O T T I M O I L P R E S I D E N T E G I A N F R A N C O F I N I

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Luigi il Grande

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Una nuova agenda per il futuro della nazione

 
 

di: Gianfranco Fini

 
Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer, disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo». Sembra un’affermazione scontata. Ma risulta assai meno ovvia se applicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempo la politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli interventi strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfiduciata continua a essere desolatamente vuota. La lista dei meriti esibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i rifiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici. «Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza»? è vero senso di responsabilità verso il paese affermare «accontentiamoci, perché potevamo finire come la Grecia»? Può esserlo nella sola prospettiva del presente. Sicuramente non lo è riguardo al futuro, anche prossimo. Può essere realmente rassicurante (e coinvolgente) soltanto un discorso di questo tipo: «Proviamo a fare come la Germania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate alla ricerca e all’innovazione». Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità: se c’è un paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe aumentarli anziché diminuirli, questo paese è proprio l’Italia. Riserviamo alla ricerca circa la metà delle risorse mediamente impiegate a tale scopo dai paesi dell’Ocse e siamo decisamente lontani dal livello minimo (3% del Pil) stabilito da Obiettivo Europa 2020: la percentuale in Italia è infatti dell’1,13. Questo significa che dovremo triplicare, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da destinare all’innovazione. Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammatico è che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e di mentalità. Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fatti e all’operatività. E deve compiere un simile passo nel più breve tempo possibile perché il futuro è già cominciato nei paesi dell’area più avanzata del mondo. Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ritardo. Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti insieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli di crescita economica. Non può produrre nuova ricchezza un paese dove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove la giungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani i capitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remunerato e meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, portuali e telematiche) sono insufficienti, dove non sono avvenute liberalizzazioni (se non nelle telecomunicazioni) ma solo privatizzazioni di monopoli pubblici per fare cassa e non per aprire il mercato dei servizi alla concorrenza, dove la mobilità sociale è in discesa, dove la natalità è tra le più basse d’Europa, dove i livelli di corruzione di politici e dirigenti pubblici sono preoccupanti, dove prospera una gigantesca economia in nero che non si traduce in ricchezza sociale, dove la criminalità organizzata esercita il suo potere di ricatto su vaste aree del sud e inquina l’economia legale. L’elenco sarebbe ancora lungo, ma è bene fermarsi qui perché quanto detto è sufficiente a far capire che la ricreazione è finita e che non ci sono più scuse per la politica del giorno per giorno, del circo mediatico, della rissa permanente. Una grande lezione è venuta recentemente dal caso Mirafiori, che ha dimostrato quanto le forze dell’economia e del lavoro siano comunque vive nel nostro paese. Però, chiunque pretendesse di strumentalizzare politicamente un simile risultato compirebbe un’operazione arbitraria. Perché la politica ha fatto assai poco per creare le condizioni generali – quindi non solo a Torino, ma in tante altre parti d’Italia – per rendere convenienti gli investimenti di capitale nel nostro territorio. Occorre passare dalle enunciazioni ai fatti non in nome della ormai frustra retorica del “fare”, ma sulla base di una grande idea dell’Italia prossima ventura. L’obiettivo deve essere un Progetto di Italia per