14/08/1947 "...gli assassini l'avevano brutalmente malmenata, spezzandole le braccia prima di scaraventarla viva nella foiba. Per tre giorni, dicono i contadini, si sono sentite le urla della misera che giaceva ferita, in preda al terrore, sul fondo della grotta..".

Foiba di Zavni (Foresta di Tarnova) -

Luogo di martirio dei carabinieri di Gorizia e di altre centinaia di sloveni oppositori del regime di Tito.

Foiba di Gargaro o Podgomila (Gorizia) -

A due chilometri a nord-ovest di Gargaro, ad una curva sulla strada vi è la scorciatoia per la frazione di Bjstej. A una trentina di metri sulla destra della scorciatoia vi è una foiba. Vi furono gettate circa ottanta persone.

Foiba di Vines -

Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16/10/1943 al 25/10/1943 ottantaquattro salme di cuii cinquantuno riconosciute. In questa foiba, sul cui fondo scorre dell'acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, furono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell'interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto.

Cava di Bauxite di Gallignana -

Recuperate dal 31 novembre 1943 all'8 dicembre 1943 ventitre salme di cui sei riconosciute.

Foiba di Terli -

Recuperate nel novembre del 1943 ventiquattro salme, riconosciute.

Foiba di Treghelizza -

Recuperate nel novembre del 1943 due salme, riconosciute.

Foiba di Pucicchi -

Recuperate nel novembre del 1943 undici salme di cui quattro riconosciute.

Foiba di Surani -

Recuperate nel novembre del 1943 ventisei salme di cui ventuno riconosciute.

Foiba di Cregli -

Recuperate nel dicembre del 1943 otto salme, riconosciute.

Foiba di Cernizza -

Recuperate nel dicembre del 1943 due salme, riconosciute.

Foiba di Vescovado -

Scoperte sei salme di cui una identificata.

Altre foibe da cui non fu possibile eseguire il recupero nel periodo 1943 - 1945.

Semi -

Jurani -

Gimino -

Barbana -

Abisso Bertarelli -

Rozzo -

Iadruichi -

Foiba di Cocevie - a 70 chilometri a sud-ovest da Lubiana.

Foiba di San Salvaro -

Foiba Bertarelli (Pinguente) - Qui gli abitanti vedevano ogni sera passare colonne di prigionieri ma non ne vedevano mai il ritorno.

Foiba di Gropada -

Foiba di San Lorenzo di Basovizza -

Foiba di Odolina - Vicino Bacia, sulla strada per Matteria, nel fondo dei Marenzi.

Foiba di Beca - Nei pressi di Cosina.

Foibe di Castelnuovo d'Istria - "Sono state poi riadoperate - continua il rapporto del Cln - le foibe istriane, già usate nell'ottobre del 1943".

Cava di bauxite di Lindaro -

Foiba di Sepec (Rozzo) -

Capodistria - Le Foibe -

Dichiarazioni rese da Leander Cunja, responsabile della Commissione di indagine sulle foibe del capodistriano, nominata dal Consiglio esecutivo dell'Assemblea comunale di Capodistria

"... Nel capodistriano vi sono centosedici cavità, delle ottantuno cavità con entrata verticale abbiamo verificato che diciannove contenevano resti umani. Da dieci cavità sono stati tratti cinquantacinque corpi umani che sono stati inviati all'Istituto di medicina legale di Lubiana. Nella zona si dice che sono finiti in foiba, provenienti dalla zona di S. Servolo, circa centoventi persone di etnia italiana e slovena, tra cui il parroco di S. Servola, Placido Sansi. I civili infoibati provenivano dalla terra di S. Dorligo della Valle.

I capodistriani, infatti, venivano condotti, per essere deportati ed uccisi, nell'interno, verso Pinguente. Le foibe del capodistriano sono state usate nel dopoguerra come discariche di varie industrie, tra le quali un salumificio della zona .."

Testimonianze.

Don Francesco Bonifacio (... i titini lo massacrarono di botte e poi lo fecero sparire in una foiba...)

Don Angelo Tarticchio (... scaraventato nudo in una foiba con una corona di spine in testa ed i genitali in bocca...) Link ad altro sito, notizia riportata a centro pagina.

Giovanni Radeticchio di Sisiano (... mi appesero un grosso sasso per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro...).

Norma Cossetto (...violentata da 17 aguzzini venne poi gettata nella foiba...).

Marija Kukaina (... attutiti dalla distanza ci arrivavano flebili pianti, lamenti e gemiti...).

Umberto Bertuccioli (... ho letto la disperazione nei civili italiani condannati senza motivo...).

Graziano Udovisi (... infoibati solo perché italiani...).

Leo Marzini e Nidia Cernecca (... 23 salme recuperate a Villa Bassotti...).

Giuseppe Vasi (... fu pulizia etnica...).

Giovanni Lurman (... spinsero nella foiba due carabinieri vivi...).

Antonio Mechis (... non seppi più nulla di mio figlio...).

Giovanni Prendonzani (... fucilati perché affamati...).

Silvana Spagnol (... la professoressa Elena Pezzoli venne torturata...).

La famiglia Sverzutti (... un nostro congiunto non è mai più tornato...).

La storia del giovane curato di Villa Gardossi, in Istria, che i titini massacrarono di botte e poi fecero sparire in una foiba.

Don Francesco, la sera dell’11 settembre 1946, tornava verso casa percorrendo un sentiero in salita. Nel pomeriggio, in una frazione della zona, aveva ordinato la legna per scaldare il focolare domestico durante i rigori dell’inverno. Più tardi era salito a Grisignana per trovare conforto nell’amicizia che lo legava a un confratello, monsignor Luigi Rocco, e per ricevere l’assoluzione. Sulla via del ritorno il sacerdote venne fermato da due uomini della guardia popolare. Un contadino che era nei campi si avvicinò ai sicari e chiese loro di lasciar andare il suo prete, ma fu allontanato brutalmente e minacciato perché non dicesse nulla di ciò che aveva visto. Poco dopo le guardie sparirono nel bosco. Il sacerdote fu spogliato e deriso, ma egli, a bassa voce, cominciò a pregare. Si rivolse al Signore e chiese perdono anche per i suoi aggressori. Accecati dalla rabbia, i due cominciarono a colpirlo con pugni e calci don Francesco si accasciò tenendo il viso tra le mani, ma non smise di mormorare le sue invocazioni. I suoi carnefici tentarono di zittirlo scagliandogli una grossa pietra in volto, ma il curato, con un filo di voce, pregava ancora. Altre pietre lo finirono. Da allora non si seppe più nulla di lui. Il suo corpo, dopo l’atroce esecuzione, scomparve. Quasi certamente fu gettato in una foiba.

Don Francesco Bonifacio fu ucciso a trentaquattro anni, ma rimase nel cuore e nella memoria di chi ebbe la fortuna di incontrarlo.

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-La Foiba doveva essere la sua tomba. Riuscì a sopravvivere Giovanni Radeticchio di Sisano.

Ecco il suo agghiacciante racconto "... addi 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri quattro armati venne a prelevarmi a casa mia con un camioncino sul quale erano già i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonché Giuseppe Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo littorio dove ci aspettava una mostruosa accoglienza; piegati e con la testa all'ingiù fecero correre contro il muro Borsi, Cossi e Ferrarin. Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci in tutte le parti del corpo finché rinvennero e poi ripetevano il macabro spettacolo. Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi armati di pezzi di legno. Alla sera, prima di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e per giunta legati col filo di ferro ai polsi due a due, così stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perché era buio. Ad un certo momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella camera della torture. Era l'ultimo ad essere martoriato udivo i colpi che davano ai miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi. Venne il mio turno mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi e poi, giù botte da orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina. Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con una cinghia di cuoio. Prima dell'alba mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero fino all'imboccatura della Foiba. Per strada ci picchiavano col calcio e colla canna del moschetto. Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano già prese un paio di giorni prima), il fazzoletto da naso e la cinghia dei pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell'acqua della Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l'ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba..."

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-Norma Cossetto "una storia di ordinaria follia partigiana" .

Norma Cossetto era una splendida ragazza di 24 anni di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l'università di Padova. In quel periodo girava in bicicletta per i comuni dell'Istria per preparare il materiale per la sua tesi di laurea, che aveva per titolo "L'Istria Rossa" (Terra rossa per la bauxite). Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani irruppe in casa Cossetto razziando ogni cosa (espropriazione proletaria). Entrarono perfino nelle camere, sparando sopra i letti per spaventare le persone. Il giorno successivo prelevarono Norma. Venne condotta prima nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano dove i capibanda si divertirono a tormentarla, promettendole libertà e mansioni direttive, se avesse accettato di collaborare e di aggregarsi alle loro imprese. Al netto rifiuto, la rinchiusero nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo assieme ad altri parenti, conoscenti ed amici tra i quali Eugenio Cossetto, Antonio Posar, Antonio Ferrarin, Ada Riosa vedova Mechis in Sciortino, Maria Valenti, Urnberto Zotter ed altri, tutti di San Domenico, Castellier, Ghedda, Villanova e Parenzo. Dopo una sosta di un paio di giorni, vennero tutti trasferiti durante la notte e trasportati con un camion nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, venne violentata da diciassette aguzzini, ubriachi e esaltati, quindi gettata nuda nella foiba poco distante, sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani. Una signora di Antignana che abitava di fronte, sentendo dal primo pomeriggio gemiti e lamenti, verso sera, appena buio, osò avvicinarsi alle imposte socchiuse. Vide la ragazza legata al tavolo e la udí, distintamente, invocare la mamma e chiedere da bere per pietà...

Il 13 ottobre 1943 a S. Domenico ritornarono i tedeschi i quali, su richiesta di Licia, sorella di Norma, catturarono alcuni partigiani che raccontarono la sua tragica fine e quella di suo padre. Il 10 dicembre 1943 i Vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich, ricuperarono la sua salma era caduta supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri aggrovigliati; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. Emanuele Cossetto, che identificò la nipote Norma, riconobbe sul suo corpo varie ferite d'arme da taglio; altrettanto riscontrò sui cadaveri degli altri". Norma aveva le mani legate in avanti, mentre le altre vittime erano state legate dietro. Da prigionieri partigiani, presi in seguito da militari italiani istriani, si seppe che Norma, durante la prigionia venne violentata da molti. Un'altra deposizione aggiunge i seguenti particolari "Cossetto Norma, rinchiusa da partigiani nella ex caserma dei Carabinieri di Antignana, fu fissata ad un tavolo con legature alle mani e ai piedi e violentata per tutta la notte da diciassette aguzzini. Venne poi gettata nella foiba".

La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di Castellerier. Dei suoi diciassette torturatori, sei furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria del locale cimitero per vegliare la salma, composta al centro, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo che essi avevano seviziato sessantasette giorni prima, nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli, con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, tre impazzirono e all'alba caddero con gli altri, fucilati a colpi di mitra ..."

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-Marija Kukaina "Di notte sentivo pianti, lamenti e spari".

