L'Italia è quinta in Europa per numero di consumatori di cocaina, ma presenta percentuali più alte rispetto alla media europea nella fascia d'età compresa tra i 15 e i 18 anni. Lo si apprende dal Rapporto 2009 dell'Osservatorio europeo sulle droghe e dipendenze (testo in italiano in .pdf) presentato ieri a Bruxelles e a Roma. Il rapporto conferma la diffusione costante della cocaina e rivela come il mix di droghe e alcool sia responsabile della maggior parte dei problemi legati alle sostanze stupefacenti. In Italia il consumo abitudinario di droghe coinvolge circa 180 mila persone, lo 0,1% della popolazione.
Non vi sono segnali di miglioramento per quanto riguarda il consumo europeo di cocaina ed eroina, le due sostanze che rimangono al centro del fenomeno della droga in Europa, afferma il rapporto. I nuovi dati confermano invece un costante calo dell’uso di cannabis, in particolare tra i giovani europei, ma non quelli italiani: l'Italia si colloca infatti tra i Paesi dove il consumo di cannabis è più alto tra i giovani (15-34 anni) ed è tra i Paesi a più alta prevalenza anche nella fascia d'età tra 15 e i 24 anni.
"Negli ultimi due anni la diminuzione del consumo di cocaina ed eroina nei ragazzi dai 15 ai 17 anni non si registra per la cannabis" - ha spiegato Giovanni Serpelloni, direttore del Dipartimento politiche antidroga. I dati a cui si riferisce Serpelloni riguardano in particolare il 2008 e età differenti rispetto a quelle riportate nel rapporto europeo. "Abbiamo un grosso problema: in Italia si sottovaluta il rischio dell'uso della cannabis" - ha commentato Sarpelloni. Bisogna lavorare per la prevenzione, l'informazione e l'educazione, ma per prevenire i consumi serve anche più ricerca".
Per approfondire:
La scheda di Unimondo su 'Droghe'
Per quanto riguarda l'Europa, la cocaina rimane il più popolare stimolante: oltre 13 milioni di europei adulti hanno provato cocaina nella loro vita e di questi 7,5 milioni sono giovani (15-34 anni), mentre tre milioni l'hanno usata negli ultimi 12 mesi. L’uso rimane concentrato soprattutto nei paesi occidentali e si segnalano trend d’assunzione crescenti nella fascia d’età 15-34 anni. L'Italia si conferma uno dei Paesi a più alta prevalenza, insieme a Danimarca, Spagna, Irlanda e Regno Unito. In questa cinquina nell'ultimo anno l'uso tra i giovani si è attestato tra il 3,1% e il 5,5%, mentre nella maggior parte degli altri Paesi europei si registra una tendenza alla stabilizzazione o all'aumento del consumo nella fascia d'età 15-34 anni.
I nuovi dati indicano anche che la popolazione di consumatori di eroina è tuttora in aumento: nel 2007 il numero globale di nuove richieste di terapia per dipendenza da eroina (droga primaria) era più elevato del 6% rispetto al 2002.
Se la cocaina, insieme all'amfetamina, primeggia come stimolante nell'Europa occidentale, la metamfetamina si appresta però a prendere piede in misura significativa in questo ricco mercato, grazie anche alla facilità con cui può essere prodotta - rileva l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT). Storicamente, l'uso di questa sostanza si concentra nella Repubblica ceca, dove sono stati individuati quasi 400 piccoli laboratori di metamfetamina. Ma nell'ultimo anno la disponibilità di questo stimolante sta aumentando in alcune zone dell'Europa del Nord, come Svezia e Norvegia.
L’uso combinato di diverse sostanze (poliassunzione) è un fenomeno molto diffuso in Europa, e quasi tutte le modalità di poliassunzione comprendono la presenza di alcool. Destano particolare preoccupazione i possibili effetti dannosi soprattutto per i giovani, poiché la poliassunzione può aumentare il rischio di effetti tossici e di problemi cronici di salute. Tale comportamento nei consumatori problematici può aggravarne le già difficili condizioni di salute, determinando un aumento dei rischi e la possibilità di conseguenze gravi, per esempio overdose letali. "Questa realtà non solo conduce con più frequenza a esiti negativi, ma costituisce anche una sfida per i servizi di terapia per le tossicodipendenze che devono far fronte a un insieme più complesso di necessità. Le nostre future politiche devono, inoltre, riflettere il fatto che l’uso combinato di stupefacenti e alcool è diventato una caratteristica fondamentale dei problemi che oggi ci troviamo ad affrontare" - ha commentato il direttore dell’OEDT, Wolfgang Götz.
L' allarme dell'Osservatorio riguarda soprattutto i giovani: tra gli studenti europei, dati recenti mostrano una forte associazione tra il cosiddetto "binge drinking" (un numero elevato di drink alcolici nella stessa serata) e consumo di droga, soprattutto in ambienti ricreativi. I dati tratti da uno studio condotto recentemente dall'Oedt rivelano che poco più del 20% degli studenti dai 15 ai 16 anni aveva usato alcool e sigarette durante il mese precedente, un altro 6% aveva consumato cannabis e alcool e l'1% aveva usatoquesto gruppo di sostanze in aggiunta a un'altra droga (ecstasy, cocaina, amfetamine, Lsd o eroina). Complessivamente, una media di circa il 30% degli studenti di questa età avevano consumato due o più sostanze nel mese precedente, con 91 combinazioni differenti.
"Il fenomeno della droga - ha concluso Götz - è in costante evoluzione e sono tante le nuove sfide che abbiamo davanti. A cominciare dalle droghe sintetiche, dove il mercato cambia in continuazione per sfuggire ai controlli". Tra le altre novità di mercato, i marchi differenti e le confezioni attraenti. Un esempio tipico è il prodotto a marchio 'Spices', spesso venduto come incenso. Le informazioni riportate sulla confezione sostengono che si tratta di una miscela di erbe o piante fino a 14 ingredienti, ma i test hanno dimostrato che spesso contengono cannabinoidi sintetici. L'Italia non compare nella lista dei Paesi dove è possibile trovarli, ma - come ha spiegato il direttore dell'Osservatorio, Wolfgang Götz - "i tentativi di eludere i controlli sulle droghe commercializzando sostanze sostitutive non sono nuovi. Ciò che è nuovo è l'ampia gamma delle sostanze attualmente individuate, la commercializzazione aggressiva di prodotti con etichettature errate, l'utilizzo crescente di internet e la velocità con cui il mercato reagisce alle misure di controllo".
"Dobbiamo ricordare - ha concluso Götz - che sebbene comprendere i problemi di droga a livello europeo sia importante, è ancora più importante elaborare politiche e interventi efficaci per risolverli". Götz ha sottolineato l'importanza degli interventi di riduzione del danno e del trattamento delle tossicodipendenze. "Oggi più che mai è fondamentale comprendere che tali risposte possono essere efficaci. In un momento in cui i nostri Stati membri si trovano a dover compiere scelte ardue in merito alle priorità di finanziamento, è essenziale che non venga negato l’aiuto e il sostegno a coloro che ne hanno bisogno. Uno dei messaggi che emergono dalla nostra relazione di quest’anno è che interventi ben concepiti possono apportare valore e benefici reali".[GB
Droghe giovanili
Sostanze da fumare, inalare, inghiottire, a volte iniettare, con nomi esotici e sigle misteriose. Sono continue le innovazioni nel mercato degli stupefacenti, sempre più sviluppato e in continua crescita. L'ecstasy non basta più.
Al giorno d'oggi la droga tra i ragazzi si sta diffondendo in modo sempre più ampio, allargando inoltre la fascia di età dei consumatori. Non è difficile arrivare alla droga: ci sono persone che si avvicinano ai ragazzi offrendo loro questo " veleno" a poco prezzo, ma anche amici che invitano a provare.
La droga che arriva più facilmente nelle mani dei giovani è la cannabis, ma con il passare del tempo si può arrivare a provare il desiderio di qualcosa di più pesante, come la cocaina, l'oppio, le anfetamine, le droghe sintetiche.
Ultimamente si sta verificando un caso del tutto "singolare", cioè la diminuzione del prezzo della cocaina. In concomitanza si sta verificando un secondo avvenimento, ossia la comparsa sul mercato di cannabis di qualità scadente; questi due fattori uniti, hanno portati i giovani ad orientarsi all'uso della cocaina, molto più dannosa e con un tasso di dipendenza più alto.
Questi fatti, intrecciandosi tra loro, hanno portato i giovani ad assumere le droghe quasi per hobby, creando i presupposti perchè si inseriscano più facilmente in compagnie poco raccomandabili e portandoli quasi ad una forma di autolesionismo. Essendo inesperti, disinformati e giovani, si lasciano trasportare dalle compagnie, dalle mode, dal giudizio degli altri e alla fine abusano di sostanze in grado di renderli schiavi.
Bisogna stare molto attenti e capire se il nostro ragazzo ha assunto sostanze illegali: lo si può fare osservandone il comportamento.
Questi in breve sono i sintomi principali a cui dobbiamo porre molta attenzione:
Purtroppo il problema non è solo la cannabis; particolarmente devastanti sono gli effetti dello shaboo, o chrystal meth, o ice, metamfetamina pura che ha l’aspetto di frammenti di ghiaccio e che si fuma.
Non richiede sintesi chimica invece il khat, praticamente una verdura, si mastica per ottenere effetti simili a quelli dell’amfetamina, che viene dall’Africa, soprattutto dalla Somalia.
Questi sono solo alcuni esempi delle droghe più famose e diffuse ormai anche sul mercato italiano.
Luigi il Grande
Khat e Shaboo, le nuove droghe
KHAT E SHABOO
Il Khat è una pianta originaria delle regioni orientali dell'Africa, ma anche molto diffusa nella penisola Arabica (molto diffusa nello Yemen). E' una droga di natura anfetaminica, con effetti euforizzanti, annullando gli stimoli di fame e fatica. A Londra è molto utilizzata dagli autisti dei "mini cab", taxisti non regolari, normalmente in servizio notturno (fare il taxista è per loro un secondo lavoro), che masticano le foglie di questa pianta per rimanere svegli. Lo shaboo arriva, invece, dalle Filippine. Conosciuta anche come "ice"(si presenta in cristalli), derivante dalle metanfetamine, è una droga che necessita di essere fumata tramite delle pipe particolari. Il costo al grammo, viste le dure leggi previste nelle Filippine per i trafficanti di droga, è elevatissimo.
I QUANTITATIVI DI DROGA SEQUESTRATI
Il totale di cocaina sequestrata, in ambito nazionale, dell'anno in corso sino al 30 settembre del 2010, ammonta a 2.184 kg, su questo totale nazionale 201 kg sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza a Malpensa. Nel 2007, i sequestri di polvere bianca sono stati pari a 451 kg, nel 2008, con il crollo Alitalia, il traffico di questa sostanza è diminuito drasticamente: 140 kg. Una ripresa del narco traffico si è vista nuovamente nel 2009 con 366 kg e diminuita nuovamente nel 2010 ( dati aggiornati al 7 ottobre), raggiungendo 238 kg. I sequestri di eroina sono nettamente inferiori: 28 kg nel 2007, zero nel 2008, 5 nel 2009 e 30 nel 2010. Il sequestro di hashish, invece, ha avuto il suo picco nel 2008: 22kg nel 2007, 64 nel 2008, 56 nel 2009 e 27 nel 2010. Contrariamente all'hashish la marijuana sequestrata nel 2008 è stata pari a zero: 36 i kg sequestrati nel 2007, 35 nel 2009 e 18 nel 2010. I sequestri legati alla sostanza stupefacente tutta filippina sono irrisori, mentre per il Khat il boom è stato nel 2006.
GLI ARRESTI
Gli ovulatori sono in aumento dal 2009, rispetto agli anni precedenti, mentre i corrieri ordinari ( i doppi fondisti, o coloro che occultano le sostanze stupefacenti sotto gli abiti) sono in diminuzione. Per quanto riguarda gli arresti, la Guardia di Finanza di Malpensa ha avuto parecchio da fare nell'anno 2006 (97 persone arrestate), gli anni successivi il numero di arresti è calato, raggiungendo nel 2008 12 soggetti tratti in arresto. L'attività operativa di quest'anno, condotta sino ai primi di ottobre, invece, ha portato all'arresto di 124 soggetti, 8 le denunce a piede libero, 42 le segnalazioni in Prefettura, 73 le denunce contro ignoti. Una suddivisione per etnie degli arrestati nel 2010 vede i sudamericani in pole position con 54 persone arrestate, 38 gli africani, 10 gli italiani, 18 gli europei, un statunitense, due asiatici, un filippino.
IL CALO DEL 2008
Dai dati emerge come nel corso del 2008 si sia registrata una sensibile diminuzione sia del numero dei sequestri, ma anche nel numero dei soggetti tratti in arresto a seguito di accertamento. Le principali cause del fenomeno, secondo il Gruppo Guardia di Finanza Malpensa, potrebbero essere imputate ai seguenti fattori: rimodulazione dell'operativo voli Alitalia e relative conseguenze; utilizzo di tecniche di occultamento di difficile individuazione (es. ovulatori); aumento delle attività di natura complessa a seguito di accertamento positivo (es. consegna controllata); utilizzo di altri aeroporti del centro-nord Italia.
Valeria Deste
Luigi il Grande
Dopo aver minato la salute dei giovani dei sobborghi popolari del sud America, il 'texe' si sta diffondendo in maniera preoccupante nelle zone urbane di Barcellona e del Baix Llobregati e nelle province del centro della Catalogna, secondo l'allarme lanciato da polizia, servizi sanitari e sociali, riferito oggi dal Periodico de Catalunya.
Si vende a soli 10/15 euro al grammo, per cui e' diventata di largo consumo e la prova della sua diffusione, spiegano gli inquirenti, e' che si vendono sempre piu' le pipe impiegate per fumare la sostanza stupefacente. Da ogni grammo e' possibile ricavare quattro o cinque dosi, per cui e' diventata la vera droga dei poveri, con effetti devastanti sui consumatori. 'Attualmente, delle 65 persone che abbiamo in trattamento di recupero dalla tossicodipendenza in Catalogna, 18 hanno consumato basuco', ha spiegato il direttore della Ong Progetto Uomo, Oriol Esculies, in dichiarazioni al quotidiano.
Dall'associazione mettono in guardia sul fatto che molti dei consumatori dipendenti dal 'texe' sono adolescenti di 14 o 15 anni in una situazione di marginalita'. I sanitari spiegano che la pericolosa droga, essendo un residuo della cocaina, contiene pochi principi attivi di questa sostanza e molti elementi tossici come acido cloridrico, ammoniaca, sali e cherosene. Con conseguenze sulla salute dei consumatori molto piu' gravi di quelli della polvere bianca.
'Dal momento che si assume fumando, ha un grave impatto sul sistema respiratorio - spiega lo psichiatra Carlos Roncero, responsabile del Centro di attenzione e cura delle tossicodipendenze dell'Ospedale Vall d'Hebron, di Barcellona.
'Essendo composto soprattutto da sostanze chimiche non adatte al consumo umano, come acido e cherosene, provoca gravi danni al sistema nervoso', aggiunge.
Reazioni aggressive, seguite a una grande euforia e crisi psicotiche sono alcuni degli effetti del consumo della sostanza.
Siccome passano in fretta, il consumatore sente subito l'impulso di assumerne altra. La polizia e i servizi sanitari mettono in guardia contro quella che rischia di diventare una autentica piaga sociale.
Luigi il Grande
Negli slum dopo la traumatica recessione del 2001
Tra i preti «villeros» di Buenos Aires
L'autobus non arriva alla villa «21-24-Zavaleta». La fermata più vicina è Avenida Velez Sarsfield, una delle infinite spine dorsali della sterminata Buenos Aires. Un esiguo marciapiede costeggia il fiume d'auto in corsa. A parte qualche officina meccanica, non ci sono negozi, né case. Solo macchine, camion e smog. Difficile pensare di trovarsi ad appena venti minuti dalla centralissima Plaza de Mayo e dagli edifici «parigini» del Paseo Colón.