il 2020, il progetto di realizzare riforme che cambino profondamente il volto del nostro paese nel giro di qualche anno, liberando le energie della società e offrendo concrete opportunità di affermazione ai giovani, ai lavoratori, agli imprenditori. Poiché non ci saranno prove d’appello, occorre riscrivere subito l’agenda della politica e fissare gli appuntamenti chiave, quelli più urgenti. Al primo posto dovranno comparire la crescita economica e il futuro dei giovani, insieme con le riforme istituzionali e la necessità di superare il divario tra nord e sud. Essenziale, per quanto riguarda la crescita, è ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese cominciando a lavorare per una riforma tributaria all’insegna della riduzione e della rimodulazione delle aliquote. Parallelamente, sarà necessario aumentare la competitività del sistema attraverso l’aumento della produttività del lavoro e dell’impresa, il sostegno all’internazionalizzazione delle aziende e all’innovazione dei processi produttivi, il disboscamento della giungla burocratica e la riforma del processo civile, l’accesso al credito per le piccole e medie imprese, l’incremento delle risorse da destinare alla ricerca, all’università e all’istruzione. Tutto ciò mentre dovranno essere realizzati gli obiettivi, necessariamente a più lunga scadenza, dell’ammodernamento infrastrutturale, a partire dalla differenziazione delle fonti energetiche. Per quanto invece riguarda i giovani, al netto dei benefici che potranno arrivare dagli auspicabili maggiori investimenti in istruzione e ricerca, bisognerà costruire un sistema di flessibilità positiva che combatta la vergogna della precarietà unita ai bassi salari e realizzare un collegamento più stretto tra scuola, università e mondo del lavoro. Occorre anche favorire l’intraprendenza dei giovani attraverso un fondo di garanzia pubblico per spingere le banche a finanziare i ragazzi che vogliano frequentare un master all’estero, aprire un’impresa, acquistare una casa. Indipendentemente dalle misure che potranno essere varate nel concreto, il principio da affermare è che la questione – giovani è una delle questioni strategiche dell’Italia e che tra dieci anni – quando i ragazzi di oggi saranno adulti – dovranno poter vivere in una società che pone realmente il merito tra i suoi valori centrali. è una rivoluzione etica e culturale molto più profonda e decisiva di quello che comunemente si pensa. è bene a questo punto avvertire che sono poche le riforme a costo zero. è quindi chiaro che occorrerà spostare risorse da un settore a un altro, tagliare rami di spesa improduttivi, mettere in discussione rendite consolidate. è anche chiaro che, quello riformatore, non sarà un processo indolore perché ci sarà chi nell’immediato ci guadagnerà e chi nell’immediato ci perderà. Però deve essere altrettanto chiaro che i sacrifici di un paese non si decidono sulla base di un criterio meramente ragionieristico ma eminentemente politico. Criterio politico vuol dire trovare un accordo ampio e solido tra partiti, forze sociali, imprenditoriali, sindacali per stabilire gli obiettivi strategici, e cominciare subito a inserirli nell’agenda di Italia 2020 stabilendo le priorità necessarie con equità e giustizia. Rimboccarsi le maniche? Alcuni sicuramente diranno «ma chi ce lo fa fare?», memori forse dei tempi in cui Andreotti diceva «tanto in Italia tutto s’aggiusta» e Craxi affermava «la nave va». Mi dispiace per lorsignori, ma quei tempi non torneranno più, nel bene e nel male. In conclusione: qual è il rischio di continuare a ripetere «tutto bene madama la marchesa»? è quello di fare la fine della rana nella pentola. Questa metafora, rilanciata in un recente pamphlet dallo scrittore Olivier Clerc, s’adatta assai bene all’Italia dominata da una politica minimalista e di corto respiro. «Una rana, immersa in una pentola d’acqua che si riscalda molto lentamente, all’inizio si trova bene, ma quando l’acqua comincia a scottare non ha più le forze per saltare fuori». La morale della favola è semplice: non c’è alternativa a una politica ambiziosa e profondamente riformatrice.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Assemblea Costituente di Futuro e Libertà. Programma dei lavori di Milano, 11-13 febbraio