CRNI VRH (Slovenia) - Marija Kukania aveva dieci anni nel 1945. Adesso abita con il marito architetto vicino a Nova Gorica, ma non ha dimenticato. La casa dei suoi è sul limitare del bosco, a poche decine di metri da quell'avvallamento che inghiottiva le persone “Mi svegliava la luce dei fari dei camion. La prima notte ho sentito 36 spari, la seconda 38. Attutiti appena dalla distanza ci arrivavano flebili pianti, lamenti e gemiti. Mio padre era a Mathausen. Quando tornò andammo a vedere che cosa era successo. Trovò un orologio tutto schiacciato e un frammento di mandibola. Si sedette e si mise a piangere, a piangere. Nella foiba sono finite di sicuro più di cinquanta persone. Ho capito la tragedia solo quando ho origliato per caso un dialogo fra mamma e papà”.
Maria era nella folla degli oltre cinquecento sloveni che hanno depositato decine di lumini e che hanno assistito alla solenne benedizione delle vittime il 25 ottobre. Anka Puzenel, 51 anni, la donna che si è battuta per dare una sepoltura degna agli scomparsi, la ricorda come “quella donna che ha pianto tutte le sue lacrime”. Quando le è venuta l'idea del funerale signora?
“Tanti anni fa. I miei genitori mi parlavano sempre dell'accaduto. Se ne discuteva anche a scuola, ma solo fra amici fidatissimi. Era del tutto impensabile affrontare l'argomento in pubblico. C'è gente che ancora non ammette l'accaduto”.
Chi per esempio?
“I borzi, i partigiani, hanno sostenuto che nella foiba non c'è assolutamente nulla. Il presidente della sezione di Idrija dell'Associazione ex partigiani Franz Petric ha scritto al consiglio comunale per tentare di bloccare la nostra iniziativa. Ha sostenuto che avremmo dovuto chiedere la licenza municipale per costruire un monumento e che comunque prima di erigere una stele si sarebbe dovuta accertare l'identità degli scomparsi”.
Che cosa l' ha spinta a questa battaglia?
“L'umana pietà, non ho parenti scomparsi. Sono consigliere di frazione a Monte Nero, ma la politica non c'entra nulla. Sono solo una cattolica convinta. Il sindaco Samo Beuk mi ha appoggiato. Abbiamo cominciato a lavorare due anni fa. Ho trovato un mucchio di volontari. I falegnami che hanno costruito la staccionata e la croce, i muratori che hanno piantato i supporti di ferro nella roccia, l'architetto che ha disegnato il tutto... pagherò di tasca mia solo i materiali. Abbiamo scelto il 25 perché era l'ultima domenica prima della festa dei morti”.
E' stata lei a chiamare il vice primo ministro?
“Assolutamente no. E' venuto di sua iniziativa assieme al ministro della giustizia il giorno dei defunti. Ma il momento più felice della mia vita è stato una settimana prima, quando l'ausiliario Renato Podbersic e il parroco Albert Strancar hanno benedetto la foiba. E' venuta giù un acqua fitta, uno scroscio, come se il cielo volesse partecipare al pianto... Ho mandato 180 inviti. La mia amica architetto Petric Moravec ci ha fatto stampare sopra questo appello “Partecipate a un viaggio. Per tutti gli scomparsi il viaggio è durato 53 anni”. Adesso finalmente è finito”.
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- Umberto Bertuccioli"Altri massacri lungo la ferrovia per Fiume".

“Scavate, lì ci sono le foibe” Bertuccioli, 78 anni appena compiuti, ex guardafrontiera del Gaf il corpo creato da Mussolini per sorvegliare i confini nazionali, ha un incubo ricorrente, tornato a galla dopo la notizia del ritrovamento di fosse comuni a Monte Nero “La ferrovia che porta a Fiume potrebbe nascondere decine di altre foibe, in cui sono finiti migliaia di civili italiani innocenti, massacrati dai comunisti dopo l'8 settembre”
Ad avvalorare la tesi che potrebbe far lievitare il già tragico bilancio di morti innocenti durante l’ultima guerra, sono alcuni particolari che Bertuccioli ricorda e denuncia “A Villa del Nevoso in provincia di Fiume, dove stavo svolgendo servizio militare, dopo l'8 settembre i partigiani rastrellarono tutte le donne e gli uomini italiani della zona. Li portarono in una fabbrichetta e, dopo avere invitato me ed altri militari a riconoscere nel gruppo qualche presunto criminale, cosa che non facemmo, annunciarono loro che il giorno dopo sarebbero stati fucilati. Ma né io né i miei compagni soldati sentimmo sparare un colpo e da allora abbiamo vissuto col sospetto, ma è qualcosa di più, che quella gente fosse stata lanciata nel vuoto da viva nelle foibe circostanti, forse per non dare alla gente del posto il sospetto della fucilazione di massa, e lì trovò la morte. Difficile, molto difficile pensare che tutti siano stati trasportati nella grande fossa in fondo al pozzo carsico del Monte Nero, una località troppo lontana da Villa del Nevoso”.
Bertuccioli, di guardia col suo cannoncino lungo la ferrovia, saprebbe dove andare a scavare “Abbiamo vissuto quei momenti in presa diretta. Tutti hanno sempre saputo che ogni paesino che era attraversato dalla ferrovia che portava da Postumia a Fiume, era stato saccheggiato e rastrellato. Ogni paese, ogni zona carsica limitrofa a questi centri abitati potrebbe nascondere una buca di cadaveri. Così come il fiume sotterraneo Timavo, che si infila sotto il monte di Villa del Nevoso, potrebbe essere stato il cimitero per molti. Tutti hanno sempre saputo, ma nessuno ha mai ficcato il naso in queste zone e adesso è arrivato il momento di farlo”.
Immagini che sono scolpite nella mente dell'ex soldato “Io stesso ho visto molte foibe, con i miei occhi. Ho letto la disperazione nei civili italiani condannati senza motivo ferrovieri, impiegati, perfino la maestra dell'asilo, tutti ammucchiati come bestie e portati a morire negli strapiombi carsici. Ricordo il viso di una ragazza bellissima, un'impiegata della previdenza sociale, compagna di un mio amico soldato. Ci guardava mentre i partigiani ci invitavano a riconoscere quei poveretti, cosa che non facemmo. Non la rivedemmo più. Ci salvammo cantando bandiera rossa e poi scappammo, purtroppo, verso i campi di concentramento tedeschi”.
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-Non sono croato ma italiano, e ne sono fiero!