L'inizio dello sterrato segna l'entrata alla «21-24-Zavaleta». Un'altra città, dimenticata nel cuore della più europea delle metropoli del Sud America. Una «città» confusa. Disegnata, nel corso degli ultimi sette decenni, dalla fantasia di migliaia e migliaia di persone, arrivate dal resto dell'Argentina o del continente, per inventarsi un futuro. Ora sono 45 mila gli abitanti di questo microcosmo. Le casupole - a uno o due piani, di mattoni, la maggior parte finite a metà - spuntano ovunque. Le stradine procedono a zig-zag, s'insinuano tra pantani melmosi, tratteggiando un labirinto indecifrabile per i visitatori inesperti. Di continuo, ci si imbatte in scarpe da tennis legate ai pali dell'elettricità. «Vuol dire che lì si vende droga - spiega Luis Alberto Rodas, memoria storica del quartiere -. Spesso, però, i luoghi di spaccio non sono segnalati. Tanto si conoscono. E, poi, sarebbero troppi...». Alla «21-24-Zavaleta» - come nel resto delle villas argentine - dilaga il paco, una sostanza altamente tossica, ricavata dallo scarto della cocaina, che si scalda e, poi, si fuma. Procurarsela, per gli squattrinati adolescenti del quartiere, è fin troppo facile: una dose costa appena due o tre pesos (40-60 centesimi di euro). Certo, l'effetto dura qualche minuto, poi il desiderio si fa di nuovo lacerante. Alla fine, si arriva a consumarne anche 80 dosi al giorno. La vita di un dipendente è una ricerca ossessiva di altro paco. In sei mesi, il cervello viene devastato. E i paqueros si trasformano in zombie. Una strage sociale - ha denunciato anche di recente l'associazione «Madri contro il paco». Alla periferia di Buenos Aires, almeno dieci ragazzini alla settimana - sostiene l'organizzazione - muoiono a causa di questa droga. I dipendenti sono oltre 50 mila. E il loro numero cresce: secondo l'Onu, rispetto al 2001, l'anno della grande crisi, il consumo di paco è quadruplicato. Il profilo del paquero è monotonamente simile: ha 12-13 anni, è maschio (fra le ragazze l'uso della droga è fortunatamente ancora ridotto) e abita in una villa. Dove, spesso, condivide la dipendenza con più della metà dei coetanei. «Le villas sono funzionali al narcotraffico - spiega padre Facundo Beretta, uno dei sacerdoti della «21-24-Zava¬leta» -. Qui non ci sono controlli, la polizia ha paura di entrare. È una zona franca, abbandonata dallo Stato, dove i signori della droga possono vendere indisturbati morte. I villeros sono le prime vittime della violenza».
IN QUESTE ENCLAVI, che in Italia chiamiamo baraccopoli, Buenos Aires tenta a fatica di nascondere - anche se dalla recessione del 2001 è impossibile perché la miseria dilaga fin nella scintillante Nueve de Julio - il suo volto povero e latinoamericano. Nelle centinaia di slum vivono - secondo i dati ufficiali - almeno 300 mila persone. Il numero reale è, però, di certo ben più alto. Negli ultimi nove anni, ai «poveri storici» si sono aggiunti i tanti che hanno perso la casa dopo l'ultima crisi. Dal 2003, la popolazione delle baraccopoli è raddoppiata.
È la miseria, la mancanza di opportunità, l'assenza dello Stato a consegnare i ragazzi alla schiavitù del paco. Nell'indifferenza generale. Un dramma denunciato pubblicamente, senza timori né giri di parole, da padre José Maria De Paola, il parroco della «21-24-Zavaleta» e dagli altri sacerdoti villeros in un documento diffuso nel 2009: «La droga nelle villas depenalizzata di fatto». Una presa di posizione coraggiosa contro l'inerzia dello Stato e, soprattutto, l'arroganza dei narcotrafficanti. Che hanno reagito con la solita ferocia: padre De Paola è stato ripetutamente minacciato di morte. Sarebbero state proprio le continue intimidazioni la causa del prossimo trasferimento del sacerdote in una diocesi del nord del Paese. L'8 dicembre, padre José Maria - alias padre Pepe - lascerà dopo 14 anni la parrocchia di Nostra Signora di Cacupé, nel cuore della villa.
La chiesa appare, nel caos, come un faro d'orientamento. Un edificio piccolo, non alto ma riconoscibile a distanza, per il candore dei muri che contrasta col grigio-lamiera e rosso-mattone degli altri fabbricati. Anche il tetto della struttura è di latta, ma è lucido. All'interno, l'arredamento è semplice: pavimento di pietra, un enorme tavolo come altare e disegni coloratissimi ovunque. Ci sono scritte di ringraziamento, un'immagine di Don Bosco e un enorme Cristo, oltre alla statua della Madonna di Cacupé, protettrice del Paraguay. «L'ha portata qui il parroco nel 1997 in omaggio ai tanti paraguayani immigrati che vivono nella villa», afferma Luis Alberto. Le porte sono spalancate. Anche la sera. E il via vai è continuo. Uomini e donne si siedono nei banchi a chiacchierare, sorseggiando mate (infuso tipico argentino). Così, trascorrono le ore. «Molti aspettano di parlare con il padre Pepe - aggiunge Luis -. Altri restano qui perché non sanno dove andare. Non hanno lavoro e le case sono troppo piccole...». La chiesa è una sorta di luogo di incontro, di scambio, una casa comune. «È il cuore della villa», come ama definirla il padre Pepe. Lo studio del sacerdote è una camera minuscola - non arriva ai due metri per due - che riesce a fatica a contenere un tavolo e due sedie. A rendere la stanza accogliente sono le pareti stracariche. Ci sono foto del religioso coi ragazzi del quartiere, immagini della Ma¬donna, di Madre Teresa, un fazzoletto delle Madri di Plaza de Mayo. E un grande quadro di padre Carlos Mujica, tra i primi sacerdoti argentini ad abbandonare le parrocchie di città per trasferirsi nelle baraccopoli. Il suo impegno in favore dei diseredati gli costò la vita. Padre Mujica fu assassinato dai paramilitari delle «Triple A», nel 1974. La Chiesa, però, non ha abbandonato le villas. Nemmeno negli anni sanguinosi della dittatura militare, quando attività come questa erano considerate sovversive. Nel maggio 2009, l'arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Bergoglio, ha voluto dare ai sacerdoti villeros - venti attualmente - un riconoscimento importante, con la creazione della «Vi¬caría para las villas de emergencia». A guidarla, almeno fino all'8 dicembre, è padre Pepe. L'incarico ha avuto un duplice valore, perché è arrivato proprio poco dopo la pubblicazione del «documento anti-paco» e le minacce di morte. «Il cardinale mi ha dato un sostegno importante. Crede nell'impegno dei sacerdoti villeros per i poveri», dice il padre Pepe.
NON È FACILE terminare una conversazione col religioso. Le interruzioni sono continue. Nel giro di mezz'ora arriva la signora Josefa che ha finito il latte e chiede al padre se ne ha un po'. «Sa, ho due bambini», dice quasi per scusarsi. Poi, Ramon che vuole che il padre chiami un'ambulanza per lo zio malato. «Se telefona lei, arriva prima», spiega. E, infine, Daniel che chiede solo una benedizione «per allontanare la malasorte». «Qui ho imparato un modo di vivere la fede che non conoscevo - racconta padre Pepe -. Più autentica e genuina. La gente della villa mi ha insegnato tanto». E aggiunge ridendo: «Certo, a volte fanno un po' di confusione...». Per capire che cosa intenda basta sporgersi fuori dalla chiesa. Accanto all'edificio, c'è la cappella del «Gauchito Gil», santo popolare mai beatificato dalla Chiesa. Agli argentini poveri, però, non importa: lo considerano il loro protettore, insieme alla Defunta Correa, anche lei mai canonizzata. Al Gauchito portano candele e nastri rossi, alla Defunta bottiglie d'acqua. «Perché è morta di sete - spiega Mari che ne porta al collo l'immagine -. Ci protegge. Ha salvato mia madre dopo un incidente».
«Io dico sempre che dai villeros si apprende molto più di quello che si insegna - afferma padre Pepe -. La gente di "fuori" (gli abitanti del resto di Buenos Aires), in genere, li etichetta come criminali o disadattati senza conoscerli. Niente di più falso... Per me sono "operai ottimisti", gente che ha avuto il coraggio di rimboccarsi le maniche per costruire dal niente un quartiere. È vero, le strade non sono asfaltate, gli allacciamenti a luce e acqua sono abusivi. Ma questa, prima, era una discarica...». Ora è un universo surreale e composito. «Certo, la violenza esiste. Ma si deve comprenderne le cause. La gente, a volte, diventa violenta perché subisce violenza. È violento aspettare per ore un'ambulanza, con tuo figlio in agonia, perché gli infermieri hanno paura di entrare nella villa. È violento che ti venga rifiutato un lavoro perché "sei un villero e, dunque, inaffidabile". È violento che lo Stato resti fuori dal quartiere, lasciando chi è dentro in mano dei narcotrafficanti...», afferma con passione padre De Paola. È la Chiesa a riempire «il vuoto». I sacerdoti sono la figura di riferimento. «Abbiamo realizzato asili, centri per bambini e anziani, otto mense, corsi professionali. Nel gruppo scout ci sono 5 mila iscritti. Cerchiamo di dare una mano soprattutto ai giovani. E abbiamo messo su un programma di recupero per i paqueros».
Ancora non si sa se a sostituire il sacerdote sarà uno dei tre che lavorano con lui - padre Facundo, padre Carlos, padre Juan - o qualcun altro. «Ma il lavoro continuerà». Nei viottoli della villa appaiono, spesso, minuscoli santuari intorno a un Cristo col braccio destro alzato. «È il Cristo della villa. Un Cristo vittorioso - conclude padre Pepe -. La gente qui non si arrende. Gliel'ho detto che sono ottimisti...».
Luigi il Grande
- by Jasmine Enberg, Staff Writer; Image: Use of paco in Buenos Aires' shantytowns and throughout Argentina has brought misery to people across the entire nation
After years of battling her addiction to paco, a highly addictive by-product of cocaine that has destroyed the lives of thousands of Argentines, Lidia Rigoli, a former addict of the drug, is finally clean. Yet her struggle against the deadly drug is far from over. "I know this is something I have to carry for the rest of my life. I am clean but not cured; it is a daily fight," she said.
Paco, Argentine street slang for pasta básica de cocaina, cocaine in a pre-processed form, which sells on the streets of Buenos Aires for less than 2 dollars a dose, is so addictive that its users quickly become slaves to the drug.
One or two hits from the metal paco pipe is all it takes, and even though the heat burns users' fingers and mouths, they still want to smoke more. Rigoli began by taking 4 to 5 doses per day, but within a week she would smoke up to 200 doses when she could afford it.
The high paco gives can be different for each person but it is always quick and intense. It is a high so mind-altering that its users have been labeled the "walking dead," as they spend the nights roaming the streets like vampires in search of their next hit.
Quitting the drug is next to impossible. Some users spend years in treatment, and then begin to consume again directly after being released. Most never enter treatment, and others die from the drug's side effects before they even consider asking for help.
Rigoli managed to stop using paco with the help of Marta Gomez, the founder of Madres En Lucha, a group of mothers dedicated to the fight against paco in Buenos Aires.
The group is part of a larger social movement of mothers that have been working mainly to prevent the spread of paco without help from the Argentine government. "The state has offered solutions for other problems like prostitution, but we are still waiting for the government to take a political decision from above," Gomez said.
But as time passes without a response from the Argentine government, paco use continues to spread.
Most of the addicts are poor teenagers, in the "villas miserias" or shantytowns, that surround Buenos Aires, but now some children begin to smoke paco, at the mere age six or seven. They become addicted so soon because dealers use them to sell the drug in exchange for a free hit.
And although paco has been called the "drug of the poor," this label is no longer accurate. When it arrived to Argentina in 2003, almost all of its consumers were from the working class because it was a cheaper alternative to cocaine. Today, however, paco use has reached the middle and upper classes as well.
Hugo Ropero, once a successful photojournalist, fell victim to paco's lure when he met a group of middle class paco smokers. "I used to be a social drug user but I was never curious about paco because I thought it was a drug for the poor. I found out that paco is in all social circles," he said.
As he explains in his book, Maldita Droga, Ropero once had a normal life, but as soon as he took his first hit, everything changed. He lost his job, his marriage fell apart, and his whole world started to revolve around paco.
Unlike Rigoli, Ropero was able to overcome his three-year addiction to paco without help from groups like Madres En Lucha. But so far these organizations are the only outlet addicts have to get them on the road to recovery.
Yet even they struggle because, as of yet, there is no clear treatment that will break the addiction, and until they find one, paco will most likely continue to ravage the lives of many more Argentines.
Furthermore, as Argentina continues to recover from its economic downward spiral in 2001 and as Bolivia continues to lift restrictions on production of coca, the raw product of cocaine which, in the Bolivian and Peruvian Andes is used as a legitimate medicinal product and energy stimulant for dealing with high altitude, use of paco may turn into a virtual epidemic in Argentina.
Luigi il Grande
Fotoracconto Paco, la nuova droga delle favelas
Luigi il Grande
aggiornato alle 12:40 di Sabato 4 Dicembre 2010
di Eleonora Bianchini
29 novembre 2010
Dal Sudest asiatico all’Europa il consumo
di droga cresce assieme al Pil e allo stress
Secondo l'Agenzia Onu contro la droga e il crimine in estremo oriente crescono i consumi di sostanze sintetiche per fronteggiare la mole massacrante di lavoro. Nel Vecchio continente invece a preoccupare è il consumo di cocaina
Dalla Cina alla Malesia, l’aumento della ricchezza nei paesi dell’area asiatico-pacifica si accompagna allo sviluppo insostenibile del consumo di droghe sintetiche.
Ne è convinta l’Unodc, l’agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine che nei giorni scorsi ha pubblicato la sua relazione annuale sullo stato dell’arte del consumo di sostanze stupefacenti.
I risultati pubblicati dall’agenzia dell’Onu mostrano come l’aumento della ricchezza relativa nei paesi dell’est asiatico e del Pacifico, unito alla necessità di lavorare su turni massacranti, abbiano generato la diffusione di sostanze sintetiche e la moltiplicazione dei laboratori artigianali dove vengono prodotte.
Un incremento vertiginoso di amphetamine-type-stimulants o Ats, sostanze di laboratorio che causano allucinazioni e danni cerebrali permanenti, tra cui l’ecstasy, in aumento dal 2004, e la ketamina, potente anestetico veterinario cresciuto del 9% solo nel 2009. Quantità massicce su tutto il continente che hanno prodotto l’anno scorso un giro d’affari illecito per 63 miliardi di dollari.
Il principale centro di fabbricazione è la Birmania, dove solo nel 2009 sono stati sequestrati 24 milioni di pillole, una quantità risibile rispetto al numero di laboratori di produzione sequestrati. Secondo la ricerca, il fenomeno Ats riguarda tutti i 15 paesi esaminati nel dossier.
Con la globalizzazione, inclusa quella della criminalità organizzata iraniana e dell’Africa occidentale, la produzione di sostanze da laboratorio non dipende più dalle grandi coltivazioni di oppio o dal clima: è facile ottenerla, è possibile fabbricarne anche in casa, e altrettanto semplice piazzarla sul mercato dove la domanda non subisce battute di arresto.
Lo studio sottolinea come alla diffusa tendenza al consumo non corrisponda però un miglioramento delle strutture sanitarie contro le dipendenze. E il futuro non promette bene: oltre agli Ats è stato lanciato l’allarme sull’inalazione di solventi da parte dei giovani, che avrà effetti devastanti sul lungo periodo.
Difficile stabilire connessioni dirette e incontrovertibili tra l’andamento economico di un paese e il consumo di droghe dei suoi cittadini.
Tuttavia, se nei paesi asiatici e nell’area del pacifico, il fenomeno Ats è ormai mainstream, nemmeno l’Europa è immune dalle conseguenze di uno sviluppo accelerato. Uno stress che i cittadini del Vecchio continente compensano con un uso massiccio di cocaina. Dalla Relazione annuale 2010 dell’Agenzia europea delle droghe (Oedt) infatti emerge che quasi 14 milioni di cittadini europei fra i 15 e i 64 anni abbiano provato la polvere bianca. E se in Italia l’uso tra chi ha tra i 15 e i 34 anni è del 2,9%, nel Regno Unito raggiunge il picco del 6,2 (dati 2008).
Secondo il direttore dell’Oedt, Wolfgang Gotz “troppi europei considerano ancora il consumo di cocaina come un accessorio relativamente innocuo di uno stile di vita di successo”.
