Berlusconi tra maggioranza e congiure In settimana dà lo scacco matto a Fini

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Berlusconi tra maggioranza e congiure In settimana dà lo scacco matto a Fini

di Francesco Cramer

Determinante la conta nella riunione dell'ufficio di presidenza di mercoledì. I finiani attesi a una prova di compattezza su manovra e intercettazioni. Brancher pronto a dare le dimissioni, dovrebbero arrivare in giornata. L'intervento: Il premier si liberi dei politicanti di Sandro Bondi. L'analisi: Un nuovo partito di delusi da Fini

Roma - Come in una partita a poker quando si dice «vedo». Berlusconi vuol chiudere il match con Fini una volta per tutte. Si vada alla conta e non se ne parli più. Questa settimana potrebbe essere quella decisiva. Determinante sarà la riunione dell’ufficio di presidenza di mercoledì quando il Pdl deciderà la linea da tenere sui principali temi in agenda.

Per tutta la giornata s’è pensato che il caso Brancher, il ministro che appena nominato ha alzato lo scudo del legittimo impedimento, salvo poi abbassarlo un minuto dopo perché travolto dalle critiche, potesse essere l’occasione propizia. La toppa al buco non ha impedito alle opposizioni, infatti, di piazzarlo nel mirino con una mozione di sfiducia individuale da votare giovedì mattina alla Camera. In quella occasione si sarebbe potuto verificare la fedeltà dei finiani, lesti a chiedere la testa di Brancher. Ma il ministro, a colloquio ad Arcore per oltre un’ora in serata, avrebbe offerto la sua poltrona al Cavaliere: «Per rasserenare il clima sono disposto al passo indietro», avrebbe detto chiaro e tondo. E le sue dimissioni potrebbero arrivare già oggi.

L’addio di Brancher renderebbe vana la votazione sulla sfiducia presentata da Pd e Idv e il relativo braccio di ferro con le truppe di Fini. Proprio il pasticcio sul ministro di collegamento tra Lega e Pdl poteva essere il momento del «buttiamo giù le carte». Il ministro Rotondi al Giornale ha ammesso: «Siamo a un bivio dell’azione di governo. Basta con la melina: o si condividono le scelte del partito o dal partito si esce».

Ma se anche l’affaire Brancher non sarà più l’occasione propizia per sciogliere definitivamente il nodo con la minoranza finiana, Berlusconi è più che determinato: con Gianfranco non si può più convivere. Il premier starebbe pensando a una verifica di governo per ricompattare la maggioranza e, se è il caso, anche a un rimpasto dell’esecutivo per togliere aria al nemico interno e metterlo con le spalle al muro: chi ci sta, bene. Chi non ci sta, può anche andarsene. In fondo è ancora vacante la poltrona dello Sviluppo economico, lasciata libera dal ministro Scajola.

Nuova squadra e nuovo corso al governo, presumibilmente senza finiani. Nei giorni scorsi si rincorrevano le voci di un Galan al posto di Scajola e del ministero dell'Agricoltura assegnato a un leghista. Cosa che al Carroccio non potrebbe che stare benissimo. Di fatto Berlusconi è consapevole che non può più tollerare i distinguo quotidiani del presidente della Camera e aspetta soltanto lo scontro finale. Che potrebbe arrivare sulle intercettazioni. Su questo fronte il sottosegretario Letta ha già avuto preciso mandato di tenere un canale aperto col Quirinale ma non è escluso che anche sul provvedimento della discordia si scelga il gioco duro. Il fine è lo stesso: dire ai finiani «prendere o lasciare». Non prima di aver rassicurato Napolitano, con il quale Berlusconi dovrebbe parlare mercoledì e con cui non ha intenzione di arrivare al muro contro muro. La prova di forza potrebbe essere la decisione di porre la fiducia sul provvedimento. Queste le rispettive mosse della partita a scacchi: i finiani votano la fiducia al governo ma bocciano il ddl al voto finale. «Ma a questo punto si metterebbero di fatto contro la maggioranza e si porrebbero fuori dal partito - ragiona un fedelissimo del premier -. E ci starebbe pure il deferimento ai probiviri del partito».

Terzo tema: la manovra che non può certo diventare il prossimo campo di battaglia con i finiani. Ecco perché è giunta l’ora di disinnescare la bomba interna. A che prezzo? Quanti sono i fedelissimi del presidente della Camera? «Venticinque alla Camera e tredici al Senato? Alla fine potrebbero anche essere di meno - giura un berlusconiano doc -. E poi ricordiamoci che il governo Prodi è rimasto in piedi due anni grazie alle stampelle della Levi Montalcini». Inoltre i canali aperti con l’Udc ci sono eccome. L’extrema ratio potrebbe essere invece quella di far saltare tutto e rimettere la palla in mano al capo dello Stato. Sarà lui a decidere se ridare la parola agli elettori o cercare di far nascere un governo che Berlusconi considererebbe «non voluto dagli italiani».

luigi il grande (non verificato)