Nonostante quello che ho patito c'è qualcuno che sta falsamente diffondendo l'ipotesi che io sia croato a causa del cognome, solo per screditare la mia persona e la mia storia. Inizialmente il cognome di mio padre era “Udovicich”. Nel ‘22 è stato cambiato in Udovisi, perché con l'avvento prima dell'Italia, poi del fascismo molti hanno deciso, in base ai loro sentimenti, di italianizzare i loro cognomi. Ma la prova che sono istriano è nell'-h finale, tipica dei nomi della piccola penisola". Inizialmente, da un primo contatto con il tenente dell'esercito italiano Graziano Udovisi, oggi settantunenne, è emersa una certa sua reticenza nel rilasciare l’intervista, indisponibilità svanita non appena letto l’ultimo numero di Nuovo Fronte. "Mi è piaciuta molto l'intervista a Pititto, è un giudice molto in gamba e mi auguro che riesca a portare a termine il suo lavoro estremamente difficile. Uno dei principali motivi della iniziale reticenza di Udovisi è la sofferenza che prova ogni volta che racconta e rivive la sua drammatica esperienza. Udovisi è determinato più che mai a ribadire il suo amore per la Patria, il suo senso del dovere e il ricordo di oltre ventimila fratelli italiani che non ce l' hanno fatta. E' vergognoso il fatto che non percepisca alcuna pensione di guerra, ma solo una pensione da insegnante, in base al lavoro svolto. Lo stato italiano non lo riconosce come combattente. L'unica soluzione è che "Scalfaro prenda a cuore questo fatto e finalmente ci riconosca non soltanto come combattenti, ma ci ridia almeno tutti i nostri gradi, la nostra dignità, il nostro titolo personale, quindi anche la pensione, come è stata data ai nostri infoibatori - ha invocato il nostro compatriota- ma questo significa sconfessare completamente il comunismo dei primi tempi, vuoi dire sconfessare Togliatti, vuoi dire sconfessare addirittura lo Stato italiano che finora ci ha trattato così miseramente". Dopo tutto quello che ha subìto, alla domanda di che cosa provasse nel sapere che il Tribunale penale di Roma non ha ancora potuto disporre l'arresto dei due massacratori jugoslavi Ivan Motika e Oskar Piskulic, rispettivamente di 89 e di 76 anni, a causa della loro avanzata età, ha risposto "Noooo... è inutile, dopo tanto tempo (sospirando lungamente in segno di sconforto). Sono miserie umane, soltanto miserie umane. Io non conosco i nomi di coloro che mi hanno torturato e infoibato, erano più grandi di me, ora saranno morti. Forse saranno in mano a quei cani neri che hanno buttato per primi dentro le foibe, perché fossero quei cani neri a trattenere le anime degli infoibati e gli infoibatori potessero dormire i loro sonni tranquilli. Siamo stati percossi, torturati, perseguitati e sempre ci hanno chiamato "fascisti". E’ comodo dare a noi, giuliani, istriani, fiumani, dalmati, la colpa di una guerra fatta da tutti gli italiani, iniziata nel 1940. Si parla ancora di fascisti; se anche lo fossimo stati che colpa avevamo per essere infoibati? Attenzione che i fascisti sono persone comuni, come lo sono comunisti, democristiani e altri. E gioire per le sofferenze inflitteci? Eh no! Troppo comodo anche per tutti i partiti che sono al potere. Non ci sto. L'altra mattina mi hanno telefonato dall'Australia per programmare un collegamento diretto tramite una stazione radio di nome "Rete Italia". Laggiù ci sono tanti italiani che vogliono sentire le vicissitudini dell’Istria e mi ha profondamente commosso di essere ricordato dai nostri fratelli istriani emigrati in Australia". Quello di Udovisi è un triste diario di ricordi che fa parte di un macabro e vergognoso capitolo della storia, dimenticato da troppi. Ancora oggi non dorme sonni tranquilli, i suoi pensieri tornano indietro, a quel terribile sabato 5 maggio 1945, quando si presentò alle ore 17,30 direttamente presso il comando slavo. Il suo senso di responsabilità lo fece intervenire per cercare di salvare i suoi sottufficiali. Niente da fare. I massacratori slavi non lo fecero neanche parlare ma, dopo avergli chiesto solo nome, cognome e grado, lo legarono con le mani dietro alla schiena col fil di ferro e lo stiparono in una cella tre metri per quattro, assieme ad altri trenta italiani, stretti come sardine, quasi senza aria e tutti con le mani legate col fil di ferro dietro la schiena. Morivano di sete e dopo imploranti richieste hanno offerto loro un fiasco con urina. Seminudi, avevano solo un paio di pantaloni addosso. "Bisogna ricordare che io non parlo per me stesso, ma almeno ventimila nostri italiani sono stati massacrati in questo modo, almeno ventimila!". Allora Udovisi era tenente della Milizia Difesa Territoriale, reggimento comandato da Libero Sauro, figlio di Nazario Sauro, l'eroe istriano. "Mi sono presentato insieme a un amico, che era mio ospite, proveniente dalla zona di Mantova e considerato un regnicolo, ossia un suddito del Regno d'Italia. Da sottolineare che serbi e croati, non appena occupata la zona istriana, hanno considerato slavi tutti coloro che vi risiedevano, ormai per loro non più cittadini italiani". Ma, anche se considerati slavi, secondo il loro modo di pensare, eravate da eliminare? “Non tutti. C'erano quelli che nel '43 hanno immediatamente impugnato le armi per difendere la popolazione e il territorio italiano. Poi ci sono stati quelli che stavano a guardare e quelli che stavano con gli slavi". Ma era già allora tutto preordinato? "Oggi possiamo dare una risposta affermativa. Era già preordinato un fattore politico, preparato a tavolino, cercare di creare nelle nostre terre la psicosi di terrorismo per ottenere remissione e obbedienza dalle masse. I padroni dovevano essere loro. Dopo l'8 settembre dominarono per circa un mese l'Istria, periodo durante il quale sono sparite alcune migliaia di persone. Il luogo si scoprirà solo dopo, a causa di continui lamenti che provenivano dalle fenditure rocciose di chi ancora non era morto. Chiedo scusa alla popolazione istriana e alla nazione per non essere riuscito a salvare il territorio italiano. Eravamo in molti, ma non ce l'abbiamo fatta". Ma perché questi infoibati? "Perché italiani. Ma all'epoca il perché non si sapeva e ancora al giorno d'oggi c'è qualcuno che mette in dubbio l'accaduto. All'epoca nemmeno i più sapienti e colti riuscivano a individuarne i motivi e ripiegarono sull'unica ipotesi immaginabile la vendetta. Ma come potevano essere vendette personali, se le vittime erano uomini, donne e bambini?". Ma perché siete stati additati come fascisti dai comunisti di allora? "Questo rimane sempre un grande interrogativo". Forse era l'unico modo per poter arrestare questa pulizia etnica? “Non era una pulizia etnica, questa dizione è stata inventata nel 1980 da uno psichiatra serbo. Io lo chiamo terrorismo etnico". Perché Sandro Pertini, in qualità di capo dello Stato, andò a Belgrado a riverire la salma di Tito e non passò mai a visitare le foibe? Dovendo rappresentare l'unità d'Italia non avrebbe dovuto omaggiare prima di tutto quei luoghi dove migliaia di compatrioti innocenti sono stati trucidati? "Fino a pochi anni fa nessun presidente della Repubblica Italiana ha mai onorato della sua presenza una foiba solo Cossiga, nel 1991 e in seguito Scalfaro, che ha definito il tutto "una montagna di sofferenze". La verità è che ci sono stati molti, per non dire moltissimi, non solo ex capi di Stato, ma anche leader di partito, che sono stati più vicini ai nostri persecutori che a noi perseguitati. Ci sono tanti italiani che hanno infierito su di noi. Il Pm Giuseppe Pititto li ha trovati e ha parlato di crimini contro l'umanità. Come sono stati perseguitati gli ebrei e qualcuno doveva pagare qui in Italia, così italiani, croati, serbi e sloveni, tutti gli jugoslavi, cioè slavi del sud, hanno detto che eravamo noi a dover pagare, come se noi avessimo dichiarato loro guerra". Ma perché il governo italiano non ha difeso le proprie terre e si è comportato così irresponsabilmente? "Basti pensare che abbiamo un segretario dei partito della sinistra triestina (Pds) che ha affermato sui giornali che negli anni '43-'48 il comunismo diede copertura e legittimazione alle foibe. Quindi, era tutto preordinato, tutto predisposto. Il nostro sforzo di combattere gli slavi fu totalmente vano". Lei aveva solo 19 anni quando è stato sul punto di morire. Se la sente di raccontare la sua storia? "Io non sono stato catturato, ma mi sono presentato direttamente al comando slavo e non per consegnare le armi, perché ero già in borghese. Rientrato con il mio reparto a Pola di notte, nessuno sapeva del mio ritorno, tranne alcuni dei miei compagni. Non sarebbero riusciti mai a trovarmi, ma uno dei miei sottufficiali, parlando con mia madre, disse che gli slavi li stavano cercando dappertutto e chiese se potevo fare qualcosa. Capii che avevo il dovere di presentarmi al comando slavo per dire che avevo mandato la maggioranza dei miei uomini a Trieste. Solo così, forse, avrebbero smesso di cercarli. Sono intervenuto solo per salvare qualche mio soldato". Ha sortito qualche effetto questo gesto di grande coraggio? “Assolutamente no. Però, ringraziando Iddio, mi sono salvato sia io che il mio amico presentatosi con me. Lui, essendo stato considerato regnicolo, quindi abitante del Regno d'Italia, era stato mandato in un campo di concentramento e per cercare di mantenere buoni i contatti con l’Italia lo hanno considerato prigioniero di guerra, mentre per quel che mi riguarda mi hanno considerato un traditore, perché ufficiale”. Che sentimento è rimasto in lei dopo quella tragica storia? “L'amaro in bocca, anche perché l'Italia ha fatto ben poco. Certo gli slavi potevano ammazzarci in altro modo. Per quale motivo le foibe? Avevano forse cercato di cancellare le loro tracce, nascondendo i corpi martoriati nelle fenditure rocciose". E poi che è successo? "Ad un certo punto ci hanno prelevati in sei e portati in un'altra stanza per torturarci tutta la notte. Dopo mezz'ora non sentivo più nulla, avrebbero potuto anche tagliarmi a pezzettini, ma non me ne sarei reso conto. Ormai il corpo non rispondeva più ai riflessi, era inerme, e quando a un certo momento mi hanno ordinato di alzarmi in piedi, ho cercato di guardarmi intorno il mio volto era talmente tumefatto, livido e gonfio che vedevo a malapena da due piccole e lunghe fessure degli occhi, dovevo avere la testa rovinata. Ricordo di aver visto un mio compagno di fronte a me, la cui schiena era completamente rossa e mi chiesi per quale motivo lo avessero dipinto di quel colore, invece era tutto il sangue che stava uscendo dalle innumerevoli ferite. Se lui era ridotto in quel modo, se gli altri erano così, allora anch'io ero in quelle condizioni, ma non me ne rendevo conto. E quando ci hanno fatto alzare in piedi per portarci fuori entrarono due ufficiali, un uomo e una donna, la quale disse che il più alto doveva stare davanti alla fila. Nessuno si mosse, allora questo ufficiale mi prese per i capelli, mi strattonò spingendone davanti a lei, la quale senza dire una parola mi spaccò la mascella sinistra con il calcio della pistola. Mi misero alla testa della fila perché ero ufficiale, gli altri erano dietro, ma l'ultimo non ce la faceva a stare in piedi. Forse perché lo avevano massacrato più degli altri, forse perché più debole, non so. Sin dal primo momento di prigionia ci avevano legato le mani dietro la schiena col fil di ferro, per non slegarcele mai più, neanche durante le torture. Si può facilmente immaginare come quei maledetti fili taglienti avessero solcato la carne dei polsi e come continuavano a incidere sulle ferite al minimo movimento. Poi ci misero in fila e ci portarono fuori seminudi, senza scarpe forse il fresco della notte ha fatto in modo che capissi qualcosa di più, in quanto la testa era completamente imbambolata, il cervello funzionava relativamente. A quel punto altri soldati, ben vestiti, ci portarono fuori, nel bosco, non erano quelli che ci avevano torturato. Dovevano essere dei militari, qualcuno della banda d'accordo con loro e anche borghesi, partigiani comunisti, erano tutti contro di noi. Ci hanno disposti in fila l'uno dietro all'altro, sempre con le mani dietro la schiena e ulteriormente legati insieme tramite un filo di ferro che scorreva sotto il braccio sinistro di ognuno, per formare una fila dritta, fino ad arrivare all'ultimo che, non avendo la forza di stare in piedi, essendo svenuto a terra, era stato legato non al braccio, ma intorno al collo. Ricordo di aver sentito suggerire da due che parlavano in italiano, nel nostro dialetto, di legarlo attorno al collo. Sicuramente durante il tragitto l'ultimo è morto soffocato dal filo che ci legava l'un l'altro. Abbiamo camminato per un viottolo, non so per quanto tempo, ero distrutto e il fil di ferro che mi univa ai compagni era una tortura. Appena riuscii a farlo scorrere leggermente lungo il braccio, fino al polso, mi sembrò un sollievo; in quel momento sono scivolato e caduto. Immediatamente mi è arrivata una botta con il calcio di una mitragliatrice al rene destro. A causa di ciò ho subito tre operazioni al rene, che da quel momento ha sempre prodotto calcoli". Quante altre conseguenze ha avuto? "Tante. Non solo sono stato leso in modo tale da essere sordo all'orecchio sinistro e al destro ci sento per metà. Ma dal tragitto di trasferimento da Pola fino a Fianona me ne hanno fatte di tutti i colori, mi hanno fatto mangiare della carta, dei sassi, mi hanno sparato vicino alle orecchie, si divertivano tanto a vederci sobbalzare. Mi hanno accompagnato verso un posto e ci hanno detto "Fermatevi. La liberazione è vicina". Dentro di me ho mandato un pensiero al Cielo. Ho guardato dentro alla foiba, ma non vedevo niente, perché era mattina presto. Giù in fondo si scorgeva solo un piccolo riflesso chiaro. Si sono tirati indietro e quando ho sentito il loro urlaccio di guerra mi sono buttato subito dentro come se questa foiba rappresentasse per me un'ancora di salvezza. Dopo un volo di 15-20 metri, non lo so, sono piombato dentro l'acqua. Venivo trascinato sempre più giù e mi dimenavo con tutta la poca forza rimasta in corpo. Ad un certo momento, non so perché, sono riuscito a liberarmi una mano. Ho immediatamente nuotato verso l'alto e ho toccato una zolla con dell'erba, era in realtà una testa con dei capelli. L' ho afferrata e tirata in modo spasmodico verso di me e sono riuscito a risalire, ringraziando Iddio. Ho salvato un fratello". Questa persona dov'è ora? "E’ andata in Australia, e purtroppo è morta, però ha lasciato la sua testimonianza. Ha lasciato l'Italia, non trovava lavoro, non trovava più pace. Ha sofferto per la lontananza dalla sua terra e per la tortura subita".

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xx-m.senatore (non verificato)

non credo che tu abbia compreso quello che ho scritto,allora, così come non ho chiesto tuoi consigli. Ciao.

Iscritto dal: 15/05/2001
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per chiarezza ovviamente non ho scritto a Rino chiedendogli di intervenire, per quanto si tratta di una questione di semnplice buonsenso. (il precedente intervento l'ho scritto senza vedere il post di Senatore)

Iscritto dal: 15/05/2001
User offline. Last seen 7 anni 18 settimane ago.

Vediamo se Rino avrà più fortuna di me con questo consiglio.

xx-m.senatore (non verificato)

Ringrazio per la segnalazione e mi scuso per un eventuale "intasamento" dei threads; tuttavia, per essere molto franco, devo dire che con l'aria che tira tra certi frequentanti del forum- che pare si coalizzino per definirmi leccaculo di Pannella o alternativamente coglione impotente, caro Spampanato, non mi meraviglierei se qualcuno di questi ti fosse venuto ad importunare per segnalarti la "densità" dei miei posts, pensando per ciò stesso di intimorirmi o produrre qualche minimo risentimento in me.
Così come mi augureri che avessi fatto le stesse osservazioni a chi ha riempito pagine e pagine non già per riportare articoli, ma per lanciare insulti o per ripetere centinaia di volte gli stessi messaggi.
Scusandomi ancora faccio "ammenda" per quanto possibile, convinto però che partecipare a questo forum non sia per me vitale, per cui posso anche chiudere qui.
Saluti.

r.spampanato (non verificato)

Ripeto anche qui, dove forse l'osservazione-consiglio è più opportuna.

Scusa Marco, che senso ha questa valanga di testi?
E' - tuo malgrado - una maniera controproducente di usare questo spazio.
Già in passato sono intervenuto a segnalare per altri frequentatori che le citazioni sono bene accette, ma per la pubblicazione integrale di documenti esiste il comando link (spiegato cliccando sotto "Aiuto" nel menu sotto testata.

Ti invito caldamente a pubblicare delle introdruzioni e segnalare il link, per non far diventare questo spazio un calderone illegibile.

L'occasione è propizia anche per sollecitare altri a fare lo stesso.

Ciao,
Rino Spampanato

PS Per mettere i link, basta che scrivi
[*]http://www.radicali.it[/*]
e sostituisci il carattere asterisco * con la lettera a
forza, non è difficile!

xx-m.senatore (non verificato)

Per non dimenticare

Osservatorio sui delitti
del comunismo in Italia

Le Foibe

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Il termine foiba è corruzione dialettale del latino "fovea", che significa fossa, incavo, apertura del terreno.

"Circa 1700 sono le foibe nel territorio istriano - racconta Fulvio Farba in un articolo apparso nel 1992 su Nuovo Fronte - hanno forma di un imbuto rovesciato, ma ve ne sono anche perpendicolari, profonde da pochi metri ad alcune centinaia; di solito scorre acqua sul fondo. Ciò serve a capire quanto sia stato facile per gli assassini slavi eliminare e far scomparire le loro vittime. Gli infoibamenti avvennero in due tempi, settembre 1943 e maggio 1945".

In questa sezione ci occuperemo solo delle stragi perpetrate a guerra finita, e quindi nel maggio 1945 e mesi successivi, rinviando ad altro luogo la disamina dei delitti commessi dai comunisti durante la guerra.

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ABISSO BERTARELLI

ANTIGNANA

BASOVIZZA

BAZZANO

BRIONI

CAMPAGNA

CANTRIDA

CARNIZZA

CASTELLIER

CASTELNUOVO D'ARSA

CERNOVIZZA

CORGNALE

CRADARO

CREGLI

FOSSA DEI COLOMBI

JELENKA

JURANI

GROPADA

MONRUPINO

OBROVO

ORLE

PAUGNANO

PEDENA

PISINVECCHIO

PODGOMILA

POGLIACCHI

PUSICCHI

RACIEVAZ

RASPO

SAN DOMENICO DI ALBONA

SAN GIOVANNI DELLE CISTERNE

SAN SERVOLO

SANTA CATERINA

SANTA LUCIA

SCADAISCINA

SCOPETTI

SELLA DI MONTESANO

SEMEZ

SESANA

SOSSI

SURANI

TARNOVIZZA

TERLI

TUPLIACO

UMAGO

VESCOVADO

VILLA CECCHI

VILLA FRANZI

VILLA ORIZI

VINES

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I nomi dell'orrore rappresentano un elenco assai incompleto dei luoghi in cui furono precipitati e uccisi dai comunisti filotitini migliaia e migliaia di italiani.

