Si chiamerà così il gruppo parlamentare dei “finiani”.
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Libia, bombardano anche i Tornado italiani
Lunedì 21 Marzo 2011 00:36
Operazione Odissea all’alba, Tripoli proclama il cessate il fuoco, mentre anche sei Tornado italiani sono stati impegnati nelle azioni aeree sui cieli libici, decollati dalla base di Trapani. L’Italia è di fatto a pieno titolo nella missione, ora anche con un intervento diretto dei caccia, dopo aver inviato cinque navi, tra cui la portaerei Garibaldi, con a bordo otto aerei Harrier a decollo verticale. Il Pentagono però non crede al fatto che il colonnello manterrà la parola, ribadendo di non essere a caccia di Gheddafi, ma colpire solo gli obiettivi per rafforzare la no fly zone. Il vice ammiraglio Usa Bill Gorney ha precisato che Gheddafi “in questo momento non è nella lista degli obiettivi”.
Il premier turco Erdogan ha proclamato l’adesione di Ankara all’operazione, auspicando che non sia necessario un intervento di lungo termine. “Se solo la Libia avesse avviato un processo di cambiamento, come è avvenuto in Tunisia e in Egitto - ha detto in visita in Arabia Saudita- non avrebbe pagato un prezzo così alto”. Sull’atteggiamento della Francia è intervenuto il sottosegretario alla Difesa Crosetto, rilevando come “non ci siano retro-pensieri vetero espansivi da parte dell'Italia, né un tentativo di ripensare alle colonie, ma il rispetto per popolo e per un paese da cui traiamo il 14% delle nostre risorse di gas e il 26% di petrolio”. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, si è detto fiducioso che “le forze militari libiche mantengano la promessa fatta di un immediato cessate il fuoco”. Dal momento che in precedenza Tripoli aveva proseguito nell’attaccare i civili. Ma se il colonnello intendesse fermare davvero le operazioni, allora si potrebbe negoziare. Anche sul versante umanitario l’Italia sta facendo la sua parte con la consegna di beni umanitari e medicinali alla popolazione libica della Cirenaica. L’intervento è stato compiuto dai ministeri di Esteri e Difesa, per un totale di 65 tonnellate di beni, messi a disposizione dalla Cooperazione italiana e da una azienda privata. Intanto quasi quattromila rifugiati hanno oltrepassato il confine tra la Libia e l'Egitto come ribadito dall’Agenzia dell'Onu per i rifugiati, sostenendo che molti libici hanno trascorso la notte nelle loro macchine e poi tornare in Libia la mattina successiva.
Luigi il Grande
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Libia: l’Italia torni protagonista
di Giuseppe Tatarella
Napolitano: “Non possiamo rimanere indifferenti alla compressione di fondamentali diritti umani in qualsiasi paese. Non possiamo lasciare che vengano distrutte, calpestate le speranze che si sono accese di un Risorgimento anche nel mondo arabo. Mi auguro che le decisioni da prendere siano circondate dal massimo consenso”.
Siamo felici di riscontrare nelle dichiarazioni del nostro apprezzato presidente della Repubblica, la nostra stessa idea riguardo ai fatti libici. Siamo conviti che l’Italia debba uscire dalla ipocrisie delle ultime settimane e chiedere all’Onu, alla Nato e all’ UE di guidare la colizione militare che interverrà – in vario modo – all’interno del complicato scenario libico.
La nostra comunità politica, fin da Mirabello e prima di altri, si è schierato contro il regime di Gheddafi e a favore dei giovani del Mediterraneo che dall’Egitto alla Libia stanno combattendo per la libertà, unica bandiera sotto la quale tutti i popoli – anche nelle dovute differenze – devono riconoscersi.
Ecco perchè l’Italia deve riacquistare centralità in un momento tanto importante quanto drammatico per il Mediterraneo, che avrà inevitabili conseguenze anche sul nostro Paese e sul nostro ruolo in Nord Africa. Il nostro Paese non può continuare a stare a guardare.
Luigi il Grande
IL SILENZIO DEGLI IMMATURI
di Giuliano D'Aria
Mentre gli aerei dell’Alleanza accendono i motori e Gheddafi continua a bombardare le posizioni dei ribelli in Italia emerge tutta la pochezza di un governo che ad ogni occasione importante dimostra la propria immaturità. Hanno firmato sei mesi fa un accordo con la Libia che prevedeva anche il mutuo aiuto in caso di aggressione militare. Una follìa che è stata stracciata subito, esponendo però il Paese, il suo territorio alle rappresaglie libiche. Per la quale – quando e come finirà questa storia – in molti ci presenteranno il conto sia da una parte sia dall’altra. L’Italia comunque sia ci perderà da questa avventura in terra libica.
E ieri, quando si è trattato di aderire alla coalizione che con il placet dell’Onu e l’impegno Nato dovrebbe portare a costringere Gheddafi a lasciare il potere, la Lega si è sfilata. I suoi parlamentari non si sono presentati nelle Commissioni Esteri e Difesa dove si doveva “recepire” la risoluzione delle Nazioni Unite. L’unico presente era Calderoli, che poi si è astenuto. L’impegno militare è dunque passato con i voti di FLI, UDC e PD, perché anche la terza gamba del governo, i “responsabili” si erano squagliati per dare un segnale di rottura a Berlusconi che non gli dà i desiderati posti di governo.
Sono atteggiamenti di potente immaturità, di incapacità di affrontare un percorso comune non appena il tema superi di poco la “bassa lega” del federalismo, della polemica con la magistratura, le beghe di potere in Rai, Eni, Enel.
