Femminismo sempre ed ovunque
“Assistiamo a un ritorno quotidiano della violenza esercitata da uomini sulle donne, con dati allarmanti anche nei paesi “evoluti” dell’Occidente democratico. Violenze che vanno dalle forme più barbare dell’omicidio e dello stupro, delle percosse, alla costrizione e alla negazione della libertà negli ambiti familiari, sino alle manifestazioni di disprezzo del corpo femminile. Una ricerca del Consiglio d’Europa afferma che l’aggressività maschile è la prima causa di morte violenta e di invalidità permanente per le donne fra i 16 e i 44 anni in tutto il mondo e tale violenza si consuma soprattutto tra le pareti domestiche.
Siamo di fronte a una recrudescenza quantitativa di queste violenze oppure a un aumento delle denunce da parte delle donne? Resta il fatto che esiste ormai un’opinione pubblica e un senso comune, che non tollera più queste manifestazioni estreme della sessualità e della prevaricazione maschile.
Chi lavora nella scuola e nei servizi sociali denuncia una situazione spesso molto critica nei comportamenti degli adolescenti maschi, più inclini delle loro coetanee a comportamenti violenti, individuali e di gruppo.
Forse il tramonto delle vecchie relazioni tra i sessi basate su una indiscussa supremazia maschile provoca una crisi e uno spaesamento negli uomini che richiedono una nuova capacità di riflessione, di autocoscienza, una ricerca approfondita sulle dinamiche della nostra sessualità e sulla natura delle relazioni con le donne e con gli altri uomini.
La rivoluzione femminile che abbiamo conosciuto dalla seconda metà del secolo scorso ha cambiato il mondo. Sono mutate prima di tutto le nostre vite, le relazioni familiari, l’amicizia e l’amore tra uomini e donne, il rapporto con figlie e figli. Sono cambiate consuetudini e modi di sentire. Anche le norme scritte della nostra convivenza registrano, sia pure a fatica, questo cambiamento.
L’affermarsi della libertà femminile non è una realtà delle sole società occidentali. Il moto di emancipazione e liberazione delle donne si è esteso, con molte forme, modalità e sensibilità diverse, in tutto il mondo. La condizione della donna torna in modo frequente nelle polemiche sullo “scontro di civiltà” che sarebbe in atto nel mondo. Noi pensiamo che la logica della guerra e dello “scontro di civiltà” può essere superata solo con un “cambio di civiltà” fondato in tutto il mondo su una nuova qualità del rapporto tra gli uomini e le donne.
Oggi attraversiamo una fase contraddittoria, in cui sembra manifestarsi una larga e violenta “reazione” contraria al mutamento prodotto dalla rivoluzione femminile. La violenza fisica contro le donne può essere interpretata in termini di continuità, osservando il permanere di un’antica attitudine maschile che forse per la prima volta viene sottoposta a una critica sociale così alta, ma anche in termini di novità, come una “risposta” nel quotidiano alle mutate relazioni tra i sessi.
Un altro sintomo inquietante è il proliferare di mentalità e comportamenti ispirati da fondamentalismi di varia natura religiosa, etnica e politica, che si accompagnano sistematicamente a una visione autoritaria e maschilista del ruolo della donna. Queste stesse tendenze sono però attualmente sottoposte a una critica sempre più vasta, soprattutto – ma non esclusivamente – da parte femminile.
In un contesto di insicurezza (in parte reale, in parte enfatizzata dai media e da settori della politica), di continua emergenza e paura per azioni terroristiche e per le contraddizioni provocate dalla nuova dimensione dei flussi di immigrazione, nel dibattito pubblico la matrice della violenza patriarcale e sessuale è stata spesso riferita a culture e religioni diverse dalla nostra. Molte voci però hanno insistito giustamente sul fatto che anche la nostra società occidentale non è stata e non è a tutt’oggi immune da questo tipo di violenza. E’ anzi possibile che il rilievo mediatico attribuito alla violenza sessuale che viene dallo “straniero” risponda a un meccanismo inconscio di rimozione e di falsa coscienza rispetto all’esistenza di questo stesso tipo di violenza, anche se in diversi contesti culturali, nei comportamenti di noi maschi occidentali.
Si è parlato dell’esigenza di un maggiore ruolo delle istituzioni pubbliche, sino alla costituzione come parti civili degli Enti Locali e dello Stato nei processi per violenze contro le donne. Si è persino messo sotto accusa un ipotetico “silenzio del femminismo” di fronte alla moltiplicazione dei casi di violenza.
Noi pensiamo che sia giunto il momento, prima di tutto, di una chiara presa di parola pubblica e di assunzione di responsabilità da parte maschile. In questi anni non sono mancati singoli uomini e gruppi maschili che hanno cercato di riflettere sulla crisi dell’ordine patriarcale. Ma oggi è necessario un salto di qualità, una presa di coscienza collettiva. La violenza è l’emergenza più drammatica.
Una forte presenza pubblica maschile contro la violenza degli uomini potrebbe assumere valore simbolico rilevante. Anche diffondendo e firmando questo Appello, convocando nelle città manifestazioni, incontri, assemblee, per provocare un confronto reale.
Siamo sempre più convinti che un filo unico leghi fenomeni anche molto distanti tra loro ma riconducibili alla sempre più insopportabile resistenza con cui la parte maschile della società reagisce alla volontà che le donne hanno di decidere della propria vita, di significare e di agire la loro nuova libertà: il corpo femminile è negato con la violenza. E invece viene anche disprezzato e considerato un mero oggetto di scambio (come ha dimostrato il recente scandalo sulle prestazioni sessuali chieste da uomini di potere in cambio di apparizioni in programmi tv ecc.). Viene rimosso da ambiti decisivi per il potere: nella politica, nell’accademia, nell’informazione, nell’impresa, nelle organizzazioni sindacali. Lo sguardo maschile non vede ancora adeguatamente la grande trasformazione delle nostre società prodotta negli ultimi decenni dal massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
Proponiamo e speriamo che finalmente inizi e si diffonda in tutta Italia una riflessione pubblica tra gli uomini, nelle famiglie, nelle scuole e nelle università, nei luoghi della politica e dell’informazione, nel mondo del lavoro, una riflessione comune capace di determinare una svolta evidente nei comportamenti quotidiani e nella vita di ciascuno di noi.”
Per controfirmare l’Appello:info@maschileplurale.it
01 feb 2011
Aderisco ad iniziativa “Sono una donna e dico basta”
Anche Chiara Moroni, vicepresidente di Futuro e Libertà per l’Italia alla Camera dei Deputati, aderisce all’appello di Francesca e Cristina Comencini, Valeria Parrella, Giulia Bongiorno, Anna Finocchiaro, Susanna Camusso, Inge Feltrinelli, Flavia Perina, Margherita Buy, Laura Morante e tante altre e annuncia la sua partecipazione alla mobilitazione in difesa della dignità delle donne.
Inoltre la Moroni ha annunciato anche di aver aderito, insieme alle giovani futuriste di Generazione Futuro, all’iniziativa fotografica organizzata da Repubblica dal titolo “Sono una donna e dico basta”.
Luigi il Grande
La pupa e il vecchione
February 1st, 2011 - 3:57 pm
Ho ammazzato mia moglie. Embé? A casa sua ognuno fa quello che vuole. Più o meno è questa la difesa delle masse berlusconiane, forse ancora prevalenti nel Paese. Difesa puntellata da disparate teorie. Una, molto in voga (rilanciata recentemente sul Corriere da Pigi Battista in polemica con Micromega) suona più o meno così: l’antiberlusconismo che disprezza i berlusconisti è controproducente e finisce per favorire Berlusconi. Tesi interessante. Già, perché ci ostiniamo a disprezzare i berlusconiani? È grazie a loro, dopotutto, che Berlusconi traballa.
Non fu forse il più fidato leguleio di Silvio, il berlusconiano di ferro Ghedini, a definirlo «utilizzatore finale» quando si scoprì che quello andava a puttane? Non è forse berlusconiana Nicole Minetti che lo chiama «vecchio», «culo flaccido» e «pezzo di merda»?
È berlusconiana Barbara Guerra, che al solo pensiero di passare la notte ad Arcore le «viene il vomito». È berlusconiana Aris Espinosa, che dice che andare a letto con Berlusconi «è stressante». Era berlusconiana Patrizia D’Addario, addirittura candidata alle elezioni pugliesi.
È berlusconiano Lele Mora, quello con «Faccetta nera» nella suoneria del telefono che a Silvio spilla milioni. È berlusconiano oltre ogni dire Emilio Fede, un autogol vivente. Fu berlusconiano Fini, per dire. È berlusconiano il dottor Tremonti, quello che, in metafora, inchioderà la bara. Sono berlusconiani mamme, padri, fratelli, fidanzati delle zoccolette di Arcore che le spronano a dare di più e portare a casa di più.
Già, perché mai dovremmo disprezzarli? Non vedete che magnifici esempi di etica e di dirittura morale ci si parano davanti? E noi, stupidi antiberlusconiani che ci sentiamo superiori solo perché mandiamo le figlie a scuola invece che a battere ad Arcore! Dài, non disprezziamoli, non facciamo i superiori, mettiamoci comodi e guardiamo in tivù La pupa e il vecchione, ricavandone il giusto insegnamento morale: sono i berlusconiani a far cadere Berlusconi. Alla facciaccia nostra.
Luigi il Grande
Sono giovane, donna e dico basta
di Generazione Futuro
1 febbraio 2011
Giovani futuriste, inviate la vostra foto a fotografie@repubblica.it
Luigi il Grande
Il 4 febbraio a Roma l’alfabeto di Filomena va alla “D come Desiderio”
January 27th, 2011 - 9:03 am
D come Desiderio
Luigi il Grande
dopo IL CASO ruby
Sciarpe bianche e carte d'identità
Donne in piazza Scala contro il premier
MILANO - Sono arrivate in piazza della Scala con una sciarpa bianca, simbolo del lutto per la situazione del nostro Paese: migliaia di persone, soprattutto donne ma anche uomini, hanno partecipato alla manifestazione di protesta organizzata a Milano per difendere la dignità delle donne e chiedere le dimissioni del premier Silvio Berlusconi. Alla protesta - prima di una serie, hanno promesso i partecipanti - hanno aderito i partiti del centrosinistra, la Cgil e numerose associazioni (femminili e non, come Usciamo dal silenzio e Arcigay). «Un'altra storia italiana è possibile. Insieme, donne e uomini», il titolo dell'evento cui, secondo gli organizzatori, hanno partecipato oltre diecimila persone, che hanno riempito la piazza non solo di sciarpe bianche ma anche di cartelli e palloncini. Messaggi di stima alla Boccassini e contro Berlusconi: «Ilda sei grande, questa piazza ti chiede di resistere», «Non voglio passare dalle stanze di Arcore per fare politica». Appese al cappotto, poi, molte donne indossavano appesa una fotocopia ingrandita della loro carta d'identità, «per dire chi siamo, cassaintegrate, commesse, ricercatrici precarie, artiste, studentesse, registe, operaie e giornaliste, per dire la forza che rappresentiamo, a dispetto di tutto».
SUL PALCO - A prendere per prima la parola, la direttrice dell'Unità, Concita De Gregorio, che tra le risate, ha esordito dichiarandosi «la nipote di Indira Ghandi». «Dobbiamo dire alle ragazze - ha osservato - che prostituirsi non è l'unico modo per campare». Più volte, i discorsi e i messaggi dal palco sono stati interrotti dalle grida dei manifestanti rivolte al premier: «Dimissioni, dimissioni!».
Donne contro il premier a Milano
MESSAGGI - Tra chi ha preso la parola, Lucrezia Lante della Rovere ha letto un appello scritto dalla stessa De Gregorio e alcuni attori hanno recitato una serie di messaggi, da quello del candidato del centrosinistra a Milano Giuliano Pisapia, presente in piazza, a quelli dello scrittore Luis Sepúlveda, della segretaria Cgil Susanna Camusso e di Nichi Vendola per cui «la manifestazione è un tassello importante per la costruzione di una Italia migliore». Il più applaudito è stato però quello di Rosy Bindi. «Mi unisco a voi - ha scritto la presidente del Pd - Non siamo donne a sua disposizione». Franca Rame, accompagnata dal marito Dario Fo, è stata acclamata su una panchina trasformata per l' occasione in palco. «Mi dispiace per questo clima malevolo verso Berlusconi - ha detto fra le risate l'attrice -. Silvio eleva la dignità delle donne. Diciamo che ama le donne. Soprattutto a seno scoperto e senza slip». »Oggi - ha aggiunto alla fine - è stato un bellissimo segnale. Speriamo si ricominci a fare politica».
Redazione online
29 gennaio 2011
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Luigi il Grande
Filomena tra le donne che scenderanno nelle piazze italiane il 13 febbraio “Se non ora, quando?”
January 28th, 2011 - 12:55 pm
Domenica 13 febbraio*, in tutta *Italia*
anche FILOMENA-LA RETE DELLE DONNE promuove l’organizzazione di
*una grande mobilitazione nazionale di donne in difesa della dignità* femminile.
Di seguito trovate il testo dell’appello e le prime firmatarie.
Se volete
aderire, basta mandare una mail (aderisco + nome e cognome) a
mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com
L’appello non riguarda soltanto gli affari del Presidente del Consiglio ma lo stato di difficoltà in cui si trovano le donne italiane in questo momento storico. I dati Istat lo dicono. Una donna italiana su due non lavora, moltissime (troppe) lasciano il lavoro dopo la maternità per mancanza di assistenza. I salari femminili sono regolarmente più bassi di quelli maschi.