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In attesa di elaborare nostro materiale storiografico sugli eccidi delle foibe, vi proponiamo il disegno della foiba di Basovizza e il relativo racconto così come sono riportati nell'interessante sito www.geocities.com/CapitolHill/4676/foibe.htm.

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LA FOIBA DI BASOVIZZA

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Ecco quanto ha scritto sui tragici 40 giorni dell'occupazione, jugoslava Diego De Castro, che fu rappresentante italiano presso il Governo militare alleato a Trieste

" (...) forse non è inutile ricordare agli altri italiani quali furono gli orrori dell'occupazione jugoslava di Trieste e dell'Istria gli spari del maggio 1945 contro un corteo di italiani inermi con cinque morti e innumerevoli feriti, le razzie di miliardi di allora nelle banche. nelle società, negli enti pubblici. A tutti i nostri connazionali è ormai nota la lugubre parola foiba e tutti sanno che cosa sono i campi di concentramento."

Sul ciglione carsico, a 9 chilometri da Trieste, sorge la borgata di Basovizza. Nei pressi si apriva il "Pozzo della miniera", oggi meglio conosciuto come "Foiba di Basovizza", divenuta simbolo di tutte le foibe del Carso e dell'Istria, e di tutti i luoghi che videro il martirio e la morte atroce di italiani, sia per il numero delle vittime che ha inghiottito, sia tragicità delle vicende connesse alla strage colà perpetrata.

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Occorre precisare che questa tristemente famosa voragine non è una foiba naturale, ma, appunto come si accennato sopra, il pozzo di una miniera scavato all'inizio del secolo fino alla profondità di 256 metri, nella speranza di trovarvi il carbone. La speranza andò delusa e l'impresa venne abbandonata. Nessuno allora si curò di coprire l'imboccatura e così, nel 1945, il pozzo si trasformò in una grande, orrida tomba.

Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l'invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi, descrive la tremenda via-crucis delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco.

Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.

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Ma chi erano le vittime? Italiani di ogni estrazione civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perchè in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito.

Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti.

Quante furono le vittime delle foibe? Nessuno lo saprà mai! Di certo non lo sanno neanche gli esecutori delle stragi. Questi non hanno parlato e non parlano. Finora qui non si è alzato alcun Otello Montanari come a Reggio Emilia, ad ammonire i compagni comunisti. D'altra parte è, pensabile che in quel clima di furore omicida e di caos ben poco ci si curasse di tenere la contabilità delle esecuzioni.

Sulla base di vari elementi si calcola che gli infoibati furono alcune migliaia. Più precisamente, secondo lo studioso triestino Raoul Pupo, "il numero degli infoibati può essere calcolato tra i 4 mila e i 5 mila, prendendo come attendibili i libri del sindaco Gianni Bartoli e i dati degli anglo-americani".

Alle vittime delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche questi a migliaia, nei lager jugoslavi, dai quali una gran parte non conobbero ritorno. Complessivamente le vittime di quegli anni tragici, soppresse in vario modo da mano slavo-comunista, vengono indicati in 10 mila anche più. Belgrado non ha mai fatto o contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.

Per quanto riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella Foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante.

Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico - indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 300 metri cubi - conterrebbe le salme degli infoibati oltre duemila vittime! Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una strage immane. A guerra finita!

E i carnefici? lndividui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su direttive deII'OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare e ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della "difesa popolare".

La Volante Rossa

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Il gruppo terroristico denominato Volante Rossa agì a Milano lungo un arco di tempo di quasi quattro anni, dall'estate del 1945 al febbraio del 1949.

Fu costituito ad opera di partigiani comunisti provenienti dalle Brigate garibaldine 116a, 117a e 118a.

Il suo fondatore e capo fu Giulio Paggio, originario di Saronno, nome di battaglia Alvaro.

Nonostante il grande scalpore che le azioni di tale formazione terroristica fecero, e di cui parleremo, su di essa in questi cinquant'anni è calata una cortina di silenzio, rotta soltanto nel 1977 da un saggio di Cesare Bermani pubblicato sulla rivista "Primo Maggio" e nel maggio 1996 da un libro di Carlo Guerriero e Fausto Rondinelli edito da Datanews dal titolo "La Volante Rossa".

Si tratta di due saggi opera di autori di sinistra, ampiamente giustificazionisti, ai quali peraltro va riconosciuto il merito di aver rotto un vero e proprio muro di omertà che il Partito Comunista prima e il PDS poi avevano elevato intorno a questa scomoda ed ingombrante storia.

In particolare il secondo saggio ha una strana intonazione troppo fazioso per apparire come una sera ricostruzione storica, troppo obiettivo per essere considerato solo un'opera apologetica.

Descrive ed enumera i delitti, indifendibili, commessi dagli aderenti alla Volante Rossa, ma si conclude con queste parole "Nei decenni successivi il ricordo della formazione di ex partigiani milanesi era destinato a riaffiorare ogni volta che mobilitazioni antifasciste ed operaie tornavano a far salire la tensione nelle aree industriali del nord segno evidente che il valore, anche leggendario, che quella lontana esperienza di lotta aveva assunto non era stato affatto intaccato né dalle strumentalizzazioni né dalla rimozione operata nei suoi confronti da parte del PCI." (Evidenziazione nostra).

Deve destare preoccupazione il fatto che nel 1996 vi sia ancora qualcuno che attribuisca ai crimini della Volante Rossa un valore, anche leggendario

Ma vediamo quali furono questi crimini, quasi tutti commessi a Milano.

gennaio 1947 - Omicidio di Eva Macciacchini e di Brunilde Tanzi, simpatizzanti di movimenti di destra.

14 marzo 1947 - Omicidio del giornalista Franco De Agazio, direttore della rivista "Meridiano d'Italia".

16 giugno 1947 - Assalto ad un bar di via Pacini 32, ritenuto luogo di ritrovo di simpatizzanti di destra, a colpi di sassi e di pistola.

6 luglio 1947 - Attentato contro l'abitazione di Fulvio Mazzetti, simpatizzante di destra, in Corso Lodi 33. La bomba a mano lanciata contro l'abitazione rimbalza contro una zanzariera e ricade in strada, ove ferisce uno degli attentatori, Mario Gandini. L'altro si chiama Walter Veneri.

10 luglio 1947 - Attentato contro la sede del settimanale missino "Rivolta Ideale". Qui una quarantina di persone erano radunate per ascoltare una conferenza del professor Achille Cruciani. Due terroristi lanciarono una bomba nella sala con la miccia già accesa. Uno dei presenti la raccolse e la lanciò giù dalla finestra, ove esplose danneggiando il palazzo di via Agnello 10 e tre automobili.

27 luglio 1947 - Un ordigno al plastico viene collocato all'interno di un cinema nel quale il professor Cruciani doveva tenere un'altra conferenza. La polizia lo ritrova prima che esploda.

11 ottobre 1947 - Assalto alla sede del M.S.I. di via Santa Radegonda, che viene devastata. Numerosi missini presenti vengono feriti.

29 ottobre 1947 - Al termine di una manifestazione indetta dalla Camera del Lavoro, viene assalita e distrutta la sede della rivista "Meridiano d'Italia".

4 novembre 1947 - Omicidio di Ferruccio Gatti, responsabile milanese del M.S.I., nella sua abitazione, in viale Gian Galeazzo 20.

4 novembre 1947 - Tentato omicidio di Antonio Marchelli, segretario della sezione del M.S.I. di Lambrate.

5 novembre 1947 - Omicidio, a Sesto San Giovanni, di Michele Petruccelli, aderente al Movimento "Uomo Qualunque".

12 novembre 1947 - Assalto alle sedi dell'Uomo Qualunque in Corso Italia, del M.S.I. in via Santa Radegonda e della rivista "Meridiano d'Italia".

13 novembre 1947 - A bordo di tre camion i terroristi della Volante Rossa si recano in via Monte Grappa e devastano la sede del Movimento Nazionale Democrazia Sociale.

14 novembre 1947 - Irruzione nella sede del Partito Liberale Italiano in corso Venezia.

27 novembre 1947 - Assalto alla Prefettura di Milano, insieme a centinaia di manifestanti che protestavano contro la sostituzione del Prefetto Troilo. Nella stessa giornata viene assalita la sede del M.S.I. e quella della RAI in corso Sempione.

6 dicembre 1947 - Aggressione ad una guardia giurata della Breda, a Sesto San Giovanni.

12 dicembre 1947 - Sequestro dell'ingegner Italo Tofanello, dirigente delle Acciaierie Falck, in via Natale Battaglia 29. Condotto in Piazza Duomo l'ingegnere viene costretto a spogliarsi e quindi viene rilasciato senza vestiti.

10 aprile 1948 - Disordini durante un comizio del M.S.I. in piazza Belgioioso.

25 aprile 1948 - Disordini durante una manifestazione non autorizzata a piazzale Loreto.

15 luglio 1948 - Scontri con le Forze dell'Ordine durante l'occupazione degli stabilimenti Bezzi e Motta.

13 ottobre 1948 - Aggressione ad alcuni dirigenti della Breda.

27 gennaio 1949 - Omicidio di Felice Ghisalberti in via Lomazzo e del dottor Leonardo Massaza in piazza Leonardo da Vinci, ritenuti entrambi simpatizzanti di destra.

L'elenco di questi crimini naturalmente rappresenta in modo assai sommario la vera attività della Volante Rossa. Si tratta degli episodi sicuramente attribuibili a questa formazione, mentre non compare una quantità di altre azioni che in quegli anni turbolenti furono commesse da estremisti di sinistra, quasi sicuramente appartenenti alla Volante Rossa, ma di cui non abbiamo documentazione certa.

Circa l'epilogo del gruppo terroristico, nel 1951 fu celebrato il processo contro 32 membri della Volante Rossa, di cui 27 in carcere e 5 latitanti.

I condannati furono 23, di cui 4 all'ergastolo.

Dei 5 latitanti 3 sfuggirono all'arresto grazie all'aiuto del P.C.I. che li fece espatriare oltrecortina Giulio Paggio e Paolo Finardi in Cecoslovacchia e Natale Burato in Unione Sovietica.

Il 26 ottobre 1978 il neo-eletto Presidente della Repubblica Sandro Pertini firma il decreto di grazia per i 3 terroristi rifugiati all'estero.