Lo stesso dietrofront sul nucleare, dopo i tragici fatti giapponesi, dimostra che è il “sondaggetto” quotidiano a muovere i passi del governo, non un progetto politico di orientamento e sviluppo della struttura economico sociale italiana. Il patetico centro-destra venuto fuori dalla magica serata del “predellino” altro non è che il coacervo di tanti miserabili interessi di bottega e di bottegai. Magari ci fossero ancora i mercanti e gli usurai contro i quali faceva salire il suo potente canto Ezra Pound e contro i quali scriveva i suoi affilati fondi Giano Accame. Questi hanno la mano così fissa sul portafoglio che non possono mettersela sul cuore e al primo posto delle preoccupazioni c’è il futuro della prole (Marina e il Trota già sono in rampa di lancio), nella più classica e tarpana tendenza basso padana e meneghina. La Lega, poi, resta in un guado stagnante. Le polemicuzze sull’Anniversario italiano (vado, non vado, canto l’inno o il Va pensiero) sono state stupide, prima che vergognose. Altri segnali di forte immaturità, personale prima che istituzionale. E’ tutto così minimalista in questo governo e in questo schieramento che anche il suo tramonto non è più acceso dell’affievolirsi della fiammella di una candela. Tra un po’ semplicemente, rischiano di non trovarsi più. Il problema è anche che l’Italia sta sparendo dalle cartine per tornare ad essere una mera espressione sulla carta geografica e geopolitica.
(19 MARZO 2011)
Luigi il Grande
Odissea all’alba: notte di guerra in Libia
Sabato 19 Marzo 2011 23:14
L’hanno chiamata Odissea all’alba, forse richiamando l’epica traversata omerica, forse per conferire un che di misterioso ad una cosa dura che si chiama guerra. Ma che, di fatto, è la risposta all’ostinazione di Gheddafi. Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Canada e Italia hanno monopolizzato lo spazio aereo antistante le coste libiche, con il comando dell’operazione interamente nelle mani americane. Portaerei, sottomarini, fregate e cacciabombardieri stanno affrontando prima la contraerea libica. Al fine di “purificare” i cieli, per poi valutare le opzioni attualmente in campo, con le truppe di terra virtualmente pronte in qualsiasi momento.
Il Mediterraneo, come da anni non lo era, è intasato di navi militari, al momento venticinque (di cui cinque italiane, in testa la Garibaldi, con a bordo otto aerei Harrier a decollo verticale), coordinate dalla base napoletana di Capodichino, designata come centro logistico delle operazioni. Pioggia di missili Tomahawk, ben 110, sono partiti da sommergibili britannici diretti sulla capitale libica, e dalle fregate, colpendo almeno venti obiettivi strategici nella zona occidentale del Paese. Tra cui sistemi di difesa aerea e altri snodi di comunicazione, come dichiarato dal Pentagono, oltre che tank libici. E con il sostegno dei nuovi caccia Eurofighter specializzati nella guerra elettronica. Nelle basi italiane sono atterrati anche caccia belgi e spagnoli, pronti all’occorrenza.
A Tripoli predisposti scudi umani per proteggere il colonnello, i cui militari attaccano anche un campo della Croce Rossa. Una notte di battaglia, con le condanne di Putin e del presidente venezuelano Chavez. La Lega araba ha fino ad oggi appoggiato la no-fly zone, senza però offrire sostegno. Qualora decidesse di contribuire, lo farebbe con cacciabombardieri americani ed europei (F-15 sauditi e F-16 degli Emirati). Al pari dell’Egitto, che ha F-16 e Mirage 2000, ma che si è detto disponibile solo a fornire armi leggere ai ribelli.
Luigi il Grande
La primavera araba e noi
Domenica 20 Marzo 2011 09:22
C’è la storia che si manifesta con la spontaneità e la generosità di una generazione araba che si vuole risvegliare. E c’è chi cerca con la violenza, la menzogna e l’arroganza di arginare quest’onda che sta travolgendo i paesi del Maghreb e dell’Africa mediterranea. Ci sono i ragazzi in piazza che da Tunisi a Bengasi hanno rappresentato la risposta migliore al familismo di regime che ha bloccato lo sviluppo di paesi con grandi risorse. E c’è chi sta cercando ancora di difendere un potere che non ha più rappresentatività se non nel delirio militante dei propri fedeli. Ci sono questi ragazzi che su facebook hanno raccontato la verità sulla repressione e tracciato quel sogno di vivere le opportunità dei coetanei europei. E ci sono quelli che chiamano le legittime richieste di libertà di questi ragazzi roba da “terroristi”.
Si dirà: non tutti credono che la vicenda che è riuscita a ribaltare alcuni regimi decennali sia realmente partita da un ragazzo tunisino, Mohamed Bouzizi, che si è dato fuoco lo scorso 17 dicembre a Sidi Bouzid in segno di protesta per le condizioni di vita, la povertà, la frustrazione cui il regime dell'ex presidente Ben Ali aveva costretto lui e i suoi coetanei. E a questi si risponderà: di sicuro ci hanno creduto migliaia di quei giovani che stanno riprendendosi il proprio destino a pochi chilometri da un’Europa sempre più stanca e lenta che li osserva sì con preoccupazione. Ma anche con molto rispetto. E, con molta probabilità, un po’ di invidia.
Luigi il Grande
Gli animalisti difenderanno anche il “cane pazzo”?
Inserito il 19 marzo 2011
di MARIANNA MASCIOLETTI - “Cane pazzo”. Così Ronald Reagan definì – in maniera abbastanza azzeccata, bisogna dire, viste le sue prodezze - il dittatore della Libia Muammar Gheddafi, in questi giorni tornato più che mai al centro dell’attenzione sui media occidentali.