7 febbraio 2011

Assemblea Costituente  

Programma dei lavori

I lavori dell’Assemblea Costituente si apriranno venerdì 11 alle ore 15 e si concluderanno domenica 13 con l’intervento conclusivo di Gianfranco Fini che inizierà alle ore 12.

VENERDI’

Ore 15 Apertura dei lavori

 

Presidente onorario dell’Assemblea Costituente Mirko Tremaglia

Segretario Generale Andrea Ronchi

Presidente dell’Assemblea Salvatore Tatarella

Vicepresidenti Angela Napoli e Giuseppe Consolo

Saluti

Relazioni del Coordinatore del Comitato Promotore Adolfo Urso e dei Capigruppo parlamentari Italo Bocchino e Pasquale Viespoli

Insediamento della Commissione per lo Statuto, presieduta da Donato Lamorte e della Commissione per il Programma, presieduta da Mario Ciampi.

Insediamento delle sei Commissioni tematiche:

Commissione Cultura;

Commissione Innovazione;

Commissione Ambiente;

Commissione Welfare;

Commissione Sviluppo;

Commissione Legalità.

Relazioni dei Presidenti delle sei Commissioni tematiche

Ore 20,00 Chiusura dei lavori e cena con Gianfranco Fini a cura di Gianfranco Vissani

 

SABATO

 

 

Dalle ore 10 alle ore 20, dibattito

In contemporanea si svolgeranno i lavori delle Commissioni Statuto e Programma e delle sei Commissioni tematiche

E’ prevista una iniziativa dedicata alla manifestazione del comitato “se non ora quando” in difesa della dignità delle donne e uno spazio dedicato ai giovani e agli amministratori locali.

DOMENICA

 

Ore 10 Apertura dei lavori

Relazioni dei rappresentanti delle sei Commissioni tematiche

Relazioni dei presidenti della Commissione Statuto e della Commissione Programma

Delibere dell’assemblea

Elezione del Presidente Nazionale e dellAssemblea Nazionale

Ore 12,00 intervento di Gianfranco Fini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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In Primo Piano Rss

 

 

L'empasse dopo il pareggio del voto sulla relazione in commissione

Fini: «Federalismo bocciato nel merito e non per fedeltà»

di Azzurra Provenzale

Il voto della commissione sul federalismo municipale è una bocciatura sul merito del provvedimento e non una semplice espressione di fedeltà allo schieramento politico. Il presidente della Camera Gianfranco Fini spiega così l’esito del voto. Con il federalismo, ha ricordato Fini, i servizi sociali e la sanità rischiano di diventare un terreno di scontro tra due esigenze che non possono essere messe in contrasto: da un lato quella costituzionale per cui i servizi devono andare a tutti alle stesse condizioni; dall’altro la necessità di garantire costi standard per un effettivo risanamento dei conti e una virtuosa gestione pubblica. Per evitare il rischio che entrino in rotta di collisione queste esigenze fondamentali, serve l’impegno di tutti coloro i quali hanno a cuore il principio di parità di fronte alla legge che è un cardine della Costituzione.

 

Stamane era finito 15 a 15 il confronto nella Bicameralina relativo al decreto sul federalismo municipale. Un pareggio che equivale a una sconfitta di fatto, dal momento che secondo l’articolo 7 del regolamento dell’organo «le deliberazioni della commissioni sono adottate a maggioranza dei presenti, considerando presenti coloro che esprimono voto favorevole o contrario. In caso di parità di voti, la proposta si intende respinta».

A fare da ago della bilancia il Fli Mario Baldassarri che ha espresso la sua contrarietà sul provvedimento. La sostanziale bocciatura nella commissione per l’attuazione del federalismo fiscale del parere formulato dal relatore ha vanificato dunque tutti i tentativi messi in atto dal governo per assicurare un esito positivo. Non sono serviti a niente gli incontri della notte a Palazzo Grazioli e neanche quello di oggi di Umberto Bossi con Gianfranco Fini.

Il partito del Senatùr fino all’ultimo ha provato a salvare il provvedimento al quale tiene di più cercando di far votare per parti separate i vari pareri, ma il tentativo è stato vanificato dall’opposizione che ha ritirato le sue relazioni costringendo la Lega a ritirare la propria proposta.

Dal Pdl fanno sapere che quello della commissione è solo un parere consultivo e che il cammino può proseguire. Il presidente della bicameralina, Enrico La Loggia, ha minimizzato l’empasse dichiarando che è come se il parere non fosse stato espresso e che si potrà procedere con il testo del decreto modificato che ha avuto il via libera in commissione bilancio al Senato.

 

Ma il futuro della maggioranza si fa sempre più incerto e fosco se il Senatùr confermerà quanto detto nei giorni scorsi: anche il solo pareggio significherebbe l’assenza di una maggioranza politica e porterebbe a elezioni anticipate. Il pareggio adesso è arrivato. E mentre sia dal Terzo polo che dal Pd arriva l’invito alla maggioranza a fermarsi e a prendere atto dell’evidente difficoltà, tutto sembra essere nelle mani di Bossi che dopo il vertice a Palazzo Grazioli, seguito all’esito del voto in commissione, ha escluso che si andrà alle elezioni.