***
Una mobilitazione al femminile per difendere la dignità di chi lavora, si impegna e si sacrifica per la famiglia. Appuntamento in tutte le città italiane contro “la ripetuta rappresentazione come oggetto di scambio sessuale”. Moltissime adesioni, dalle Comencini all’onorevole Bongiorno.
Clicca qui per avere più informazioni sull’appello che ha indetto la manifestazione.
INVITO ALLE DONNE ITALIANE
A PARTECIPARE AD UNA GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE
DOMENICA 13 FEBBRAIO 2011
Se non ora, quando? In Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si sacrifica per affermarsi nella professione che si è scelta, si prende cura delle relazioni affettive e familiari, occupandosi di figli, mariti, genitori anziani. Tante sono impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato allo scopo di rendere più civile, più ricca e accogliente la società in cui vivono. Hanno considerazione e rispetto di sé, della libertà e della dignità femminile ottenute con il contributo di tante generazioni di donne che – va ricordato nel 150esimo dell’unità d’Italia – hanno costruito la nazione democratica. Questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità. E ciò non è più tollerabile. Una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici. Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Così, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza. Il modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale. Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando? è il tempo di dimostrare amicizia verso le donne.
L’APPUNTAMENTO E’ PER IL 13 FEBBRAIO IN OGNI GRANDE CITTA’ ITALIANA
Per le adesioni e informazioni l’indirizzo mail è mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com
Firmatarie : Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Silvia Avallone, Maria Bonafede, Suor Eugenia Bonetti, Giulia Bongiorno, Margherita Buy, Susanna Camusso, Licia Colò, Cristina Comencini, Silvia Costa, Titti Di Salvo, Emma Fattorini, Tiziana Ferrario, Angela Finocchiaro, Inge Feltrinelli, Anna Finocchiaro, Donata Francescato, Rosetta Loy, Laura Morante, Claudia Mori, Michela Murgia, Flavia Nardelli, Valeria Parrella, Flavia Perina, Marinella Perrone, Amanda Sandrelli, Lunetta Savino, Clara Sereni, Gabriella Stramaccione, Patrizia Toja, Livia Turco, Lorella Zanardo, Natalia Aspesi, Letizia Battaglia, Associazione Dinuovo, Associazione FILOMENA- la rete delle donne
Prime adesioni: Francesca Comencini, Isabella Ragonese, Roberta Agostini, Morena Piccinini, Valeria Fedeli, Barbara Scaramucci, Annamaria Tagliavini, Cecilia d’Elia, Paola Gaiotti, Cristina Marcuzzo, Paola Bertagnolio, Gabriella Salinetti, Monica Cerutti, Nicoletta Dentico, Annalisa Rosselli, Anna Vinci, Angela Nava, Maria Rosaria Stabili, Rosalba Giugni, Suzanne Diku, Paola Barbieri, Donatina Persichetti, Anna Rudeberg, Dora Jacobelli, Stefania Bartoloni, Franca Zambonini, Camilla Miglio, Luisa Miglio, Novella Bellucci, Marcella Corsi, Maria Grazia Fasoli, Rosalba Fanelli, Masci del Lazio (Movimento adulti scout cattolici italiani).
Le associazioni di volontariato: Welcom; Televita; Insieme con te; Articolo 3; Centro Italiano Femminile di Roma; Conferenza Maschile “Federico Ozanam”
Luigi il Grande
Donne: è l'ora d'indignarsi. Mobilitazione il 13 febbraio
Una mobilitazione in tutte le città italiane domenica 13 febbraio per ridare dignità alle donne: se non ora quando? L’iniziativa è politicamente trasversale perché quello che emerge dalle carte dei pm della Procura di Milano sul caso Ruby, «un modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni. Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale».
Ci sono tra le altre, le firme di Francesca e Cristina Comencini, Rosellina Archinto, Gae Aulenti, delle scrittrici Silvia Avallone e Michela Murgia, Lorella Zanardo e Rosetta Loy, Clara Sereni e Valeria Parrella, le onorevoli del Pdl Giulia Bongiorno e del Pd Anna Finocchiaro, il segretario della Cgil Susanna Camusso, l’editrice Inge Feltrinelli, il direttore del Secolo d’Italia Flavia Perina, le attrici Margherita Buy, Angela Finocchiaro, Laura Morante, Lunetta Savino, Maria Bonafede della chiesa Valdese e Suor Eugenia Bonetti, Licia Colò, Claudia Mori. La mobilitazione, che è partita ieri (per le adesioni e informazioni l’indirizzo mail è mobilitazione.nazionale.donne@gmail.com) nasce dalla consapevolezza che in Italia la maggioranza delle donne lavora fuori o dentro casa, crea ricchezza, cerca un lavoro (e una su due non ci riesce), studia, si prende cura delle relazioni affettive e familiari. Donne impegnate nella vita pubblica, in tutti i partiti, nei sindacati, nelle imprese, nelle associazioni e nel volontariato, donne che hanno considerazione e rispetto di sé, della libertà e della dignità femminile.
«Questa ricca e varia esperienza di vita è cancellata dalla ripetuta, indecente, ostentata rappresentazione delle donne come nudo oggetto di scambio sessuale, offerta da giornali, televisioni, pubblicità. E ciò non è più tollerabile - scrivono le firmatarie - una cultura diffusa propone alle giovani generazioni di raggiungere mete scintillanti e facili guadagni offrendo bellezza e intelligenza al potente di turno, disposto a sua volta a scambiarle con risorse e ruoli pubblici. Questa mentalità e i comportamenti che ne derivano stanno inquinando la convivenza sociale e l’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione. Così, senza quasi rendercene conto, abbiamo superato la soglia della decenza». L’idea della mobilitazione, «per difendere il valore della dignità» non è una cosa solo per donne: «diciamo agli uomini: se non ora, quando? è il tempo di dimostrare amicizia verso le donne».
Anche gli uomini sono dunque chiamati a dire una parola chiara in questa situazione, un appello rivolto alla componente maschile della società anche da Famiglia Cristiana secondo cui «dovrebbero essere i maschi per primi a ribellarsi alla pubblica umiliazione delle donne». E se «c’è un diffuso disagio morale», allora «perché non si trasforma in indignazione generale?», chiede la rivista dei Paolini. «L’indignazione per donne considerate oggetti, per frotte di ragazze equivalenti a scuderie di puledre, dovrebbe percorrere il Paese da un capo all’altro e interrogare tutti - osserva Famiglia Cristiana - Invece sembra che l’indignazione sia una questione di genere. In piazza vanno le donne, la voce l’alzano le donne». Il settimanale dei Paolini recrimina anche sul fatto che «ormai espressioni come ‘carne fresca’ per definire lo stato di povere ragazze impigliate in una vita grama, oggetto di desiderio morboso da parte di uomini senza rispetto, appaiono normali». «Gli piace la carne fresca» è l’espressione utilizzata in tv da Iva Zanicchi per giustificare il premier e i suoi festini. «A quanti in questo Paese – si domanda Famiglia Cristiana – va bene il libertinismo come ideologia e pratica quotidiana, sdoganato ormai alla stregua di terapia antistress?».
Si ribellano intanto anche le donne di origine marocchina stanche di vedere associata la loro nazionalità all’immagine di Ruby. Lo sfogo è di Naisrine Moulzim, una ragazza di 28 anni dipendente di un’azienda della moda a Treviso, che si è posta alla testa di un gruppo di una quindicina di connazionali di tutte le età del trevigiano accomunate dalla crescente intolleranza per la visibilità negativa assunta dalla escort legata, sulle cronache dei media, alle feste di Silvio Berlusconi. «Intendiamoci, sul premier italiano non abbiamo alcun giudizio da esprimere, è una persona adulta e faccia quello che crede. Però - precisa Moulzim - ci sentiamo sempre più offese dall’atteggiamento ostentato di Ruby ed al discredito che arreca ai danni dell’intera comunità marocchina femminile». Un disagio che sarà presto trasformato, aggiunge la giovane immigrata, in una manifestazione pubblica. «Cosa fare lo decideremo in una riunione. Senz’altro promuoveremo una raccolta di firme fra le donne marocchine e poi vedremo come esternare alla città e all’intero Paese la nostra insofferenza. Abitiamo qui tutte da più di 20 anni - conclude - e vogliamo vivere in santa pace, senza più il fastidio dell’equazione donna marocchina uguale Ruby».
Luigi il Grande
Il deputato Barbara Matera a Napoli. Le donne del Pdl e del Pd disertano
January 23rd, 2011 - 12:02 pm
L’ex Letteronza ospite di un convegno politico a palazzo Armieri. Nessuna delle invitate si presenta. È polemica
Cortese: fuori luogo farla venire in un momento delicato
NAPOLI – La deputata europea Barbara Matera, tra le più chiacchierate veline passate alla politica, piomba a Napoli nel pieno dell’affaire Ruby-Berlusconi, per partecipare a un convegno organizzato della Consulta regionale delle donne con all’ordine del giorno quote rosa, legge elettorale e prevenzione.
LE DONNE DEL PDL ASSENTI – Ma proprio le donne sue colleghe, quelle della politica, sono assenti. Non c’è neanche una delle 14 deputate regionali, né le consigliere provinciali. «Eppure» assicura la presidente Monica Maietta, organizzatrice dell’incontro a Palazzo Armieri, «erano state invitate tutte».
L’EX LETTERONZA NON FA UNA GRINZA - Insomma la politica rosa era completamente latitante. Ma lei, l’ex Letteronza fa finta di niente e continua a dispensare sorrisi e abbracci alle signore della consulta che le si stringono attorno. Miss 130mila preferenze, come è stata soprannominata per i voti conquistati alle elezioni europee, non fa una grinza, forte della sua fama cui contribuì anche l’insolita presentazione che le regalò Silvio Berlusconi a «Porta a Porta»: «Me l’ha consigliata Gianni Letta, è la fidanzata del figlio di un prefetto suo amico. Ha fatto una parte in Carabinieri 7 su Canale 5, ma mai la velina».
MIRAGLIA, L’ULTIMO FORFAIT - La Matera si presenta alla manifestazione dalla Consulta regionale con un viso acqua e sapone e, forse, una eccessiva generosità nei sorrisi. La presidentessa spiega che anche l’assessore regionale Caterina Miraglia non sarebbe arrivata in tempo per il convegno. L’unica donna della giunta Caldoro, dopo un primo tiepido sì, dunque, fa sapere che un impegno la costringe a non prendere parte all’incontro. Insomma da una parte il forfait delle donne del centro sinistra che prevedibilmente non avrebbero messo piede nella sala di un meeting dove la prima donna era la biondissima Matera, dall’altra la defezione le compagne di schieramento.
CORTESE: «UN INCONTRO FUORI LUOGO» - In un durissimo comunicato la consigliera regionale del Pd Angela Cortese fa sapere che non avrebbe partecipato all’incontro perché è «fuori luogo». «Francamente – argomenta la Cortese – , con tutto quello che sta accadendo in queste ore, e considerate le voci autorevoli del Presidente della Repubblica Napolitano e del Papa, dai quali è venuto un comune monito affinché si riscoprano ‘principi etici e atteggiamenti morali’ nella vita politica ed istituzionale, ritengo decisamente fuori luogo l’iniziativa della presidente Maietta». E poi: «In un momento così triste per l’Italia e così degradante per l’immagine femminile – continua la consigliera democratica – mentre le donne del Pd si riuniscono per la prima volta nella Conferenza regionale e sono impegnate a raccogliere le firme per dare voce al forte sentimento di indignazione che scuote il Paese, la Consulta ha deciso come se nulla fosse di convocare un incontro con la Matera. Un’iniziativa alla quale – come molte altre donne del mondo dell’associazionismo – non parteciperò».
MAIETTA: CORTESE, FALLIMENTO DEL FEMMINISMO - Altrettanto duramente risponde l’organizzatrice dell’incontro Monica Maietta: «Vedo nella Cortese un esempio di fallimento del femminismo, che nessuna opportunità vuole offrire alle giovani donne, che fa discriminazione all’interno del genere femminile di cui lei stessa fa parte».
E LEI GLISSA - Anche le donne del Pdl nicchiano sulla partecipazione al convegno, qualcuna fa finta di niente, altre si defilano, altre ancora dopo aver annunciato tiepidamente la loro presenza danno forfait all’ultimo momento. Così la parlamentare europea che è vicepresidente della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha fatto quello che poteva, ha ascoltato con diligenza, ha dispensato i suoi sorrisi.
il Corriere del Mezzogiorno, Rocco Sessa, 22 gennaio 2011
Luigi il Grande
Noi donne calpestate, non possiamo tacere
January 21st, 2011 - 10:40 am
La lettera di Giulia Buongiorno, presidente commissione Giustizia della Camera
Caro direttore,
quando è in corso un’indagine che riguarda un personaggio pubblico, l’immancabile amplificazione mediatica che ne consegue è insidiosissima. Di solito, gli elementi divulgati sono soltanto quelli raccolti dai pubblici ministeri. Si finisce così per attribuire il crisma di verità a tesi parziali.
E l’idea che se ne fa l’opinione pubblica può risultarne alterata. Da avvocato, sento quindi l’obbligo di sottolineare che l’indagine sul premier Silvio Berlusconi non deve fare eccezione: prima di formulare giudizi in merito alla fondatezza delle accuse mossegli dalla Procura, bisogna senza dubbio attendere gli sviluppi processuali. Fatta questa doverosa premessa, voglio però subito precisare che non sono affatto d’accordo con quanti usano questo ragionamento come arma per stroncare ogni tipo di riflessione critica: in questi giorni ho infatti sentito invocare la presunzione di innocenza per mettere a tacere chi contestava non la consumazione di reati ma fatti storici oggettivamente emersi, fatti che nessun processo potrà mai cancellare.