Il Re dei Re, bisogna ben dirlo, di scheletri nell’armadio ne ha parecchi. Anzi, vista l’accondiscendenza (meglio sarebbe, forse, dire “deferenza”) con cui i Paesi occidentali, Italia in prima fila, l’hanno trattato fino – letteralmente – all’altro ieri, di tenerli nell’armadio non ne ha neanche bisogno, a dire il vero. E’ abituato a esporli come vuole, quando vuole, ché comunque nessuno, tra noi furbacchioni avvezzi alle raffinatezze della realpolitik, si scandalizza più di tanto.
O almeno, eravamo veramente in pochi a scandalizzarci prima che in Libia, come in tutto il Maghreb, esplodesse la rivolta, e prima che il Colonnello ritenesse opportuno massacrare i ribelli in maniera talmente cruenta e talmente sfacciata da rendere impossibile il far finta di non sapere e doverosa almeno una presa di distanza.
Adesso, nelle ultime ore, la situazione è precipitata: Francia, USA e Gran Bretagna hanno dato un ultimatum a Gheddafi.
Non sappiamo cosa succederà domani, come andrà avanti la questione nei prossimi giorni; quel che è certo è che un intervento militare dell’Occidente, dato per improbabile fino a pochissimo tempo fa, è diventato ora una possibilità quanto mai realistica.
Le opinioni in merito, naturalmente, sono le più varie: ci sono quelli che lo auspicavano già da tempo, quelli che tuttora rimangono contrari e quelli che, come il nostro stimabile ministro degli Esteri, sono passati in poche settimane dall’elogiare la “stabilità” (sic) della dittatura del Colonnello al mettere a disposizione uomini e mezzi per combatterlo.
Le argomentazioni contro l’intervento militare (lasciando stare, per carità di patria, quelle leghiste e considerando solo quelle degli autonominatisi Veri Pacifisti) sono le più varie; in Italia, si sa, qualunque decisione venga presa trova sempre un nutrito gruppo di detrattori che gridano il loro “no” senza peraltro, nella maggior parte dei casi, fornire un’alternativa.
Fu così al tempo della guerra in Iraq: tra milioni di persone orgogliose delle loro bandiere arcobaleno e della loro inerzia, solo pochi si impegnarono seriamente per una possibile soluzione incruenta della questione (tra quei pochi, per quel che vale, c’era anche chi scrive).
I pacifisti dell’epoca, nel gridare il loro no, si spesero senza risparmio.
Sventolarono incessantemente le proprie colorate bandiere (un rapporto segretissimo, divulgato recentemente da Wikileaks, rivela che qualcuno di loro, nella coraggiosa opera, arrivò perfino a slogarsi un braccio); gridarono a gran voce di essere pacifisti “senza se e senza ma”, affrontando con animo lieto le difficoltà derivanti dal fare a meno, nella vita quotidiana, di queste due utilizzatissime congiunzioni (un effetto positivo fu che molti smisero di dire “ma però” e “se sarei”); fecero perfino dieci chilometri di passeggiata nel centro di Roma, impresa che provocò ad alcuni, non forniti di scarpe adeguate, dolorose vesciche ai piedi, guarite comunque - sempre secondo Wikileaks - con l’applicazione di appositi cerotti.
Cotale e cotanto dispiego di forze non parve impressionare George W. Bush e i suoi alleati, che – sulla base di rapporti quantomeno traballanti su presunte armi di distruzione di massa presenti in Iraq – decisero di attaccare comunque il regime di Saddam Hussein.
Le armi di distruzione di massa, a quel che sappiamo, non le hanno ancora trovate; c’è però da dire che anche lo stesso Saddam, vista la quantità di persone uccise dal suo regime, come arma di distruzione di massa è stato abbastanza letale, e che gli orrori perpetrati dal suo establishment - non dissimili peraltro da quelli libici - spinsero molti a rimproverare gli USA non per aver dato inizio alla guerra, ma per non essere intervenuti prima e per aver addirittura sostenuto, nel passato, il dittatore.
Ma, comunque, per i pacifisti di allora i morti per mano americana ”pesavano” molto di più di quelli uccisi da Saddam; anche oggi, a proposito della Libia, troviamo chi, nonostante tutto, continua a pensare che sia meglio lasciar massacrare i ribelli dai loro connazionali, vuoi mettere come soffrono meno se non vedono la bandiera a stelle e strisce mentre muoiono fucilati o bombardati.
E poi, insomma, chi saranno mai questi ribelli? Siamo sicuri che siano tanto meglio dei governativi? Chi gliel’ha fatto fare a ribellarsi con le armi quando potevano tirar fuori striscioni e bandiere e dar vita ad un colorato happening pacifista e nessuno si sarebbe fatto male?
I nostri “senza se e senza ma”, ricordiamolo, non si sono mai preoccupati gran che di Gheddafi, anzi, alcuni, per il suo antiamericanismo e “antisionismo” sfegatato, ne avevano persino stima. E hanno continuato a stimarlo, o comunque a non preoccuparsi eccessivamente dei suoi crimini, fino a pochissimo tempo fa. D’altronde, per molti di loro, se sul campo di battaglia non appaiono gli americani o gli israeliani (naturalmente nella parte dei cattivi) significa che non esiste battaglia di cui doversi preoccupare.
Tutt’a un tratto, però, Gheddafi ha commesso la più grande sciocchezza della sua vita. Cioè?
Ha lanciato missili su Lampedusa? Pfui, no, bazzecole, l’ha fatto per scherzo, l’ha detto pure Andreotti.
Ha insultato l’Italia in tutti i modi possibili e immaginabili? No, beh, e che vuoi che sia, per loro è anche meglio, loro di essere italiani “si vergognano”.
Ha fatto sparare ad un peschereccio italiano, senza nemmeno pensare poi a chiedere scusa? Eh, ma non bisogna giudicare in modo affrettato, si sa. E comunque la motovedetta gliel’abbiamo prestata noi, orsù, vergogniamoci tutti insieme di essere italiani.