3 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Luigi il Grande

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Fini: costruire la nuova Italia del dinamismo, dello sviluppo, dell’energia creativa

di Gianfranco Fini

Dobbiamo tutti impegnarci a fare in modo che essere nati negli anni Ottanta e Novanta diventi finalmente un privilegio e non una condizione penalizzante nel lavoro e nell’iniziativa economia. Se aiutiamo i ragazzi italiani a costruire il loro futuro di certo contribuiranno a costruire il futuro dell’Italia e a migliorare la qualita’ complessiva dell’iniziativa politica. L’economia dell’innovazione vede per naturali protagonisti i giovani. Far parte delle nuove generazioni vuol dire anche, pur tra tanti problemi, avere il privilegio di possedere una spiccata sensibilita’ per sfruttare le enormi potenzialita’ imprenditoriali delle nuove tecnologie. Non per niente, i creatori di ‘You Tube’ e Google sono giovanissimi. E vale la pena ricordare che Google e’ nato da un progetto di ricerca universitaria.

Va valutata con attenzione ed interesse la possibilita’ di istituire anche in Italia una banca per l’innovazione. Phelps propone l’istituzione di una banca nazionale per l’innovazione diretta a finanziare progetti d’avanguardia e strutturata come una rete di merchant bank garantita e incentivata dallo Stato.

C’e’ necessita’ di un impegno corale e convinto e soprattutto condiviso tra le forze politiche e sociali piu’ articolate per per costruire la nuova Italia del ventunesimo secolo all’insegna del dinamismo, dello sviluppo, dell’energia creativa. E’ un’idea di nazione vitale e moderna, una nazione non rinchiusa nella paura, nella nostalgia e nel minimalismo, bensi’ una nazione aperta, intraprendente, fiduciosa. Questa nuova Italia in alcuni casi c’e’ gia’ e la possiamo scorgere in particolare, nei giovani ricercatori che non hanno ceduto alla rassegnazione e che lavorano con passione ai loro progetti. La sfida politica e’ quella di far crescere questa Italia dinamica, di sostenerne la creativita’, la voglia di fare impresa e innovazione, di facilitarne l’accesso al credito necessario a realizzare gli investimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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31 gen 2011

Italo Bocchino intervista al Nuovo Polo per l’Italia

 

L’intervista a margine della convention del Nuovo Polo per l’Italia, Todi del 28/29 Gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Adolfo Urso: Generazione Futuro sia avanguardia

 

di Adolfo Urso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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L'Analisi Rss

 

 

Sconfiggere l'antipolitica: per la destra, non sarà un'occasione perduta

Un'alleanza costituente contro il ricatto del Cav

di Luciano Lanna

La "questione irrisolta" e di lungo periodo di un certo mondo politico italiano, quasi un suo intrinseco mito incapacitante dal quale non ci si è mai riusciti a liberare definitivamente, è senz'altro il ricadere periodicamente nella sindrome della "occasione perduta". Fu così, ad esempio, per non aver saputo comprendere in presa diretta il senso del governo Tambroni, incorrendo nella provocazione identitaria di voler contemporaneamente celebrare il congresso missino in una città medaglia d'oro della resistenza come Genova, e veder quindi sfumare l'occasione di un'inedita sintesi politica tra sinistra democristiana e forze nazionalpopolari.
 
Lo stesso accadrà per l'esperienza delle giunte Milazzo in Sicilia, per aver boicottato la matrice unitaria e condivisa della contestazione giovanile del Sessantotto ai suoi inizi, per non aver compreso i segnali che nei primi anni Ottanta giungevano da Bettino Craxi in direzione di un nuovo arco democratico.
 
Lo ricordiamo perché alcune reazioni "da destra" alla proposta lanciata da Massimo D'Alema alle forze politiche oggi all'opposizione - affinché costruiscano insieme un percorso costituente - sembrerebbero confermare quello stesso riflesso condizionato. Non capendo la portata della posta in gioco, cadendo nella propaganda imposta dall'attuale maggioranza di governo, e sottraendosi all'assunzione di grande reponsabilità storica che un simile percorso impone. Salvo, in futuro, pontificare col senno di poi sulla grande "occasione perduta". 
 
Sia nella lunga intervista con Massimo Giannini su Repubblica che nel colloquio televisivivo di domenica con Lucia Annunziata, D'Alema è stato estremamente chiaro: nessuno ha in mente ammucchiate spurie, fronti popolari redivivi o una riedizione fuori tempo massimo dell'Unione prodiana ma, molto ambiziosamente, il percorso obbligato e unico per fuoriuscire dall'attuale impasse e determinare le premesse di una democrazia finalmente "normale", con un centrodestra civile, legalitario ed europeo da una parte, e un centrosinistra riformista e altrettanto europeo dall'altra. Ma per arrivarci, è il suo ragionamento, è necessario che una parte e l'altra creino un'alleanza costituente - tra l'altro maggioritaria secondo tutti i sondaggi, che l'attestano intorno al 60 per cento dell'elettorato - in grado di sconfiggere il blocco antipolitico che impedisce la fuoriuscita dall'odierna anomalia. 
 