In definitiva, se prima di condannare è necessario aspettare che si faccia chiarezza sulla sussistenza di certi reati, non si può ignorare che non tutto quanto è emerso in questi giorni è “in attesa di giudizio”: il contesto oggettivo in cui sarebbero maturate le vicende processuali non ha improvvisamente squarciato un velo e mostrato un profilo imprevisto e del tutto inedito del premier.
Nelle aule di Milano si discuterà se Silvio Berlusconi abbia o meno consumato i reati di prostituzione minorile e di concussione, ma non erano necessarie le vicende sottostanti a queste contestazioni - né una sentenza - per conoscere la sua opinione sulle donne. Un’opinione che, se non ha rilevanza penale, ha tuttavia un’enorme rilevanza politica. Un’opinione da lui stesso espressa in modo inequivocabile con battute, barzellette, colloqui pubblici e privati. Un’opinione già delineatasi attraverso le dichiarazioni di Veronica Lario, quelle più recenti di Barbara Berlusconi (due testimoni molto attendibili), le vicende di Noemi Letizia e Patrizia D’Addario, nonché attraverso la singolare questione di alcune donne prima forse inserite nelle liste delle candidature alle Europee del 2009 e poi da quelle liste sicuramente scomparse. Quello che Silvio Berlusconi sembra maggiormente apprezzare nel genere femminile è l’avvenenza, al punto da far passare in secondo piano requisiti di ben altro spessore (credo sia rimasta impressa nella memoria di tutti la rozzezza della battuta all’onorevole Rosy Bindi); ancora meglio, poi, se a un aspetto fisico di un certo tipo si accompagnano giovane età, accondiscendenza e disponibilità ad abdicare al proprio spirito critico.
Di fronte a tutto ciò, ho sentito obiettare che si tratterebbe di questioni attinenti alla vita privata del premier e che dunque - appunto per questo - dovrebbero riguardare soltanto lui e la sua coscienza.
No, non è così.
Non c’è spazio per sostenerlo: lo stile e la filosofia di vita di un uomo che riveste la carica di presidente del Consiglio non possono non ripercuotersi sulla vita pubblica. Lo dimostra il fatto che Berlusconi, con le sue parole e i suoi comportamenti, ha inferto una ferita a tutte le donne italiane: alle donne che studiano e lavorano (spesso percependo stipendi inadeguati o, come nel caso delle casalinghe, senza percepirli affatto), a tutte noi che facciamo fatica un giorno dopo l’altro; alle donne che per raggiungere ruoli di rilievo non soltanto a certe feste non ci sono andate, ma hanno semmai dovuto rinunciare a vedere gli amici; a quante, invece di cercare scorciatoie, hanno percorso con dignità la strada dell’impegno e del sacrificio. E a coloro alle quali è stato chiesto, più o meno esplicitamente, di scegliere tra vita privata e vita pubblica, perché conciliare un figlio con il successo sarebbe stato troppo difficile: con il risultato che hanno rinunciato alla maternità o che ci sono arrivate ben oltre il momento in cui avrebbero voluto.
A ciascuna di loro - nel momento in cui le donne vengono scelte e “premiate” in base non al merito ma a qualcos’altro che con la professionalità, l’impegno, l’intelligenza ha poco o nulla a che fare - è stata riversata addosso l’inutilità del suo sacrificio.
Brucia, questa ferita. Brucia anche perché non sfugge che sono davvero in tanti a sottolineare, forse persino con un pizzico d’invidia, la fortuna e il fascino di un uomo più che maturo circondato da giovanissime più o meno avvenenti che si contendono i suoi favori, pronte a tutto pur di compiacerlo. Anche se, in un paese maschilista come il nostro, la complicità tra uomini turba ma non sorprende.
Ma non si tratta esclusivamente di una ferita inferta alla dignità della donna, c’è di più; mai le battaglie del presidente del Consiglio hanno coinciso con le battaglie delle donne. Basterebbe a tal proposito ricordare che negli elenchi delle priorità di questo governo, che via via vengono snocciolate, figura di tutto - in primis, battaglie contro magistrati “comunisti” - , ma mai, mai, battaglie a favore delle donne. Come se le donne non avessero problemi concreti e indifferibili.
Come si può ipotizzare che le leggi per combattere pm “politicizzati” siano più urgenti di quelle che dovrebbero venire incontro alle necessità di tutte noi?
E allora non copriamo con l’alibi del segreto istruttorio, o con il fragile scudo della privacy, ciò che segreto non è, e nemmeno riservato.
Ma sono le donne che per prime devono farsi forti della loro dignità e della consapevolezza del loro valore - senza distinzione di età, credo politico, provenienza geografica - per esprimere a voce alta lo sdegno che questa mentalità suscita, ne sono sicura, nella stragrande maggioranza di noi.
Se credono, gli uomini continuino pure ad ammirare e a sostenere Silvio Berlusconi; le donne, per favore, no.
21 gennaio 2011
Luigi il Grande
Politica
Non è più possibile in Italia parlare di questione morale, e infatti l’unico a riesumare l’espressione in questi giorni è il comico Antonio Albanese: la moralità è out, fuori corso, improponibile, così come l’indignazione e lo scandalo, categorie archiviate da una tenace operazione culturale che ha trasformato l’inammissibile e l’impensabile in fenomeno pop. Sono pop le escort, soprattutto se molto giovani, sulle quali c’è pure una serie tv (Diario di una squillo perbene). È pop parlare in pubblico di preferenze sessuali, invitare le telecamere a inquadrare le scollature delle ospiti più avvenenti, fare complimenti pesanti alle ragazzine. Ricordo che in una delle prime riunioni femminili di An a cui fu invitato Berlusconi, una decina di anni fa, la platea rimase sconcertata dall’esordio del premier dedicato alle gambe delle convegniste in prima fila. Dio come eravamo antiche, bacchettone, retrò, con quella idea che certe battute non fossero adeguate a una riunione politica della destra. E come siamo moderne oggi, mentre leggiamo le notizie del dossier Ruby dicendoci che boh, chi lo sa, forse sarà un colpo fatale ma forse no, perché in fondo sono cose già viste e già sentite, le ragazze, gli spettacolini, il bunga bunga. In più c’è solo una minorenne, ma alla fin fine come dice il Giornale dimostrava più della sua età e quei 17 anni sono un dato solo “burocratico”. I nostri stessi dubbi sono il metro della distanza che separa l’idea di politica, istituzioni, relazioni personali incardinata nell’Italia di oggi da quella che dominava l’immaginario collettivo appena cinque o sei anni addietro. Siamo avanti, avantissimo, rispetto a ogni standard europeo. C’è una battuta che gira da secoli, e che Roberto Benigni ha ripetuto nei suoi monologhi su Dante: «Quando voi stavate sugli alberi, noi eravamo già froci». Ecco, mentre in tutta Europa gossip significa un’amante o una fidanzata segreta, noi siamo già al bunga bunga, e lo abbiamo metabolizzato così bene che il titolo on line del Corriere di ieri che associava alla pratica il nome di una parlamentare del Pdl neanche lo abbiamo “cliccato”, figuriamoci, roba antica, e poi alla fine non sono affari loro? Ecco, bisognerebbe avere il coraggio di dire che – al di là del profilo giudiziario, di cui si occuperanno i magistrati – non sono solo affari loro. Ci sono ruoli pubblici, persino quelli giudicati “modesti” come il consigliere regionale, che dovrebbero comportare un certo senso del limite e della moderazione. Anche i calciatori, le star più capricciose dei nostri tempi, vengono sanzionati se sputano in campo o addirittura se esagerano nell’esultanza. Persino i concorrenti del Grande Fratello conoscono il confine da non varcare quando si insultano reciprocamente. La classica espressione utilizzata in questi casi è: “ci sono i bambini che guardano”. Una frase drammaticamente fuori moda, che pure si dovrebbe avere la forza di riproporre. Ci sono le ragazze che guardano, le nostre figlie, e vedono in tv queste “amiche del premier” uscire dalla questura di Milano con buste di Gucci grandi come valige (hanno fatto shopping già che si trovavano in centro?) e leggeranno domani delle prestazioni che hanno garantito, di quella che si vanta dell’appartamento gratis, dell’altra che ha incassato cinquemila euro esentasse dopo la festicciola, e ovviamente di Ruby che giura all’amica di poter pretendere cinque milioni per il suo silenzio. Vi sembra normale, vi sembra difendibile? Durante le manifestazioni studentesche, Silvio Berlusconi disse qualcosa tipo “i bravi studenti sono a casa a studiare”. E alle brave ragazze cosa suggeriamo di fare, ammesso che non sia out parlare di questa categoria di “invisibili”? La galleria di ventenni patinate, griffate, scosciate e perfettamente truccate apparsa in questi giorni sui giornali è un potentissimo spot “istituzionale” rivolto alle giovani italiane, una pubblicità-progresso che indica la strada del successo e della bella vita in un push-up con scollatura a cuore. Così fan tutte, tutte quelle “furbe”, è il messaggio implicito che rivolge alle nostre adolescenti. Sappiamo che è moralista e fuori moda dirlo, ma non ci piace, ci dà fastidio e siamo convinte che in tutto ciò non ci sia niente di pop: è solo roba di cui vergognarsi.
Luigi il Grande
La voce profonda di Luce Irigaray
January 8th, 2011 - 4:41 pm
Nella puntata odierna di Uomini e Profeti, in onda su Radio 3, il sapere femminile con Luce Irigaray, che è stata una delle maggiori esponenti del pensiero femminista europeo. Formatasi alla scuola di Jacques Lacan, da cui fu allontanata per divergenze ideologiche all’uscita del suo primo lavoro Speculum, all’inizio degli anni ’70, è stata sempre, ed è divenuta via via sempre più nel tempo, portatrice di un pensiero della “differenza femminile” come irriducibile e positiva. Filosofa e psicoanalista di formazione, negli ultimi anni si è accostata anche al pensiero teologico.
Suggerimenti di lettura
Luce Irigaray, La via dell’amore, Bollati Boringhieri 2008
Luce Irigaray, Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, 2009
Luce Irigaray, Il mistero di Maria, Paoline Editoriale, 2010
Uomini e profeti - che dal 1993 è ideato e condotto da Gabriella Caramore – vuole essere un luogo di libertà e di confronto, un esercizio della parola, dell’ascolto e dell’incontro.
Per saperne di più visita il sito di Radio
Luigi il Grande
Nazioni Unite: 55° sessione della Commissione sulla condizione della donna
January 7th, 2011 - 10:56 am
Dal 22 febbraio al 4 marzo 2011 si terrà a New York la 55° sessione della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione della donna. Tale organismo, istituito nel 1946 dall’ECOSOC, lavora su rapporti, ricerche e raccomandazioni relative ad una vasta gamma di questioni legate ai diritti umani delle donne, ed è inoltre abilitato alla ricezione di comunicazioni da parte di gruppi o individui riguardanti discriminazioni di genere.
Quest’anno la Commissione discuterà in maniera prioritaria la questione dell’accesso di donne e bambine all’educazione, alla formazione, alla scienza e alla tecnologia, con un ulteriore riferimento alle pari opportunità di impiego per le donne. A tal fine, verranno organizzate una tavola rotonda per la definizione di iniziative politiche chiave e gruppi di esperti per la condivisione di esperienze e buone pratiche; questi eventi supporteranno gli Stati Membri nella negoziazione di conclusioni condivise per accelerare l’implementazione degli impegni esistenti, inclusi quella Piattaforma d’Azione di Pechino.
La Commissione analizzerà inoltre i progressi fatti per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione e violenza nei confronti delle bambine e avvierà un gruppo di discussione sul rafforzamento delle donne rurali ed il loro ruolo nella lotta alla povertà e alla fame, che saranno i temi chiave della 56° sessione della Commissione, insieme ad uno studio sull’eliminazione della mortalità della donna partoriente e sulla valorizzazione delle donne.
Le organizzazioni non governative accreditate presso l’ECOSOC che desiderino partecipare alla sessione annuale della Commissione sulla condizione della donna, possono inviare la propria pre-registrazione entro il 11 febbraio 2011, utilizzando il collegamento riportato più avanti, selezionando fino ad un massimo di 20 rappresentanti.
Per saperne di più consulta l’archivio Pace e Diritti Umani
Luigi il Grande
Speciale Consultori / Puglia
Obiettori all’opera, e le IVG aumentano
Una riforma per limitare cesarei e recidive nelle ivg, ma è subito guerra di burocrazia. E di lobby.
I consultori in Puglia sono circa 160, tuttavia solo il 12,3% delle donne che devono fare una Interruzione Volontaria Gravidanza (ivg) si rivolge alla struttura pubblica.
Il 50% delle interruzioni avvengono in strutture private e c’è un tasso di reiterazione altissimo.
Nella stragrande maggioranza le unità consultoriali sono pubbliche, esiste un centro Aied a Bari d’ispirazione laica e le strutture private cattoliche nella regione non attecchiscono.
A testimoniarlo è Annunziata Marra, ginecologa territoriale, che puntualizza: “il sistema pubblico in Puglia è il più rappresentato, la nostra urgenza piuttosto è un elevato numero di interruzioni di gravidanza”.
Nella regione l’Assessore alla sanità Tommaso Fiore sta attuando una diminuzione del numero di consultori in modo tale da garantire sedi e attrezzature decorose e presenza adeguata di personale sanitario.