E poi, peraltro, siamo sicuri che quelli del peschereccio – già colpevoli di uccidere poveri pesciolini indifesi per sacrificarli alla voracità di criminali non ancora convertitisi al veganesimo – rispettassero tutti i requisiti di tutela dell’ambiente? E della flora? E della fauna? E delle alghe? E delle specie rare? E di quelle comuni?
No, Gheddafi, per quanto riguarda i pacifisti all’amatriciana (di soia), poteva stare tranquillo per tutta la vita. Ma a un certo punto, com’è come non è, ha commesso un irrimediabile passo falso: ha cominciato ad entrare in intima amicizia con Silvio Berlusconi. Più che diventargli amico, in effetti, s’è lasciato amare un po’, ma sia come sia, tanto è bastato ai nostri tutti d’un pezzo per gridare all’orrore, allo scandalo, all’abominio.
Ci sarebbe da domandare, così, di passata, come mai D’Alema e Amato accolti dal Colonnello “come vecchi amici” (cit. Repubblica) invece non erano abbastanza abominevoli, però forse rischieremmo di andare fuori tema.
Insomma, mentre da queste parti ce n’eravamo accorti da tempo, che il Re dei Re non fosse proprio un amico raccomandabile, ai pacifisti nostrani la molla non è scattata finché non l’hanno visto insieme al loro nemico giurato, il Cav. nazionale.
Da quel momento, Gheddafi ha avuto i giorni contati. E’ diventato bersaglio di terribili strali d’indignazione, di infuocati editoriali, forse anche – Wikileaks dà la notizia come non confermata - di qualche sventolio di bandiere arcobaleno. Roba da far scappare a gambe levate chiunque, come i lettori capiranno, ma il Colonnello ha sfoderato un inatteso coraggio ed è rimasto ben saldo al suo posto.
Adesso, però, quando pare che la gravità dei crimini compiuti dal regime libico l’abbiano capita tutti (perfino l’ONU, per dire), quando l’Occidente ha finalmente preso posizione con chiarezza contro i massacri di civili e minaccia azioni militari, i pacifisti si dividono.
Ci sono quelli che continuano a rimanere tutti d’un pezzo, senza se e senza ma, contrari ad intervenire in Libia, perché l’imperialismo, perché l’Italia ripudia la guerra, perché i civili innocenti (che, come dicevamo, ad essere bombardati da Gheddafi invece se la godono un mondo), perché “è la loro cultura”. Fuori dal mondo, più cinici dei sostenitori della realpolitik, pilateschi, d’accordo, però coerenti con ciò che hanno sempre sostenuto.
Ci sono invece altri che, duri e puri come pochi all’epoca di Saddam, oggi invocano a gran voce il bombardamento a tappeto della Libia, l’uccisione di Gheddafi, la liberazione di Tripoli, insomma, sembra che abbiano proprio voglia di vedere una guerra in piena regola. E pare che stavolta non li vogliano, i nomi di chi ha mentito, di chi ha parlato di una guerra giusta.
Uno li guarda, se li ricorda avvolti nella bandiera arcobaleno nel 2003, strabuzza gli occhi, si gratta la testa, poi però – è un impulso insopprimibile – cerca di capire.
E capisce un paio di cose. La prima, che la sinistra nostrana deve sempre, fisiologicamente dividersi tra chi è di sinistra e chi è ancora più di sinistra, e che la divisione, potenzialmente, può replicarsi all’infinito (questo Wikileaks probabilmente ancora non lo sa, ma glielo diciamo noi, entusiasti di collaborare); la seconda, che forse per convincerla – rectius, per convincerne almeno una parte, quella non abbastanza di sinistra - a prendere le distanze chiaramente e definitivamente dal regime cubano bisognerebbe mandare Berlusconi a stringere amicizia con Fidel Castro.
Ad ogni modo, da queste parti non possiamo che rallegrarci del fatto che sempre più persone, in Italia, prendano atto se non della necessità, almeno dell’opportunità di un intervento militare in Libia.
Però, però… alla sinistra animalista (o meglio, a quella parte della sinistra animalista che non è abbastanza di sinistra da non volere l’intervento in Libia, lo so, Julian, è complicato, poi te lo spiego meglio) non glielo dite, mi raccomando, che Gheddafi è un “cane pazzo”.
Date retta. “Cane” no. Altrimenti è probabile che ce li ritroviamo a raccogliere le firme per salvarlo, povero cucciolo.
Inserito da:
Marianna Mascioletti - che ha inserito 261 articoli in Libertiamo.it.
Nata a L'Aquila nel 1983. E’ stata dirigente politica dell’Associazione Luca Coscioni e tra gli ideatori del giornale e web magazine Generazione Elle. Fa cose, vede gente. In Libertiamo sta bene.