Droghe a cui si aggiunge la dipendenza da produttività e successo, e che possono incidere in maniera drammatica sul piano economico. Pensiamo alla crisi mondiale e al suo effetto domino: non è stata “provata nessuna relazione scientifica diretta” con il crollo del sistema finanziario, ha spiegato all’inizio del 2009 Silvio Garattini, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano, ma il consumo di cocaina negli ambienti finanziari ha contribuito a sviluppare in senso del rischio e della spregiudicatezza, riducendo il senso di responsabilità.
Di fatto è la droga più utilizzata nel mondo degli affari e soltanto a Milano, da quanto è emerso dall’indagine dell’istituto, ne verrebbero consumate 12mila dosi al giorno. Ma il fenomeno si estende anche oltre la Lombardia. Infatti Raimondo Pavarin, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico dipendenze dell’Asl di Bologna ha aggiunto che da uno studio “condotto in 40 città su un campione di 20 mila persone, è emerso che chi assume coca da almeno cinque anni guadagna più di 2 mila euro netti al mese”. E se il profilo medio rientra tra i quadri aziendali, amministratori delegati esclusi, il fenomeno non si ferma lì e si estende anche ai lavoratori. Diventa un modo per rispondere ai ritmi di lavoro, allo stress, per superare la frenesia della postmodernità, fino a riguardare anche autisti e mulettisti. Ad esempio, come riferisce il dipartimento delle Dipendenze dell’Ulss 20 di Verona, l’1,7 degli operai veneti farebbero uso di sostanze stupefacenti. E se all’inizio “si prova” per ottenere risultati più performanti sul lavoro, successivamente il percorso si inverte e si aumentano le ore di lavoro per potersela procurare.
Spesso soltanto per fronteggiare ritmi non più naturali, per appagare la produttività meccanica richiesta dal mercato, che spinge sempre oltre il limite delle ore di lavoro. Dall’Asia sintetica all’Europa della “bamba”.
Luigi il Grande
Il traffico di droga in Italia e la ‘mafia transnazionale’
C’è da dire, tuttavia, che quello della mafia transnazionale è un concetto introdotto per la prima volta dall’Osservatorio Italiano, nell’ambito di un inchiesta sull’eredità lasciata dagli ex contrabbandieri di sigarette per la gestione del traffico della cocaina. Di fatti, mentre lo Stato ha decimato le fila di Mafia e Camorra, nasceva la “Santa alleanza Balcanica”, l’unione della mafia serba con quella italiana. Arrestando e mettendo da parte i mafiosi e gli uomini d’onore, per fare posto alle nuove organizzazioni. Il patto d’onore con la Colombia e stato siglato. Grazie ai calabresi della ‘Ndrangheta la mafia serba è entrata di prepotenza nei traffici del Mediterraneo, verso i mercati europei. La nuova mafia ha senz’altro ereditato la grande esperienza maturata in passato con il contrabbando di sigarette che, a distanza di anni, resta ancora un mistero nelle sue molteplici sfumature logistiche e finanziarie. Albania, Montenegro, Bosnia e Croazia sono le mete preferite, ma con 25.000 euro può essere consegnata direttamente a Bari. Si tagliano così i rapporti con i Paesi fornitori, e a fare il lavoro per così dire ‘sporco’, si ricorre alla mafia balcanica, che si estende in tutta la regione sino all’America Meridionale, grazie a fortuiti contatti. Questo quanto evidenziato da l rapporto sul narco-traffico nei Balcani gestito dalla mafia transnazionale a cura dell’Osservatorio Italiano:
- La mafia transnazionale
- Scacco matto alla cocaina colombiana
- La Mafia e il Gossip
Le connessioni della criminalità organizzata tra Nord e Sud, tra Italia e Balcani, tra finanza e contrabbando, costituiscono in realtà una storia nota che pochi tuttavia hanno cercato di spiegare con serietà e cognizione di causa. Molte sono invece le storie che sembrano avvicinarsi alla verità, ma senza fatti e documenti valgono ben poco, e sono solo invettive da dare in pasto ai media e alla propaganda politica ma non alla giustizia. Roberto Saviano dice di lottare contro la mafia, ma è pur sempre un giornalista che gioca sull’onda della massa. Dalle sue parole non traspaio fatti ben circostanziati, e credo che sia per lui difficile avere delle info visto, visto che è sempre sotto scorta. Sicuramente fa via internet le sue ricerche, e la gente non sa neanche di che cosa parla. A tal proposito ricordiamo l’intervista per il media albanese Top-Channel , durante la quale dette prova di non conoscere le connessioni tra la mafia italiana e quella albanese. Connessioni su cui, più tardi, cercò delle informazioni contattando la nostra redazione, in occasione della pubblicazione dell’articolo “Il traffico di armi tra il Sigurimi e la Camorra“. Da Saviano ci aspettiamo documenti, come abbiamo fatto noi pubblicando documenti inediti, senza tuttavia riuscire a scuotere i mass media, che restano pur sempre delle società per azioni con dei padroni. Lei Signor Saviano dovrebbe parlare della Svizzera, della Ubs, dei collaterali, e non di chi l’ha reso famoso. Mostri i documenti e smetta di offendere la gente che lavora e rischia la vita per combatterla davvero la mafia . Milano, la Lombardia, è la capitale della droga colombiana perché in con 50 minuti si possono riciclare i soldi: ecco la connessione, che non ha nulla a che fare con la politica. Fare la vittima paga, partecipare allo scontro politico mentre cade un Governo ancora di più, ma l’imbroglio primo poi viene a galla.
Luigi il Grande
Secondo inchieste pubblicate da media online sudafricani, la mistura e' stata inventata nelle baraccopoli di Durban, la seconda piu' grande citta' del Sudafrica, due o tre anni fa.
Aggiunta alla marijuana, viene fumata e provoca uno stato di calma obnubilata.
Soprattutto, provoca una rapida assefuazione. Costa relativamente poco, circa due euro a spinello; ma i suoi effetti durano una ventina di minuti, costringendo i consumatori divenuti dipendenti a 'farsi' piu' volte al giorno. La sindrome da astinenza e' dolorosa, per procurarsi la droga si ricorre al crimine e il passo da consumatore a spacciatore e' breve.
Ma c'e' una realta' ancora piu' atroce: Vumani Gwala, dell'organizzazione Project Whoonga che lotta contro la diffusione della droga, in un recente servizio della rete satellitare Al Jazira ha detto che pur di procurarsi lo stupefacente, molti tossici scelgono di farsi contaminare dal virus dell'Aids (Hiv).
In questo modo possono entrare nei programmi governativi di distribuzione gratuita degli antiretrovirali ai malati poveri.
La polizia ha scoperto l'esistenza del whoonga circa due anni fa, quando si accorse che malati di Aids venivano sempre piu' spesso aggrediti e derubati degli antiretrovirali all'uscita dagli ospedali o dalle strutture di sanita' pubbliche dove i farmaci vengono distribuiti .
Finora il fenomeno e' rimasto confinato alla zona di Durban, capoluogo della provincia del Kwazulu Natal, la piu' colpita dall'Aids. Ma adesso alcune autorita' temono che il consumo di whoonga possa estendersi a altre zone del Paese. Il Sudafrica, con nemmeno 48 milioni di abitanti, ha circa 5,7 milioni di malati di Aids.
Luigi il Grande
Prevenzione 2.0
Nuove droghe: il “Paco”
15 novembre 2010
Dopo la recente diffusione, in Italia, del “kobret”, la Rete dà notizia di una nuova potentissima sostanza, nota come “Paco” in Argentina e “Basuco” in Colombia. Si tratta di una particolare lavorazione della cocaina, nella quale la pasta viene mescolata con acido cloridrico, cherosene ed ammoniaca, e quindi tagliata con la polvere di vetro delle lampadine o altre sostanze particolarmente pericolose e tossiche. Oltre ad essere molto più potente, a livello di effetti, della cocaina tradizionale, il “Paco” (che viene per lo più fumato) è anche venduto a micro-dosi particolarmente accessibili ed economiche, che ne fanno un fenomeno davvero preoccupante in Sudamerica. In particolare, gli effetti di questa sostanza durano pochi minuti, e causano da subito una fortissima dipendenza, come dicono gli ex consumatori, cosicché si spende moltissimo per procurarsi continuamente nuove dosi ed avere uno sballo assicurato e senza freni. Vittime di questa droga sono, come spesso succede nei Paesi in via di sviluppo, i più poveri, che cercano in qualsiasi modo di procurarsi i soldi per accedere al “Paco”.
Luigi il Grande
domenica 14 novembre 2010
Paco: la droga da discount
Buenos Aires (Argentina) – Viene chiamata “Paco” in Argentina, “Basuco” in Colombia, “Kete” in Perù. Una dose costa meno di un euro, ma se ne può trovare in dosi di minor quantità in vendita a 20 centesimi. Dal 2002, anno in cui ha fatto il suo ingresso nel mercato sudamericano – in particolar modo in quello argentino – ha di fatto soppiantato droghe ben più costose come la “sorella maggiore” cocaina, motivo per cui si è soliti definirla come “la droga dei poveri”. A queste cifre il volume d'affari per gli spacciatori, nella sola Argentina, si aggira intorno ai 270 milioni di euro annui.
Il paco, questo il nome più diffuso, è ottenuto dal processo di trasformazione del PBC (pasta base di cocaina) in cloridrato di cocaina (cioè la cocaina pura). Composto con elementi di scarto come acido cloridrico, ammoniaca e cherosene, viene tagliato con sostanze dall'altissimo grado di tossicità quali la polvere di vetro delle lampade alogene. A differenza della più famosa polvere bianca, però, ha una “potenza di fuoco” di 400 volte superiore.
È lo strumento principale con cui le grandi imprese del mercato della droga – che elaborano nelle stesse cucine in cui si prepara il Paco anche la cocaina che sbarcherà negli Stati Uniti ed in Europa – stanno aprendosi a nuovi mercati. È la riproposizione, in scala, di quel che avviene nel processo del capitalismo globale : ci si apre prima ai “grandi” mercati, quelli delle piazze più importanti e poi, quando ci si è fatti un volume d'affari (ed un nome) di tutto rispetto in questi luoghi si cerca fortuna in mercati minori – ancor meglio se sconosciuti – con un'offerta che, pur ricalcando quella principale, pone sui nuovi mercati prodotti “di serie b” o – come in questo caso – prodotti di scarto.
«Inizi con una dose» - dice Francisco, 19 anni - «l'effetto è fortissimo ma dura pochi secondi. Allora ne vuoi subito un'altra, e poi un'altra ancora e così via. Non esistono vie di mezzo: dal primo giorno diventi un “adicto”, un dipendente». Francisco è uno di quelli che ce l'ha fatta. Dopo mesi di cura a Casa Flores (il primo centro di recupero per dipendenti del Paco) le mani non tremano più e sono scomparse anche le bruciature sulle labbra - dovute al fatto che l'unico modo per assumere questa sostanza è fumarla attraverso delle pipe, spesso ricavate dagli strumenti più disparati quali tubi di metallo ed antenne tv – sono ormai un lontano ricordo.
Il Paco toglie la fame ed i desideri e dunque ben si adatta ad una popolazione dove – come testimoniato da una recente indagine dell'INDEC (l'istituto nazionale di statistica e censo argentino) – su una popolazione di 38 milioni di persone 18 sono poveri e 8 viaggiano lungo la soglia di indigenza. Questo però non deve trarci in inganno, perché il Paco non è né una sostanza pensata per i poveri né economico: nato infatti come “sballo” per quella che una volta avremmo definito piccola-media borghesia e poi allargatosi a clientele molto meno esigenti, il suo dilagare non deriva – come facilmente si potrebbe dedurre – dalla crisi economica che ha colpito l'Argentina nel 2001 (e dagli effetti che questa ha avuto sui consumi del popolo argentino) bensì dall'ingresso del paese tra i produttori di droga, che sfruttano le oltre 700 piste di atterraggio clandestine grazie alle quali è semplice l'ingresso della materia prima proveniente dalla Bolivia e la successiva spedizione del prodotto finito verso i mercati principali. La sua economicità, peraltro, è ancora tutta da dimostrare: se è vero che il prezzo di vendita è stracciato, è pur vero che gli effetti durano da un minimo di un minuto ad un massimo di cinque, per cui la quantità giornaliera che ogni “paquero” utilizza oscilla tra le 50 e le 100 dosi.
«Gli spacciatori» - spiega Cesar Fonseca, assistente sociale - «hanno iniziato regalando bustine di un grammo di pasta base per ogni grammo di coca venduta. Una volta creata la domanda hanno fissato un prezzo, di otto o dieci volte inferiore a quello della polvere bianca, conquistando così migliaia di clienti. Costa meno ma si vende più facilmente e la dipendenza è assicurata». La rete dello spaccio si basa sulla figura del “soldato”, cioè il consumatore-spacciatore che per comprare le dosi di cui ha bisogno, si pone come intermediario tra domanda e offerta, diventando così anche il principale obiettivo delle forze dell'ordine.
I dipendenti da questa sostanza si auto-finanziano nelle maniere più disparate e disperate: dal lavaggio dei vetri per strada agli scippi passando per l'elemosina o la vendita dei loro averi. Si possono incontrare spacciatori-consumatori negli angoli più poveri delle città latinoamericane – le “Villas Miserias”- così come nei parchi pubblici e nel cuore delle grandi metropoli, da Buenos Aires a Montevideo passando per San Paolo e la Colombia. È uno degli effetti dello spostamento delle “cucine” - i centri in cui si produce la cocaina – dall'altopiano andino al cuore delle metropoli, dove sono nascoste dietro anonimi appartamenti o tenute di campagna.
«L'età in cui si inizia a fare uso di droga ogni anno diminuisce» - spiega Isabel Vázquez, fondatrice insieme ad Alicia Romero del movimento “Madres contra el Paco” (qui il sito: http://www.madrescontraelpaco.org.ar/) - «nel 2000 l'età media si aggirava intorno ai 24 anni, oggi intorno ai 16, anche se non è difficile incontrare ragazzi che fanno uso di questa sostanza già ad 11 anni». La maggior parte degli “adictos” non sa né leggere né scrivere e si trova a fare i conti con un tessuto sociale in cui gli effetti della crisi socio-economica (nella quale ruolo fondamentale ha giocato il volere del Fondo Monetario Internazionale) sono ancora devastanti, basti pensare al divario economico tra ricchi e poveri che, nella sola Buenos Aires, permette al 10% della popolazione più ricca di avere un reddito trentacinque volte superiore al 10% della popolazione più povera.
Gli effetti sul fisico di chi fa uso di questa sostanza sono ancor più devastanti di quanto non possa fare la cocaina pura. Agli effetti di quest'ultima, infatti, bisogna aggiungere quelli dell'acido solforico (enfisemi e cancro polmonare), del monossido di carbonio che si sostituisce all'ossigeno nei globuli rossi e del cherosene, che funge da inibitore nella trasmissione degli impulsi nervosi ai neuroni. È dunque ancor più effimera l'utilità del paco, che non solo necessita di un continuo “ricarico” - visto il brevissimo tempo in cui esaurisce i propri effetti – e dunque di una spesa notevole, ma molto spesso i paco-dipendenti perdono la vita nel giro di un paio d'anni, per gli effetti diretti e per quelli – indiretti – che ha sulla sfera sociale, in cui il ruolo dei media è, come sempre, decisivo.
L'indifferenza della gente comune – quell'indifferenza che conosciamo ad ogni angolo di ogni strada di ogni città del mondo – sfocia spesso in una vera e propria forma di ostilità verso i centri che si occupano del recupero di queste anime perse, perché la paura dell'invasione di un'orda di piccoli delinquenti è alta e ben alimentata dal sistema mediatico argentino, che quando non si occupa di “televisione verità” filmando giovani consumatori con le armi in mano e che giurano di essere pronti a tutto pur di ottenere i soldi necessari a comprarsi l'ennesima dose (probabilmente anche a fare i “burattini” in mano a qualche giornalista in cerca di audience e notorietà) pone l'accento sull'aspetto “solidaristico” della faccenda, cioè sulla necessità di ampliare la rete di centri di recupero per i paco-dipendenti, senza andare ad indagare quelle che sono le vere cause dell'uso di sostanze psico-alteranti: un'offerta scolare insufficiente, un mondo lavorativo che si disinteressa della marginalità, un sistema giudiziario che – come a noi è stato magistralmente insegnato da Fabrizio De André – si fa grande con i piccoli e piccolo con i grandi “prima di genuflettersi nell'ora dell'addio, arbitro in terra del bene e del male”. I media, in Argentina come in Italia come – probabilmente – nel resto del mondo, si interessano al caso particolare ma non alla violenza strutturale di quel sistema che riempie le strade del mondo di “sballi effimeri”, utili solo a rafforzare quei centri di Potere (economici, politici e sociali) che traggono vantaggio dal tenerci indaffarati con “quisquilie e pinzillacchere”.