Ed ecco un elenco, ampiamente incompleto, degli appartenenti alla Volante Rossa

- Otello Alterchi (Otelin), elettricista, classe 1928;

- Felice Arnè, nome di battaglia Ciro, operaio, classe 1930;

- Giordano Biadigo (Tom), operaio, classe 1929;

- Bruno Bonasio, elettricista, classe 1926;

- Primo Borghini, custode della Casa del Popolo di Lambrate, classe 1920;

- Mario Bosetti, classe 1926;

- Natale Burato;

- Luigi Canepari (Pipa), meccanico, classe 1925;

- Camillo Cassis, idraulico, classe 1925;

- Ennio Cattaneo, elettricista, classe 1930;

- Domenico Cavuoto (Menguc), barista, classe 1930;

- Giulio Cimpellin (Ciro), meccanico, classe 1920;

- Ferdinando Clerici (Balilla), operaio, classe 1928;

- Luigi Comini (Luisott), fotografo, classe 1925;

- Walter Fasoli (Walter), disoccupato, classe 1917;

- Paolo Finardi;

- Mario Gandini;

- Pietro Iani (Iani), idraulico, classe 1926;

- Giacomo Lotteri (Loteri), meccanico, classe 1920;

- Angelo Maria Magni, elettricista, classe 1926;

- Sante Marchesi (Santino), radiotecnico, classe 1926;

- Antonio Minafra (Missaglia), classe 1919;

- Enrico Mondani, tipografo e segretario della sezione Lambrate del P.C.I., classe 1925;

- Mario Mondani, meccanico, classe 1927;

- Giulio Paggio (Alvaro);

- Ettore Patrioli (Iaia), meccanico, classe 1926;

- Carlo Reina, conciatore, classe 1926;

- Emilio Tosato (Lietù), elettricista, classe 1929;

- Ferruccio Tosi (Casso), elettricista, classe 1929;

- Eligio Trincheri;

- Angelo Vecchio (Tarzan), operaio, classe 1925;

- Dante Vecchio (Tino), meccanico, classe 1917;

- Walter Veneri;

- Italo Zonato (Italo), meccanico, classe 1925;

xx-m.senatore (non verificato)

QUARANTA GIORNI DI TERRORE

Questa tecnica di tortura e di morte venne applicata su più vasta scala anche nell'invasione jugoslava della primavera 1945 a Trieste e altrove. Accanto alle foibe istriane, altre foibe del Carso inghiottirono italiani, tedeschi ed anche sloveni antititini. E alle foibe si aggiunsero le deportazioni per altre migliaia di disgraziati, molti dei quali non conobbero ritorno. Ecco quanto ha scritto sui tragici 40 giorni dell'occupazione jugoslava Diego De Castro, che fu rappresentante italiano presso il Governo militare alleato a Trieste

" (...) forse non è inutile ricordare agli altri italiani quali furono gli orrori dell'occupazione jugoslava di Trieste e dell'Istria gli spari del maggio 1945 contro un corteo di italiani inermi con cinque morti e innumerevoli feriti, le razzie di miliardi di allora nelle banche, nelle società, negli enti pubblici. A tutti i nostri connazionali è ormai nota la lugubre parola foiba e tutti sanno che cosa sono i campi di concentramento."

Sul ciglione carsico, a 9 chilometri da Trieste, sorge la borgata di Basovizza. Nei pressi si apriva il "Pozzo della miniera", oggi meglio conosciuto come "Foiba di Basovizza", divenuta simbolo di tutte le foibe del Carso e dell'Istria, e di tutti i luoghi che videro il martirio e la morte atroce di italiani, sia per il numero delle vittime che ha inghiottito, sia tragicità delle vicende connesse alla strage colà perpetrata.

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LA CARNEFICINA AL POZZO DELLA MINIERA

Occorre precisare che questa tristemente famosa voragine non è una foiba naturale, ma, appunto come si accennato sopra, il pozzo di una miniera scavato all'inizio del secolo fino alla profondità di 256 metri, nella speranza di trovarvi il carbone. La speranza andò delusa e l'impresa venne abbandonata. Nessuno allora si curò di coprire l'imboccatura e così, nel 1945, il pozzo si trasformò in una grande, orrida tomba.

Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l'invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi nel 1941, descrive la tremenda via-crucis delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco.

Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.

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LE VITTIME E I CARNEFICI

Ma chi erano le vittime? Italiani di ogni estrazione civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perchè in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito.

Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti.

Quante furono le vittime delle foibe? Nessuno lo saprà mai! Di certo non lo sanno neanche gli esecutori delle stragi. Questi non hanno parlato e non parlano. Finora qui non si è alzato alcun Otello Montanari come a Reggio Emilia, ad ammonire i compagni comunisti. D'altra parte è, pensabile che in quel clima di furore omicida e di caos ben poco ci si curasse di tenere la contabilità delle esecuzioni.

Sulla base di vari elementi si calcola che gli infoibati furono alcune migliaia. Più precisamente, secondo lo studioso triestino Raoul Pupo, "il numero degli infoibati può essere calcolato tra i 4 mila e i 5 mila, prendendo come attendibili i libri del sindaco Gianni Bartoli e i dati degli anglo-americani".

Alle vittime delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche questi a migliaia, nei lagher jugoslavi, dai quali una gran parte non conobbero ritorno. Complessivamente le vittime di quegli anni tragici, soppresse in vario modo da mano slavo-comunista, vengono indicati in 10 mila anche più. Belgrado non ha mai fatto o contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.

Per quanto riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella Foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante.

Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico - indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 300 metri cubi - conterrebbe le salme degli infoibati oltre duemila vittime! Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una strage immane. A guerra finita!

E i carnefici? lndividui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su direttive deII'OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della "difesa popolare".

xx-m.senatore (non verificato)

FOIBE
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FOIBE. CINQUANT'ANNI DI SILENZIO Il genocidio ignorato dalla storiografia "ufficiale" Teodoro Francesconi

Il conflitto nella ex-Jugoslavia fra serbi e croati, la guerra che ha per teatro la Bosnia, la durezza di una lotta che coinvolge donne, vecchi e bambini ha portato all'attenzione dei popoli europei e dei nostri connazionali certe caratteristiche degli slavi del sud.
Si è parlato di "pulizia etnica" e delle modalità con le quali i contendenti in causa intendono applicare questa politica al fine di risolvere radicalmente ogni problema di convivenza attraverso il terrore, annientando l'avversario, annichilendo ogni sua volontà di contendere il predominio del paese costringendolo alla fuga.
Non sappiamo se, ed in che misura gli Italiani, alla mercé delle manipolazioni dei mass-media sempre strumentalizzati, abbiano avuto la possibilità di recepire il messaggio.
Gli slavi del Sud sono popolazioni che, a seguito di esperienze storiche traumatizzanti quali secoli di dominio ottomano, tre anni di guerriglia partigiana, decenni di regime marxista, sono portati a vivere ogni contesa di carattere religioso, politico, etnico, in maniera violenta e radicale, dove la brutalità e la crudeltà non conoscono confini. d'altra parte, questa, una realtà che avrebbe dovuto essere ben recepita dal nostro popolo perchè, nel corso dell'ultimo conflitto, almeno 400.000 soldati italiani si sono alternati come truppa di presidio in Jugoslavia ed hanno visto con i propri occhi cosa significasse la lotta tribale che tormentava quel paese serbi contro croati, cattolici contro greco-ortodossi e mussulmani, partigiani comunisti contro cetnici realisti, ustascia e guardie bianche contro tutti, in un'orgia di stragi, torture, vendette, efferatezza.
Ma in tutto questo, e torniamo a riferirci ai mass-media, non si poteva e doveva parlare per due ottimi motivi.
Innanzitutto in Jugoslavia aveva trionfato il comunismo e sottolineare gli aspetti deteriori di un paese che aveva abbracciato questa fede voleva dire schierarsi e comportava un'alzata di scudi da parte delle sinistre. Era opportuno tacere per non essere accusati di fascismo ed incorrere nella riprovazione generale. Poi c'era un secondo eccellente motivo, e cioè che la fine del secondo conflitto mondiale aveva visto la Jugoslavia (Slovenia e Croazia si dovrebbe dire oggi) impadronirsi di tre province nelle quali la popolazione di lingua italiana era da sempre stata maggioritaria quelle di Pola, Fiume, Zara. Questa occupazione, oltre a mutilare ingiustamente la Nazione, aveva comportato l'esodo di 350.000 nostri fratelli, e criticare la Jugoslavia significava fare del "revanschismo", disobbedire agli ordini e nuocere agli interessi degli Stati Uniti.
Sulla "pulizia etnica" come concepita dai nostri confinanti ad oriente, silenzio assoluto, come silenzio assoluto si doveva osservare sulla maniera spietata con la quale era stata praticata ai nostri danni.
Il termine "foibe" è stato così per cinquanta anni oggetto di una accurata rimozione, almeno negli ambienti ufficiali.
Sappiamo bene che questa rimozione non riguarda i nostri lettori, ma ci sia consentito di cogliere l'occasione per fare qualche precisazione.
Il termine "foiba", pozzo naturale che si riscontra con grande frequenza nel terreno carsico della provincia di Pola, è stato convenzionalmente usato a proposito di tutte le eliminazioni di carattere politico ed etnico effettuate nelle province orientali. In effetti le "foibe" riguardano solo una piccola parte delle 15.000 - 20.000 persone di cittadinanza e lingua italiana che sono state assassinate in quella zona dal 1943 al 1950. I dalmati, i fiumani, gran parte dei goriziani uccisi sono stati fatti sparire in mille ingegnosi modi che nulla hanno a che vedere con gli orridi carsici. Ciò non toglie che il termine "foibe" abbia assunto un significato particolare nella "pulizia etnica" effettuata a nostro danno ed abbia avuto un grandissimo rilievo nel terrorizzare, soggiogare, costringere alla fuga i nostri connazionali.
Si cominciò a parlare di "foibe" in Istria ed a Trieste nell'ottobre del 1943, quando l'offensiva tedesca permise di riprendere il controllo del territorio, restato per tre settimane alla mercé degli slavo-comunisti. Erano spariti da 1000 a 1500 nostri fratelli che erano stati prelevati dalle loro abitazioni e deportati.
Spariti nel nulla? No! Ben presto si potè accertare che erano stati uccisi gettandoli nelle "foibe". Si procedette al recupero di quelli per i quali l'operazione era più facilmente effettuabile è tutti videro le salme già intaccate dal processo di putrefazione uno spettacolo orrendo. Ma dalle indagini ed ancor più dalle autopsie si seppe come molti fossero morti dopo una crudele agonia, in quanto non erano state sufficienti nè le pallottole nè la caduta ad assicurare una rapida fine. Anzi si disse che, ad arte, spesso i morituri erano stati spinti a coppia nel baratro, dopo che una sola delle vittime aveva ricevuto il colpo d'arma da fuoco. Fu evidente che chi aveva organizzato la strage, l'aveva premeditata in maniera di colpire la fantasia della gente e renderla folle di terrore. Ovviamente fra gli scomparsi molti erano fascisti, ma molti erano solamente istriani di lingua, costumi, tradizioni, sentimenti italiani e la loro uccisione era la componente principale di un piano satanico.
Una "pulizia etnica" studiata a tavolino e portata a compimento con la massima determinazione, ed un attento lettore dei fatti della Bosnia e dintorni, non può fare a meno di rilevare l'attualità di questa tecnica, nella quale sarebbe fuorviante far distinzione fra croati, serbi, bosniaci.
All'appello mancano solo gli sloveni, ma anche di costoro, cinquanta anni fa, avemmo le prove della inclinazione a certe soluzioni radicali.
I nostri marxisti e gli epigoni degli stessi hanno sempre cercato di imporre il silenzio su questa dolorosissima pagina della nostra storia. Come hanno fatto? In molti casi negandola e, quando questa rimozione totale non era configurabile, si sono trincerati dietro la motivazione ufficiale accampata dagli sloveni e dai croati. Si è trattato, hanno sostenuto, di fatti sporadici frutto di una esasperazione popolare scatenatasi come reazione a venti anni di brutalità e violenze fasciste.
Con questa nota documentata intendiamo confutare questa tesi di comodo. I comunisti italiani giunsero alla "resistenza" ed agli anni quaranta attraverso un lungo tirocinio, forgiati da esperienze derivanti da trenta anni di lotte e tentativi rivoluzionari.
Dalla rivoluzione di ottobre del 1917, alla guerra di Spagna del 1936, si era sviluppata la teoria, collaudata poi con la pratica, che il potere popolare si poteva affermare ed imporre solo mediante l'eliminazione delle classi parassitarie. "E il sangue che fa girare le ruote della storia" ed era necessario annientare il nemico perchè il nuovo mondo si affermasse.
Di questo orientamento avemmo le conseguenze anche in Italia. Durante i lunghi mesi della guerriglia partigiana, ovunque fu possibile, le formazioni comuniste procedettero alla eliminazione fisica dei nemici politici e di classe, al dì là di ogni cautela e finzione tattica. Quando si pervenne alla crudele primavera del 1945, accanto alle vendette private ed alle liquidazioni strascico di una guerra civile, numerosissime furono le uccisioni mirate ed aventi un carattere classista. Questo aspetto è universalmente accettato, con particolare riferimento a certe zone come la rossa Emilia, dove si protrassero clamorosamente anche nel 1946. I comunisti istriani, triestini, goriziani inquadrati nel P.C.I., non potevano logicamente avere una valutazione diversa dai compagni di Bologna, Modena, Vercelli, Novara ecc, ecc.
Irrilevante era per loro il fatto che in Istria i nemici di classe fossero italiani, considerando un pregiudizio senza peso qualsiasi problema di nazionalità.
Se i compagni croati e sloveni prendevano l'iniziativa della liquidazione dei borghesi, degli intellettuali, dei possidenti, si trattava di una iniziativa proletaria da appoggiare, perchè nella futura società, distinzioni di nazionalità non avrebbero avuto senso.
Trovare le prove di questa complicità non è facile anche se l'atteggiamento di costoro è già sufficientemente eloquente. Quando nell'autunno del 1946 fu chiaro che Gorizia e Monfalcone erano perdute per la loro causa, vi furono almeno 3000 comunisti italiani che passarono il confine un esodo contro corrente rispetto a quello dei nostri 350.000 esuli.
Meglio la Jugoslavia marxista di Tito che l'Italia di De Gasperi, anche se gran parte dei 3000 rimpatriò furtivamente nel 1948 quando Tito venne cacciato dal mondo comunista.
Abbiamo però trovato una prova eloquente della approvazione dei comunisti italiani di Trieste all'operazione "foibe".
Nel 1979 l'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia "Istituto Gramsci" pubblicò i tre volumi "Le brigate Garibaldi nella Resistenza-Documenti" a cura di Claudio Pavone.
In circa 2000 pagine è documentata la vita delle formazioni partigiane comuniste attraverso testi ufficiali, lettere, relazioni, messaggi colleganti comandi divisionali, brigate, distaccamenti garibaldini. Un lavoro di grande impegno che dimostra l'ampiezza della partecipazione comunista alla Resistenza in Italia dal luglio 1943 alla fine maggio 1945. Non c'è dubbio che i documenti siano stati accuratamente selezionati affinché non finisse di pubblico dominio quanto si riteneva opportuno rimanesse riservato. Ma su 2000 pagine è sempre possibile incorrere in un errore! Ed ecco la perla sulle "foibe".
Prendiamo il 1° volume e leggiamo da pagina 179 a pagina 182, documento 41 datato (... ) dicembre 1943 ed intestato "Il comitato federale di Trieste del P.C.I. al comandante del battaglione "Trieste".
Comincia con le parole "Rispondiamo al rapporto del 21 dicembre 1943", e per tre pagine commenta le notizie ricevute, dà consigli, ordini, suggerisce, commenta. Ad un certo punto bisogna giudicare su una perplessità sorta fra i compagni del battaglione "Trieste" a proposito dei carabinieri di Villa Decani. Quei militi avevano dimostrato volontà di collaborazione. Era stato corretto accettarla? Ecco la risposta.
"Nel caso dei carabinieri di Villa Decani ben fatto, (omissis) non rinunciando con ciò alla tattica delle foibe" quando si scovano fuori fascisti responsabili di azioni contro la popolazione, ex dirigenti e responsabili del regime fascista dimostratisi particolarmente reazionari; dirigenti responsabili dell'attuale fascismo repubblicano, del governo del venduto Mussolini, membri della milizia e della Guardia Nazionale Repubblicana; collaboratori aperti, decisi ed attivi dei tedeschi, spie, ecc. ecc. La "tecnica delle foibe" e non "fatti sporadici frutto dell'esasperazione popolare......" come volevasi dimostrare.