Luigi il Grande
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Una nuova agenda per il futuro della nazione
di: Gianfranco Fini
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Dieci anni per ricominciare
di: Adolfo Urso
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Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto
di: Piercamillo Falasca
emigrazione dei talenti (termine abusato, ma in fondo efficace). Quasi 9mila laureati, tra i 25 e i 44 anni, hanno lasciato l’Italia nel 2008 (erano poco più di 3800 nel 2002). Mentre il flusso complessivo di chi si lascia l’Italia alle spalle è sostanzialmente stabile (circa 50mila all’anno dal 2002 in poi), la quota di laureati sul totale è passata dal 9,7 del 2002 al 16,6% del 2008. Si tratta del 54% circa dell’insieme degli emigranti di quella fascia d’età (il 57% circa nel centro-nord, il 47 nel sud). I dati Istat colgono il fenomeno solo parzialmente: non tutti quelli che lasciano l’Italia s’iscrivono all’anagrafe per i residenti italiani all’estero e non tutti lasciando l’Italia cambiano residenza. Altre stime credibili (quella di Confimpresa) dicono che i laureati rappresentano circa il 70% degli espatri under 40. Più che l’emigrazione intellettuale in sé, il problema è rappresentato dall’assenza di una contestuale immigrazione di talenti. Che i talenti viaggino per il globo è storia antica, ma una nazione è davvero vitale se riesce a controbilanciare l’uscita di menti brillanti con un’entrata altrettanto consistente di talentuosi stranieri. Un problema italiano, rispetto ai paesi più ricchi del pianeta, è invece la scarsa capacità di attrazione: ogni cento laureati nazionali ce ne sono 2,3 stranieri, contro una media Ocse del 10,45%. Al centocinquantesimo anno d’unità, dopo un decennio essenzialmente “berlusconiano”, l’Italia scopre di non essere più un luogo interessante e stimolante, nè per i suoi talenti, nè per quelli del mondo. Lo Stivale è attraversato da almeno cinque “fratture”: quella generazionale appena citata; quella di genere (le storture di un welfare che paga troppe pensioni e sostiene poco la maternità, l’infanzia e la cura di anziani e disabili contribuisce a scaricare sulle donne il peso della tenuta sociale); la frattura “etnica” tra italiani di lungo corso e nuovi cittadini; l’atavica frattura territoriale; infine, si va allargando la frattura tra opinione pubblica, corpi intermedi della società e classe politica. I mali del paese – è bene precisare – non sono imputabili a chi ha avuto responsabilità di governo nel recente passato, sono il frutto di successive stratificazioni, mentre le loro radici risalgono fino agli anni dorati di cui si parlava in apertura di questo contributo. Fatto sta che, al centocinquantesimo anno d’unità, l’Italia si trova di fronte al declino e chi governa non pare avere né la forza politica, né l’esprit intellettuale per contrastare la tendenza. Il declino non è mai irreversibile, la storia umana ha smentito le teorie deterministiche sui cicli delle società e delle nazioni. Ma la storia ha anche mostrato che sfuggono alle sabbie mobili solo quei paesi le cui classi dirigenti sanno alzare lo sguardo oltre le scadenze elettorali, disegnando proposte di policy capaci di produrre i loro effetti nel tempo. Anche a costo di imporre sacrifici nel breve periodo. Si rimedia a un decennio perduto (e si onora un secolo e mezzo di storia unitaria) solo se si ha l’onestà di riconoscere il declino e la forza di offrire obiettivi concreti e visioni coraggiose per il prossimo decennio.
Luigi il Grande
Sul divieto di incrocio tv-giornali Berlusconi (premier) può autorizzare Berlusconi (imprenditore)
15 marzo 2011
Signor Presidente, con la nostra mozione intanto vogliamo porre un problema che è centrale per la nostra democrazia politica, ossia il problema dell’informazione nel nostro Paese, il suo rapporto con chi è titolare di cariche di Governo e, in particolare, con chi ha una preminenza, all’interno di questa titolarità, che è, certamente, il Presidente del Consiglio. Il 31 dicembre 2010 è scaduta la disposizione dell’articolo 43, comma 12, del Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, secondo il quale le emittenti televisive titolari di più di una rete nazionale e relative società non possono acquisire partecipazioni societarie in aziende editrici di giornali quotidiani. È ciò che passa giornalisticamente come il divieto di incroci fra giornali e televisioni. Con il provvedimento cosiddetto milleproroghe, oggetto di un iter parlamentare molto tormentato, è stata introdotta la proroga del divieto, per chi possiede più di una rete televisiva, di essere proprietario di un giornale soltanto fino al 31 marzo 2011, e non fino al termine del 2012 come prevedeva il testo precedente del decreto-legge modificato, poi, nel corso dell’iter parlamentare. Il rinvio al 31 dicembre 2011 – questo è il punto – è, inoltre, facoltativo, innanzitutto, e, poi, rimesso alla discrezionalità del Presidente del Consiglio dei ministri. Infatti, il comma 2 dell’articolo 1 prevede espressamente che, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, può essere disposta l’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011 del termine precedente del 31 marzo.
Non vorrei definirlo come un piccolo giallo, ma, nella versione originaria del provvedimento cosiddetto milleproroghe, che era stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio, la tabella dei provvedimenti da prorogare al 31 marzo 2011 non conteneva, nell’elenco, proprio l’articolo che disciplina gli incroci stampa-tv. È stata eseguita una strana e singolare errata corrige dichiarando che, questa voce, sostanzialmente, è stata corretta poiché era sfuggita. Vorrei collegarmi non a considerazioni di parte, ma ad atti radicati in comunicazioni di Autorità di garanzia per sottolineare qual è il problema perché, il 24 novembre del 2010, proprio l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha sottolineato che questa disposizione in materia di limiti antitrust all’incrocio tra televisione e giornali quotidiani è stata concepita, fin dall’inizio, dal legislatore proprio a tutela del pluralismo dei mezzi di informazione, sulla base della nota sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1988. E ha segnalato in modo formale al Governo e ai Presidenti delle Camere l’esigenza di un intervento legislativo al fine di mantenere in vigore il citato divieto in quanto strettamente funzionale alla tutela della concorrenzialità e al pluralismo dell’intero sistema dell’informazione. Ma l’Agcom ha evidenziato in modo particolare – questo è il secondo punto – una serie di debolezze della legge 20 luglio 2004, n. 215 in materia di conflitto di interessi e, in particolare, ha posto l’attenzione del Parlamento, che ritengo sia il primo interlocutore privilegiato, sulla discrasia che c’è tra l’ambito soggettivo e oggettivo dell’applicazione della normativa in materia di sostegno privilegiato, cioè la normativa che non contempla tra i comportamenti vietati che possono configurare un sostegno privilegiato, anche attraverso qualsiasi forma di vantaggio diretto o indiretto politico, economico, di immagine a titolare di cariche di Governo, alcun riferimento alle imprese della carta stampata. Cioè, c’è una lacuna normativa, nonostante i giornali siano ricompresi nel sistema integrato delle comunicazioni, il famoso SIC.