Si tratta, aggiungeva D'Alema, dell'unica ricetta possibile per «contrastare il ricatto del premier, che afferra il Paese per la gola e gli dice: o me o il nulla, non esiste alternativa possibile». E, proprio per questo, l'ex premier e ministro degli Esteri propone di rompere lo schema: «Di fronte al conflitto istituzionale permanente e alla paralisi politica, le opposizioni sono chiamate a una forte assunzione di responsabilità. Qui c'è una vera e propria emergenza democratica. E se ne esce solo con un progetto di tipo costituente, che fa coincidere la conclusione del ciclo berlusconiano con la fine di una certa fase del bipolarismo e raduna il vasto schieramento di forze che si oppongono a Berlusconi». 
 
D'Alema, in sostanza, propone di presentarsi agli elettori chiedendo di sostenere un governo costituente, in grado di costruire una vera seconda Repubblica, affrontando tutti insieme la crisi economica, sociale e morale del Paese e, quindi, gettando le basi, di un'architettura istituzionale ed elettorale "normale", con un futuro centrodestra e un futuro centrosinistra che si confronteranno e contenderanno l'alternanza al potere ma sulla base di un terreno comune di valori e pratiche di riferimento.
 
D'altronde, non esiste un'altra strada, stante l'attuale legge elettorale e un clima avvelenato da una deriva mediatica populista e plebiscitaria. Sarebbe questa la "grande occasione" (da non perdere) per le forze, i leader e la culture politiche che hanno a cuore la costruzione di una democrazia compiuta, condivisa e partecipata. 
 
Già otto anni fa, all'emergere delle prime crepe, un acuto analista come Mario Pirani aveva interpretato, dopo i primi "strappi" di Fini - uno su tutti: la richiesta di voto amministrativo per gli immigrati regolari - l'affiorare di una frattura di per sé «originaria» nel centrodestra, determinatasi per via di una transizione troppo veloce e poco metabolizzata. «Una frattura - annotava Pirani - che l'intonaco berlusconiano aveva ricoperto ma non suturato: quella tra le componenti "anti-politiche", estranee alla storia d'Italia, e quelle che proprio da quella storia hanno invece origine, tanto che, pur tra rivisitazioni autocritiche, anche i loro elettori ne traggono senso di appartenenza e di rappresentanza. 
 
Capofila degli "alieni" alla storia patria - aggiungeva il giornalista - è per sua natura Forza Italia, partito improvvisato, scaturito dal grembo di Mediaset, la cui ideologia galleggia sul principio della dittatura della maggioranza, in mancanza di altri ancoraggi. E a essa si affianca la Lega, che, per trovare qualche origine autoctona, deve scavalcare tutta la vicenda unitaria degli ultimi centocinquanta anni e rifarsi alle forze anti-risorgimentali. Estraneità che ha ricevuto anche una patente più recente con il proclamato anti-europeismo di marca bossiana». 
 
Le altre due componenti dell'allora centrodestra, osservava Pirani, la destra di Fini e i cattolici di Casini, «pur trasformati dalle vicissitudini di fine secolo, discendono, invece, da famiglie politiche che hanno marcato la storia italiana del Novecento, così come buona parte del centrosinistra nel suo assieme». 
 
In questi ultimi anni, come tutti sappiamo, la crepa si è ulteriormente allargata, per arrivare alla evidenza più recente. Anche per questo, e a differenza di chi non riesce a liberarsi dalla subalternità al modello berlusconiano, riteniamo davvero una "grande occasione" la possibilità di mettere insieme in un "processo costituente" - e se ne parla, dalle parti nostre, dalla fine degli anni Settanta - il fronte che può essere rappresentato, con tutte le differenze tra di loro, da figure come Gianfranco Fini, Pier Ferdinando Casini o Ferdinando Adornato da una parte, e quello che emerge con Massimo D'Alema, Walter Veltroni e Rosy Bindi dall'altra. C'è infatti in entrambi questi schieramenti la volontà di approdare a un autentico e condiviso «bipolarismo democratico».
 