Un progetto che avrebbe dovuto prendere forma attraverso una delibera regionale che, tra le altre cose, proponeva l’integrazione del personale non obbiettore di coscienza. Manco a dirlo: è stato il putiferio. Ne è scaturito un dibattito in merito al quale sono intervenuti ben cinque ordini di medici dicendosi contrari all’intervento di Fiore, c’è stato addirittura un ricorso al Tar che si è pronunciato lo scorso 17 settembre annullando il provvedimento laddove richiama personale espressamente non obbiettore.
“Abbiamo attivato lo screening - spiega Marra - o meglio abbiamo attivato ormai da tre anni la chiamata attiva: la donna si è vista recapitare a casa un invito. L’intento è proprio quello di raggiungere tutte le fasce, non soltanto quelle che per cultura o formazione sono portate alla prevenzione”.
Annunziata Marra fa anche un piccolo affondo sulla condizione della sua regione in relazione a parti cesarei e ivg, indicando come in Puglia sia stato riconosciuto un ruolo importante ai consultori nell’impresa di arginare queste due criticità.
“C’è un effettivo calo delle nascite, che interessa tutta l’Italia, Puglia compresa. Molti dei punti ospedalieri aperti in regione sono sotto i 500 parti annuali, quindi sotto la soglia limite per cui possono rimanere aperti. Proprio nell’ottica di qualificare nuovamente il settore, molti andrebbero accorpati. E laddove verrà chiuso un centro ospedaliero si incentiverà proprio l’attività consultoriale grazie alla quale le donne in gravidanza fisiologica potranno usufruire delle visite che altrimenti dovrebbero fare in ospedale, in virtù anche del potenziamento del personale ostetrico. Le attività di monitoraggio post partum e quelle di preparazione saranno affidate ai consultori dal momento che parliamo di un compito territoriale e non ospedaliero. Razionalizzare la presenza di punti nascita permetterà un notevole risparmio e quindi la possibilità di esigere un’équipe al completo nelle strutture. Certo l’amministrazione regionale dovrà essere in grado di capire che la chiusura dei nosocomi deve andare di pari passo con il potenziamento del territorio e delle sue funzioni”.
L’ideale per la dottoressa Marra è un ritorno all’origine, che sarebbe funzionale a migliorare il servizio.
“Bisogna mettere a frutto lo spirito di équipe che si è andato perdendo. Credo che l’aver creato una dirigenza all’interno dei consultori non abbia portato i frutti sperati. D’altra parte a cosa serve uno schema piramidale quando c’è un capo del distretto a cui far riferimento?”
“Ognuno – conclude - deve svolgere le mansioni di competenza, per il resto più la struttura è orizzontale meglio è”.
In un’intervista a Radio Radicale l’Assessore Tommaso Fiore, promotore della delibera in cui si chiede di integrare personale non obiettore, ha dichiarato: “È un paese, questo, dove si fa sempre più difficile applicare le leggi dello Stato. I consultori familiari in Puglia sono progressivamente usciti dal circuito del governo dell’interruzione volontaria di gravidanza, che è un diritto della donna sancito per legge, e questo ha portato a nostro avviso un aumento delle ricadute e un tasso di abortività molto alto dal momento che l’ivg è uscita da qualsiasi tipo di percorso. Ci sono saltati addosso in maniera del tutto ideologica perché chiunque legga senza pregiudizi la delibera può capire che non è nostra intenzione trasformare la Puglia in un abortificio”.
La riforma dei consultori della Puglia in sintesi:
L’assessore alla sanità, Tommaso Fiore, sta attuando una riduzione del numero di consultori in modo tale da garantire sedi e attrezzature decorose e adeguata presenza di personale sanitario. Si arriverà all’apertura anche nei giorni prefestivi nei comuni più popolosi
La contraccezione ormonale è in distribuzione gratuita nei consultori con particolare attenzione alle fasce deboli
È stato avviato lo screening del cervicocarcinoma nei consultori, promosso attraverso la chiamata ‘attiva’
I consultori hanno un ruolo sempre più attivo per arginare due criticità come l’elevato numero di cesarei e le Interruzioni Volontarie Gravidanza in Puglia
(20 dicembre 2010)
Luigi il Grande
Rimini vieta le pubblicità sessiste. Stop alle offese alle donne
December 17th, 2010 - 10:45 am
Rimini mette al bando le pubblicità sessiste. Il Consiglio Provinciale di Rimini ha approvato il bilancio previsionale 2011 e il piano triennale degli investimenti fino al 2013. E nel mezzo della discussione ha approvato all’unanimità un ordine del giorno per
«la moratoria delle pubblicità lesive della dignità della donna e contro l’uso di stereotipi femminili», presentato da Leonina
Grossi, Pd, consigliera delegata alle Pari Opportunità.
Un punto a capo ai manifesti offensivi e volgari di aziende e commercianti che per vendere magari condizionatori d’aria o impianti
di irrigazione automatica ci infilano comunque una provocante fanciulla o un garbatissimo doppio senso. In questo senso basta scorrere la fotogallery sul sito dell’Unità mandata dai lettori di tutta Italia.
Adesso Rimini si candida a emanciparsi da cosce lunghe, scollature smodate, slogan insensati. Va detto infatti che identico ordine del giorno era già stato approvato dai consigli comunali di Rimini, Novafeltria, Coriano e Riccione. Adesso il divieto scatta per l’intera provincia. Un segnale non da poco, nella riviera famosa per le notti brave, i DJ trendy, l’estate low cost, i flirt patinati.
Fonte: Unità
Luigi il Grande
martedì 14 dicembre 2010
"QUELLA RAGAZZA NON E' TUA": A Milano spunta la protesta
Luisa Michela
Luigi il Grande
Intervista a Ilaria Borletti Buitoni
Verso un neo-rinascimento
Alla base della coscienza civile di una nazione c’è l’amore per l’arte, per la natura, per i valori civili e per la cultura
Ilaria Borletti Buitoni è milanese per nascita e cittadina del mondo per vocazione. Da sempre impegnata ai massimi livelli in ambiti imprenditoriali e nel volontariato, ha fatto dell’impegno civile la sua principale aspirazione. Da gennaio 2010 è presidente del FAI, Fondo Ambiente Italiano.
L’Italia sta vivendo una profonda crisi culturale, economica e anche politica. Secondo lei esiste ancora una dimensione pubblica dell’amore, inteso come impegno per un bene comune?
Esiste poco di questo tipo di ‘amore’ se paragoniamo l’Italia a un paese come l’Inghilterra. Ma se guardiamo entro i nostri confini, questo ‘amore’ inizia a farsi di nuovo sentire. Rispetto a dieci anni fa, la percezione che il patrimonio culturale sia un bene comune è più forte. Certamente siamo ancora troppo indietro, basti pensare al fatto che il National Trust può contare su tre milioni e mezzo di soci. Questo ci fornisce un’indicazione sia per quanto riguarda il sentimento delle persone nei confronti delle eredità artistiche che di quelle naturali. Ma ho l’impressione che stiamo migliorando, più fra le persone che nelle istituzioni.
In che modo, secondo lei, proprio le istituzioni insieme alla cittadinanza possono collaborare per una ‘ricostruzione civile’ del nostro paese?
L’unica forma di collaborazione utile è che per la politica diventi un imperativo aggiungere nei suoi programmi la tutela del patrimonio culturale. Ma il fatto di ‘sentirlo’ come qualcosa di giusto e irrinunciabile non può che venire dalla società civile, la quale si esprime in tal senso e si fa portatrice di istanze precise. Credo che si debba ripartire dal sistema scolastico italiano, che è in crisi ormai da vent’anni. L’amore per l’arte e per la natura si insegna a scuola, invece il nostro paese ha prediletto valori molto diversi, chiamiamoli ‘televisivi’, e questo ha messo in secondo piano quei valori civili e di cultura che fanno parte della coscienza civile di una nazione. Questa dicotomia partecipata porterebbe senz’altro ad adottare misure, peraltro già in atto in altri paesi europei, che permetterebbero non solo la cura e la salvaguardia delle bellezze del nostro Paese, ma anche un impegno assunto in prima persona, da ciascuna persona.
Quali sono queste misure?
In primo luogo occorre limitare il consumo di suolo che in Italia è il più alto d’Europa, proteggendo il paesaggio e l’ambiente. In secondo luogo si potrebbero incentivare i soggetti privati, sia proprietari che finanziatori, a sostegno della tutela del patrimonio d’arte, ad esempio attraverso agevolazioni quali la detassazione. Questo avviene normalmente in Inghilterra, dove per la valorizzazione e la gestione dei beni culturali i soggetti privati non solo sono determinanti, ma lavorano con un forte spirito di cooperazione e in sinergia con gli apparati pubblici, i quali hanno, a loro volta, efficaci strumenti normativi di controllo. In terzo luogo, penso che per i cinquanta siti più importanti d’Italia, tra cui Pompei, si dovrebbe realizzare una situazione analoga a quella della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano oppure del Vaticano, cioè squadre permanenti che monitorizzino lo stato dei beni in questione con una manutenzione competente e costante.
(13 dicembre 2010)
Luigi il Grande
Donne senza pace
December 9th, 2010 - 1:41 pm
Qualche anno fa, mentre ero a Damasco, migliaia di profughi iracheni scappavano dalla guerra che imperversava nel loro paese, l’Iraq, cercando asilo in uno dei pochi posti, la Siria, che, insieme alla Giordania, accettava ancora di accoglierli. Una fuga disperata che coinvolgeva operatori e operatrici internazionali sul territorio i quali, tra mille difficoltà, cercavano di gestire quello che era un vero e proprio esodo. L’allora responsabile dell’Unhcr in Siria, Laurens Jolles, oggi delegato dell’Unhcr per il sud Europa, era alle prese con questa fatica: “Insicurezza generale, impossibilità di mantenere un ordine, gente che ha subito personalmente violenze e vari abusi. Qui arrivano donne dall’Iraq – spiegava – che hanno subito violenza sessuale, ma non è facile sostenerle e recuperarle, perché non tutte vengono e dicono di aver subito violenza. La vera difficoltà è individuare questi casi, noi lavoriamo attraverso centri organizzati collaborando in maniera funzionale insieme alle Ong e all’Unicef. Ma non possiamo andarle a cercare”.
Una parte delle donne che fuggivano e approdavano in Siria dall’Iraq era invisibile. Alcune operatrici che lavoravano sul territorio, mi spiegavano che per queste donne non era semplice esporsi e dichiarare la propria presenza e ancor meno denunciare una violenza e che quindi, anche se molte avevano subito abusi, era davvero arduo monitorarle, e che l’unica cosa da fare per rendere più accessibile il servizio era avere “personale specializzato e interventi mirati di tipo legale, medico e psicologico con un approccio specifico di genere”. A terminare l’enorme dipinto sconnesso di vite messe a soqquadro, era il proliferare di night club in alcuni quartieri damasceni, con un aumento spaventoso di ragazzine avviate alla prostituzione, un vademecum necessario per mantenere tutta la famiglia, tanto che lo stesso New York Times di quei giorni raccontava di “migliaia di giovani donne irachene giunte in Siria come profughe, e costrette a prostituirsi per sopravvivere”.
Era il 2007 e la Risoluzione 1325 era già stata approvata da qualche anno. Ma cos’è la 1325? Una data, una password, un numero da giocare a lotto. Non tutti sanno che il 31 ottobre del 2000, nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York, il Consiglio di Sicurezza votò all’unanimità una Risoluzione, la 1325 appunto, che nelle tre parole “Donne, pace e sicurezza”, esprimeva tutto un mondo.
Era la prima volta che la massima autorità a livello internazionale esprimeva e riconosceva la specificità del ruolo e dell’esperienza delle donne nelle situazioni di guerra e nei processi di pace. La risoluzione, che quest’anno compie 10 anni, chiedeva di adottare una prospettiva di genere, ovvero di provvedere a una risposta dei bisogni specifici delle donne prima, durante e dopo il conflitto, ma anche di appoggiare le iniziative di pace delle donne locali e provvedere a una partecipazione diretta di quest’ultime alle trattative di pace. “In sostanza è una delle poche risoluzioni non tematiche ma trasversali – dice Luisa Del Turco, consulente esperta in cooperazione internazionale e politiche di genere – che comprende la specificità del ruolo e l’esperienza delle donne nelle situazioni di guerra e nei processi di pace, infatti quello che si chiede è sia protezione delle donne, che nei conflitti sono il campo di battaglia per eccellenza, ma anche la loro partecipazione attiva nelle missioni internazionali e ai negoziati di pace. La verità è che la 1325 è speciale, un vero spartiacque, un momento storico”.
Secondo i dati diffusi dal rapporto italiano sulla 1325, curato da Actionaid e Pangea, il 90% delle vittime in guerra sono civili, e l’80% sono donne e bambini, quindi non ci vuole una laurea in matematica per capire quanto l’impatto di una guerra sia diverso per gli uomini e per le donne, e le cifre sugli stupri subiti nel corso dei conflitti negli ultimi 20 anni parlano chiaro: 20.000-50.000 in Bosnia, 250.000-500.000 in Ruanda, 50.000-64.000 in Sierra Leone, e una media di 40 donne stuprate ogni giorno nella Repubblica Democratica del Congo. “In Ruanda – raccontava un’operatrice canadese dell’Unicef – sembrava un inferno, non riuscivamo a fermare le violenze sessuali: ogni notte c’erano stupri all’interno del campo profughi e noi non riuscivamo a mettere fine a questo disastro. La causa principale era lo stress della guerra, questi uomini non riuscivano a fermarsi, un vero incubo”. E le vittime erano sempre loro, donne che subivano violenza prima, durante e dopo il conflitto.