STORIA DEL XX SECOLO N. 4. Agosto 1995. (Indirizzo e telefono vedi PERIODICI)

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LA MIA VITA PER UN'ACCA
Intervista a cura di Maria Paola Gianni

"Non sono croato, ma italiano, e ne sono fiero! Nonostante quello che ho patito c'è qualcuno che sta falsamente diffondendo l'ipotesi che io sia croato a causa del cognome, solo per screditare la mia persona e la mia storia. Inizialmente il cognome di mio padre era “Udovicich”. Nel ‘22 è stato cambiato in Udovisi, perché con l'avvento prima dell'Italia, poi del fascismo molti hanno deciso, in base ai loro sentimenti, di italianizzare i loro cognomi. Ma la prova che sono istriano è nell'-h finale, tipica dei nomi della piccola penisola".
Inizialmente, da un primo contatto con il tenente dell'esercito italiano Graziano Udovisi, oggi settantunenne, è emersa una certa sua reticenza nel rilasciare l’intervista, indisponibilità svanita non appena letto l’ultimo numero di Nuovo Fronte.
"Mi è piaciuta molto l'intervista a Pititto, è un giudice molto in gamba e mi auguro che riesca a portare a termine il suo lavoro estremamente difficile
Uno dei principali motivi della iniziale reticenza di Udovisi è la sofferenza che prova ogni volta che racconta e rivive la sua drammatica esperienza.
Udovisi è determinato più che mai a ribadire il suo amore per la Patria, il suo senso del dovere e il ricordo di oltre ventimila fratelli italiani che non ce l'hanno fatta. Il vergognoso il fatto che non percepisca alcuna pensione di guerra, ma solo una pensione da insegnante, in base al lavoro svolto.
Lo stato italiano non lo riconosce come combattente. L'unica soluzione è che "Scalfaro prenda a cuore questo fatto e finalmente ci riconosca non soltanto come combattenti, ma ci ridia almeno tutti i nostri gradi, la nostra dignità, il nostro titolo personale, quindi anche la pensione, come è stata data ai nostri infoibatori - ha invocato il nostro compatriota. Ma questo significa sconfessare completamente il comunismo dei primi tempi, vuoi dire sconfessare Togliatti, vuoi dire sconfessare addirittura lo Stato italiano che finora ci ha trattato così miseramente". Dopo tutto quello che ha subìto, alla domanda di che cosa provasse nel sapere che il Tribunale penale di Roma non ha ancora potuto disporre l'arresto dei due massacratori jugoslavi Ivan Motika e Oskar Piskulic, rispettivamente di 89 e di 76 anni, a causa della loro avanzata età, ha risposto "Noooo... è inutile, dopo tanto tempo (sospirando lungamente in segno di sconforto). Sono miserie umane, soltanto miserie umane. Io non conosco i nomi di coloro che mi hanno torturato e infoibato, erano più grandi di me, ora saranno morti. Forse saranno in mano a quei cani neri che hanno buttato per primi dentro le foibe, perché fossero quei cani neri a trattenere le anime degli infoibati e gli infoibatori potessero dormire i loro sonni tranquilli. Siamo stati percossi, torturati, perseguitati e sempre ci hanno chiamato "fascisti". E’ comodo dare a noi, giuliani, istriani, fiumani, dalmati, la colpa di una guerra fatta da tutti gli italiani, iniziata nel 1940. Si parla ancora di fascisti; se anche lo fossimo stati che colpa avevamo per essere infoibati? Attenzione che i fascisti sono persone comuni, come lo sono comunisti, democristiani e altri. E gioire per le sofferenze inflitteci? Eh no! Troppo comodo anche per tutti i partiti che sono al potere. Non ci sto. L'altra mattina mi hanno telefonato dall'Australia per programmare un collegamento diretto tramite una stazione radio di nome "Rete Italia". Laggiù ci sono tanti italiani che vogliono sentire le vicissitudini dell’Istria e mi ha profondamente commosso di essere ricordato dai nostri fratelli istriani emigrati in Australia".
Quello di Udovisi è un triste diario di ricordi che fa parte di un macabro e vergognoso capitolo della storia, dimenticato da troppi. Ancora oggi non dorme sonni tranquilli, i suoi pensieri tornano indietro, a quel terribile sabato 5 maggio 1945, quando si presentò alle ore 17,30 direttamente presso il comando slavo. Il suo senso di responsabilità lo fece intervenire per cercare di salvare i suoi sottufficiali. Niente da fare. I massacratori slavi non lo fecero neanche parlare ma, dopo avergli chiesto solo nome, cognome e grado, lo legarono con le mani dietro alla schiena col fil di ferro e lo stiparono in una cella tre metri per quattro, assieme ad altri trenta italiani, stretti come sardine, quasi senza aria e tutti con le mani legate col fil di ferro dietro la schiena. Morivano di sete e dopo imploranti richieste hanno offerto loro un fiasco con urina. Seminudi, avevano solo un paio di pantaloni addosso. "Bisogna ricordare che io non parlo per me stesso, ma almeno ventimila nostri italiani sono stati massacrati in questo modo, almeno ventimila!". Allora Udovisi era tenente della Milizia Difesa Territoriale, reggimento comandato da Libero Sauro, figlio di Nazario Sauro, l'eroe istriano. "Mi sono presentato insieme a un amico, che era mio ospite, proveniente dalla zona di Mantova e considerato un regnicolo, ossia un suddito del Regno d'Italia. Da sottolineare che serbi e croati, non appena occupata la zona istriana, hanno considerato slavi tutti coloro che vi risiedevano, ormai per loro non più cittadini italiani".
Ma, anche se considerati slavi, secondo il loro modo di pensare, eravate da eliminare?
“Non tutti. C'erano quelli che nel '43 hanno immediatamente impugnato le armi per difendere la popolazione e il territorio italiano. Poi ci sono stati quelli che stavano a guardare e quelli che stavano con gli slavi".
Ma era già allora tutto preordinato?
"Oggi possiamo dare una risposta affermativa. Era già preordinato un fattore politico, preparato a tavolino, cercare di creare nelle nostre terre la psicosi di terrorismo per ottenere remissione e obbedienza dalle masse. I padroni dovevano essere loro. Dopo l'8 settembre dominarono per circa un mese l'Istria, periodo durante il quale sono sparite alcune migliaia di persone. Il luogo si scoprirà solo dopo, a causa di continui lamenti che provenivano dalle fenditure rocciose di chi ancora non era morto. Chiedo scusa alla popolazione istriana e alla nazione per non essere riuscito a salvare il territorio italiano. Eravamo in molti, ma non ce l'abbiamo fatta".
Ma perché questi infoibati?
"Perché italiani. Ma all'epoca il perché non si sapeva e ancora al giorno d'oggi c'è qualcuno che mette in dubbio l'accaduto. All'epoca nemmeno i più sapienti e colti riuscivano a individuarne i motivi e ripiegarono sull'unica ipotesi immaginabile la vendetta. Ma come potevano essere vendette personali, se le vittime erano uomini, donne e bambini?". Ma perché siete stati additati come fascisti dai comunisti di allora? "Questo rimane sempre un grande interrogativo".
Forse era l'unico modo per poter arrestare questa pulizia etnica?
“Non era una pulizia etnica, questa dizione è stata inventata nel 1980 da uno psichiatra serbo. Io lo chiamo terrorismo etnico".
Perché Sandro Pertini, in qualità di capo dello Stato, andò a Belgrado a riverire la salma di Tito e non passò mai a visitare le foibe? Dovendo rappresentare l'unità d'Italia non avrebbe dovuto omaggiare prima di tutto quei luoghi dove migliaia di con i patrioti innocenti sono stati trucidati?
"Fino a pochi anni fa nessun presidente della Repubblica Italiana ha mai onorato della sua presenza una foiba solo Cossiga, nel 191 e in seguito Scalfaro, che ha definito il tutto "una montagna di sofferenze".
La verità è che ci sono stati molti, per non dire moltissimi, non solo ex capi di Stato, ma anche leader di partito, che sono stati più vicini ai nostri persecutori che a noi perseguitati. Ci sono tanti italiani che hanno infierito su di noi. Il Pm Giuseppe Pititto li ha trovati e ha parlato di crimini contro l'umanità. Come sono stati perseguitati gli ebrei e qualcuno doveva pagare qui in Italia, così italiani, croati, serbi e sloveni, tutti gli jugoslavi, cioè slavi del sud, hanno detto che eravamo noi a dover pagare, come se noi avessimo dichiarato loro guerra".
Ma perché il governo italiano non ha difeso le proprie terre e si è comportato così irresponsabilmente?
"Basti pensare che abbiamo un segretario dei partito della sinistra triestina (Pds) che ha affermato sui giornali che negli anni 43-48 il comunismo diede copertura e legittimazione alle foibe. Quindi, era tutto preordinato, tutto predisposto. Il nostro sforzo di combattere gli slavi fu totalmente vano".
Lei aveva solo 19 anni quando è stato sul punto di morire. Se la sente di raccontare la sua storia?
"Io non sono stato catturato, ma mi sono presentato direttamente al comando slavo e non per consegnare le armi, perché ero già in borghese. Rientrato con il mio reparto a Pola di notte, nessuno sapeva del mio ritorno, tranne alcuni dei miei compagni. Non sarebbero riusciti mai a trovarmi, ma uno dei miei sottufficiali, parlando con mia madre, disse che gli slavi li stavano cercando dappertutto e chiese se potevo fare qualcosa. Capii che avevo il dovere di presentarmi al comando slavo per dire che avevo mandato la maggioranza dei miei uomini a Trieste. Solo così, forse, avrebbero smesso di cercarli. Sono intervenuto solo per salvare qualche mio soldato".
Ha sortito qualche effetto questo gesto di grande coraggio?
“Assolutamente no. Però, ringraziando Iddio, mi sono salvato sia io che il mio amico presentatosi con me. Lui, essendo stato considerato regnicolo, quindi abitante del Regno d'Italia, era stato mandato in un campo di concentramento e per cercare di mantenere buoni i contatti con l’Italia lo hanno considerato prigioniero di guerra, mentre per quel che mi riguarda mi hanno considerato un traditore, perché ufficiale”. Che sentimento è rimasto in lei dopo quella tragica storia?
“L'amaro in bocca, anche perché l'Italia ha fatto ben poco. Certo gli slavi potevano ammazzarci in altro modo. Per quale motivo le foibe? Avevano forse cercato di cancellare le loro tracce, nascondendo i corpi martoriati nelle fenditure rocciose".
E poi che è successo?
"Ad un certo punto ci hanno prelevati in sei e portati in un'altra stanza per torturarci tutta la notte. Dopo mezz'ora non sentivo più nulla, avrebbero potuto anche tagliarmi a pezzettini, ma non me ne sarei reso conto. Ormai il corpo non rispondeva più ai riflessi, era inerme, e quando a un certo momento mi hanno ordinato di alzarmi in piedi, ho cercato di guardarmi intorno il mio volto era talmente tumefatto, livido e gonfio che vedevo a malapena da due piccole e lunghe fessure degli occhi, dovevo avere la testa rovinata. Ricordo di aver visto un mio compagno di fronte a me, la cui schiena era completamente rossa e mi chiesi per quale motivo lo avessero dipinto di quel colore, invece era tutto il sangue che stava uscendo dalle innumerevoli ferite. Se lui era ridotto in quel modo, se gli altri erano così, allora anch'io ero in quelle condizioni, ma non me ne rendevo conto. E quando ci hanno fatto alzare in piedi per portarci fuori entrarono due ufficiali, un uomo e una donna, la quale disse che il più alto doveva stare davanti alla fila. Nessuno si mosse, allora questo ufficiale mi prese per i capelli, mi strattonò spingendone davanti a lei, la quale senza dire una parola mi spaccò la mascella sinistra con il calcio della pistola. Mi misero alla testa della fila perché ero ufficiale, gli altri erano dietro, ma l'ultimo non ce la faceva a stare in piedi. Forse perché lo avevano massacrato più degli altri, forse perché più debole, non so. Sin dal primo momento di prigionia ci avevano legato le mani dietro la schiena col fil di ferro, per non slegarcele mai più, neanche durante le torture. Si può facilmente immaginare come quei maledetti fili taglienti avessero solcato la carne dei polsi e come continuavano a incidere sulle ferite al minimo movimento. Poi ci misero in fila e ci portarono fuori seminudi, senza scarpe forse il fresco della notte ha fatto in modo che capissi qualcosa di più, in quanto la testa era completamente imbambolata, il cervello funzionava relativamente. A quel punto altri soldati, ben vestiti, ci portarono fuori, nel bosco, non erano quelli che ci avevano torturato. Dovevano essere dei militari, qualcuno della banda d'accordo con loro e anche borghesi, partigiani comunisti, erano tutti contro di noi. Ci hanno disposti in fila l'uno dietro all'altro, sempre con le mani dietro la schiena e ulteriormente legati insieme tramite un filo di ferro che scorreva sotto il braccio sinistro di ognuno, per formare una fila dritta, fino ad arrivare all'ultimo che, non avendo la forza di stare in piedi, essendo svenuto a terra, era stato legato non al braccio, ma intorno al collo. Ricordo di aver sentito suggerire da due che parlavano in italiano, nel nostro dialetto, di legarlo attorno al collo. Sicuramente durante il tragitto l'ultimo è morto soffocato dal filo che ci legava l'un l'altro. Abbiamo camminato per un viottolo, non so per quanto tempo, ero distrutto e il fil di ferro che mi univa ai compagni era una tortura. Appena riuscii a farlo scorrere leggermente lungo il braccio, fino al polso, mi sembrò un sollievo; in quel momento sono scivolato e caduto. Immediatamente mi è arrivata una botta con il calcio di una mitragliatrice al rene destro. A causa di ciò ho subito tre operazioni al rene, che da quel momento ha sempre prodotto calcoli".
Quante altre conseguenze ha avuto?
"Tante. Non solo sono stato leso in modo tale da essere sordo all'orecchio sinistro e al destro ci sento per metà. Ma dal tragitto di trasferimento da Pola fino a Fianona me ne hanno fatte di tutti i colori, mi hanno fatto mangiare della carta, dei sassi, mi hanno sparato vicino alle orecchie, si divertivano tanto a vederci sobbalzare. Mi hanno accompagnato verso un posto e ci hanno detto "Fermatevi. La liberazione è vicina". Dentro di me ho mandato un pensiero al Cielo. Ho guardato dentro alla foiba, ma non vedevo niente, perché era mattina presto. Giù in fondo si scorgeva solo un piccolo riflesso chiaro. Si sono tirati indietro e quando ho sentito il loro urlaccio di guerra mi sono buttato subito dentro come se questa foiba rappresentasse per me un'ancora di salvezza. Dopo un volo di 15-20 metri, non lo so, sono piombato dentro l'acqua. Venivo trascinato sempre più giù e mi dimenavo con tutta la poca forza rimasta in corpo. Ad un certo momento, non so perché, sono riuscito a liberarmi una mano. Ho immediatamente nuotato verso l'alto e ho toccato una zolla con dell'erba, era in realtà una testa con dei capelli. L'ho afferrata e tirata in modo spasmodico verso di me e sono riuscito a risalire, ringraziando Iddio. Ho salvato un fratello".
Questa persona dov'è ora?
"E’ andata in Australia, e purtroppo è morta, però ha lasciato la sua testimonianza. Ha lasciato l'Italia, non trovava lavoro, non trovava più pace. Ha sofferto per la lontananza dalla sua terra e per la tortura subita".