Quindi, le leggi-parametro proprio prese in considerazione dalla legge n. 215 del 2004 e la cui sola violazione è suscettibile di integrare la ricorrenza del sostegno privilegiato, impongono il rispetto dei principi del pluralismo, della completezza, dell’obiettività, della lealtà, dell’imparzialità dell’informazione solo da parte delle emittenti radiofoniche e televisive, mentre la stampa sotto il profilo contenutistico e comportamentale gode di una disciplina autonoma, che non è ricompresa nell’ambito delle leggi che poco fa ho citato. Quindi, due problemi. A sua volta, l’Antitrust, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato in una segnalazione del 1o marzo 2011, direi una segnalazione allarmata e politicamente degna della massima attenzione, che è stata inviata sia al Presidente del Consiglio sia ai Presidenti dei due rami del Parlamento, ha ricordato la presenza – per carità, ha ricordato ciò che tutti sappiamo, intendiamoci, ma che venga dall’Autorità antitrust ha un particolare significato, di rilevanti partecipazioni della persona del Presidente del Consiglio dei ministri in più di una rete televisiva, e questo rende particolarmente sensibile sotto il profilo del conflitto di interessi il fatto che la proroga del divieto dell’incrocio di proprietà tra reti televisive e stampa quotidiana sia affidata alla discrezionalità e alla competenza dell’attuale Presidente del Consiglio dei ministri. Poi, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il 2 marzo 2011 è ritornata su questo tema raccomandando che venga prorogato di un tempo congruo il divieto di cui parlavamo. Quindi, abbiamo voluto richiamare con la nostra mozione che siamo dinanzi a questioni sensibili per la nostra democrazia politica e non vorremmo che, da una parte, vi sia un silenzio più o meno voluto ma, dall’altra soprattutto, una sorta di acquiescenza nei confronti di un problema che invece è rilevante per la nostra democrazia.
Con questa mozione abbiamo voluto richiamare questo problema. Tale problema ha anche delle ricadute che possono essere considerate non molto da bon ton, non molto gradevoli, ma di certo politiche. Infatti, è un fatto che sono state sollevate delle polemiche in sede politica e giornalistica nel momento in cui è stato nominato Ministro dello sviluppo il Ministro Romani, che viene dal mondo Mediaset (è inutile che ci giriamo intorno: diciamo le cose come stanno); inoltre è un fatto, per noi estremamente grave, ed è giusto che lo diciamo in questa sede, in Parlamento, che periodicamente – secondo notizie di agenzie e secondo notizie che vengono dalla stampa quotidiana – il Presidente del Consiglio faccia delle convocazioni dei direttori di alcune testate, sia giornalistiche sia di emittenti radiofoniche e televisive, in particolare afferenti al sistema di informazione Mediaset. È un fatto estremamente grave, che noi non intendiamo far passare sotto silenzio, perché collegato in modo precipuo ed in modo direi stringente alla materia di cui stiamo parlando in questo momento. Pertanto, non soltanto noi crediamo – e nella mozione abbiamo voluto fare un passo in avanti – che sia importante prorogare immediatamente ad un termine congruo, e quello della fine dell’anno prossimo lo è certamente, ma vogliamo sollevare la questione di una riorganizzazione complessiva, di sistema di questa materia, perché incide direttamente sulla qualità della nostra democrazia e sui diritti dei cittadini ad essere informati compiutamente, secondo un sistema che garantisca il pluralismo delle informazioni.
Concludo, signor Presidente, dicendo un’altra cosa che a noi sembra importante richiamare (se non lo si fa in Parlamento e se non si solleva in qualche modo il velo delle ipocrisie!): c’è un modo molto chiaro che abbiamo notato nell’esperienza di questi anni, per eludere persino il divieto esistente di incrocio di proprietà fra reti televisive e stampa quotidiana. Tale metodo è quello di intestare la proprietà dei quotidiani a parenti stretti e prossimi di chi è poi titolare di società di emittenti televisive. Questo ormai lo notiamo nella prassi di tutti i giorni. Sappiamo benissimo che chi lo fa si espone notevolmente al sospetto di proprietà fittizie, quando poi la stampa quotidiana viene intestata a parenti estremamente stretti. Cerchiamo di risolvere il problema con molta serenità in sede politica e parlamentare e quando si dovrà andare ad una necessaria – per noi assolutamente necessaria – riorganizzazione di questa materia è bene che il pluralismo dell’informazione venga assicurato anche sotto questo profilo, eliminando questa ipocrisia e facendo sì che il divieto di incrocio sia reale e superi anche questo problema. (Intervento in aula di lunedì 14 marzo 2011)
Concludo, signor Presidente, dicendo un’altra cosa che a noi sembra importante richiamare (se non lo si fa in Parlamento e se non si solleva in qualche modo il velo delle ipocrisie!): c’è un modo molto chiaro che abbiamo notato nell’esperienza di questi anni, per eludere persino il divieto esistente di incrocio di proprietà fra reti televisive e stampa quotidiana. Tale metodo è quello di intestare la proprietà dei quotidiani a parenti stretti e prossimi di chi è poi titolare di società di emittenti televisive. Questo ormai lo notiamo nella prassi di tutti i giorni. Sappiamo benissimo che chi lo fa si espone notevolmente al sospetto di proprietà fittizie, quando poi la stampa quotidiana viene intestata a parenti estremamente stretti. Cerchiamo di risolvere il problema con molta serenità in sede politica e parlamentare e quando si dovrà andare ad una necessaria – per noi assolutamente necessaria – riorganizzazione di questa materia è bene che il pluralismo dell’informazione venga assicurato anche sotto questo profilo, eliminando questa ipocrisia e facendo sì che il divieto di incrocio sia reale e superi anche questo problema.