Le donne però non sono sempre e soltanto vittime, perché anche dopo aver subito violenze sessuali, abusi fisici e psicologici, sono capaci si rialzarsi, prendere in mano il proprio destino e quello degli altri, per cambiarlo radicalmente. “Il ruolo delle donne in Afghanistan – dice Simona Lanzoni, Project manager di Pangea – sono un esempio di partecipazione diretta ai processi di pace. Sono loro che si sono organizzate e hanno assistito e contribuito a tutte le conferenze internazionali, hanno preso la parola, si sono alzate e hanno lottato per il proprio paese. Queste donne esistono e vanno supportate. L’Afghanistan non è solo burka”.
I paesi che hanno aderito alla 1325 sono tanti e tra questi c’è anche l’Italia, ma quelli che hanno effettivamente concretizzato le buone intenzioni in un Piano Nazionale d’Azione sono una ventina nel mondo tra cui Danimarca, Svezia, Norvegia, Gran Bretagna, Svizzera, Austria, Olanda, Islanda, Spagna, Finlandia, e naturalmente il Canada, uno degli stati che componevano il Consiglio di Sicurezza delle NU quando la risoluzione è stata adottata, e che ha contribuito a creare una coalizione di paesi “amici della Ris. 1325” che discutono delle priorità riguardanti l’applicazione della risoluzione promuovendola a livello locale, regionale e internazionale, con un comitato che riunisce rappresentanti del parlamento, della società civile e del governo. In più Canada e Inghilterra hanno creato un corso di formazione, il Gender Training Initiative, destinato al personale civile e militare per mostrare come svolgere le operazioni di sostegno alla pace in una prospettiva di genere.
Nella realtà molte persone ignorano l’esistenza della 1325 anche nelle NU, nei governi, nella società civile, eppure già nel novembre 2002 l’Unifem aveva pubblicato una valutazione, con esperti indipendenti, sul ruolo delle donne nella costruzione della pace, sostenendo che per migliorare le cose in tempo di guerra le NU e gli stati membri dovevano impegnarsi a includere le donne in tutti gli aspetti delle operazioni di pace e riconciliazione.
In Italia si è fatto ancora troppo poco: e se si ha qualche riscontro, anche se con uno sforzo che sembra dover essere sempre triplo rispetto agli altri paesi europei, è solo grazie all’impegno di alcune donne tra cui l’on. Rosa Calipari (Pd, Commissione Difesa), che nel 2009 ha presentato e fatto votare una mozione per l’adozione di un Piano nazionale d’Azione italiano sulla 1325.
Una settimana fa a Montecitorio, per iniziativa di Rosa Calipari e con la partecipazione di ActionAid e Pangea, è stato presentato il rapporto sulla 1325, alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini (che coerentemente è rimasto fino alla fine) e con la partecipazione del generale delle forze armate Vincenzo Camporini, ma una cosa era chiara fin dall’inizio: le istituzioni italiane, pur avendo sottoscritto la risoluzione 10 anni fa, non hanno poi fatto nulla se non sulla carta, con l’impegno di una commissione interministeriale che starebbe lavorando dal 1 luglio 2009 sotto l’egida del ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna. Nella stanza del Mappamondo a Montecitorio la sensazione di squilibrio era netta: da una parte l’alta professionalità dei resoconti di Luisa Del Turco e delle esperienze delle operatrici sul campo, dall’altra le risposte di circostanza e sempre identiche da parte delle istituzioni, che hanno raggiunto l’apice nella sentenza del generale Camporini quando ha esordito con: “Il nostro esercito potrebbe partecipare ai processi di pace con squadre speciali formate da donne nei paesi in conflitto” – finalmente delle parole sagge? – “ma non lo facciamo – ha poi subito aggiunto – perché ci sembrerebbe discriminante”. Che sconforto.
Torna in mente l’inchiesta di Barbie Nadeau, apparsa un po’ di tempo fa su Newsweek, in cui si sosteneva che l’Italia ha forse un problema con le donne. Citando il rapportoGlobal gender gap report, ovvero il rapporto sul divario di genere nel mondo pubblicato a ottobre sul World Economic Forum, la giornalista faceva notare come il nostro paese sia all’87° posto per l’occupazione femminile, al 121° per parità salariale, 97° per incarichi al vertice, e complessivamente al 74° posto nella classifica mondiale dopo Colombia, Perù e Vietnam. Per non parlare della presenza femminile nelle aule di Camera (18%) e Senato (13%). E allora come facciamo a far pesare il nostro ruolo e la nostra decisionalità nelle missioni internazionali, se il nostro stesso paese non ci rappresenta e se in nostro ruolo nella società italiana è ancora così marginale? Del resto la stessa 1325 recita testualmente: “Le donne devono essere meglio rappresentate in tutte le istituzioni nazionali, regionali e internazionali e nei meccanismi di prevenzione, di regolamento e di risoluzione dei conflitti a tutti i livelli di decisione”. Ma qui, in Italia, quali sono le donne che ricoprono un ruolo istituzionale in grado di battersi per i nostri diritti e quindi anche per l’applicazione della 1325? Viene da contarle sulle dita di una mano. La Svezia, grazie anche a quel suo 46,5% di rappresentanza femminile in Parlamento, nelle missioni di pace ha più donne che uomini.
Articolo di Luisa Betti, da “il Manifesto”, 8 dicembre 2010
Luigi il Grande
Contro la violenza sulle donne
I numeri del Centro Antiviolenza di Pisa
Pisa - 26/11/2009
La Giornata Nazionale contro la violenza sulle donne si rivela essere il momento più idoneo per fare qualche bilancio: sono 205 le donne maltrattate, su un totale di 225, che si sono rivolte al centro antiviolenza di Pisa, fra queste, solo il 29% ha sporto regolare denuncia contro l'esecutore delle violenze, che risulta essere sempre più spesso una persona vicina alla vittima ,come il marito, il convivente o l'ex fidanzato.
Seppur ancora troppo bassa, la media pisana, fornita dal centro attivo all'interno della Casa della Donna di via Galli Tassi, è superiore a quella nazionale, a dimostrazione del fatto che nel momento in cui vengono attivati dei centri d'accoglienza e d'ascolto, ovvero nel momento in cui la comunità si impegna per difendere ed aiutare un suo debole componente, questo risponde positivamente all'offerta d'ausilio, perchè è questo che cerca: aiuto, comprensione, supporto.
Le vittime, donne tra i 30 e i 40 nel 75% dei casi, ma anche più giovani (tra i 18 e i 29 anni), vivono in solitudine la loro disastrosa situazione, il più delle volte accompagnata da precarie condizioni economiche, ed è così che sopportano maltrattamenti fisici e psicologici, spesso iniziati durante l'infanzia, che le rendono fragili e impotenti di fronte alla prepotente violenza del maschio, difficile da lasciare perchè padre dei propri figli, inermi testimoni delle violenze intra familiari e compagni di sventura per le loro madri.
«È proprio il fatto di aver un legame sentimentale, cementato dal matrimonio, che frena la donna vittima di violenze dal denunciare il proprio compagno. -spiega Giovanna Zitiello, coordinatrice del centro antiviolenza- Sappiamo di donne anziane che subiscono maltrattamenti da decenni ma che non riescono a denunciare il marito. Queste non si avvicinano al nostro centro anche per un fatto culturale, probabilmente dovuto all'appartenenza a un altra generazione, ma, devono capire, che il trovare ascolto e suggerimenti per subire meno, può essere un grande aiuto." Per superare la vergogna e il senso di colpa che spesso si cela dietro la vittima, il centro ha anche attivato il Telefono Donna (050 561628), attraverso il quale un gruppo di operatrici, avvocati e psicologi, si mette a disposizione delle donne e le accompagna verso una presa di coscienza della loro situazione, che deve necessariamente passare attraverso la denuncia.
Tiziana Etzo
Luigi il Grande
Se tutte
December 6th, 2010 - 1:55 pm
Se tutte le donne andassero a scuola. Se tutte le donne si laureassero. Se tutte le donne smettessero di guardare i programmi televisivi dove le donne sono svilite. Se tutte le donne non comprassero più i prodotti che fanno pubblicità usando il corpo delle donne. Se tutte le donne imparassero a usare i contraccettivi. Se tutte le donne denunciassero ogni violenza subita. Se tutte le donne votassero solo le donne. Se tutte le donne pretendessero dai mariti una divisione equa dei compiti familiari. Se tutte le donne lavorassero. Se tutte le donne che lavorano chiedessero di essere pagate di più. Se tutte le donne imparassero una lingua straniera. Se tutte le donne spiegassero alle figlie come funziona il loro corpo. Se tutte le donne insegnassero ai figli come si stira una camicia. Se tutte le donne imparassero a usare il computer. Se tutte le donne aiutassero le altre donne. Se tutte le donne si organizzassero. Se tutte le donne facessero sentire la loro voce. Se tutte le donne sapessero il potere che hanno.
di Giovanni De Mauro, da Internazionale
Luigi il Grande
"Qualsiasi forma di MGF, di qualsiasi grado, costituisce un atto di violenza contro le donne e una violazione dei loro diritti fondamentali, in particolare il diritto all'integrità personale e fisica e alla salute mentale, come pure della salute sessuale e riproduttiva. Tale violazione non può in nessun caso essere giustificata dal rispetto delle diverse tradizioni culturali o da cerimonie di iniziazione". Lo precisa la risoluzione della Commissione diritti della donna dell'Europarlamento, approvata il 24 marzo 2009, che invita l'Ue ad attuare una strategia europea contro la mutilazione genitale femminile.
800 300 558 - Un numero verde contro le mutilazioni genitali
E' attivo il recapito telefonico 800 300 558 gestito dalla Direzione centrale anticrimine del dipartimento della Pubblica Sicurezza del ministero dell'Interno per accogliere segnalazioni provenienti dal territorio italiano e fornire informazioni sulle strutture sanitarie e sulle organizzazioni di volontariato, vicine alle comunità degli immigrati provenienti dai Paesi dove si effettuano queste pratiche. Sarà possibile chiamare dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 14.00 e dalle 15.00 alla 20.00. Le telefonate saranno ricevute da personale specializzato del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato che, oltre all'assistenza, avrà il compito di comunicare eventuali notizie di reato alle Squadre mobili del territorio competente.
"Nessuno escluso"
Spot di comunicazione sociale realizzato nell'ambito di uno dei 21 progetti volti alla prevenzione e al contrasto delle pratiche di mutilazione genitale femminile finanziati dal Dipartimento per le Pari Opportunità. Febbraio 2009
Azioni di prevenzione e contrasto alle Mutilazioni Genitali Femminili - Il progetto “Aurora” promosso dall' Associazione Almaterra di Torino
Sono circa mezzo milione le donne in Europa che hanno subito una mutilazione genitale, pratica diffusa in particolare fra le donne immigrate e rifugiate.
Considerando che la violenza contro le donne, comprese le MGF, ha origine da strutture sociali fondate sulla disuguaglianza fra i sessi e su rapporti di forza, dominio e controllo squilibrati, in cui la pressione sociale e familiare è alla base della violazione di un diritto fondamentale come il rispetto dell'integrità personale,e considerando che le mutilazioni sessuali imposte alle bambine meritano una severa condanna e costituiscono una palese violazione delle normative internazionali e nazionali a tutela dei minori e dei loro diritti, i parlamentari chiedono alla Commissione Ue di includere nelle direttive per l’immigrazione delle sanzioni, anche penali, per chi pratica la mutilazione. Con il voto si chiede anche che vengano introdotte delle clausole nei negoziati per la cooperazione con i Paesi terzi per penalizzare quelli che non si adoperano contro tale pratica. Secondo la risoluzione, che sarà votata dalla plenaria della prima metà di marzo, i medici e il personale sanitario dovrebbero essere obbligati a segnalare tutti i casi di mutilazione genetiche alle autorità competenti e gli autori dovrebbero essere perseguiti.
Risoluzione del Parlamento europeo del 24 marzo 2009 sulla lotta contro le mutilazioni sessuali femminili praticate nell'UE (2008/2071(INI))
I dati
I dati rilevati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stimano dai 100 ai 140 milioni di donne e bambine nel mondo che hanno subìto mutilazioni genitali e, ogni anno, dai 2 ai 3 milioni di donne sono potenzialmente esposte al rischio di subire queste pratiche gravemente invalidanti.
Ogni anno circa 180.000 donne emigrate in Europa subiscono o rischiano di subire MGF e sono circa 500 000 le donne che hanno subito MGF, pratica consueta soprattutto nelle famiglie di immigrati e rifugiati che a tale scopo rinviano persino le bambine nel loro paese d'origine. Le pratiche sono diffuse in almeno 28 paesi africani, in alcuni paesi asiatici e in Medio Oriente.
In Italia è stato presentato nel luglio 2009 il rapporto "Valutazione quantitativa e qualitativa del Fenomeno delle mutilizioni genitali in Italia".
La sintesi del rapporto
Le mutilazioni genitali femminili, cosa sono?
L'OMS ha identificato quattro tipi di MGF, che vanno dalla clitoridectomia (ablazione parziale o totale del clitoride) all'escissione (ablazione del clitoride e delle piccole labbra), che rappresenta circa l'85% delle MGF, fino alla forma più estrema, ovvero l'infibulazione (ablazione totale del clitoride e delle piccole labbra nonché della superficie interna delle grandi labbra e cucitura della vulva per lasciare soltanto una stretta apertura vaginale) e l'introcisione (punture, perforazioni o incisioni del clitoride o delle labbra).