NUOVO FRONTE N. 168 . Novembre 1996. (Indirizzo e telefono vedi PERIODICI)
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MA NON DIMENTICHIAMO GLI INFOIBATI
Claudio Schwarzenberg

Un “flash” di agenzia del 27 maggio il governo italiano ha chiesto alle autorità argentine “di disporre le necessarie misure” per evitare “una possibile fuga” dell'ex capitano nazista Erich Priebke che dal 9 maggio scorso è agli arresti domiciliari nella località andina di Bariloche, a circa 1.450 chilometri a sud-ovest di Buenos Aires.
Bene fa il nostro governo nel cercare di assicurare alla giustizia questo criminale di guerra nazista, ma sarebbe ancora meglio se identica solerzia fosse dimostrata anche nella ricerca di altri criminali (quelli che agivano con la stella rossa sulla bustina, tanto per intenderci) dei quali si conoscono, da sempre, fatti, misfatti, nomi e luoghi di residenza.
Pensiamo alle foibe, voragini disseminate in tutta la Venezia Giulia e nell'Istria. Molte sono ancora inesplorate. Furono usate dai croati e dagli sloveni, dal 1943 in poi, quali enormi fosse comuni per eliminare migliaia di persone colpevoli solo di essere italiane. L'infoibamento era l'ultima fase della tortura le salme avevano i polsi legati con filo di ferro stretto con le pinze fino a spezzare il polso.
Molti cadaveri furono esumati in coppia, legati con filo di ferro agli avambracci; e solo uno dei due presentava colpi di arma da fuoco, l'altro precipitava vivo. Con calci e bastonate erano portati sull'orlo della foiba.
Ma, come ha scritto Luciano Luciani segretario del Circolo Giuliano Dalmata di Milano, non c'erano solo le foibe. In Dalmazia c'era il mare. Centinaia di vittime furono gettate in mare con una pietra al collo. Tra queste la famiglia del farmacista Pietro Ticina, di Zara l'intera famiglia composta dai genitori, dalla suocera e da una bambina subirono questa triste sorte. Con disperata energia il padre riuscì a trascinare con sé uno dei feroci aguzzini.
Ancora il 30 settembre 1944 l'industriale Nicolò Luxardo di Zara e sua moglie Bianca Ronzoni, che s'erano rifugiati sull'Isola Lunga, catturati dai croati, furono gettati anch'essi in mare con un sasso al collo. Ci furono anche lapidazioni, impiccagioni, fucilazioni. Giuseppe Cernecca, di Sanvincenti, fu costretto a portare sul luogo dell'esecuzione un sacco di pietre con le quali venne lapidato. Altri due suoi fratelli vennero affogati nel mare di Santa Marina.
Cosa hanno fatto i vari governi, nei cinquant'anni della prima Repubblica, per assicurare alla giustizia coloro che si macchiarono di questi efferati delitti? Quanti magistrati hanno compulsato presso l'archivio storico del ministero degli Affari Esteri le buste di documenti relativi ad “atrocità ed illegalità” commesse dagli jugoslavi contro gli italiani nel periodo che va dal 1941 al 1945?
Dal 24 al 28 luglio 1990 su “La voce del Popolo” di Fiume, quotidiano della minoranza etnica italiana in Jugoslavia, apparvero le tre puntate di un'intervista straordinaria e coraggiosa di tale Laura Marchig con Oskar Piskulìc-Zuti il cui nome oggi in Italia, e forse in buona parte della vecchia Jugoslavia, non dice nulla a nessuno.
Per gli esuli di Fiume -ha scritto Amleto Ballarini su “Il Secolo” del 28 giugno 1992, per quanti là, volenti o nolenti, rimasero, per gli stessi slavi del Golfo del Carnaro, quel nome s'associa, con un doloroso riflesso condizionato dell'anima, all'idea delle foibe. Come dire nel Biellese, tanto per intenderci, di Moranino Francesco detto Gemisto. Laura Marchig introduceva la sua intervista con una premessa che per esser stata pubblicata a Fiume (Rijeka) assume il valore d'un documento eloquente nella sua sinteticità come il referto di un'autopsia
“Oskar Piskulìc, il famoso Zuti, nato a Fiume nel 1920, eroe della Guerra Popolare di Liberazione, attivista di spicco del movimento comunista, iscritto al Partito dal 1941, entrato subito nella resistenza, sia durante la guerra che dopo, svolgerà sempre funzioni di polizia. Al termine del conflitto diviene uno dei capi dell'Ozna, la polizia segreta che più tardi prenderà il nome di Udba. E questo è tutto quello che c'è da sapere su Oskar Piskulìc... Speravamo, facendogli un'intervista, di avere dei chiarimenti sia sulla sua attività di quegli anni sia su alcuni fatti della storia rimasti oscuri.
Avremmo voluto conoscere la storia di intere famiglie fiumane, viste per l'ultima volta ammassate per le piazze di Fiume e dopo scomparse per sempre, o quella di tanti ufficiali e sottufficiali dell'esercito italiano segregati nelle carceri di via Roma e dopo spariti. Ci premeva di avere chiarificazioni sulle uccisioni degli autonomisti fiumani avvenute fra il 3 e il 4 maggio del 1945, subito dopo l'arrivo delle brigate partigiane in città. E, soprattutto, avremmo voluto sapere il perchè di queste frettolose esecuzioni sommarie, ma anche assassinii, compiuti casa per casa. Com'è morto, ad esempio, il Dott. Mario Blasich, autonomista che da anni giaceva paralizzato in un letto? La moglie raccontò che furono in due. Bussarono alla porta e chiesero. - Xe in casa el dotor? - Li fece accomodare. Dopo un po' se ne andarono. Trovò il marito strangolato nel suo letto.
Come morirono altri cittadini fiumani che avevano sperato nella creazione di una Città Stato non soggetta al potere di alcun Paese? Cosa si nasconde dietro l'uccisione di Giuseppe Sincich, giustiziato a colpi di pistola? Dietro a quella del dott. Nevio Skull, padrone della fonderia Skull, la cui storia rimane in verità ancora più misteriosa? E il senatore Bacci e il senatore Riccardo Gigante? Cosa ne è stato di tutti gli altri i cui nomi appaiono come chiazze nere sul vermiglio di una bandiera? "Tante cose avremmo voluto sapere, ma confessiamolo, non ne abbiamo cavato un ragno dal buco.
Lo stesso Oskar Piskulìc ci ha confidato di essere legato da un giuramento che è comune a tutti i membri della polizia segreta quello di non rivelare mai, in vita, nemmeno per iscritto, nemmeno tramite memorie depositate, quello che sa".
Oltre ai senatori del Regno Icilio Bacci (arrestato il 21 maggio 1945) e Riccardo Gigante (arrestato il 4 maggio 1945), alla memoria dei quali il Senato della Repubblica non ha dedicato alcun ricordo, furono arrestati e uccisi a Fiume, a guerra finita, per volontà del Piskulìc (che continua a vivere tranquillamente a Fiume) Carlo Colussi (già podestà di Fiume) e sua moglie Nerina Copetti in Colussi; Rodolfo Moncilli; Mario Blasich; Angelo Adam, sua moglie Ernesta Stefancich e sua figlia Zulema Adam; Nicolò Cattaro panettiere di Abbazia; Lucia Vendramin; Giuseppe Sincich; Nevio Skull; il prof. Gino Sirola (ultimo podestà di Fiume dopo l'8 settembre 1943 e riconfermato il 9 febbraio 1944), che, arrestato dai “titini” a Trieste il 3 maggio 1945, fu riportato a Fiume nella villa Rippa trasformata in carcere e luogo di torture) e poi scomparve; Margherita Sennis e sua figlia Gigliola; Angela Neugebaucr, crocerossina più volte decorata e tanti, tanti altri.
Insieme a Oskar Piskulìc (detto Zuti) e a sua moglie (una certa Marghitic) operarono a Fiume contro gli italiani Jovo Mlademe, Vicko Lorkovic Minack, Milan Cohar, Norino Nalato e Giuseppe (detto Bruno) Domancich.
I fatti delittuosi commessi da costoro non possono essere definiti “crimini di guerra” (perché la guerra era ormai finita) ma veri e propri “crimini contro l'umanità”, imprescrittibili nel tempo. La nostra solerte Amministrazione cosa ha fatto per assicurare alla giustizia questi criminali? Sono state avviate domande di estradizione? Si è iniziato un procedimento penale a loro carico? Oppure non si è fatto nulla (omettendo atti d'ufficio), perché ci sono ancora i morti buoni e quelli cattivi, quelli, per capirci, che essendo stati uccisi (e i loro corpi gettati chissà dove) per il solo fatto di essere italiani non destano interesse alla giustizia degli uomini, perché rappresentano i vinti? E i vinti hanno sempre torto.