Ma in Argentina esiste un movimento sociale che è più forte delle crisi socio-economiche e delle dittature: le “Madres”. Conosciamo ormai da trent'anni quelle di Plaza de Mayo che, munite dell'ormai famoso “panuelo blanco” tutti i giovedì sera si riuniscono nell'omonima piazza per chiedere la ricomparsa di quei figli che la dittatura degli anni '70 gli ha portato via. Da qualche anno accanto a loro si possono vedere altre “madri-coraggio”: madri come Isabel e Alicia, che con la loro associazione cercano di combattere il narcotraffico con le uniche armi non-violente che l'umanità abbia mai conosciuto: l'istruzione e l'aiuto reale a ragazze e ragazzi in difficoltà, quello stesso aiuto che non viene da chi ne sarebbe garante per definizione, come quelle forze dell'ordine i cui rappresentanti sono spesso i primi ad essere inseriti nel mercato della droga dal lato dell'offerta.
«Mio figlio Emanuel consumava di tutto, arrivando a rubare per finanziarsi le dosi» - dice Isabel, che ha deciso di mobilitarsi in prima persona proprio a seguito della morte di Emanuel - «Una volta entrati nei centri di recupero facciamo un lavoro specifico con ogni “adicto” in funzione del suo profilo. La relazione con gli altri compagni e la partecipazione delle famiglie sono decisive».
Il problema del “basuco”, così come il problema dei bambini che per le strade del Brasile sniffano colla perché non hanno il denaro necessario a pagarsi una dose di droga “vera” non è un problema dettato da cause individuali, ma è il risultato – studiato e messo in pratica – di un processo strutturale che porta sempre di più ad allargare la forbice economica e sopratutto sociale tra chi ha e chi non ha, tra chi è “centro” e chi è “periferia”. Lo dice in maniera magistrale una tra le più importanti “penne” dell'America Latina qual è quella di Eduardo Galeano: «Si demonizza il tossicodipendente, soprattutto il tossicodipendente povero, così come si demonizza il povero che ruba, per assolvere la società che li genera».
Sarebbe interessante chiedere ai nostri politici, quelli che adesso si stanno adoperando per la distruzione – lenta ma continua – dell'istruzione tra quanto inizieranno a gridare al nuovo “problema sociale” della “droga da discount” (il “paco” circola già per le strade di Barcellona, per cui è solo questione di tempo il suo arrivo anche in Italia). È per questo che la battaglia sull'istruzione, nel nostro paese come nel resto del mondo, non deve essere dimenticata né a livello sociale né mediatico, perché nessun venditore di morte lo si trova lì, tra libri e matite.
Luigi il Grande
USA – Droghe. Paesi piu’ propensi a produzione e traffico: aumenta la lista
Tredici nazioni latinoamericane sono state inserite da Washington nella lista dei Paesi con una particolare incidenza della produzione o del traffico di sostanze stupefacenti. Nel memorandum inviato dal presidente Barack Obama al segretario di Stato Hillary Clinton ci sono Afghanistan, Bahamas, Bolivia, Birmania, Colombia, Costa Rica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Haiti, Honduras, India, Giamaica, Laos, Messico, Nicaragua, Pakistan, Panama, Perú e Venezuela. Nel dossier si sottolinea inoltre che Bolivia e Venezuela non rispettano “in maniera dimostrabile” gli impegni assunti a livello internazionale nel contrasto al narcotraffico. Per la prima volta figurano nell’elenco Honduras e Nicaragua, mentre ne escono Brasile e Paraguay. Il documento precisa che la presenza di un Paese nella lista non significa necessariamente che non ci siano sforzi da parte del suo governo nel combattere il narcotraffico. E la maggiore presenza di stupefacenti non e’ in generale neanche imputabile a mancati accordi di cooperazione con gli Usa, bensi’ a una combinazione di fattori geografici, commerciali ed economici.
In alcuni casi pero’ come quello di Bolivia, Venezuela e Birmania, Washington ritiene che ci siano delle mancanze “dimostrabili” da parte delle autorita’ governative e questo, sottolinea il memorandum, puo’ portare all’applicazione di una serie di sanzioni. Per il momento pero’, il capo di Stato Usa ha deciso di continuare a sostenere i programmi avviati perche’ sono “vitali per gli interessi nazionali degli Stati Uniti”.
Obama esprime preoccupazione per “le grandi sfide” che il traffico di sostanze stupefacenti rappresenta per l’America Centrale, che ha portato all’inclusione nella lista di Nicaragua, Costa Rica e Honduras.”Sono necessarie – sottolinea il documento – misure efficaci per evitare che i contrabbandieri possano spostare la droga per i sette Paesi della regione, cosi’ come nelle acque delle coste dell’Atlantico e del Pacifico, facendola arrivare dai Paesi produttori di coca al sud fino alle organizzazioni di narcotrafficanti in Messico”.
fonte aduc
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Luigi il Grande
La cocaina si sposta in Perù
In Sudamerica la produzione di cocaina è in costante movimento. Appena viene limitata in una regione, aumenta in quella accanto. Lo chiamano effetto palloncino, e ora pare che sia di nuovo il turno del Perù.
Secondo il New York Times i trafficanti messicani e colombiani si stanno spostando verso il Perù per spartirsi quello che presto potrebbe diventare il più grande paese produttore di coca. Un primato che fino a poco tempo fa spettava alla Colombia.
Uno degli aspetti più esasperanti della guerra alla droga in Sudamerica sta proprio nel fatto che una volta che sembra debellata in una regione, la si vede riaffiorare poco dopo in quella accanto. All’inizio degli anni Novanta le grandi coltivazioni di coca iniziarono a spostarsi verso la Colombia, dopo essere state sradicate da Perù e Bolivia. Ma ora in Colombia i narcos sono stati indeboliti dagli attacchi del governo Uribe e il traffico inizia di nuovo a spostarsi verso il Perù.
In particolare le regioni centrali del paese sembrano essere diventate una vera e propria riserva per la produzione di coca. A fine aprile una fazione del gruppo ribelle Sendero Luminoso – che uccise centinaia di migliaia di persone tra il 1980 e il 2000 durante la guerra contro il governo – ha ucciso un poliziotto e altre due persone impegnate nella lotta contro i narcos.
Il ritorno della coca viene celebrato anche dalle canzoni della cumbia, la musica folk importata dalla Colombia, che cantano le gesta dei coltivatori di coca e delle loro famiglie: “cocalero, i tuoi vasi sono vuoti, tua moglie sta piangendo, ma continua a piantare coca e i soldi arriveranno”. Secondo una recente analisi di Jaime Antezana, dell’Università Cattolica del Perù, se i ritmi di produzione continueranno su questo livello il Perù potrebbe superare la Colombia come maggiore esportatore mondiale già entro il 2012.
Luigi il Grande
Osservatorio milanese sulla criminalità organizzata al Nord
Grasso: Per la cocaina gli slavi hanno la stessa forza della ‘ndrangheta
16.11.2010
16 novembre 2010, Apcom
“Pensavamo che la piazza di Milano venisse rifornita di cocaina esclusivamente dalla ‘ndrangheta grazie al rapporto diretto che storicamente i clan hanno con i produttori in Sud America, ma con questa operazione, dal 2007, abbiamo capito che c’era un’altra organizzazione, con la stessa forza, potenza economica e capacità di esclusiva sui canali di approvviggionamento, evidentemente diversi da quelli dei calabresi, e con una continuità forse, anche, maggiore”. E’ quanto ha affermato oggi il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, nel corso di una affollata conferenza stampa indetta alla Questura di Milano per illustrare la vasta operazione antidroga della locale Squadra mobile, in collaborazione con i colleghi serbi, sloveni e montenegrini, che ha “decapitato” un’organizzazione criminale internazionale. “Questo non vuol dire che la ‘ndrangheta non continui a trafficare in stupefacenti” ha precisato Grasso, spiegando che in questa indagine, tra i clan calabresi e le cellule slave “non sono emersi contatti stabili” e che Milano “è una piazza molto grande e libera in grado di assorbire senza particolari problemi anche nuovi soggetti” e per questo “fino ad oggi non è stata teatro di scontro”, ma certamente gli slavi, introducendo “un nuovo canale di approvviggionamento, parallelo a quello delle famiglie calabresi, hanno portato un’importante concorrenza”. Secondo le indagini, uno dei punti chiave della forza dell’organizzazione balcanica era il fatto di consegnare ad un prezzo concorrenziale enormi quantità di cocaina direttamente nel luogo che gli veniva indicato dall’acquirente, facendo pagare lo stupefacente alla consegna, facendosi carico del trasporto ed evitando la spesa e il rischio connesso all’intermediazione di un broker. Per questo referenti di clan come Barbaro-Papalia e Mancuso, che hanno storici canali di approviggionamento in paesi produttori come la Colombia, avevano deciso di rifornirsi dagli slavi, giudicati sempre “molto affidabili e sicuri”.
Luigi il Grande
Esportatori di oppio
esportatori di oppio
In un’intervista uscita su “Il Messaggero” di ieri la principessa India d’Afghanistan, figlia di Amanullah Khan, il re che governò il paese dal 1919 al 1929 portandolo all’indipendenza dalla Gran Bretagna, ed oggi ambasciatrice dei diritti umani dell’Afghanistan presso l’Unione Europea, si pone un interrogativo: ”Le coltivazioni (di oppio ndr) sono molto estese e ben visibili anche di notte, i fiori sono alti ed hanno colori sgargianti: perchè gli americani per scovare Bin Laden hanno bombardato il sud del paese con bombe all’uranio impoverito, che hanno minato il sottosuolo e prodotto nubi tossiche che stanno causando seri problemi di salute e malformazioni ai neonati e agli animali, e non hanno distrutto i campi?”. Interrogativo evidentemente retorico, data la risposta che ella stessa dà: “Ci sono troppi interessi coinvolti in tutto questo e non è chiaro chi vuole cosa e quali siano le alleanze. L’invasione anche completa del paese non serve se l’Occidente vende armi ai talebani e compra l’oppio”. Quelle della principessa India non sembrano essere le uniche dichiarazioni atte a denunciare questa “mala pratica”, tipica dell’imperialismo americano ma dalla demagogia politica dei governi asserviti agli USA mascherata da operazione umanitaria finalizzata all’esportazione di democrazia; ecco infatti quanto emerge da un lancio dell’agenzia ASCA di qualche giorno fa: ”E’ considerata la capitale mondiale dell’eroina e continuera’ ad esserlo ancora per molto tempo. Malgrado l’Operazione Mushtarak, l’offensiva sferrata contro i talebani dalle truppe della Nato, abbia riconsegnato alle autorita’ afgane il controllo sulla citta’ di Marjah e sull’intero distretto di Nadali, nella provincia di Helmand le coltivazioni del papavero da oppio non sembrano destinate ad essere sradicate. Ne parla un servizio di PEACEREPORTER, nel quale si sottolineano le promesse non mantenute degli emissari del governo Karzai, che dopo oltre due anni di contropotere talebano, hanno garantito la riapertura delle scuole, il rispetto delle liberta’ civili della popolazione e la lotta al narcotraffico. Ma nei giorni scorsi, un esponente del governo afgano che ha chiesto di non rendere pubblico il suo nome ha dichiarato a Irin News, l’agenzia giornalistica dell’Onu, che al di la’ delle dichiarazioni ufficiali, le autorita’ hanno informalmente concesso ai contadini del distretto di continuare a produrre oppio, per non alienarsi il sostegno della popolazione locale. Una conferma esplicita viene dal nuovo governatore di Marjah: ”Bisogna stare attenti con la questione dell’oppio: non lotteremo contro il narcotraffico distruggendo le piantagioni”, ha dichiarato Haji Abdul Zahir all’inviato del Miami Herald, che a Marjah ha parlato anche con il maggiore dei Marines David Fennell: ”Noi non siamo venuti qui per sradicare i papaveri”. ”L’unico vero scopo dell’operazione ‘Moshtarak’ – spiega a Peacereporter Safatullah Zahidi, un giornalista locale – era mettere le mani sulle piantagioni di papavero da oppio. E quelle di Marjah e del suo distretto, Nadali, sono le piu’ grandi e produttive di tutto l’Afghanistan. Grazie all’operazione Moshatarak sono tornate sotto controllo del governo e degli americani, giusto in tempo per il raccolto di marzo. E ora faranno lo stesso con le piantagioni della seconda principale zona di produzione di oppio, quella di Kandahar”. Secondo l’ultimo rapporto del dipartimento antidroga delle Nazioni Unite (Unodc), la provincia di Helmand produce da sola quasi il 60 per cento di tutto l’oppio afgano (4 mila delle 6.900 tonnellate totali e 70 mila ettari di piantagioni su un totale nazionale di 123 mila) e l’Afghanistan produce il 90 per cento dell’eroina circolante nel mondo”.
Contemporaneamente ci giungono dalla Russia i dati sugli effetti devastanti dovuti all’incremento esponenziale dei traffici di droga nel paese di Putin:
“Secondo il rapporto dell’Ufficio sulle Droghe ed il Crimine dell’ONU, presentato lo scorso febbraio a Vienna durante i lavori della relativa Commissione, la Russia oggi è seconda solo all’Europa nell’uso di derivati dall’oppio di produzione afghana (eroina inclusa), e prima tra i singoli Stati. Quando era ancora in Afghanistan, Osama bin Laden predisse che “essi moriranno per le nostre droghe”. Per “essi” egli intendeva la Russia, che all’epoca sosteneva attivamente il rivale storico Ahmad Shah Massud. Bin Laden mantenne la parola: la sua dichiarazione risale al 1999, e nel successivo decennio il numero dei tossicodipendenti in Russia si è decuplicato. Ogni anno vengono consumate circa 80 tonnellate di eroina afghana, il 20% della produzione totale di tale sostanza nel Paese centro-asiatico ed il 90% di quella complessivamente consumata in Russia. Che conta per il 15% del consumo delle droga afghana, mentre ad esempio la Cina, con la sua enorme popolazione, “solo” per il 12%. Nemmeno la riduzione significativa della superficie coltivata ad oppio, da 193.000 ettari nel 2007 a 123.000 nel 2009, modifica i termini della questione, in quanto è contemporaneamente incrementata la relativa produttività e lo scorso anno la produzione si è attestata attorno alle 7.000 tonnellate, per un valore di 65 miliardi di dollari. Tutti questi dati di fonte ONU vengono confermati dalle autorità russe. Viktor Ivanov, responsabile del Servizio Federale per il Controllo della Droga, ha affermato che in Russia vi sono tra 2 e 2,5 milioni di tossicodipendenti, dei quali solo 500.000 ufficialmente censiti. Il numero di tossicodipendenti cresce di 80.000 all’anno, mentre vi sono fra i 30.000 e 40.000 decessi legati all’uso di droghe, annualmente. Tre sono le rotte attraverso cui la droga esce dall’Afghanistan. La più importante, per il 35-40% del totale, passa per l’Iran e poi giunge in Europa occidentale dai Balcani. La seconda, che vale per un 25-30%, è quella che più di tutte convoglia la droga verso la Russia attraverso le ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. La terza, per un restante 25-30%, passa per il Pakistan e poi arriva fino in Europa via mare. E’ quindi comprensibile l’indignazione che la Russia va esprimendo ultimamente nei confronti del ruolo fallimentare della NATO nel contrastare la coltivazione di oppio in Afghanistan. Ad iniziare dall’ambasciatore russo presso l’Alleanza, Dmitry Rogozin, che ha definito “l’aggressione dell’eroina” come “la principale minaccia” al proprio Paese, dicendosi sicuro che la NATO non adotterà misure aggiuntive contro i narcotrafficanti afghani per evitare ulteriori perdite di truppe. Continuando con Alexander Kozlovsky, vice presidente del comitato affari esteri del Parlamento russo, che ha duramente criticato la NATO in quanto “praticamente si è messa a guardia dei campi dove le droghe vengono coltivate”. Il già citato Ivanov ha riferito che il numero di arresti di narcotrafficanti in Afghanistan è diminuito di 13 volte e la chiusura di laboratori per la lavorazione della materia prima di 10 volte, negli ultimi tre anni. Si è inoltre registrato un sensibile declino nel volume di oppio sequestrato, nel 2009 solo 140 tonnellate, un misero 2% del prodotto totale. Ivanov ha quindi espresso forte preoccupazione anche per l’allarmante aumento del transito di droga verso il Daghestan, l’instabile regione nel Caucaso russo, che favorisce la criminalità e le attività terroristiche. Ha infine fatto notare come negli ultimi anni l’ONU abbia sempre più eluso le proprie responsabilità nell’attuazione dei programmi di lotta alla droga, lasciando campo libero alla NATO la quale a sua volta ha delegato le autorità locali. Quelle medesime autorità che, dopo aver assunto il controllo della città di Marjah e dell’intero distretto di Nadali al termine della recente operazione Moshtarak condotta dalle truppe dell’ISAF congiuntamente all’esercito afghano, hanno informalmente concesso ai contadini di continuare a produrre oppio.