Le MGF provocano gravissimi danni irreparabili, a breve e a lungo termine, alla salute fisica e mentale delle donne e delle bambine che le subiscono, in quanto costituiscono una grave aggressione all'integrità psicofisica, che può arrivare in alcuni casi a provocare la morte.
L'uso di strumenti rudimentali e l'assenza di precauzioni antisettiche comportano effetti collaterali dannosi, tanto che i rapporti sessuali e il parto possono risultare dolorosi, gli organi subiscono danni irreparabili e possono manifestarsi complicazioni come emorragie, stato di shock, infezioni, trasmissione del virus dell'AIDS, tetano, tumori benigni, nonché gravi complicazioni in caso di gravidanza e parto.
Sono una violazione dei diritti delle donne e delle bambine
Le MGF rappresentano una violazione dei diritti delle donne e delle bambine sanciti da numerose convenzioni internazionali, sono vietate dal diritto penale degli Stati membri e violano i principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
La risoluzione del 16 gennaio 2008 sollecita gli Stati membri ad adottare disposizioni specifiche in materia di MGF, volte a perseguire chi compie tali pratiche sui minori.
La Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne esige che gli Stati firmatari adottino le misure necessarie per modificare o abolire le leggi, le consuetudini e le pratiche esistenti che rappresentano una discriminazione contro le donne, e prendano tutti i provvedimenti atti a modificare i modelli di comportamento socio-culturali degli uomini e delle donne, allo scopo di giungere all'eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di ogni altro tipo basate sull'idea dell'inferiorità o della superiorità dell'uno o dell'altro sesso o sulla concezione stereotipata dei ruoli maschile e femminile,
La Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata nel 1989, stabilisce che gli Stati firmatari si impegnino a rispettare i diritti sanciti dalla Convenzione stessa e a garantirne il rispetto a favore di tutti i bambini che rientrano nella loro giurisdizione, senza alcuna distinzione e indipendentemente dal sesso, e si impegnano altresì ad adottare tutte le misure efficaci e opportune al fine di abolire le pratiche tradizionali che recano pregiudizio alla salute dei bambini,
La Carta africana sui diritti e il benessere del fanciullo raccomanda agli Stati firmatari di eliminare pratiche sociali e culturali dannose per il benessere, la dignità, la normale crescita e il normale sviluppo del bambino,
Il paragrafo 18 della Dichiarazione e del Programma d'azione di Vienna, adottati nel giugno 1993, dichiara che i diritti umani delle donne e delle bambine sono una parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali;
L'articolo 2 della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sull'eliminazione delle violenze nei confronti delle donne fa esplicito riferimento alle MGF e ad altre pratiche tradizionali recanti pregiudizio alle donne,
l'articolo 4 di tale Dichiarazione prevede che gli Stati sono tenuti a condannare la violenza nei confronti delle donne e a non invocare consuetudini, tradizioni o considerazioni religiose per sottrarsi all'obbligo di eliminarla,
Il Programma d'azione della Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sulla popolazione e lo sviluppo, svoltasi al Cairo nel 1994, invita i governi ad abolire le MGF laddove esistono e a dare sostegno alle ONG e alle istituzioni religiose che lottano per eliminare tali pratiche,
La Piattaforma d'azione approvata in occasione della quarta Conferenza delle Nazioni Unite a Pechino invita i governi a rafforzare le leggi, riformare le istituzioni e promuovere norme e pratiche volte ad eliminare la discriminazione contro le donne, rappresentata fra l'altro dalle MGF,
La relazione adottata il 3 maggio 2001 dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa chiede il divieto delle MGF e le considera un trattamento inumano e degradante ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo; considerando inoltre che, in base alla relazione, la difesa delle culture e delle tradizioni deve trovare il proprio limite nel rispetto dei diritti fondamentali e nella proibizione di pratiche che si avvicinano alla tortura,
Considerando che, nel quadro di una politica europea comune su immigrazione e asilo, il Consiglio e la Commissione riconoscono che le MGF costituiscono una violazione dei diritti dell'uomo; considerando altresì che un numero crescente di domande di asilo da parte di genitori è giustificato dal fatto che essi possono essere minacciati, nel loro paese di origine, per aver rifiutato di acconsentire a che la loro figlia subisse una MGF,
Purtroppo, riconoscere ai genitori lo status di richiedenti asilo non garantisce che la loro figlia non correrà il rischio di subire una MGF, un atto che, in alcuni casi, viene effettuato dopo che la famiglia si è stabilita nello Stato membro di accoglienza,
Presentazione della risoluzione
La campagna internazionale contro le mutilazioni genitali femminili
MeltingLab è un marchio ed un progetto della Regione Piemonte. Tutti i diritti riservati.
Luigi il Grande
Fermiamo le mutilazioni genitali femminili
Appello all'UE per un maggiore impegno contro questa tortura
Per firmare la petizione:
Luigi il Grande
Il petalo di rosa, metafora del clitoride mutilato e segno di speranza per un futuro in cui nessuna bambina dovrà più subire mutilazioni dei genitali, è il simbolo della campagna END FGM che AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo, e Amnesty International condurranno in occasione dei 16 giorni di mobilitazione sulla violenza contro le donne promossi dall’ONU, tra il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, e il 10 dicembre 2010, Giornata internazionale dei diritti umani. Sono 130 milioni nel mondo le donne che hanno subito MGF. Tale pratica tradizionale, diffusa in 28 paesi dell’Africa Sub-Sahariana e in alcuni paesi asiatici e del Medio Oriente, riguarda anche all’incirca 500 mila donne e ragazze oggi residenti in Europa. Si stima che siano 180 mila le bambine residenti nel vecchio continente che rischiano di subire la pratica.
Ascolta l'intervista a Cristiana Scoppa, portavoce di AIDOS.
Luigi il Grande
CAMPAGNE. Petali di rosa contro le mutilazioni genitali femminili
25 novembre 2010
Iniziano oggi i "16 giorni di mobilitazione sulla violenza contro le donne”. Racolta di firme europea EndFgm
Sono richieste molto precise quelle rivolte da Daniela Colombo, presidente di Aidos, Associazione italiana donne per lo sviluppo, al ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna che insieme a Emma Bonino, vice presidente del Senato, ha lanciato la campagna europea di raccolta firme ENDFGM – Petali di rosa contro le mutilazioni dei genitali femminili promossa da Aidos e Amnesty International Sezione Italiana: «Sostenere una strategia complessiva dell’Unione Europea sulle mutilazioni dei genitali femminili (Mgf), come chiede questa campagna». Soprattutto, in Italia, dove è in vigore una legge considerata tra le migliori al mondo, «attivarsi per il rifinanziamento della legge, sostenere il diritto d’asilo per le donne e le bambine che cercano di sottrarsi alla pratica, inserire rappresentanti delle associazioni di donne immigrante nella Commissione ministeriale sulle Mgf e garantire la leadership nazionale del ministero per le pari opportunità affinché le campagne di informazione, i messaggi e i programmi di formazione siano omogenei e coerenti su tutto il territorio nazionale: la prevenzione delle mutilazioni dei genitali femminili non è materia da federalismo».
130 milioni sono le donne che nel mondo hanno subito mutilazioni dei genitali femminili, 500 mila vivono in Europa, 39mila in Italia, secondo una stima dell’Istituto Piepoli per conto dello stesso ministero per le Pari Opportunità. Oltre 1000 sono le bambine di origine africana residenti in Italia che rischiano di essere sottoposte alla pratica.
«Si tratta di una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine», ha sottolineato Sonia Villone, vice presidente di Amnesty International Italia, «che non si limita solo al momento dell’atto, ma ha conseguenze per tutto il corso della vita perché lede il diritto alla salute sessuale e riproduttiva e contribuisce alla mortalità materna che causa 350 mila morti di donne ogni anno».
Celebrare la Giornata internazionale sulla violenza contro le donne che cade oggi con il lancio della campagna End Fgm è «un modo per rivolgere un pensiero, che vuole anche essere un atto concreto, alle tante donne vicine e lontane che hanno subito questa pratica», ha affermato Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità. «Io sarò sempre in prima fila», ha aggiunto, rispondendo direttamente alle richieste di Daniela Colombo, «per contrastare questa pratica in Italia, in Europa e nel mondo, per promuovere il diritto d’asilo, assicurare il rifinanziamento della legge 7/2006 e mantenere salda la leadership del Ministero delle Pari Opportunità per le campagne di sensibilizzazione».
Su questo punto si è soffermata anche Emma Bonino, ricordando però come «parlare di mutilazioni dei genitali femminili oggi non vuole assolutamente essere un disconoscimento delle altre gravi forme di violenza contro le donne, dalla violenza domestica – che si verifica qui, intorno a noi – agli stupri di guerra, alla tratta».
Per Emma Bonino, «è un segnale positivo il sostegno dell’Italia al Fondo speciale Unfpa-Unicef sulle mutilazioni dei genitali femminili, e il fatto che le battaglie iniziate quasi trent’anni fa dalle attiviste e organizzazioni della società civile come Aidos, vedano oggi impegnate fianco a fianco rappresentanti delle istituzioni, dei parlamenti, del mondo delle cultura, dello spettacolo e dello sport».
La campagna End Fgm è sostenuta anche dalla ministra per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, le senatrici Anna Finocchiaro, Francesca Marinaro e Rita Ghedini, la vice-presidente della Commissione per i diritti della donna e l'uguaglianza di genere del Parlamento Europeo Barbara Matera, l’ex parlamentare Vladimir Luxuria, la Consigliera dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio Isabella Rauti, la Consigliera di Parità della Regione Liguria Valeria Maione, l’Assessora alle Pari Opportunità Comune di Ravenna Giovanna Piaia, la Presidente dell’Associazione italiana donne medico Ornella Cappelli, le giornaliste Daria Bignardi, Serena Dandini, Carmen Lasorella e Elena Doni, la conduttrice del programma RAI 3 “CRASH – Contatto, Impatto, Convivenza” Valeria Coiante e tutta la redazione, la cantante Paola Turci, l’attrice Giulia Lazzarini, l’autrice di teatro Maricla Boggio, la regista Cristina Mecci, la fotografa Sheila McKinnon, la designer Ilaria Venturini Fendi, il cantante Piotta, il gruppo hip hop the Lemmings e la squadra di calcio Sampdoria, e altre e altri si aggiungeranno nel corso dei 16 giorni di mobilitazione contro le donne.
End Fgm, promossa a livello europeo da Amnesty International Irlanda e realizzata in collaborazione con organizzazioni non governative di 13 paesi europei, è una campagna di raccolta firme per promuovere l’impegno delle Istituzioni Europee affinché attivino una strategia di prevenzione delle mutilazioni dei genitali femminili (Mgf) in occasione dei “16 giorni di mobilitazione contro la violenza sulle donne”, promossi dalle Nazioni Unite.
La richiesta di un impegno organico e coerente da parte delle Istituzioni Europee si articola in 5 aree prioritarie:
raccolta dati a livello europeo per mappare l’incidenza del fenomeno e misurare i progressi verso l’abbandono della pratica;
inserimento della prevenzione delle Mgf nelle iniziative europee sulla violenza contro le donne;
adeguata assistenza sanitaria e psico-sociale per le donne che hanno subito Mgf, con un orientamento alla prevenzione per le bambine di origine africana residenti in Europa;
inserimento delle Mgf come persecuzione di genere nelle politiche europee sul diritto d’asilo attualmente in discussione;
inserimento della prevenzione delle MGF nel dialogo politico e nelle iniziative di cooperazione allo sviluppo dell’Unione Europea in Africa.
Raccogliere 8 mila firme al giorno su petali di rosa digitali attraverso il sito web www.endfgm.eu è l’obiettivo della campagna.
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Luigi il Grande
E tu per chi resti?
December 3rd, 2010 - 12:19 pm
Care amiche, cari amici,
il video che Filomena, ha ideato per colmare, almeno in parte, il vuoto informativo sul ruolo che le donne hanno giocato e tuttora giocano in questo Paese, è arrivato ad oltre 3900 click.
Continuiamo a farlo circolare, continuate a scriverci e a farci sapere per chi restate…
Suor Tarcisia resta… “come Missionaria, in nome di tante DONNE MISSIONARIE che nel mondo mi sono maestre di vita e affiancano i passi di tante donne africane, latinoamericane, europee per la lotta dei loro diritti certe che il loro impegno di vita va al di la dei semplici doveri compiuti”.
Paola resta “per Liviana e Valeria, giovani, madri, maestre, siciliane, eroine invisibili, costrette a percorrere circa 200km al giorno, tutti i giorni della settimana, per insegnare e stare con i propri figli… sempre col sorriso”. il video: paolaFILOMENA
Carolina resta “per Margherita Hack, splendida sonna, astrofisica, atea e comunista. E per Cecilia Strada, presidente di Emergency”.
Stefania resta “per tutte noi, perchè questo Paese è diventato un po’ più civile grazie alle nostre battaglie (per il divorzio, l’aborto, il nuovo diritto di famiglia etc). Ma ancora molto c’è da fare per migliorare le nostre vite e, nel rispetto della nostra diversità, trovare soluzioni per una reale parità”.
Francesca resta “per Teresa Buonocore, uccisa a Napoli per aver denunciato gli stupratori della figlia di otto anni. Resto per Eleonora Abbagnato, da Palermo a Parigi per diventare prima ballerina dell’Operà”. il video: francescaFILOMENA
E tu per chi resti?