IL SECOLO D'ITALIA Quotidiano del 4 Giugno 1994.

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IL MARTIRIO DI NORMA COSSETTO La tragedia istriana nella seconda guerra mondiale
Mario Varesi

Violentata da 17 partigiani, venne gettata agonizzante nella foiba di Villa Surani con le mani legate da filo di ferro.
Nell'area espositiva dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia alla Militalia di Novegro (Milano), è avvenuta l'allocuzione dell'Ardito Prof. Mario Varesi, per celebrare il martirio di Norma Cossetto, fra pareti rivestite da pannelli, atti a spiegare iconicamente la tragedia adriatica pannelli provenienti dall'archivio dell'Ardito Pierpaolo Silvestri di ascendenze portolane e da lui ordinati nella mostra. Era presente la sorella di Norma, Licia Cossetto Tarantola. Il Vice Presidente della sezione milanese dell'A.N.V.G.D., Vittorio d'Ambrosi ha introdotto il rito, ringraziando pubblico e stampa.
Diamo una sintesi dell'orazione del Varesi che ha attinto da Licia notizie precise.
"Nell'abbandono e nel nulla, lasciato da Badoglio, si fanno vivi gli slavi." Sostiene Buscaroli "Le foibe sono la diretta conseguenza dell'armistizio. Rappresentano un'incarnazione simbolica della realtà italiana, piombata nel nulla, senza sovranità e stato, senza onore. Esprimono la crudeltà, diretta al fine preciso uccidere per indurre altri alla fuga e impedire così il riproporsi della questione in termini numerici, cioè con plebisciti o autodeterminazione". È in tale quadro di sovversione generale che si compie il martirio di Norma Cossetto. Accenniamo ora alla sua famiglia.
Il padre Giuseppe (S. Domenica di Visinada 1888), sposato a Margherita Micattovi (Ghedda 1894), aderisce al fascismo per il suo programma d'italianità. È segretario politico e podestà di Visinada, commissario governativo delle casse rurali dell'Istria. È allietato dalla nascita di Norma (1920) e di Licia (1923). Percorre i gradi della M.V.S.N. fino a Console.
Sui documenti appare la dizione possidente. Alle sue terre si sono aggiunte quelle della moglie, tutte lavorate a mezzadria da contadini, trattati da familiari più che da dipendenti. Assiepavano infatti la casa padronale per necessità, consigli, aiuti, feste, mentre i loro figli crescevano nel calore di quella casa, fratelli ideali di Norma e Licia. Scaturiva da qui il prestigio di Giuseppe Cossetto per avere anche sostenuto la banda musicale e i circoli locali di cultura, soprattutto per essere sempre pronto a soccorrere chiunque avesse bisogno, trasportandolo con la propria macchina (l'unica del paese) all'ospedale della città più vicina, non importa fosse giorno o notte. Decade puranco l'ipotesi politica di eventuali dissidi tutti erano italiani, fascisti al 100%, preti compresi.
Su cosa poggerà allora la focalizzazione dell'odio?
Proprietà, automobile, collegio delle figlie, italianità nodi attizzati dalla propaganda comunista che prometteva la terra altrui ai contadini. Unico pedaggio permutarsi a slavi e protagonizzarsi in fanatismo per Tito, nel macabro gioco di una mattanza in essere e in divenire, più squallidamente marchiata dagli stupri, elevati a procedimento di guerra.
Parliamo ora di Norma e Licia, allieve del collegio "Notre Dame" di Gorizia, tenuto da suore tedesche.
Norma, superata la maturità con 9 e 10 in greco e latino, si iscrive a lettere nell'università di padova. Parla tedesco e francese. Suona pianoforte, canta, dipinge. È preparata così da insegnare, pur da universitaria, nel liceo di Pisino, nella magistrale di Parenzo, pre breve tempo a Spalato. Nota caratteristica il carattere generoso, socievole, versatile. Nello sport predilige nuoto, giavellotto, tiro a segno, partecipando con la sorella a Como ai Ludi Juveniles. Nelle organizzazioni del ventennio è piccola italiana e giovane fascista. Norma ricerca, presso comuni e canoniche istriane, documentazioni utili alla sua tesi "L'Istria Rossa" (ma di bauxite).
La tragedia esplode il 26 settembre 1943, quando i partigiani invadono casa Cossetto c'è solo Norma, che arrestano rinchiudendola nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano. La invitano a collaborare, ma vanamente. Dapprima è liberata, perché tra i guardiani improvvisati c'é qualcuno che conosce. Non si poteva però fuggire fin sotto casa stazionavano guerriglieri e le strade erano covi di traditori e spie. È più tardi arrestata nuovamente, condotta a Parenzo nella ex caserma della Guardia di Finanza, poi trasferita nella scuola di Antignana, ove comandava il feroce voltagabbana Antonio Paizan (Toni). Qui si concreta il supplizio di Norma nel pomeriggio, fissata nuda a un tavolo, è violentata da 17 aguzzini. Un'orgia lurida su un corpo disfatto da tormenti e umiliazioni. Quindi, a notte, i partigiani le pugnalano le mammelle e le conficcano a spregio un legno in vagina, gettandola agonizzante nella foiba di Villa Surani con le mani legate da filo di ferro.
Giuseppe Cossetto in quei giorni a Trieste, informato dell'arresto, si precipita a Santa Domenica, dove i partigiani lo rassicurano sulla liberazione della figlia. A sera però cade nell'agguato, assieme a Mario Bellini, suo parente che non voleva lasciarlo solo nella penosa contingenza. Da notare che il Bellini era un giovane tenente, invalido di guerra, sposato da un anno, in attesa di un figlio.
Scatta la trappola una mitragliata e il Bellini muore all'istante, mentre Giuseppe Cossetto resta ferito, tosto freddato dalla coltellata di un assassino, che egli stesso aveva salvato qualche mese prima, portandolo di notte con la propria automobile all'ospedale di Pola. Vengono entrambi gettati nella foiba di Castellier di Visinada.
I tedeschi intanto rioccupano la zona. Informati da Licia, arrestano alcuni guerriglieri, dai quali emerge la verità su Norma, il padre e Bellini.
Mario Harzarich, Comandante i vigili del fuoco di Pola, recupera il 10 dicembre 1943 la spoglia di Norma, qualche giorno dopo quelle di Giuseppe Cossetto e di Mario Bellini.
Scrive Padre Flaminio Rocchi "La salma di Norma fu composta nella piccola cappella mortuaria del cimitero di S.Domenica. Dei suoi 17 torturatori, 6 furono arrestati e obbligati a passare l'ultima notte della loro vita nella cappella mortuaria per vegliare la salma. Veglia funebre di terrore, alla luce tremolante di due ceri, nel fetore acre della decomposizione di quel corpo, che essi avevano seviziato 67 giorni prima, nell'attesa angosciosa della morte certa. Soli con la loro vittima, con il peso enorme dei loro rimorsi, 3 impazzirono e all'alba caddero con gli altri. Ai funerali di Norma partecipò una folla immensa. Era considerata una vera martire".
Liberata dai tedeschi, Licia fugge frattanto a Trieste, di notte a piedi, per la via dei campi. A S.Domenica resta solo la madre, lì sono sepolti i suoi cari, nonostante subisca ogni giorno la sguaiata arroganza dei nuovi padroni nelle divise del marito (bardate ora con la stella rossa), a bordo della Balilla 4 marce, predata alla famiglia.
"La portammo poi a Trieste, a Ghemme, infine a Ginevra, non potendola lasciare sola, tanto era assente. L'unico sprazzo di gioia, quando imponemmo a mia figlia il nome di Norma. Io mi ero sposata - continua Licia - nel '44 con Guido Tarantola da Novara, pilota della RSI, sequestrato a Ghemme dai partigiani e liberato dalla "Muti". Povera mamma, si spegnerà poi a Ginevra nel 1960, ufficialmente per infarto, in realtà per dolore implacato. L'8 maggio 1949 l'Università di Padova concesse la laurea honoris causa, su istanza del suo ultimo maestro, il professor Concetto Marchesi, a cui volli chiarire che mio padre era fascista e Norma sua figlia. Marchesi rispose che non importava era una ragazza meritevole, morta così male per la libertà del'Istria".
Peccato (commentiamo noi) che questo dato - la libertà istriana - non sia stato focalizzato sul diploma di laurea, apparendovi unicamente - caduta per la difesa della libertà - dizione ambigua dopo il '45 di sventure.
Sono passati 55 anni e fa terrore il nome di Norma Cossetto. Non una via dedicata. Sui testi scolastici ancora ignorata. Nessun atto di giustizia seppure simbolica i crimini contro l'umanità non hanno archiviazione. "Ho fatto denuncia contro quei partigiani presso i Carabinieri di Ghemme - continua Licia - onde fosse inoltrata al Giudice Pititto a Roma, ma poi sappiamo come tutto andò a finire".
Fortunatamente la Cassazione (22 aprile 1998) ha confermato la giustezza di celebrare quei processi in Italia, essendo l'Istria allora sotto sovranità italiana.