Luigi il Grande
Intervenire in Libia. Se esiste ancora l’Occidente
Inserito il 15 marzo 2011
di PIERCAMILLO FALASCA – Mentre l’Occidente valuta l’opportunità di far seguire un vertice ad un altro vertice, o di usare un certo avverbio piuttosto che un altro nei documenti ufficiali, le forze fedeli a Gheddafi avanzano verso Bengasi, preparandosi a cingere la città d’assedio. Se accade e se il Colonnello dovesse infine prevalere, assisteremo inermi al riconsolidamento rocambolesco di un regime autoritario che sembrava agonizzante. Cosa ha permesso il ribaltamento della situazione, quali dinamiche hanno innescato la risurrezione di Gheddafi? S’era forse usata troppa fretta nel giudicare l’andamento delle guerra civile? Probabilmente sì.
Stati Uniti ed Europa sono incappate in un’illusione fatale: che bastasse la loro moral suasion a liquidare il regime gheddafiano, che la primavera araba fosse destinata - quasi deterministicamente – al successo, sul modello est-europeo. Al contrario, senza un supporto esterno, le rivoluzioni e i moti di liberazione raramente hanno un esito favorevole. E i partigiani libici rischiano oggi di soccombere.Questo è ciò che accade quando l’America si astiene dall’esercizio della sua leadership globale, sosteneva ieri il Wall Street Journal. Questa è la conclusione inevitabile delle chiacchiere europee, aggiungiamo noi.
La diffidenza nei confronti dei rivoltosi, di cui sappiamo oggettivamente poco, fa da schermo a quanti sono passati dalla becera legittimazione di Gheddafi, in nome di una realpolitik malintesa (dovrebbe esserci differenza, scriveva l’Economist, tra l’engagement con un regime da cui compriamo risorse vitali e l’endorsement del suo satrapo), ad un goffo prudentismo. La scarsa conoscenza delle forze politiche in campo avrebbe invece richiesto – e ancora richiederebbe – un maggior attivismo occidentale, affinché tra i ribelli prevalgano le componenti laiche e moderate.
L’interdizione aerea (la no fly zone), che dovrebbe impedire all’esercito regolare libico di usare l’aviazione contro i ribelli, sarebbe certamente un atto di quasi-guerra, avendo Gheddafi a disposizione una contraerei di molto più potente di quella di cui disponeva Saddam. Ma più passano i giorni e più essa rischia di diventare inefficace, acclarata ormai che la superiorità dell’esercito lealista è anche terrestre.
Ci sono oggi tre domande cui i governi occidentali dovrebbero rispondere. La prima: è interesse dell’Europa e dell’America l’archiviazione di Gheddafi? Seconda: siamo o non siamo convinti dell’importanza di una Libia guidata da un governo più affidabile – e rispettoso dei diritti umani – per la stabilità del Mediterraneo e per una gestione più serena dei flussi migratori e degli scambi energetici? Terza domanda: consideriamo un dovere delle società libere schierarsi sempre e comunque contro le dittature truculente?
Se la risposta è negativa, conviene sedersi in poltrona e guardare con più o meno gusto la partita libica. Se la risposta alle tre domande é invece positiva, se cioè riteniamo che la Libia vada accompagnata verso una sana modernizzazione, sia per interesse occidentale che per rispetto dell’umanità, allora è giunto il momento di considerare un intervento militare Nato. A partire dall’imposizione ad horas dell’interdizione aerea, ma senza escludere bombardamenti chirurgici di obiettivi strategici gheddafiani.
Quanti invitano – come il governo Berlusconi, fino a ieri amico intimo del leader libico e oggi contrario alla no fly zone – a battere le strade del ‘dialogo’, dovrebbero spiegare quali siano in concreto gli ingredienti di tale pacifica soluzione. Meno chiacchiere, per favore: se Gheddafi entra a Bengasi ci sarà solo lo sterminio dei ribelli, magari lento ma inesorabile. Se ciò avverrà, l’Occidente avrà definitivamente smarrito il suo senso storico e politico. L’Italia, in particolare, pagherebbe a caro prezzo la ‘restaurazione’ di Gheddafi. E sarebbe responsabile – per la seconda volta in cento anni – delle sofferenze del popolo libico.
Inserito da:
Piercamillo Falasca - che ha inserito 231 articoli in Libertiamo.it.
Nato a Sarno nel 1980, laureato in Economia alla Bocconi, è fellow dell’Istituto Bruno Leoni, per il quale si occupa di fisco, politiche di apertura del mercato e di Mezzogiorno. È stato tra gli ideatori di Epistemes.org. E’ vicepresidente dell’associazione Libertiamo. Ha scritto, con Carlo Lottieri, "Come il federalismo può salvare il Mezzogiorno" (2008, Rubbettino) ed ha curato "Dopo! - Ricette per il dopo crisi" (2009, IBL Libri).
Luigi il Grande
MOZIONE FLI SULLE RINNOVABILI, MENTRE INFURIA IL DIBATTITO SULL'ATOMO
A questo si somma un’altra gaffe del governo. Puntando sul tutto-atomo, solito errore italiano, il ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani voleva correggere le storture – che ci sono – degli incentivi sulla produzione di energia rinnovabile via eolico, solare e con combustibili a basso impatto. Invece ha combinato un guaio. Ha praticamente azzerato gli incentivi a un comparto che conta centinaia di imprese di “green economy” nelle quali sono occupati circa 150mila operatori. La “pezza” il governo dovrebbe metterla a fine maggio. Muto, Romani è risentito con tutti, il ministro dell’Ambiente riceve associazioni e Brunetta e Sacconi, ministro della Funzione Pubblica e del Lavoro fanno i pompieri garantendo nuovi criteri di assegnazioni di incentivi in breve tempo. Stessa promessa fatta da Berlusconi all’indomani del disastro fatto da Romani, ma il suo appello è stato accolto da molta diffidenza.