Il video è su www.youtube.com
Se hai proposte, dubbi, suggerimenti, idee scrivici su filomenainrete@gmail.com
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Luigi il Grande
Notizie
Brevi dal mondo
Nigeria, 400 vittime / Egitto, Harass Map / Spagna, cognomi / Congo, bimbi muoiono di malnutrizione / Bangladesh, lavoratori tessili / Germania, donna Rabbino / USA, in Alabama la prima deputata nera
Nigeria
400 vittime nella corsa all'oro
23 dollari in due ore è quanto si riesce a guadagnare nell'estrazione di oro nelle miniere a cielo aperto. Lavorando in agricoltura per realizzare una cifra del genere ci vogliono almeno due mesi.
E così, in Nigeria, interi villaggi si sono messi a scavare a mani nude in improvvisate ed illegali miniere a cielo aperto. Ma questa corsa all'oro ha già fatto almeno 400 vittime tra i bambini, morti per avvelenamento dal piombo contenuto nell'acqua contaminata di queste attività minerarie. Il giornale “The Independent” riferisce che agenzie internazionali come l'Onu, Medici Senza Frontiere, l'Organizzazione mondiale della sanità e lo Us Center for Disease Control and Prevention stanno lavorando da tempo per cercare di contenere l'inquinamento. Ma le forti piogge degli ultimi mesi hanno ingigantito la contaminazione che si sta estendendo a macchia d'olio. La morte non sembra essere un deterrente per frenare l'attività estrattiva di interi villaggi che vivono in miseria e disperazione.
Egitto
Harass Map
Un gruppo di volontari ha dato il via, riproponendo un sistema già in uso in varie città del mondo, ad un progetto che si basa sulla pubblicazione sul web di una mappa interattiva, Harass Map (http://harassmap.org/), in cui vengono segnalati casi di abuso o di violenza, denunciati dalle stesse vittime via sms. Una maniera per dare voce e ascolto a chi subisce qualsiasi tipo di molestia: dalla violenza sessuale, allo stalking e alle molestie verbali e fisiche; sulla mappa interattiva sarà riportato il luogo, l'ora e la descrizione dell'accaduto. Il servizio è collegato con la polizia locale e, su richiesta di chiunque, la mappa può essere inviata sul cellulare, così da poter informare dei punti ‘caldi' della città da evitare. "L'idea è di avere informazioni generate dagli utenti. - afferma Engy Ghozlan, uno dei volontari che partecipano al progetto - Il semplice fatto di non sentirsi sole, può aiutare tante donne indifese".
Spagna
Cambiano i cognomi
Per rispettare la parità fra i sessi la Spagna cambia l'ordine di precedenza dei suoi cognomi. Finora il cognome del padre era il primo, quello della madre il secondo ma il progetto di legge di Registro Civile, approvato dal governo a luglio e adesso in Parlamento, prevede che i cognomi dei figli siano iscritti in ordine alfabetico, salvo diverso accordo intercorso fra i genitori. La normativa include un meccanismo urgente perché i figli delle vittime della violenza familiare possano cancellare il cognome del genitore aggressore. Per i figli sarà poi possibile, quando saranno maggiorenni, decidere quale cognome usare per primo.
Repubblica democratica del Congo
Muoiono di malnutrizione un quarto dei bambini al di sotto dei cinque anni
La malnutrizione in Congo causa oltre un quarto delle morti tra i bambini con meno di cinque anni di età. E' quanto emerge dal lancio della campagna "The Act Now, No Woman Should Die Giving Life" per la riduzione della mortalità materna, recentemente promossa dall'Unicef e che vede coinvolti anche il governo, tre agenzie delle Nazioni Unite (Oms, UNICEF e UNFPA), la società civile e partner privati. L'obiettivo è ridurre il tasso di mortalità materna. Dal 2008, nel paese, le donne in gravidanza e i bambini tra i 5 e i 15 anni di età hanno accesso alle cure gratuite per la malaria, e da gennaio 2011 le donne in gravidanza potranno ottenere gratuitamente il parto cesareo. Secondo l'UNICEF, ogni anno muoiono di malaria 21 mila bambini con meno di cinque anni. L'organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato che nel 2008 il 50% dei bambini congolesi, 1.2 milioni, erano poveri e molto svantaggiati nei settori dell'istruzione, della nutrizione, sanità, acqua, servizi igienici e degli alloggi. Dal rapporto del 2010 dell'International Food Policy Research Institute risulta che il 21% della popolazione è sottoalimentata, l'11% dei bambini sono sottopeso e la mortalità infantile al di sotto dei cinque anni di età è di 12.7%.
Bangladesh
Aumento a 30 euro per i lavoratori del tessile
Il governo del Bangladesh prenderà seri provvedimenti contro le fabbriche di abbigliamento che non applicheranno il nuovo aumento salariale previsto dal primo novembre e che stabilisce un incremento nella busta paga dell'80%. In base a un accordo siglato lo scorso luglio dopo violente proteste sindacali, il minimo mensile è stato fissato a 3 mila taka (circa 30 euro), un costo del lavoro che continua a essere uno dei più bassi al mondo per l'industria tessile. Sempre secondo l'accordo le aziende tessili dovranno inoltre pagare ai lavoratori le indennità festive. Nei distretti industriali alla periferia della capitale Dacca ci sono circa 4.500 aziende di abbigliamento che impiegano centinaia di migliaia di operaie e che lavorano quasi esclusivamente per le grandi catene occidentali come Wal-Mart, Zara, Marks & Spencer e H&M. Il recente aumento dei salari in Cina e anche nella vicina India ha favorito il comparto tessile bangladese orientato per oltre l'80% all'esportazione e diventato trainante per l'economia del paese. Le organizzazioni sindacali, che nei mesi scorsi, avevano paralizzato la produzione con scioperi e picchettaggi delle fabbriche, avevano chiesto un salario minimo di 5 mila taka (circa 50 euro), ma la richiesta era stata respinta dalle associazioni industriali.
Germania
Ordinata prima donna Rabbino dopo la Shoah
Nel corso di una cerimonia a cui hanno partecipato - tra gli altri - il presidente della Repubblica, Christian Wulff, e il presidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi, Charlotte Knobloch, è stata ordinata la prima donna-rabbino negli ultimi 75 anni. Si tratta di Alina Treiger, 31 anni, immigrata in Germania dall'Ucraina 10 anni fa. Per la comunità ebraica del Paese la cerimonia, tenuta nella sinagoga di Charlottenburg dal presidente del Collegio Abraham Geiger dell'Università di Potsdam - il rabbino Walter Jacob - è stato un evento storico. La prima donna rabbino della Germania, Regina Jonas, venne infatti ordinata nel 1935 e, all'età di 42 anni, morì nelle camere a gas del campo di concentramento di Auschwitz, dopo essere stata deportata dal ghetto di Theresienstadt nel 1942. Treiger ha gli stessi diritti e le stesse responsabilità dei suoi colleghi rabbini, a differenza della Jonas, che fu costretta a lottare per farsi riconoscere la sua carica e che comunque riuscì soltanto a insegnare la religione. Ma ancora oggi, secondo la Treiger - che guiderà le comunità ebraiche di Oldenburg e Delmenhorst (nordovest) - sono evidenti forti divisioni tra gli uomini e le donne rabbini. “Non ho scelto io il mio lavoro - ha sottolineato la Treiger -, è stato il mio lavoro a scegliere me”. Dieci anni fa, ha raccontato, è arrivata in Germania dall'Ucraina - dove è nata, a Poltava - solo con una valigia e senza conoscere il tedesco. Una decisione, quella di emigrare, presa soprattutto a causa degli ostacoli incontrati nella comunità ortodossa, a cui apparteneva nel suo Paese natale. “Quando ho detto che volevo diventare un rabbino, la reazione della gente mi ha spaventata - ha proseguito -. Non immaginano che una donna sia capace di pretendere decisioni etiche e religiose in una comunità”. A differenza del giudaismo liberale, nato proprio in Germania, il giudaismo ortodosso non riconosce le donne-rabbino. E la Treiger ha trovato nella sua patria adottiva un'atmosfera completamente diversa.
USA
Eletta in Alabama la prima deputata nera
Per quanto l'esito del voto in Alabama sia stato definito dai commentatori conservatori come un “repubblicano trionfo bianco”, in questo Stato americano del Sud le elezioni di metà mandato hanno registrato un primato storico: per la prima volta nella storia dell'Alabama è stata eletta alla Camera una deputata nera. Si tratta di Terri Sewell, una quarantenne laureata in Giurisprudenza prima a Princeton poi ad Harvard e amica personale di Michelle Obama. A modo suo la candidata democratica è una figlia d'arte, e nello stesso tempo è figlia della storia più profonda della segregazione americana. Terri Sewell infatti è nata a Selma, la città-simbolo del movimento anti-segregazionista che nel 1965 fu teatro di tre storici cortei pacifisti, uno dei quali ricordato come il 'bloody sunday' americano e sua madre, Nancy Gardner Sewell, una bibliotecaria, fu la prima donna di colore eletta al consiglio comunale di Selma. La Sewell si è imposta nel settimo distretto dell'Alabama, un distretto a grande maggioranza nero e democratico, avendo ragione in modo schiacciante del suo avversario, il repubblicano Don Chamberlain, un imprenditore. La Sewell è l'unica democratica eletta in Alabama, uno Stato che nel resto dei suoi distretti ha mandato a Washington tra Camera e Senato altri otto rappresentanti, tutti repubblicani.
(29 novembre 2010)
Luigi il Grande
Paola resta…
December 1st, 2010 - 5:22 pm
Con estremo piacere pubblichiamo il video di Paola Caridi: paolaFILOMENA
Il suo gesto ha dato il via ad un’idea che Filomena cova da tempo, da quando ha realizzato il messaggio che abbiamo già proposto… FAR PARLARE TUTTE LE DONNE CHE RESTANO…
E’ doveroso fare una precisazione, riferisce Paola: “Io resto, eppure vivo a Gerusalemme. E allora quel mio “io resto” è un atto di amore e di appartenenza. Sono un’italiana all’estero, una emigrante, eppure sono una italiana che ‘vive l’Italia’. E dunque, nella scelta tra restare o andar via, abiurare, disconoscere l’Italia, ho deciso di rimanere. Perché non sono una aventiniana. Anzi”
Paola resta “per Liviana e Valeria, giovani, madri, maestre, siciliane, eroine invisibili, costrette a percorrere circa 200km al giorno, tutti i giorni della settimana, per insegnare e stare con i propri figli… sempre col sorriso”.
Tu per chi resti?
Inviaci il tuo video o la tua proposta su filomenainrete@gmail.com
Luigi il Grande
Una storia che ci appartiene, la storia di Silvia…
November 29th, 2010 - 7:00 pm
Vi proponiamo una storia di precariato, forse una delle tante… La protagonista è Silvia. Ha scritto una lettera a senzabavaglio. Vi invitiamo a leggerla e a riflettere…
Mi chiamo Silvia Fissore, ho 34 anni, sono laureata in lettere antiche e
sono iscritta all’Ordine dei giornalisti della Lombardia, elenco
pubblicisti.
Dopo anni di stage, contratti di collaborazione occasionale e quant’altro è
stato elaborato dalla nostra legge per evitare di assumere o per lo meno
inquadrare in modo corretto una persona, nel 2004 a 28 anni ho trovato
lavoro come redattrice presso una casa editrice di riviste specializzate con
sede a Milano, percependo un netto di 900 euro mensili, successivamente
passato a 1.080 euro (le cifre si commentano da sole).
Qui ho trascorso tre anni con una co.co.pro. rinnovata ogni anno (sottolineo
co.co.pro in quanto il mio contratto prevedeva e citava un fantomatico
progetto cui avrei dovuto lavorare!!!Del tutto fasullo ovviamente!) con
tanto di postazione fissa, biglietto da visita, piano ferie e orari e
gerarchie da dover rispettare.
Ogni qual volta ho fatto presente che il mio contratto non prevedeva
obbligo di orari e presenza né tanto meno la necessità di dover dare un
preavviso di 15 giorni (come mi veniva richiesto) per potermi assentare
dalla redazione in caso di visite mediche e quant’altro, venivo ripresa
verbalmente sia dalla mia caposervizio sia dal responsabile editoriale
nonché socio della casa editrice.
Addirittura mi era stato detto che per poter fare una visita medica potevo
usufruire solo della pausa pranzo. Più volte mi è stato detto dal
responsabile editoriale che se le cose non mi andavano bene potevo
andarmene, tanto c’era fuori la fila di persone con cui sostituirmi.
Naturalmente ho in parte sopportato e in parte mi sono ribellata diventando
presto oggetto di mobbing anche da parte dei colleghi che si trovavano nelle
mie stesse condizioni contrattuali, ma che non alzavano la testa per paura
di perdere il posto.
Posso solo dirvi che ho visto veramente di tutto in quei tre anni: il nostro
responsabile editoriale prendere a ceffoni un mio collega per un
errore nella stesura di un pezzo…apostrofarne un altro con epiteti come
“deficiente, ritardato, ecc.” (questo per farle capire il clima in cui si
lavorava).
Sempre dal medesimo responsabile editoriale mi sono sentita dire più volte
di andarlo a trovare in ufficio per fare “due chiacchiere” in orari che
naturalmente non coincidevano con le attività di redazione…in sostanza,
come si direbbe, ci ha provato più volte con la sottoscritta facendomi
capire che se fossi stata più “aperta e disponibile con lui” avrei ottenuto
molto di più sul fronte contrattuale.