Analizzando le dichiarazioni di Bin Laden datate 1999 circa l’uso strategico dell’oppio per fiaccare il nemico e la loro reale consistenza, non possiamo che consigliare alla Russia di adottare una drastica misura che sappia proteggere il paese dall’offensiva talebana, dunque americana di oppio. Se gli USA adottano lo scudo antimissilistico sul versante occidentale, la Russia escogiti una sorta di “scudo antioppiaceo” sul versante orientale. Del resto, contro chi fa dell’inganno il proprio strumento di battaglia, è opportuno pensare a sistemi di difesa anche inusuali, purchè efficaci.
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Luigi il Grande
NARCOTRAFFICO - L’Eden della Droga (3)
22 febbraio , di Melanie Andre’
Nei due articoli precedenti si è notato come la diffusione delle sostanze stupefacenti abbia raggiunto una dimensione globale, al punto da rappresentare un potere enorme, una fonte di profitti inestimabili, una penetrazione così profonda nelle varie società, da doversi ritenere inestirpabile e fortementecondizionante.
Dopo aver parlato delle fonti della droga situate nell’emisfero occidentale, è
ora la volta dell’Oriente e del Medio Oriente.
Tra le sostanze stupefacenti il triste primato di determinare in misura prevalente la tossicomania appartiene agli oppiacei, tra i quali un ruolo preminente spetta all’EROINA.
Inutile qui affrontare le ragioni che favoriscono la coltivazione del papavero. Forse non sarebbe inutile che varie emittenti televisive riproponessero il film di cui si è parlato all’inizio.
Per quanto attiene alle motivazioni all’origine della coltivazione del papavero, non è più sostenibile la tesi delle precarie condizioni di vita e della lentezza dello sviluppo del processo socio/economico.
La dottrina militare afferma che per neutralizzare una potenziale minaccia bisogna annientarla alla fonte.
Dove fiorisce il papavero
Non è certo una novità che i maggiori paesi coltivatori di <papaver somniferum> siano Iran, Afghanistan, Pakistan (<mezzaluna d’oro>), Turchia, Siria, Libano e India (paesi compresi nell’area meridionale che partendo dall’altopiano dell’Anatolia prosegue su buona parte del continente asiatico)
e ancora, Thailandia, Birmania e Laos (<triangolo d’oro>) nell’Estremo Oriente, cui si aggiungono quasi a due opposti estremi, la Cina e il Messico.
Le fonti consultate, precisano che il conseguente traffico trae origine dall’ imponente, massiccia produzione di oppio nei paesi asiatici del Medio ed Estremo Oriente e che si presenta alquanto diffuso e articolato.
rimane sempre uno stupefacente con un solido mercato.
della droga.
Altri approdi per i carichi di stupefacenti sono, come noto, in Puglia e in Sicilia.
Negli ultimi anni la produzione media di oppio grezzo è oscillata tra le 2300
e le 3000 tonnellate annue. In alcuni paesi sotto la pressione dei governi tale produzione è diminuita (sensibilmente in Pakistan, molto più contenuta in Thailandia), in altri paesi invece la produzione è notevolmente aumentata (sino allo scorso anno nell’Afghanistan dei Talebani, e tuttora in Birmania),
in Iran, invece, è stabile, sui livelli di dieci anni fa.
Per quest’ultimo paese, si tratterà di vedere quale sarà la linea del governo di transizione e quali accordi verranno raggiunti tra le varie tribù che dall’oppio hanno sempre tratto le risorse per acquistare armi, munizioni, equipaggiamenti allo scopo di potersi combattere e conquistare in tal modo la preminenza su determinate aree del paese asiatico, dove, guarda caso, la produzione dell’oppio è più rigogliosa, come pure delle aree dove si concentrano i nodi delle comunicazioni. E questo per disporre di argomentiidonei a garantirsi credibilità nei rapporti con i vari partner internazionali.
La produzione di eroina
Ai dati relativi alla produzione dell’oppio si correlano quelli della produzione di eroina.
Altri dati di massima.
Sempre sulla base di dati accessibili, suscettibili di variazioni, mentre la maggior produzione di oppio vede ai primi posti paesi come la Birmania, l’Iran e l’Afghanistan, quella di eroina si distribuisce su altri modelli geo/economici e questo a causa delle situazioni politico militari di alcuni paesi, come indicato, e dell’oneroso (dal punto di vista tecnico scientifico)
lavoro di trasformazione che prevede l’intervento di personale/specializzato.
In base ai dati in nostro possesso, l’eroina viene in sintesi prodotta nelle seguenti aree:
Sud/Est asiatico (Thailandia, Malaysia, Regioni meridionali dell’India) circa il 60% dell’eroina prodotta;
Medio Oriente, circa il 25%
Messico, il 5%
Hong Kong, il 5%.
Nuove zone di produzione: Albania, ex Repubbliche sovietiche.
Diversi anni fa, la produzione di eroina avveniva anche in Turchia, in Sicilia e in zone meridionali della Francia, ma le pressioni della polizia hanno indotto la mafia turca, quella siciliana e i clan marsigliesi a desistere e ad affidare la produzione di eroina a “colleghi” dislocati in paesi (ad esempio Albania, Macedonia e ora Kosovo) dove le forze di polizia erano e sono meno preparate o meno “indirizzate” nel settore del narcotraffico.
Il “giro d’affari” dell’eroina
Il “fatturato” dell’industria della sola eroina supera i 140 mila miliardi delle vecchie lire, cui concorrono con oltre 25/28 mila miliardi gli Stati Uniti, con 35/40 mila miliardi circa l’Europa, con circa 65 mila miliardi i paesi asiatici; il rimanente dal resto del mondo.
Altri dati di riferimento sono i seguenti:
Circa la possibilità di sradicare le coltivazioni di oppio, bisogna tener conto di alcune situazioni oggettive.
l’uso di droghe come l’oppio, ha radici talmente profonde in alcune società
asiatiche da ritenere scarsamente percorribile l’ipotesi di una totale estinzione del fenomeno nei prossimi decenni, in quanto vasti strati della popolazione locale non giudica <deviante> l’uso di tale stupefacente.
Vi è poi da considerare l’aspetto finanziario legato ai processi di raffinazione.
Un business che vede attorno al “tavolo” delle spartizioni di territori e di profitti: cosa nostra, mafia siciliana, in parte più modesta la camorra, mafia
turca, clan del marsigliesi, mafia cinese e mafia giapponese) operanti in maggior misura a Hong Kong e nel Nord America) e, da qualche anno, ma non in posizione subordinata, la mafia russa, con i suoi satelliti: mafie balcanichee delle ex repubbliche sovietiche e mafia nigeriana.
Luigi il Grande
La Dipendenza da Eroina (Dipendenza ed abuso di Eroina)
La Dipendenza da Eroina è una grave forma di dipendenza psico-fisica indotta e mantenuta dall'assunzione continuativa ed eccessiva di eroina.
L'Eroina è una sostanza ottenuta mediante una reazione chimica dalla Morfina, estratta a sua volta dai semi di alcune varietà di papavero.
Per questo essa è definibile anche come Diacetilmorfina e rappresenta ad oggi una delle droghe più potenti e letali in circolazione.
Entrambe appartengono alla classe di sostanze definite Oppiacei. Tra di essi vi sono quelli naturali come la Morfina, i semisintetici come l'Eroina ed infine quelli sintetici come l'Idromorfone, il Metadone, l'Ossicodone, la Meperidina ed il Fentanil (o Fentanile), utilizzati nella produzione di farmaci Antidolorifici.
L'Eroina venne scoperta nei primi del Novecento in Germania ed utilizzata in medicina come sedativo ed anestetico, ma in quel periodo non si conosceva ancora il suo potenziale altamente dannoso.
Quando poi vennero scoperti i pesanti effetti collaterali l'utilizzo della sostanza oppiacea fu bandito.
L'Eroina viene illegalmente venduta sottoforma di polvere bianca o marrone oppure in barrette scure, a seconda delle impurità residue o perchè mischiata ad altre sostanze, ed il suo consumo avviene solitamente per via endovenosa, ma può anche essere inalata o fumata.
In tal modo oltre ai rischi connessi alla dipendenza, vi sono quelli connessi all'uso e allo scambio di siringhe infette che può comportare malattie gravissime come l'epatite o l'aids.
L'utilizzo dell'Eroina provoca modificazioni neurochimiche che apportano sedazione e una forte sensazione di piacere, rilassatezza, sicurezza e benessere generale, spingendo l'individuo al suo riutilizzo.
Purtroppo però l'uso ripetuto di eroina può comportare la comparsa in breve tempo (nel giro di poche settimane) di una vera e propria dipendenza psico-fisica.
Tale situazione patologica si può rilevare da fenomeni quali Tolleranza, ovvero la necessità di aumentare progressivamente la dose di eroina per poter sperimentare gli stessi effetti precedenti, Astinenza, cioè sintomi fisiologici e psichici negativi nel momento in cui la sostanza non è disponibile, ed infine Craving, ovvero la produzione di continui pensieri e di intensi impulsi e desideri verso il procurarsi e l'utilizzare l'Eroina stessa.
Questa propensione compulsiva, porta l'individuo alla continua ricerca dell'eroina con le conseguenti spasmodiche azioni di reperibilità dei soldi per poterla pagare. Il consumo e l'abuso, con la conseguente dipendenza, portano poi effetti pesanti ed il continuo impegno mentale, fisico e pratico per procurarsi, consumare e riprendersi dalla sostanza. Vengono dunque gradualmente sgretolate le varie sfere vitali come quella familiare, affettiva, lavorativa, sociale, etc.
L'Astinenza da Eroina, che sopraggiunge nel giro di pochi giorni, può comportare gravi sintomi come crampi e dolori muscolari, lacrimazione e midriasi (dilatazione della pupilla), insonnia e sonno disturbato, erezione pilifera, tremore, ansia, depressione, sudorazione eccessiva, vomito, febbre, disturbi gastro-intestinali, aggressività, suscettibilità.
Questo quadro sintomantologico, insieme alle dinamiche di dipendenza psicologica, scoraggia molti individui dall'interrompere l'assunzione della droga e nel caso in cui vi sia stata una interruzione i suddetti sintomi spingono verso il riutilizzo della sostanza.
Interrompendo l'utilizzo di Eroina la Tolleranza diminuisce sensibilmente, ma il rischio è quello di incorrere in un cosidetto "overdose".
Tale pericolosa dinamica fisiologica che può portare anche alla morte, deriva dall'assunzione di una grossa quantità di eroina o dal consumo dopo un certo periodo durante il quale l'assuefazione alla sostanza (Tolleranza) si è degradata.
In questi casi l'effetto deprimente dell'Eroina sul sistema nervoso centrale, e di conseguenza inibente sulle principali funzioni vitali, come la respirazione e la frequenza cardiaca, è ancora più forte e deleterio.
La persona entra in tal modo in uno stato comatoso detto appunto di overdose, caratterizzato da calo della temperatura corporea, rigidità, respirazione e battito cardiaco rallentati e possibile conseguente morte.
A livello fisiologico le principali conseguenze dell'assunzione ripetuta di Eroina sono: nausea, vomito, sonnolenza o insonnia, inappetenza, tremori, vampate di calore, problemi renali ed epatici, denutrizione, epatite, aids o altri virus, riduzione della temperatura corporea, ipotensione cardiaca e depressione respiratoria.
Altri rischi e sintomi fisici possono essere dati dall'assunzione contemporanea di eroina ed alcol o altre sostanze ancora, tutte quante deprimenti sul sistema nervoso centrale con conseguente ancor più probabile insufficienza respiratoria e cardiaca.
Sul piano mentale si possono invece verificare: ansia, umore altalenante, aggressività, impulsività, euforia, percezione di se stessi e della realtà distorte.
Alla base del utilizzo e dell'abuso di Eroina, fino alla dipendenza vera e propria, vi possono essere dinamiche mutlifattoriali, ovvero sia caratteristiche neuro attivanti della sostanza stessa, fortemente influenti appunto a livello neurale e psico-emotivo, ma anche caratteristiche personali, come l'intenso desiderio di staccarsi da dolori e sensazioni spiacevoli di vario genere e grado.
Luigi il Grande
La Dipendenza da Cocaina (Dipendenza ed abuso di Cocaina)
La Dipendenza da Cocaina è una grave forma di dipendenza indotta e mantenuta dall'assunzione continuativa ed eccessiva di Cocaina, principio attivo estratto dalla Pianta di Coca, originaria degli Altipiani delle Ande, una delle più importante catene montuose dell'America Latina.
La Cocaina è un potente e pericoloso stimolante del sistema nervoso, annoverabile tra le droghe più potenti al mondo. Si ottiene, come detto, dalle foglie di Coca, le quali venivano masticate già dai nativi del Sudamerica per inibire le sensazioni di fatica e stanchezza e per il suo effetto altamente stimolante.
Esiste anche il cosidetto "Crack", ovvero una sostanza stupefacente ottenuta dalla Cocaina mediante un procedimento chimico chiamato "lavaggio" che ne elimina le impurità, ovvero le altre sostanze mescolate ad essa, e che cristallizza la Cocaina stessa.
Questo processo rende tale sostanza ancora più potente e per di più può esser fatto anche dal consumatore stesso, il quale poi solitamente riscalda e fuma il Crack ottenuto in pipe ricavate artigianalmente da bottiglie o lattine. Il nome Crack deriva infatti dal rumore che i cristalli di cocaina emettono quando vengono fumati.
La Cocaina agisce sulle aree profonde del cervello bloccando la Dopamina tra una sinapsi e l'altra (ovvero negli snodi comunicativi del sistema nervoso) e provocando in tal modo continui segnali di benessere con conseguente piacevolezza, euforia, iper attivazione, energia e disinibizione.
Sono proprio tali forti sensazioni che innescano e mantengono una vera e propria Dipendenza, caratterizzata da Tolleranza, cioè necessità di quantità di Cocaina sempre maggiore per raggiungere gli effetti precedenti, e da Craving, definibile come l'insieme di quegli intensi pensieri e desideri circa il ricercare e l'assumere la sostanza stessa.
Sembra invece non siano evidenti sintomi di Astinenza, ovvero sensazioni sgradevoli nel caso in cui la sostanza non possa essere reperita ed assunta, anche se la tendenza è quella di continuarne l'assunzione.
Comunque alcune volte, soprattutto in seguito all'assunzione di grosse quantità di Cocaina e alla sua più o meno forzata successiva assenza, possono evidenziarsi sintomi come: spossatezza, anedonia, insonnia o ipersonnia, presenza di sogni vividi e spiacevoli, agitazione o rallentamento motorio e cognitivo, flessione dell'umore.
La Cocaina ha un fortissimo effetto euforizzante e la dipendenza può innescarsi anche dopo aver consumato la sostanza per un breve periodo.
Essa può essere inalata, fumata o inniettata ed il suo uso ripetuto può portare, come detto, a dipendenza e dunque a conseguenze psico-fisiche fortemente negative.
A livello fisiologico può provocare irritazione nasale (se inalata), tremori, contrazioni muscolari, emicrania, vertigini, aumento di pressione e temperatura, frequenza cardiaca irregolare, improvvisi infarti ed ictus, edemi polmonari e problemi respiratori, perdita di peso e malnutrizione.
Sulla parte psicologica invece la cocaina può portare ansia, agitazione, paranoia con allucinazioni e deliri, irritabilità, insonnia, confusione mentale, depressione, riduzione della percezione di realtà e di rischio, sensazioni surreali di potenza e capacità, comportamento aggressivo, ipervigilanza ed iperattivazione.