Che, in Parlamento, si è concretizzata in una mozione di Futuro e libertà che chiede, intanto, di reinserire gli incentivi fino a che non sia pronta una nuova “tabella”.
Infatti tra pochi mesi il “sogno” della prima pietra del nuovo nucleare italiano nel 2013 potrebbe essere infranto da un imponente rifiuto referendario, e sarebbe da pazzi bloccare ora i passi avanti nella produzione di energia alternativa, per quanto poco copra del fabbisogno energetico italiano.
La mozione, primi firmatari Benedetto della Vedova e Nino Lo Presti, impegna il Governo: a provvedere in tempi rapidi all’adozione del decreto ministeriale che dovrà disciplinare il sistema degli incentivi agli impianti di produzione di energia da pannelli solari fotovoltaici che vigerà dopo il 31 maggio 2011, superando il vuoto normativo creatosi con l’emanazione del decreto legislativo 3 marzo 2011 ed evitando, in questo modo, che l’incertezza normativa, oltre a ridurre l’attrattività dell’Italia per gli investimenti esteri nel settore danneggi quanti – sulla base di un legittimo affidamento alla stabilità della disciplina degli incentivi - hanno investito e stanno investendo nel settore e a rovvedere, nel quadro di un riordino della normativa settoriale, anche attraverso modifiche al decreto legislativo 3 marzo 2011 recentemente approvato: a) a estendere agli impianti fotovoltaici autorizzati entro il 31 maggio 2011, nonché agli impianti la cui richiesta di autorizzazione sia stata effettuata entro la data di emanazione del decreto legislativo 3 marzo 2011, la vigenza dell’attuale sistema d’incentivazione; b) ad una maggiore semplificazione del quadro delle autorizzazioni degli impianti, al fine di ridurre i tempi di attesa – e i relativi costi per gli operatori - e rendere più trasparente l’iter amministrativo di approvazione; c) ad adottare meccanismi d’incentivazione che premino l’innovazione di processo.
Sarà discussa mercoledì prossimo alla Camera insieme con un’altra dello stesso tono presentata dal PD.
(15 marzo 2011)
Luigi il Grande
Il gip archivia l’inchiesta sulla casa di Montecarlo
di Generazione Italia
Il Gip del tribunale di Roma, Carlo Figliolia, ha archiviato l’inchiesta della procura che vedeva indagati per truffa Gianfranco Fini e Francesco Pontone in relazione alla vendita della casa di Montecarlo. Il Gip ha fornito la seguente motivazione: nella vicenda non è ravvisabile alcun reato.
“Non si è verificata quella falsa rappresentazione della realtà necessaria per la integrazione del reato de quo; infatti l’immobile sito in Montecarlo e pervenuto ereditariamente nella disponibilità” di Alleanza nazionale “è stato ceduto ad un prezzo inferiore a quello di mercato senza alcuna induzione in errore dei soggetti danneggiati; trattasi dunque di una disposizione patrimoniale decisa dal presidente e amministratore di una associazione non riconosciuta, unitamente al suo segretario amministrativo quale rappresentante della stessa e pertanto autorizzato a disporre del suo patrimonio“, si legge nel provvedimento del gip.
Il giudice ha sottolineato che “le argomentazioni del pubblico ministero” che aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo “vanno pienamente condivise“. Insomma “nel comportamento degli imputati non sono configurabili gli estremi del reato per la natura stessa dell’ente, associazione non riconosciuta (partito politico) e per le prerogative di coloro che hanno agito“.
Il fascicolo d’indagine era stato avviato sulla base di una denuncia presentata da alcuni esponenti del movimento La Destra. Oggetto dell’inchiesta è un appartamento in Boulevard Princesse Charlotte a Montecarlo, che fu venduto da Alleanza nazionale.
Luigi il Grande
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FLI al 6,8%. Calano Pdl e Pd
di Generazione Italia
Futuro e Libertà al 6,8%. In crescita rispetto all’ultima rilevazione della settimana scorsa. Calano Popolo della Libertà e Partito democratico, che scendono rispettivamente al 27 e al 26. Cifre ormai vicinissime. E’ quanto rivela l’Osservatorio politico di Fullresearch per Generazione Italia.
In lieve crescita anche l’Udc, a quota 6,6%. Così come per il partito di Antonio Di Pietro: l’Idv è data al 5,7%. Leggero calo per il partito di Vendola (SeL), che si ferma all’8%. Mentra stabile è la Lega al 10%, identica cifra da un mese a questa parte.
La vera sorpresa è il partito degli indecisi, che si ferma al 40%. Una percentuale per la prima volta in calo dal dicembre 2010.
Aumenta invece il distacco tra il gradimento di Silvio Berlusconi, fermo al 28%, e quello del Governo, che guadagna un punto a quota 36. Il sorpasso dell’Esecutivo sul Premier è ormai un dato strutturale.
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Luigi il Grande
Giustizia, forti perplessità ma pronti a discutere
10 marzo 2011
Giustizia, forti perplessità ma pronti a discutere La riforma della giustizia va discussa nel merito anche se ci sono forti perplessità soprattutto sulla cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale dalla Costituzione e sulle ispezioni del ministro della Giustizia. Siamo pronti a discutere lungo il cammino parlamentare.
Luigi il Grande