Ho visto colleghe incinte (e inquadrate con co.co.pro) obbligate dalle
caposervizio Kapò a lavorare fino a pochi giorni dal parto e minacciate di
perdere il posto se non fossero rientrate entro 60 giorni dal parto.
Ho visto gente inquadrata con Partita Iva e lavorare di fatto come
dipendente. Ho visto colleghi lavorare per un anno con un contratto
scaduto…Io stessa in quei tre anni ho lavorato per 14 mesi con un
contratto scaduto e ogni volta che lo facevo presente mi veniva detto che
l’ad della società non aveva tempo per firmarlo.
Quando sono passata alle proteste dirette sono stata via via accusata dai
miei capi di essere: una “giustizialista violenta”, una “psicotica” che non
sapeva la fortuna che aveva a lavorare lì, una che non sapeva quello che
voleva fare da “grande”, ”una figlia di papà che non sa sacrificarsi per il
lavoro”, una “sindacalista piantagrane”, ecc. ecc.
Dopo tre anni di angherie e precarietà, il giorno stesso della scadenza del
mio contratto ho comunicato che non intendevo procedere al rinnovo e sono
stata accusata di non aver dato preavviso: ho fatto notare che il cocopro
prevede obbligo di preavviso solo se viene rescisso nei mesi in cui è
considerato ancora attivo e sono stata, di rimando, insultata e minacciata
dal responsabile editoriale.
Questa è solo la prima delle varie chicche in cui mi sono imbattuta
successivamente.
Nel periodo seguente, tra ottobre e dicembre 2007 ho effettuato 4 colloqui
per una posizione all’interno di una redazione di un importante gruppo
editoriale milanese. Arrivata all’ultimo colloquio, con la responsabile
risorse umane, mi è stato detto che il mio profilo era idoneo ma che c’era
solo un problema: il fatto che fossi iscritta all’albo dei giornalisti.
Questo “piccolo” dettaglio impediva loro di inquadrarmi come stagista a 650
euro mensili visto che in quel momento quella era l’unica modalità
contrattuale da loro prevista (forse se me lo avessero fatto presente prima
avrei evitato di perdere tempo in colloqui).
In sostanza mi è stato implicitamente detto che se volevo quel lavoro dovevo
cancellarmi dall’albo e farmi inquadrare come stagista, in cambio avrei
avuto la “grande opportunità di lavorare per un’importantissima realtà
editoriale!”. Ho risposto che la donna di servizio di mia madre prendeva
esattamente il doppio con tanto di contributi. Ho fatto anche presente che
dovevano vergognarsi di definirsi “casa editrice” se ritenevano che fosse un
problema che i loro collaboratori fossero iscritti all’Albo. Mi è stato
risposto che ero una maleducata e un’ingrata. Sarà, ma sono contenta di aver
rifiutato!
Successivamente, da un altro gruppo editoriale milanese mi è stato proposto
di essere inquadrata con un contratto da grafico e non da
giornalista…anche in questo caso avrei dovuto dire addio al
patentino…geniale, no?
Alla fine mi sono decisa a intraprendere la strada del freelancing e ho
iniziato a collaborare per varie testate: naturalmente ho dovuto più volte
far scrivere dal mio avvocato per vedermi saldate le fatture, “subendo”
pagamenti a 260 giorni!
Attualmente ho una consulenza fissa presso un’agenzia di comunicazione di
Torino (città dove mi sono, nel frattempo, trasferita) formalizzata con una
sorta di “scrittura privata” perché l’agenzia non può assumermi e un
co.co.pro avrebbe costi troppo alti.
Anche in questo caso, più volte ho dovuto discutere con il titolare per
chiarirgli che non sono una dipendente, ma una consulente che lavora per
obiettivi e non per “fare presenza in ufficio”.
Diciamo che è una lotta quasi quotidiana e in questo momento le sto
scrivendo proprio dalla postazione che mi è stata “generosamente” offerta
nella sede dell’agenzia. Faccio buon viso a cattiva sorte, cerco il più
possibile di prendermi i miei spazi di libertà e non smetto mai di ricordare
al mio “datore” di lavoro che se mi vuole al 100 per cento deve assumermi.
Di tutto ciò fa le spese il mio fegato, anche perché so benissimo che per
campare il più delle volte si finisce per accettare compromessi, come le ho
scritto all’inizio…
A luglio se tutto va bene, diventerò mamma…la lieta notizia non l’ho
ancora comunicata al titolare dell’agenzia…la terrò aggiornata su gli
sviluppi (credo che ci sarà da “ridere” per non piangere).
L’aspetto più divertente è che siamo in un’epoca dove le risorse
tecnologiche ci permetterebbero di lavorare da casa evitando smog, ingorghi,
perdite di tempo in interminabili trasferimenti su mezzi pubblici e auto.
Diciamocelo: per un lavoro come quello del giornalista o dell’addetto
stampa sono sufficienti un telefono e un PC con connessione internet. Si
tratta di professioni dove, pur non venendo escluso il lavoro di squadra,
gran parte dell’attività viene svolta in piena autonomia. Ma, come
giustamente mi ha fatto osservare un mio amico giornalista, “lavorando da
casa toglieresti al tuo Capo la sua ragione stessa di esistere”.
Concludo ringraziando i miei genitori e mio marito che in questi anni mi
hanno sempre sostenuta emotivamente ed economicamente incoraggiandomi a
“tenere la testa alta”.
Sicuramente sono stata più fortunata di alcuni miei colleghi che per motivi
economici hanno dovuto accettare situazioni paragonabili alle “anime morte”
e alla servitù della gleba. Ma devo altresì dire che ho visto colleghi e
compagni di “sventura” subire nonostante la loro situazione familiare ed
economica fosse più che solida. Forse per vigliaccheria più che per
reale per passione per il proprio lavoro.
L’unica cosa che oggi mi consola è l’aver saputo che dopo pochi mesi che me
ne ero andata dalla casa editrice di cui sopra, alcuni colleghi hanno
seguito il mio esempio scegliendo di dire basta a una situazione di
precariato che oltre a tutto ledeva la loro personale dignità.
Vi ringrazio per la pazienza con cui siete arrivati alla fine di questa
lettera.
Silvia
Luigi il Grande
DEVADĀSĪ: per promuovere l’eguaglianza di genere
November 29th, 2010 - 7:17 pm
La mostra di Giordana Napolitano si inaugura il 1° dicembre e costituisce
la seconda tappa del ciclo di mostre
“Il Prossimo Mio” presso la Galleria Whitecubealpigneto – Opening, ore 18.30
Galleria Whitecubealpigneto – Roma, via Braccio da Montone 93
Opening “Devadāsī”, di Giordana Napolitano: mercoledì 1° dicembre, ore 18.30
Durata della mostra: dal 1° dicembre 2010 al 7 gennaio 2011
Orario di visita: dal martedì al venerdì ore 18.00/20.30 (o su appuntamento, tel. 334 2906204) – ingresso libero
Roma, 1° dicembre 2010 – A conclusione dell’Anno Europeo della Lotta alla Povertà e all’Esclusione Sociale parte il progetto “Il Prossimo Mio”, un ciclo di sei mostre realizzato con il contributo della Provincia di Roma, in cui 8 artisti sono stati invitati ad esprimersi con la propria arte sugli 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio, per gridare l’urgenza di una comune presa di coscienza e di responsabilità verso il prossimo che è mio e l’altro che mi è prossimo.
Artefice del progetto, la Galleria Whitecubealpigneto che, traendo ispirazione da Malevich, mette a disposizione il proprio spazio: un quadrato bianco e uno sfondo bianco che si lasciano modellare di volta in volta dall’opera dell’artista.
Seconda tappa di questo ciclo di mostre sarà DEVADĀSĪ, coraggioso progetto artistico di Giordana Napolitano che contribuisce alla riflessione sul 3° Obiettivo di Sviluppo del Millennio: promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne.
Il testo critico è di Sguardo Contemporaneo. Media partner dell’iniziativa è Radio Popolare Roma. L’arte della Napolitano si distingue perchè mette al centro la donna e il suo diritto a vivere pienamente tutte le sue dimensioni, inclusa quella sessuale. La donna di cui parla l’artista è una donna che acquisisce una nuova forte consapevolezza di sé e ha il coraggio di affermarla, che non è più disposta ad essere oggetto, ma soggetto nella società e nell’intimità. Queste riflessioni trovano piena espressione nelle opere esposte, tele realizzate con la tecnica a olio e pastelli a olio, ispirate alle Devadāsī, le sacerdotesse-cortigiane che ballavano all’interno dei templi indù e che erano ritenute veicolo di spiritualità attraverso la danza e l’atto sessuale. Dopo l’indipendenza dal dominio inglese, della tradizione è rimasta la parte peggiore: non più donne provenienti da caste privilegiate, le devadāsī di oggi appartengono quasi tutte alla casta degli Intoccabili e sono donne che sin da bambine sono costrette dalle proprie famiglie a prostituirsi. Nonostante sia stata dichiarata fuorilegge, questa pratica continua a esistere perchè collegata a una sorta di precetto religioso, che maschera quello che è in realtà puro commercio di corpi di bambine.
A dominare la scena, una tela che occupa per intero la parete centrale della galleria, accompagnata da tele di dimensioni più piccole che corrono lungo le pareti laterali. Qui, immagini stereotipate di danzatrici indiane si alternano a scene erotiche più esplicite, evocando le prime la percezione che l’uomo ha della donna Devadāsī, e le seconde la consapevolezza che hanno acquisito le donne del proprio corpo e del proprio erotismo.
«Quelle di Giordana Napolitano sono opere che provocano l’osservatore e lo interrogano profondamente, reclamando l’urgenza di una risposta – dichiara Rossella Alessandrucci, direttrice artistica della Galleria Whitecubealpigneto e ideatrice del ciclo di mostre “Il ProssimoMio” – È una mostra in cui non c’è posto per l’indifferenza».
Per maggiori informazioni: Lilia Illuzzi – Sulleali Comunicazione Responsabile – Cell: 328 0533657 – E-mail: lilia.illuzzi@sulleali.it
Luigi il Grande
Convegno internazionale sulle imprese delle donne del Mediterraneo
November 30th, 2010 - 8:02 pm
COSENZA- “Le imprese delle donne: esempi mediterranei” è il titolo del convegno che si svolgerà il 10 e 11 dicembre al Museo dei Brettii e degli Enotri a Cosenza.
Il meeting è stato organizzato dall’ Assessorato alle Pari opportunità del Comune capoluogo in collaborazione con l’Associazione Donne Giuriste Italia e vedrà la partecipazione di relatrici provenienti da Algeria, Israele, Francia, Marocco, Tunisia, Spagna, Turchia, Grecia.
Prevista la partecipazione di personalità di rilievo internazionale, rappresentanti della politica italiana, imprenditrici affermate.
Maggiori dettagli saranno forniti nel corso della conferenza stampa in programma per mercoledì 1 dicembre nel Salone di Rappresentanza di palazzo dei Bruzi alle ore 11,30.
Ulteriori informazioni si trovano su: www.comune.cosenza.it
Luigi il Grande
sPARTITI: l’immigrazione si fa musica
November 29th, 2010
Concerto della cantante angolana Tasha Rodrigues
Giovedì 2 dicembre 2010 Stazione Ostiense, Roma
Roma – Si chiama “sPARTITI” e farà “suonare e ballare” una delle principali stazioni ferroviarie romane, Roma Ostiense, giovedì 2 dicembre a partire dalle 20.30 e fino alle 23.
Anima del concerto – ad ingresso libero – sarà la nota cantante angolana Tasha Rodrigues, con la sua band e il suo corpo di ballo. Tra di loro spicca Jack Tama, noto percussionista che ha suonato con Miriam Makeba. Di “ Mama Africa” – scomparsa a Castelvolturno nel novembre 2008 - la Rodrigues ha raccolto con onore l’eredità, fino ad esserne definita a tutti gli effetti la “figlia artistica”.
Il concerto è un’ iniziativa della Cooperativa “2000 Orizzonti”, sostenuta da Ferrovie dello Stato e in collaborazione con Sulleali – Comunicazione Responsabile, agenzia di comunicazione sociale di Roma specializzata in comunicazione via web e organizzazione di eventi che coinvolgono immigrati e temi di intercultura.
È sulla scia del grande successo del Miriam Makeba Tribute – organizzato nel marzo 2010 all’Auditorium di Roma – che i partner hanno immaginato questo evento, che si posizionerà come evento di chiusura della mostra di fotografia “Ferrovie e Integrazione: identità e culture di un’Europa multietnica”, aperta al pubblico alla Stazione Ostiense dal 18 novembre al 3 dicembre (tutti i giorni, dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18). La sera del concerto, il 2 dicembre, la mostra sarà eccezionalmente aperta al pubblico anche in serata fino alle 23.
La mostra “Ferrovie e Integrazione” propone gli scatti di coloro che hanno partecipato al concorso fotografico europeo indetto dall’associazione Immigrazione Oggi. Tra i vincitori, oltre ai premi istituzionali, anche varie menzioni d’onore, tra le quali quella conferita alla foto di Luca Gabriele Perrone “Ultimi preparativi aspettando il treno” dal magazine Caposud, bimestrale italiano scritto solo da corrispondenti del Sud del Mondo.
Il concerto, oltre a porsi come un momento di festa dedicata all’immigrazione, alla riflessione sulle sue tragedie indotte, ma anche e soprattutto sulla sua importanza nella società italiana ed europea, valorizzerà lo spazio storico della Stazione Ostiense.
Per informazioni: caterina.falomo@sulleali.it – 346. 851 37 23
Luigi il Grande