Molteplici studi hanno posto in evidenza l'esistenza di una interazione che rende esponenziali rischi e pericoli legati all'assunzione di sostanze diverse nello stesso momento; ad esempio quella contemporanea di Cocaina ed Alcol.
Se infatti queste sostanze vengono assunte insieme si forma il cosidetto "Cocaetilene", i cui effetti patologici sia a livello fisico, che psicologico sono ancor più potenti e di conseguenza maggiormente pericolosi e dannosi.
Alla base dell'utilizzo e della possibile Dipendenza dalla Cocaina vi sono sia caratteristiche chimiche della sostanza, altamente attivanti a livello neurologico e psico-emotivo, che fattori soggettivi, come il personale desiderio di sentirsi più forti, reattivi, capaci, disinibiti, prestanti, etc.
Luigi il Grande
La Dipendenza (Dipendenze e Nuove Dipendenze / Dipendenze da sostanze e Dipendenze senza sostanze)
La Dipendenza è caratterizzata dal bisogno assoluto ed irrefrenabile, di tipo psicologico e/o fisiologico, di una certa situazione, oggetto o sostanza.
I sintomi tipici possono essere allora sia di tipo psico-cognitivo, che fisiologico e comportamentale; inoltre la Dipendenza comporta problematiche sempre più serie e cronicizzanti a livello sociale, lavorativo, familiare ed affettivo, ovvero in tutte le parti vitali dell'esistenza della persona.
La Dipendenza può instaurarsi sia con l'abuso di una certa sostanza psicoattiva, che con quello di una certa situazione e quindi senza che vi sia una specifica molecola chimica alla sua base.
In tal modo il quadro sintomatologico della Dipendenza può gradualmente e dannosamente verificarsi con ad esempio l'utilizzo eccessivo di alcol, eroina, nicotina, etc., ma anche di internet, del gioco, del sesso, del lavoro, dell'attività fisica, etc.
La Dipendenza, al di là della situazione, oggetto, sostanza, etc. che la provoca, si connota sempre con le seguenti caratteristiche:
- continua ricerca della sostanza o situazione (Craving) con perdita di gestione sul pensiero e sul comportamento indirizzati unicamente verso tale spasmodica ricerca;
- perdita progressiva del controllo sull'utilizzo di ciò che provoca Dipendenza;
- necessità di aumentare la dose quantitativa o spazio-temporale per ottenere il medesimo effetto provato precedentemente (Tolleranza o Assuefazione);
- presenza di Astinenza più o meno grave nel caso in cui venga sospeso l'utilizzo di ciò che provoca Dipendenza;
- compromissione sempre più grave dei molteplici contesti vitali come quello sociale, lavorativo, familiare, affettivo, etc.
Il tempo e le energie psicologiche e fisiche vengono dunque sempre più utilizzate nella ricerca e nell'utilizzo della sostanza o di una certa situazione.
Tale ricerca ed utilizzo aumentano progressivamente fino a diventare compulsione e ad assumere livelli sempre più alti e pericolosi di ansia e stress. Le varie sfere che compongono la vita dell'individuo vengono allora man mano trascurate e gradualmente compromesse.
Chi è afflitto da Dipendenza non riesce più allora ad avere il controllo sui propri impulsi psico-fisici raggiungendo certi sintomi e conseguenze come:
- discontrollo sui pensieri e sui comportamenti;
- continui pensieri sulla sostanza e/o sulle modalità con le quali procurarsela;
- elevati livelli di ansia;
- depressione e/o altri disturbi dell’umore;
- impulsività ed aggressività;
- senso di colpa, di vergogna e abbassamento dell’autostima;
- ossessioni e compulsioni;
- problemi del sonno;
- problemi di concentrazione, attenzione e memoria;
- forte dispendio economico (per tutto ciò che concerne la ricerca e l'utilizzo della sostanza o di una certa situazione);
- seri problemi nei rapporti interpersonali (alcune volte con la loro perdita);
- seri problemi nel lavoro (alcune volte con la sua perdita);
- isolamento;
Questi sintomi generano e tenegono attivo un circolo sempre più vizioso in cui pensieri e comportamenti verso la Dipendenza provocano tensione, ansia, rabbia, stress, colpa, le quali a loro volta innescano ulteriori impulsi ed atteggiamenti di Dipendenza.
Alcune volte purtroppo la persona afflitta da Dipendenza può mettere a rischio la propria libertà, sicurezza ed incolumità, così come quella delle altre persone, pur di assecondare la propria dipendenza.
Luigi il Grande
La Dipendenza da Amfetamine - o Anfetamine (Dipendenza ed abuso di Amfetamine) / Ad es. Amfetamina e Metamfetamina - o Anfetamina e Metanfetamina /
Le Amfetamine (o Anfetamine) sono dei potenti stimolanti del sistema nervoso e possono provocare dipendenza psicologica, assuefazione e seri danni neurologici, così come conseguente forte menomazione nelle varie sfere vitali della persona.
Queste sostanze, proprio come la Cocaina, provocano un accumulo del neurotrasmettitore Dopamina con l'inibizione del suo riassorbimento (così come maggiore produzione di Adrenalina e Noradrenalina). Tale eccessiva presenza causa una iper stimolazione celebrale che fornisce sensazione di euforia, forza, sicurezza e benessere.
Vi è inoltre un incremento della vigilanza e della capacità di concentrazione, del senso di potenzialità psico-fisica, della loquacità ed una perdita della percezione di stanchezza e di fame.
A differenza però della Cocaina, le amfetamine sono metabolizzate ed eliminate molto più lentamente dall'organismo, con effetti quindi maggiormente lunghi, intensi e dannosi.
Le Amfetamine vennero sintetizzate negli anni trenta da Gordon Alles, chimico statunitense alla ricerca di sostanze sintetiche sostitutive per farmaci contro l'asma, fino a quel momento aventi come principio attivo l'Efedrina, di difficile estrazione dalla Pianta originaria Efedra. In tal modo egli riuscì a sintetizzare dapprima l'Amfetamina (o Anfetamina), e poi da essa la Metamfetamina (o Metanfetamina).
Iniziò allora la diffusione delle Amfetamine, le quali ebbero subito un grande successo. Questo per l'efficacia nel trattamento delle affezioni asmatiche, ma anche e soprattutto per le loro proprietà molto stimolanti, scoperte per caso dalle persone che ne facevano uso.
Tale caratteristica sottese la distribuzione di amfetamine ai soldati americani durante il secondo conflitto, questo per renderli appunto maggiormente efficienti e per sostenerli psicologicamente.
Successivamente tanti studenti americani iniziarono l'assunzione di queste sostanze per poter preparare e superare gli esami e molte altre persone a consumarle contro esaurimenti nervosi e stati depressivi, così come per dimagrire, in virtù della loro ulteriore azione fortemente repressiva sull'appetito.
Tutto questo provocò, ed ancor oggi produce, un utilizzo eccessivo di Amfetamine, fino a molteplici casi di vera e propria dipendenza, con le conseguenti caratteristiche e dannose problematiche psico-fisiche tipiche delle dipendenze da sostanze.
Il potenziale di produzione, diffusione e consumo delle Amfetamine è purtroppo molto elevato a causa degli ingredienti abbastanza economici e di facile reperibilità che servono per produrle.
Inoltre esse possono essere utilizzate come sostanze eccipienti per confezionare LSD o Ecstasy, aggiungendo in tal modo i loro effetti negativi e possibili danni a quelli, ugualmente pericolosi e gravi, dei suddetti allucinogeni.
Le Amfetamine possono essere fumate, sniffate ("Snorting"), ingerite o iniettate e tra esse la via endovenosa è quella che produce effetti in tempi più veloci (quasi immediati), mentre le altre modalità di assunzione inducono iper attivazione e benessere nel giro di alcuni minuti.
In specifico la Metamfetamina è chimicamente strutturata in modo simile rispetto all'Amfetamina, ma possiede effetti maggiormente intensi sul sistema nervoso. Entrambe, come già accennato, inducono una forte euforia ed un generale aumento dell'attività psico-fisiologica, una diminuzione del senso di stanchezza e di fame, una sensazione di benessere diffuso ed umore elevato.
La Metamfetamina come droga d’abuso e dipendenza è conosciuta e definita "Speed", "Ice", "Crystal", "Shaboo" o "Cranck". Essa si presenta come una polvere bianca e cristallina, inodore, amara al sapore e solubile in acqua o altri liquidi come ad esempio l'Alcol.
I suoi effetti iniziano con un "Flash" iniziale di alcuni minuti, ovvero un senso di attivazione ed agitazione molto alto, ed hanno una lunga durata, dalle 3 alle 6-8 ore.
L'abuso e la conseguente possibile dipendenza da amfetamine comportano sintomi di Tolleranza, cioè la necessità di aumentare nel tempo la dose di sostanza per ottenere gli stessi effetti delle precedenti assunzioni, e di Craving, ovvero la presenza di impulsi e pensieri fissi sul procurarsi e sul consumare le amfetamine, a danno di ogni altro settore vitale della persona, come quello sociale, familiare, lavorativo, affettivo, personale, etc., ulteriormente menomati dalle energie e dai lunghi periodi spesi dalla persona a cercare tali sostanze e a riprendersi dai loro effetti negativi.
Non sembrano invece esservi marcati sintomi di Astinenza fisica, anche se, quando l'assunzione viene sospesa, possono essere rilevati a livello psichico segni di lentezza psicomotoria o agitazione, ansia, apatia, anedonia, stanchezza, depressione, sonnolenza (ipersonnia) o scarsità di sonno (insonnia), sogni vividi e spiacevoli, pensieri e desiderio circa la sostanza, paranoia, suscettibilità ed aggressività.
Per evitare tale quadro sintomatologico e per risperimentare gli stati euforici la persona è spinta a consumare nuovamente le Amfetamine, entrando in un circolo sempre più stretto e dannoso: la dipendenza da tali sostanze.
La sensazione e lo stato di grande energia che esse forniscono provocano, alla loro dissolvenza, un totale esaurimento psico-fisico.
In specifico a livello psicologico, con il consumo continuato ed eccessivo di Amfetamine, si manifestano ansia, insonnia e problemi di sonno, umore alterato, confusione mentale, ossessioni, comportamenti aggressivi.
Possono comparire anche sintomi psicotici come allucinazioni, paranoia e deliri, così come comportamenti antisociali, pericolosi per se stessi e per gli altri ed infine ideazione suicidaria.
Sul piano fisico vi sono invece disturbi visivi, midriasi (dilatazione pupillare), vertigini, emicrania, secchezza della bocca, irrigidimento dei muscoli mandibolari, bruxismo (tendenza a digrignare i denti), problemi cardiaci e vascolari (ad esempio aritmia o aumento della pressione), innalzamento della temperatura, tremori, iper sudorazione, attività motoria aumentata, perdita di appetito, intossicazione da piombo (usato molto spesso come reagente chimico nella produzione), epatite e virus (ad esempio l'HIV; nei casi di assunzione per via endovenosa e scambio di siringhe).
Possono inoltre essere possibili gravi danni neurologici e morte per overdose a causa di una crisi cardiocircolatoria o di un colpo di calore per l'innalzamento della temperatura e la disidratazione, ulteriormente complicate dalla mancata percezione della necessità di bere.
In linea generale con l'abuso e la Dipendenza da Amfetamine il livello di alterazione psico-fisica, la sua durata e le sue conseguenze negative sono legati a molteplici fattori come: le personali caratteristiche psico-emotive e fisiologiche, il contesto di utilizzo, le aspettative della persona, la modalità di consumo, ed infine la dose, la qualità e la tipologia (ad esempio la quantità di principio attivo) delle stesse amfetamine assunte.
Luigi il Grande
Nacotraffico: un problema senza aiuti
lunedì 28 giugno 2010
Russia, Iran e Pakistan rappresentano le prime tappe della droga. Dubai, Quetta (Pakistan) e qualche altra città del centr’Asia sono le capitali finanziare, dove i soldi vengono spostati con l’Hawala (un metodo veloce, che non fa rintracciare i clienti e una rete di dealer che permettono che il denaro si trasferisca ma non si sposti).
Una volta Russia e Pakistan erano le nazioni dove l’oppio veniva raffinato, ora l’Afghanistan è più organizzato, gli elementi chimici necessari vengono fatti entrare di contrabbando, la pianta viene raffinata e trasformata in eroina.
Poi viene stoccata (si parla di una riserva afgana che può soddisfare il "bisogno" mondiale per due anni) e trasferita. Via terra con camion, carri, cammelli attraverso confini che sono ovunque permeabili, perché incontrollabili: solo tra Iran e Afghanistan ci sono 900 chilometri di frontiera comune. Da questi paesi poi via nave o aereo raggiungono le loro destinazioni principali, l’Asia e l’Europa.
Il mercato annuale dell’oppio vale 65 miliardi di dollari. Negli ultimi due anni le Nazioni Unite hanno registrato un calo della produzione nelle regioni dove ci sono state numerose operazioni della Dea americana con un’ottantina d’agenti che si muovono sganciati dai contingenti, ma soprattutto dove è più solida la presenza dello Stato afgano (che spesso però sostiene il traffico di droga).
I militari inglesi hanno richiesto la rimozione di governatori locali, sindaci, amministratori, nonché del fratello del presidente di Karzai, considerato il capo del cartello della droga nella provincia di Helmand.
Negli ultimi anni, come scrive Viktor Ivanov su L’Espresso del 18 giugno, negli ultimi anni l’eroina ha travolto la Russia come uno tsunami silenzioso ed oggi essa è la più grande consumatrice mondiale di stupefacenti: in Russia ci sono ben 2.500.000 tossicodipendenti ed ogni muoiono 30 mila consumatori per droga, mentre altri 80 mila provano stupefacenti per la prima volta. La maggior parte dei tossicodipendenti ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni.
I paesi della Nato sanno bene quale sia il costo del traffico di droga, ma non su questa scala. Il numero di tossicodipendenti in Europa e Usa è nell’ordine delle centinaia di migliaia, non di milioni come in Russia. La Russia ha portato avanti un aggressivo programma di lotta alla droga a livello nazionale: 91 mila persone sono state condannate per reati di droga e i sequestri di droga sono aumentati.
Ma i confini porosi con l’Asia centrale, attraverso cui l’eroina afgana arriva in Russia, sono un ostacolo insormontabile. L’unico modo realistico di affrontare il problema è di andare alla fonte: l’Afghanistan.
La Nato ha finora giustificato il suo approccio soft al commercio di droga con l’argomento che sradicare le colture di papavero metterà a rischio la sopravvivenza degli afgani, spingendoli nelle braccia dei talebani. Dobbiamo individuare quali siano le alternative per i contadini con le quali produrre reddito legalmente, ma intanto è illogico e pericoloso consentire che la produzione di droga prosegua.
La Russia ha ripetutamente dichiarato la sua disponibilità a prendere parte a forme di cooperazione internazionale efficaci nella lotta contro questo flagello, ma ha trovato, sin’ora, tutte le porte chiuse. Il Wall Street Journal, un paio di giorni fa, titolava un pezzo “Vale davvero la pena combattere il narcotraffico?” e portava a sostegno della inquietante domanda, alcuni dati. Se veramennte si estirpasse il narcotraffico, automaticamente la Bolivia perderebbe il 16% del PIL.
Il Messico uno spaventoso 47%. la California, la Florida, il New Messico, 9%, molte delle banche californiane (che non hanno avuto problemi con la crisi in corso per l’enorme liquidità) andrebbero in crisi. Inoltre, tre regioni del Sud Italia (crocevia di smercio per l’Europa) avrebbero una ricaduta economica del 20%; mancherebbe liquidità, mancherebbe l’aiuto economico alle famiglie dei carcerati a cui ora l’organizzazione provvede , mettendo sul lastrico migliaia di famiglie di cui questo è l’unico sostentamento. Mancherebbe liquidità nelle banche olandesi.
Sarebbe una crisi spaventosa in un momento nero della finanza mondiale. Per questo si fa finta di combattere il narcotraffico, sbattendo dentro il mentecatto tossico e si chiudono entrambi gli occhi sul resto. La Nato, da una parte non risponde all’appello della Russia sulla droga e dalla’altro (la notizia è di questi giorni), chiede aiuto per l’invio di istruttori militari e di materiale bellico a Kabul, in una guerra senza fine e che, anche sul campo, sta perdendo.
La minaccia di un Afghanistan totalmente fuori controllo è tale da mettere in secondo piano questioni come l’allargamento ad est dell’Alleanza, che andranno comunque affrontate facendo rivivere lo “spirito di Pratica di Mare” inaugurato dal governo Berlusconi già nel 2002 con il primo summit Nato-Russia della storia, basato non solo su vantaggi economici e strategie monetarie, ma su scelte anche civili che significano la vita per milioni di persone in tutto il mondo.
Luigi il Grande
Afghanistan, contro il traffico di droga servono sicurezza e stabilità
Oltre ai motivi politici – evitare il collasso di uno stato in preda all’anarchia – e ai motivi militari – impedirvi l’instaurazione di regimi islamici integralisti di supporto al terrorismo internazionale –, c’è un’altra ragione fondamentale per cui occorre resistere in Afghanistan, e riguarda il mondo intero: nel paese si coltiva il 90% della produzione totale di oppio del pianeta. Questa gigantesca struttura produttiva è nelle mani del nuovo organizzatissimo cartello del narcotraffico afgano comprendente una cinquantina di gruppi criminali. Oggi i narcos afgani invadono ogni nazione coi loro carichi di oppio, eroina e morfina: dalla Cina alla Russia, dai paesi arabi all’India, fino all’Occidente europeo e americano, ogni anno tonnellate e tonnellate di droga afgana arrivano a casa nostra uccidendoci.
Secondo il Survey September 2009 dell’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime), la situazione del narcotraffico in Afghanistan, nonostante un leggero miglioramento rispetto agli anni passati, resta gravissima. Attualmente vengono coltivati a papaveri da oppio 123.000 ettari (nel 2008 erano 157.000); queste coltivazioni comprendono due terzi delle province afgane (14), con solo 20 province liberate dall’agricoltura dei papaveri (nel 2008 erano 18). Benché si sia registrato un decremento del 22% nella coltivazione del papavero, in realtà i contadini afgani hanno imparato a estrarre più oppio da ogni bulbo: mentre nel Triangolo d’Oro i papaveri rendono 10 kg di oppio per ettaro, in Afghanistan si estraggono 56 kg per ettaro, con un incremento del 15% rispetto al 2008 (49 kg/ha). Su un’area agricola totale nel paese di 77.000 ettari, la coltivazione di papaveri ne ricopre il 2,1%, che rappresenta l’82% della coltivazione mondiale di papaveri da oppio. La produzione annuale nel paese è di 6.900 tonnellate di oppio (7.700 t nel 2008), pari a un valore alla produzione di 438 milioni di dollari (730 milioni di $ nel 2008), corrispondente al 4% del PIL afgano (era il 7% nel 2008 e il 27% nel 2002), che però sale oltre il 30% del PIL considerando l’intero indotto di micro e macro economia orbitante attorno all’oppio, il quale da solo sostiene intere regioni (si pensi che il resto del PIL afgano è sostenuto solo dagli aiuti stranieri): si tratta di miliardi di dollari. Nel frattempo in parecchie zone sta aumentando la coltivazione della cannabis, che dai 50.000 ettari del 2006 è passata ai 70.000 nel 2007 ed è in continuo incremento, con una resa addirittura superiore al papavero per i costi inferiori di produzione.
L’ovvia domanda che allora viene da farsi è: ma perché non bombardiamo di napalm tutti i campi di papaveri? La ricetta, tuttavia, da sola non sarebbe non risolverebbe il problema, e anzi ne creerebbe di peggiori. Vediamo di capire il perché.
Vanda Felbab-Brown è esperta di politica estera al 21th Century Defense Initiative, centro di ricerca militare della Brookings Institution, il famoso think-tank liberal di Washington. Secondo la studiosa «gli sforzi di contrastare i talebani attraverso la distruzione delle piantagioni sono inutili e controproducenti poiché non fanno altro che cementare l’alleanza fra i questi e la popolazione. È la messa in sicurezza del territorio e dello Stato il primo punto della strategia in Afghanistan, altrimenti qualsiasi guerra al narcotraffico non sarà mai efficace». L’approccio auspicato dalla Casa Bianca in base a tali direttive è di non dare priorità agli sradicamenti (meccanici o tramite spray – costosissimi i primi, più economici i secondi, tramite glifosato), bensì d’investire innanzitutto in sviluppo sociale e sicurezza per la popolazione, al fine di poter sostituire le agricolture illegali con altre lecite, e solo in un secondo momento combattere attivamente chi fra i contadini non si adeguasse. Questo è il sistema usato con successo anche in Thailandia, dove però occorre considerare che là ci si mise... 25 anni.
In pratica, se ai contadini si distrugge l’unica loro fonte di reddito, questi andranno a ingrossare le fila di talebani e miliziani vari, da cui avranno almeno una specie di stipendio. D’altra parte, però, non è nemmeno semplice costringere gli agricoltori a seminare grano o piantare alberi da frutta al posto del papavero, in quanto, anche se fossero d’accordo, nel paese non ci sono le strutture per agricolture di questo tipo: cosa se ne fa un contadino di un raccolto di grano o di ortaggi o di frutta se non dispone né di silos né di congelatori (figuriamoci se arriva la corrente elettrica nelle regioni di cui si parla) né di strade né di treni né di sistemi di trasporto e di stoccaggio per evitare che tutto marcisca prima di riuscire a vendere al miglior prezzo? Invece l’oppio si conserva con pochissime precauzioni anche per decenni, e le grotte e il sottosuolo afgano sono pieni di tonnellate di riserve d’oppio in attesa del giusto prezzo di mercato. Ecco perché tutti i tentativi di costruire infrastrutture nel paese vengono combattuti dai talebani che vogliono mantenere la popolazione in situazioni di servitù sociale.
Si arriva quindi a una specie di circolo vizioso: per convincere i contadini a sostituire la produzione bisogna creare uno Stato sicuro libero dai talebani e dai signori della droga, eppure non si possono interrompere i processi del narcotraffico altrimenti i contadini morirebbero di fame. La situazione, poi, sta subendo una serie di mutamenti: mentre in una prima fase il contrabbando d’oppio era funzionale al finanziamento dei signori della guerra, talebani e alqaidiani in primis, ora si è passati a investire sul mercato della droga fine a sé stesso per puro scopo di lucro. I colossali guadagni che aumentano esponenzialmente a ogni passaggio della filiera, infatti, stanno provocando due conseguenze: da un lato sta diminuendo fortemente la figura del contadino povero che coltiva il suo pezzetto di terra, sostituita da quella di grandi e ricchi proprietari terrieri collusi coi lords of drug and war; questi sfruttano le popolazioni locali, spesso costrette con la forza a coltivare i campi ma più spesso indebitate e rassegnate a quest’unica fonte di reddito in un paese tanto povero e arretrato. Dall’altro lato, tale enorme massa di denaro transita regolarmente nelle banche del Golfo Persico, fra Arabia Saudita e Iran, e ciò a questi paesi non spiace di certo. Un ulteriore effetto dell’immensa disponibilità di denaro ottenuto dal mercato dell’oppio si ha nel mantenimento dell’atavica abitudine afgana alla corruzione: in questo paese dove l’analfabetismo è la regola e il senso dello Stato è incomprensibile ai più, non esiste un solo momento della vita sociale che non sia segnato dalla corruzione, dal gesto quotidiano nel villaggio tribale ai rapporti coi funzionari pubblici fino ai più alti gradi dei ministeri e del governo.
Anche l’ottimismo di Antonio Maria Costa, direttore esecutivo di UNODC, si arresta davanti alle ripercussioni della corruzione nel contrasto al narcotraffico: «Purtroppo, a fronte di un’offensiva delle forze Nato e Usa contro i narcotrafficanti, dobbiamo registrare da parte delle autorità afgane una percentuale di sequestri inferiore al 2% della produzione di oppio. Inoltre nessuno dei boss è mai stato catturato e tantomeno detenuto nella prigione di massima sicurezza di Pol-e Charkhi a Kabul». Il Dipartimento di Stato Usa – l’unico ad avere competenza nella lotta al narcotraffico insieme col governo afgano, mentre il Pentagono se ne disinteressa per focalizzarsi sulle operazioni belliche – già nel 2007 indicò al Ministry of Counter-Narcotics afgano alcuni dei maggiori gangster coinvolti, ma tra questi appena quattro, Khan Mohammad, Haji Bashir Noorzai, Mohammad Essa e Haji Baz Mohammad, sono finiti in galera, e solo perché sono stati portati direttamente nelle carceri statunitensi. Sempre più spesso viene denunciata la complicità delle forze di polizia coi narcos: per ottenere il comando di una stazione di polizia di una provincia, per esempio, basta pagare, sino a 300.000$, ma poi il profitto è sicuro e molto superiore grazie alla “tassazione” operata sul narcotraffico.
L’8 agosto 2008, Abdullah Laghmani, vice direttore dell’NDS, National Directorate for Security, aveva denunciato il coinvolgimento di membri del parlamento afgano nella produzione e nel traffico di droga, dichiarando di possederne le prove: il 2 settembre scorso Laghmani è stato ucciso. Il 24 settembre 2007, The Times scriveva che attorno a Karzai si è creata una narco-cleptocrazia che fa a capo al fratello Ahemd Wali, e che l’intero paese, ministeri e magistratura compresi, sono corrotti, tanto che i narcos arrestati vengono subito scarcerati al pagamento di tangenti.
Sulla questione, abbiamo intervistato il Dipartimento di Stato americano, e l’imbarazzo traspare anche nelle parole di Susan Pittman, Senior Public Affairs Officer al Bureau of International Narcotics & Law Enforcement: «Molte voci affermano il coinvolgimento della famiglia del presidente Karzai ma nessuna finora è stata provata. Il governo dell’Afghanistan ha segnato alcuni notevoli successi nel perseguire i narcotrafficanti, ma è indubitabile che il susseguente rilascio dei gangster mina il lavoro dei dipartimenti antidroga». In realtà, come testimonia ancora Vanda Felbab-Brown, «gli sforzi compiuti dalle forze di sicurezza afgane ottengono il risultato opposto: vengono eliminati i piccoli mercanti di droga, mentre viene consolidato il potere dei ricchi e potenti latifondisti impegnati nel narcotraffico in collusione con talebani e al-Qaida».
Se arrivare ad avere un governo afgano responsabile e serio è un problema di cui ci occuperemo in altra sede, riguardo, invece, al narcotraffico l’unico dato confortante è che la coltura dell’oppio in Afghanistan non è radicata – come si è sostenuto – nelle tradizioni secolari del paese, ma è stata introdotta massicciamente solo negli ultimi dieci anni, quindi sarebbe possibile ritornare a coltivazioni alternative, a patto di sostenere i contadini e proteggerli dai talebani. In definitiva, il problema principale in questo paese è il controllo del territorio sotto il profilo della sicurezza: nel rapporto UNODC Winter 2008 si evidenzia come nei villaggi con sicurezza assente si coltivi oppio nel 70% delle aree, mentre dove la sicurezza è buona l’agricoltura di oppio non supera il 10-20% delle aree. Soltanto permettendo alla popolazione di potersi ribellare alle imposizioni schiavistiche di narcos, talebani, terroristi islamisti e servizi segreti stranieri si potrà cominciare a costruire una nazione con strutture moderne e attività lecite. Il presidio del territorio, quindi, è essenziale.
Ma come si fa a controllare militarmente un intero stato quando i comandanti americani non riescono a convincere la Casa Bianca a inviare nuovi contingenti, l’Europa fa solo finta di esserci, e il resto del mondo se ne disinteressa? Abbiamo rivolto queste domande a Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa: «L’approccio militare è fondamentale, senza di esso non può esserci difesa del territorio, e quindi sicurezza sociale. Senza questa sicurezza è utopistico pensare di costruire infrastrutture urbanistiche e civili per dare alternative alla popolazione: i talebani e i signori della guerra le distruggerebbero subito o le utilizzerebbero per i propri fini, uccidendo chi vi si opponesse. Non è un caso che dove si ottengono forti risultati contro il narcotraffico siano le regioni in cui i marines americani e inglesi combattono con maggior tenacia il nemico, sradicando, però, anche i campi d’oppio, mentre le province occidentali sotto il comando italiano, dove non si compiono interventi contro la produzione di oppio, vedano addirittura aumentati i raccolti (ndr: a Badghis dal 2008 al 2009 la coltivazione d’oppio è salita dell’822%, a Herat del 109%) e l’insicurezza. Il problema oggi è l’inconcepibile dilettantismo della Casa Bianca nella politica estera, segno d’una grande immaturità politica di Obama che evidentemente paga la sua pressoché nulla esperienza internazionale. Dimostrare tutta questa incertezza sull’invio di truppe in Afghanistan provoca ripensamenti anche nei paesi alleati e disastri operativi sul campo: la recente massiccia offensiva pakistana contro i talebani, per esempio, avrebbe dovuto avere una parallela pressione americana dall’altra parte della frontiera, secondo la strategia di Bush; invece il mancato invio di truppe l’ha impedito e resa molto meno efficace. Purtroppo non si può prescindere dalle operazioni militari per costruire questo paese, e con gli slogan di Obama si possono vincere le elezioni ma non certo i talebani: è come se si fosse voluto attuare il piano Marshall prima di sconfiggere i nazisti».
Dare sicurezza alla popolazione, pertanto, è il primo punto per contrastare il mercato dell’oppio, colpendo al medesimo tempo e con la medesima intensità narcos, talebani, al-Qaida, banditi comuni e guerriglieri vari. Per farlo occorre controllare il territorio con una presenza militare costante e potente: tentare di eludere questo assunto provocherà soltanto fallimenti. Ecco il why we fight in Afghanistan.
Luigi il Grande
Dmitrij Gornostaev, RIA Novosti
Secondo i dati dell'Onu, in Afghanistan si ricava dall'oppio il 90% dell'eroina di tutto il mondo. La terra degli Zar è al primo posto in assoluto per il consumo di eroina: ai tossicodipendenti russi arriva il 21% di tutta la produzione mondiale. L'Afghanistan è anche il maggiore produttore di hashish: ogni anno immette sul mercato nero internazionale da 1,5 a 3,5 tonnellate di questo stupefacente che si ricava dalla canapa. La quantità di eroina consumata in Russia si aggira intorno alle 75-80 tonnellate annue e ogni anno ne muoiono tra i 30 e 40 mila russi.
“La criminalità che gestisce il narcotraffico, ormai legata al terrorismo, è diventata una minaccia per la pace e la stabilità – ha detto Churkin nel suo intervento a New York -. E' evidente che i provvedimenti presi in questo campo non portano i risultati sperati”. E ha aggiunto: “E' incomprensibile la passività nella lotta alla droga dimostrata dalla Nato, che già da diversi anni non risponde in alcun modo alla proposta di collaborazione, assolutamente logica, fatta dalla Odkb, da sempre impegnata a combattere in prima linea il traffico di droga”.
A questo proposito, Churkin ha ricordato che la Odkb ha appena portato a termine con successo una delle fasi dell'operazione di intercettazione del narcotraffico denominata “Kanal”, connessa con l'attività dell'Organizzazione per la Stabilizzazione della situazione nel sud del Kirghizistan. Dell’ente fanno parte Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan; dell'Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione fanno parte invece Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.
Puntando ancora il dito contro la Nato, il rappresentante russo all’Onu ha criticato l'approccio al problema della produzione illegale di stupefacenti in Afghanistan. L’istituzione che riunisce i Paesi del Patto Atlantico giustifica, infatti, la lentezza del processo di distruzione delle piantagioni di oppio, con la necessità di lasciare ai contadini afghani una fonte di guadagno e, nella sua strategia antidroga, insiste sul principio della riconversione delle colture di oppio in ortofrutticole. Tuttavia questo tipo di approccio, secondo la Russia, è “inefficace”, e il rifiuto di distruggere le piantagioni, “immorale”.
“La riconversione delle colture è sicuramente un programma importante – ha commentato Churkin -, ma il traffico illegale sarà sempre e comunque più redditizio di quello legale”. “Stare a discutere sul fatto che i contadini afghani senza piantagioni sarebbero privati dei mezzi di sussistenza è immorale. I contadini non sono altro che vittime dello sfruttamento dei narcotrafficanti”, ha quindi sottolineato.
I provvedimenti per la lotta contro l'industria della droga in Afghanistan devono avere, secondo Churkin, carattere polivalente e agire sul percorso della droga in tutte le sue fasi, dall'eliminazione delle piantagioni, alla distruzione delle infrastrutture legate alla droga, alla marcatura dei precursori, fino all'emissione di sanzioni contro i signori della droga da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Luigi il Grande
I dettagli del piano sono stati illustrati ad alcuni membri del Congresso, in un incontro a porte chiuso avvenuto a inizio marzo.
L'impegno sarà simile a quello profuso dalla 'Drug Enforcement Administration' (Dea) contro i cartelli della droga nell'America Latina.
L'obiettivo è quello di colpire il traffico della droga, i laboratori e gli strumenti per la lavorazione dell'oppio, per impedire l'arrivo di finanziamenti alla guerriglia talebana.
Illustrando la sua nuova strategia per l'Afghanistan, il presidente Barack Obama aveva inoltre insistito sulla necessità di identificare nuovi settori di sviluppo dell'agricoltura locale, in modo da 'liberare' i coltivatori locali dalla loro dipendenza dalla produzione e dall commercio illegale della droga.
La Dea, secondo quanto si è appreso, ha intenzione di costruire un team di circa 80 agenti ed esperti per avviare la nuova campagna contro il narcotraffico afgano. Il piano prevede anche un intervento diretto sull'attività di riciclaggio del denaro ricavato dalla droga e sul trasferimento del denaro in conti che hanno sede nei cosiddetti 'paradisi fiscali'.
Il paese asiatico è il principale produttore di oppio al mondo.
La droga afgana alimenta il 90 per cento del mercato mondiale. Le Nazioni Unite stimano che nel 2008 il traffico della droga avrebbe fruttato ai talebani e ai combattenti islamici dell'Afghanistan oltre 500 milioni di dollari.
Luigi il Grande
Ennesima perche' non sarebbe la prima volta che in Afghanistan si fanno investimenti per colture alternative all'oppio e, puntualmente, per evidenti problemi di ricavi economici, i coltivatori incassano i soldi erogati alla bisogna e tornano a coltivare i loro papaveri da oppio.
Buonista perche' parte dal presupposto di cio' che ufficialmente sia bene o male e, stabilito che la droga sia “male”, procede a vanvera. Cioe' senza rendersi conto di quella realta', delle loro necessita', dei loro tempi e di un conflitto politico in corso che non ha alcuna intenzioni di farsi penetrare da culture e colture a loro estranee, quella dell'ulivo per l'appunto (gastronomicamente ed economicamente).
Per avallare queste proposte si tengono ben nascosti i fallimenti delle politiche di eradicazione e sostituzione delle colture che costano ingenti risorse umane e finanziarie. E' dello scorso ottobre l’ennesimo rapporto dell'Ufficio ONU contro la Droga e il Crimine (UNODC), incentrato su “Tossicodipendenza, Criminalità e Insurrezione” in Afghanistan, rapporto che documenta il fallimento delle politiche mondiali in quel Paese.
Il problema, invece, potrebbe essere incanalato nella produzione legale di oppiacei per la cura del dolore andando a incontrare la domanda reale di analgesici per miliardi di poveri.
Una direzione sanitaria che non sarebbe tanto campata in aria, visto che sono gia' diversi i Paesi nel mondo che si stanno attrezzando per il recupero di quelle droghe oggi illegali che, invece, possono essere utilizzate nelle terapie del dolore. Tendenza a cui anche l'Italia non e' estranea: lo scorso 27 gennaio il Senato ha approvato un'ordinanza sulla cannabis terapeutica, grazie alla quale da subito si puo' partire per la produzione e distribuzione italiana di questo farmaco antidolore. Questo a significare che il tabu' sulle attuali droghe illegali e' facilmente superabile se si affronta la questione da un punto di vista medico e scientifico. Punto di vista che potrebbe essere utilizzato altrettanto in Afghanistan, trasformando quel Paese nel produttore per eccellenza di oppiacei contro il dolore.
E' solo questione di scelte accurate e non, come quelle del nostro ministro Frattini, solo propagandistiche e, sostanzialmente inutili e dannose, alla scienza medica, ai malati e all'Afghanistan.
Luigi il Grande
Solitamente, le rotte del traffico di droga passano laddove lo stato di diritto e' debole. Di conseguenza, i crimini legati alla droga peggiorano ulteriormente le situazioni di instabilita' e poverta'".
"Nuove preoccupanti tendenze - prosegue il segretario generale - in alcune zone dell'Africa occidentale e dell'America centrale mostrano come il traffico di stupefacenti possa minacciare la sicurezza e addirittura la sovranita' degli Stati. Ecco perche' le Nazioni Unite stanno ponendo maggior enfasi sui processi di potenziamento della giustizia e sulla lotta al crimine nel quadro delle operazioni di peacekeeping e peacebuilding". In questo senso, prosegue Ban Ki Moon, "anche i governi nazionali devono fare la loro parte. Esorto tutti gli Stati a firmare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalita' Organizzata Transnazionale. Sollecito anche gli Stati firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione ad essere fedeli agli impegni presi per rafforzare la loro integrita' e ridurre la corruzione che facilita il commercio di stupefacenti".
Ban Ki Moon ricorda inoltre che "uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo e' rappresentato dall'abuso e dal traffico illecito di stupefacenti", inoltre, "il consumo di droghe per via endovenosa e' la causa principale della diffusione dell'Hiv. In alcune parti del mondo, l'uso di eroina e la diffusione dell'Hiv hanno raggiunto le proporzioni di un'epidemia. Inoltre "le droghe costituiscono una minaccia per l'ambiente". "In questa Giornata Internazionale contro l'abuso e il traffico illecito di stupefacenti, - conclude il segretario generale - riaffermiamo il nostro impegno verso questa responsabilita' condivisa all'interno delle nostre comunita' e nella famiglia delle nazioni".
DIPARTIMENTO POLITICHE ANTIDROGA: REPRESSIONE E INFORMAZIONE - Come sottolineato dal segretario generale dell'ONU in occasione delle giornata mondiale sulla droga, che si celebra domani e che ha per tema"Think Health, Not Drugs", e' il momento di "pensare alla salute, non alle droghe", anche il Dipartimento Politiche antidroga, si unisce a questo appello. Lo comunica una nota del Dipartimento Politiche Antidroga nel quale si aggunge: "D'altronde soprattutto in una giornata come questa e' importante - sottolinea il DPA - ricordare ai ragazzi che le droghe costituiscono una reale minaccia alla salute fisica e mentale.
Cosi' come affermato dalle Nazioni Unite e' importate interrompere questo circolo vizioso ed e' sempre piu' necessario promuovere azioni mirate non solo per colpire il cuore del commercio illecito e soprattutto - specifica il DPA - sottraendo alla droga migliaia di giovani.
Come Dipartimento continueremo a fare la nostra parte cercando di far circolare una informazione corretta basata sulle evidenze scientifiche, su questo e' stato ormai avviato un nuovo percorso per la lotta alla tossicodipendenza con un unico obiettivo: non abbassare mai la guardia e consegnare ai cittadini tutti una informazione basata sulle evidenze scientifiche".
'E' spaventoso che l'Umbria si sia guadagnata il primato in Europa come regione con il piu' alto tasso per morti per droga, con la media di nove morti per mille abitanti. E' arrivato il momento di decidere se continuare combattere la diffusione delle droghe a colpi di slogan oppure mirare al recupero globale della persona'. Lo afferma il consigliere regionale del Pdl Maria Rosi, responsabile delle politiche giovanili per il Progetto officina del suo partito.
Per la Rosi, 'non si puo' pensare che la soluzione efficace sia la semplice repressione, anche se necessaria, perche' manderebbe in galera spacciatori e consumatori-spacciatori: va fatta un'analisi approfondita delle cause sul perche' si arrivi all'uso e all'abuso di stupefacenti. Inoltre, anche se l'azione repressiva si dimostrasse efficace, l'abuso di sostanze potrebbe spostarsi ancor di piu' verso quelle 'lecite' come super alcolici e farmaci, ugualmente dannosi'. La Rosi propone di 'tornare a sensibilizzare l'opinione pubblica sui danni causati dalle droghe: fin dalle elementari i bambini andrebbero informati sui rischi provocati dagli stupefacenti. E' importante che l'ex tossicodipendente dopo il suo reinserimento nella societa' sia seguito, affinche' non torni nuovamente a fare uso di droghe. I politici, gli adulti, i genitori, devono avvertire - continua Rosi - l'impellente necessita' di assumersi il forte l'impegno di motivare i giovani, standogli accanto nella loro formazione e crescita, non facendoli sentire soli, ma facendo capire loro che il futuro va affrontato'.
Luigi il Grande
Narco-ndrangheta, il successo di un marchio
di Costantino D'Avanzo
1/2010
È una ragnatela perfetta estesa sui cinque continenti. Smercia e commercia praticamente tutte le sostanze stupefacenti, naturali e sintetiche. Vale qualcosa come 27 miliardi di euro all’anno. Questo giro d’affari ha fatto della ‘ndrangheta la regina del mercato mondiale delle droghe. Un marchio incontrastato di efficienza organizzativa, capacità operativa, progettualità. Il tutto – neanche a dirlo – nel silenzio e con discrezione.
Quando, all’inizio dello scorso decennio, i carabinieri hanno iniziato a indagare su un traffico di stupefacenti in transito al porto di Gioia Tauro, nessuno, forse neanche loro, poteva ben immaginare quale verità stavano portando alla luce. Altre ne erano state portate a termine e altre ne sarebbero venute, ma quella, l’operazione «Decollo», resta la più grande azione antidroga condotta in Italia negli ultimi 15 anni. Un’indagine che ha portato a imponenti sequestri di droga e a decine di arresti, ma che soprattutto ha aperto il sipario su una organizzazione accurata e capillare.
Un incredibile reticolo di trafficanti, imponenti quantità delle sostanze stupefacenti più svariate (cannabis, cocaina, eroina, droghe sintetiche) e i più ingegnosi sistemi di occultamento. Una ragnatela perfetta tra Colombia, Italia e Australia, passando per Africa, Balcani e Asia Centrale. Una manifestazione eccezionale di efficienza organizzativa, capacità operativa e progettualità criminale. Un giro di affari stimato da un Dossier Eurispes 2008 attorno ai 27 miliardi di euro all’anno, pari a circa il 62% del totale dei suoi profitti illeciti. Insomma: un sistema accurato e ramificato che è cresciuto e si affinato nel corso degli ultimi 3 decenni e che ha portato la ‘ndrangheta ai vertici del narcotraffico mondiale, tanto da essere inserita per la prima volta nel 2008 nel Kingpin Act, la lista nera delle più importanti organizzazioni criminali internazionali stilata dalla Casa Bianca. Un «riconoscimento» un po’ tardivo, forse, ma indicativo della posizione di assoluto rilievo a cui sono ascese le cosche calabresi.
In questo momento, probabilmente, solo i cartelli dei narcos messicani hanno la stessa influenza nel traffico di stupefacenti. Il modus operandi dei due gruppi, tuttavia, è assolutamente antitetico. Spietato e sanguinario quello dei messicani, silenzioso e discreto – come da tradizione – quello dei calabresi. Ed è in questo modo – sottovoce – che la ‘ndrangheta ha compiuto un vero e proprio salto di qualità. Ha conquistato i mercati e la credibilità internazionale nel settore, attestandosi come un marchio di garanzia e affidabilità.
Sì perché le ‘ndrine, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, hanno avuto il «merito» e la scaltrezza di incunearsi negli spazi lasciati vuoti dalle altre organizzazioni criminali, Cosa Nostra in primis – troppo impegnata sul fronte dell’attacco diretto alle istituzioni –, e prendere direttamente in mano il crescente business, passando dal tradizionale ruolo di smercio delle sostanze stupefacenti sul territorio nazionale al diretto approvvigionamento. L’intuizione delle cosche calabresi – quelle reggine in particolare – è stata quella di contrattare l’acquisto delle sostanze stupefacenti direttamente all’origine, e a un prezzo ovviamente più favorevole, assumendosi poi il rischio del trasporto. Un approccio nuovo, che ha aperto prospettive ghiottissime per la ‘ndrangheta, perché dal lato economico ha consentito di moltiplicare i profitti, e da quello strategico di acquisire il controllo diretto delle maggiori direttrici dei flussi di stupefacenti, dei principali punti di snodo del traffico (hot spots) e talvolta ha consentito anche di operare direttamente nella fase di produzione degli stupefacenti stessi.
In base a questa struttura operativa, dunque, sono sempre le ‘ndrine calabresi che curano la logistica e il conseguente approvvigionamento, trasporto e stoccaggio delle sostanze sulle diverse piazze. Un controllo dei traffici reso possibile da un altro fattore strategico: la capillare diffusione, retaggio della passata immigrazione calabrese, di uomini delle ‘ndrine praticamente in tutti i continenti – dal Sud America all’Australia, dal Nord America a tutta l’Europa Occidentale –, a cui si aggiunge la collaborazione di altri soggetti, spesso stranieri e non direttamente riconducibili ai clan calabresi.
Insomma, un vero e proprio network mondiale rigorosamente basato sulla devozione e sull’affidabilità e capace di fornire il supporto organizzativo che la nuova dimensione di «multinazionale del crimine» imponeva. Un’organizzazione a compartimenti stagni, ma allo stesso tempo estremamente dinamica, capace di resistere all’azione repressiva delle forze dell’ordine e di crescere sfruttando nuove opportunità economiche nel reinvestire gli utili prodotti.
Una rete pervasiva, tentacolare e silenziosa, costruita con estrema meticolosità che si è andata affermando anche grazie alla quasi totale impermeabilità verso l’esterno. Insomma: agli occhi dei partner e di altre organizzazioni un’immagine consolidata di impresa credibile, un marchio, garanzia di qualità e affidabilità.
Luigi il Grande
Blitz antidroga dell’FBI a Porto Rico: arrestati 133 poliziotti corrotti
07/10/10 07:28 CET
Corruzione
Maxi blitz dell’FBI a Porto Rico contro la corruzione della polizia. In manette sono finite 133 persone tra membri delle forze armate e guardie carcerarie. 4 sono ancora latitanti. Per tutti l’accusa è di traffico di droga e di armi. Le autorità americane hanno schierato sul campo oltre 750 agenti per quella che è stata definita la più grande operazione contro la criminalità sull’isola caraibica .
“Le indagini duravano da oltre due anni, ha spiegato il ministro della giustizia statunitense, abbiamo impiegato quasi mille uomini anche di questo paese, non abbiamo subito nessuna perdita e non ci sono state fughe di notizie”.
L’isola di Porto Rico, soggetta alla giurisdizione degli Stati Uniti, è nota per essere un crocevia per il traffico di cocaina tra il Sud America e Miami. Gli arrestati, in caso di condanna, rischiano ora fino a 10 anni di carcere. L’amministrazione Obama invece incassa un altro successo nella lotta contro i narcotrafficanti.
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Luigi il Grande
Sola contro i narcos a 20 anni
21/10/10 07:29 CET
I suoi 20 anni contro i sanguinari cartelli della droga messicani. Marisol Valles, studentessa in criminologia, ha accettato la sfida che tanti più esperti e anziani di lei hanno rifiutato. Da ieri è il capo della polizia di Praxedis Guadalupe Guerrero, cittadina di 10.000 anime a meno di 30 chilometri da Ciudad Juarez, il cuore della guerra tra narcos che negli ultimi 4 anni ha fatto oltre 28.000 morti.
Sposata con un figlio, ha ora ai suoi ordini 19 agenti. Una lotta di Davide contro Golia che comincia tuttavia sotto un buon auspicio: è sempre di ieri la notizia del sequestro, a Tijuana, confine con la California, di 105 tonnellate di marijuana. La più grossa operazione del genere messa a segno da anni nel Messico in balia dei signori della droga. Per i cartelli è un mancato incasso sul mercato americano da centinaia di milioni di dollari.
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Luigi il Grande
Record di omicidi a Caracas, più ancora del Messico
Sono stati 67 i morti in episodi di criminalità a Caracas nell'ultimo fine settimana. È la cifra record dall'inizio dell'anno. Ma - come sottolinea in questo articolo il quotidiano colombiano El Tiempo - sono un numero più alto anche rispetto a Ciudad Juarez, la città messicana al centro delle cronache per la sanguinosa guerra tra clan legati al narcotraffico. Nella capitale venezuelana i morti sono ancora di più, ma se ne parla pochissimo per via del bavaglio imposto alla stampa dal presidente Hugo Chávez. Dall'inizio dell'anno sono già 215 i morti. Secondo i dati dell'Observatorio Venezolano de Violencia l'anno scorso a caracas ci sono stati 140 morti ogni 100 mila abitanti.
Clicca qui per leggere un reportage pubblicato da Mondo e Missione nel 2008 su Caracas capitale criminale
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Luigi il Grande