Qui nessuno è invitato a passare sull'altro versante ma a costruire insieme l'architettura di un'Italia normale. Dove ognuno farà la sua parte.
 
Pubblicato sul Secolo d'Italia del 1 febbraio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Il nuovo polo per l’Italia a Todi: finalmente un’assise di parlamentari nazionali ed europei

di Potito Salatto

 

Il nuovo polo per l’Italia a Todi: finalmente un’assise di parlamentari nazionali ed europei che ha affrontato e discusso temi concreti della nostra società in termini squisitamente politici. È ora di dire basta ai gossip, alle aggressioni giornalistiche e di individuare invece le soluzioni che il nostro contesto sociale ed economico attende. Noi non siamo antiberlusconiani, siamo solo non berlusconiani. E con questo vogliamo intendere che non ci facciamo intrappolare in metodi calunniosi, rancorosi, offensivi della dignità personale di chiunque e delle funzioni istituzionali affidate a qualsivoglia personalità politica.
Vogliamo, si è ribadito nel corso del dibattito, ricostruire un Paese puntando su rapporti istituzionali e sociali che facciano ricrescere l’Italia economicamente e le sappiano far riacquistare nel contesto internazionale, specialmente europeo, quel ruolo e quell’immagine di affidabilità che merita. Per questo vogliamo un Governo che governi, per questo siamo pronti a contribuire alla nascita di una forza politica di centrodestra liberale, riformista e democratica, che abbia al suo interno esperienze di provenienza diversa ma tese a una sintesi di proposte e soluzioni in grado di interpretare le esigenze di cittadini sempre più sbandati e incapaci di ritrovare interlocutori istituzionali credibili.
Certo, si tratta di un lavoro difficile e non rapido, ma esaltante. Quanto tempo ci vorrà per riaffermare l’autorevolezza delle istituzioni, riportandole tutte nel loro alveo costituzionale? Quanto tempo sarà necessario per riconfermare il ruolo primario della famiglia nella nostra società? Quanto tempo occorrerà per restituire alle donne quella dignità che loro spetta in una società moderna e non maschilista? Per quanto ancora vivremo sull’orlo del collasso economico perché, in presenza di un debito pubblico alle stelle, non sosteniamo la produttività del nostro Paese? Quanto ci vorrà per recuperare nel sentire collettivo quella moralità, quella legalità ormai affossata da esempi che di autorevole non hanno più nulla? Quanto tempo sarà necessario per rendere la scuola e le università in grado di formare professionalità adeguate al mercato del lavoro italiano ed evitare la fuga dei nostri ragazzi all’estero (attualmente sono circa un milione e mezzo i giovani fuggiti dal nostro Paese per adeguarsi professionalmente alle domande del mondo del lavoro!). Non sottovalutiamo la loro rabbia che ormai esplode nei vicini Paesi mediterranei, quali la Tunisia e l’Egitto, e che può contagiare anche noi per la precarietà di una situazione interna che non intravede via d’uscita per il futuro. Cosa si aspetta inoltre per restituire alla volontà popolare la possibilità di scegliere i propri rappresentanti con una legge elettorale diversa da quella attuale?
Il Nuovo Polo per l’Italia deve saper rispondere a tutto ciò facendo tesoro delle esperienze di ognuno, anche se di diversa provenienza. Fli, Udc, Api e Mpa possono essere il nuovo contenitore di centrodestra all’altezza dei tempi, senza quel liberismo esasperato e univoco che caratterizza tuttora il Pdl, con quadri dirigenti pronti ad ascoltare e a fornire adeguate risposte alle domande dei cittadini, fuori dai tatticismi locali fatti di piccole ripicche, di conquiste di angusti spazi personali che nulla hanno a che fare con l’autorevolezza e la dimensione che deve essere propria di chi si candida a governare seriamente un grande Paese come l’Italia.
Sono questi tutti argomenti che devono far riflettere non solo noi ma anche quanti nel Pdl sentono la frustrazione del loro essere in un ambito politico ormai avviato, nei fatti, alla dissoluzione. E pure tutti coloro che, nel Pd, ritenendosi titolari di una forza di sinistra riformista, hanno a cuore la voglia di proporsi, anch’essi, forza di Governo. Come si vede il compito è arduo e difficile: ma noi di Fli ce la metteremo tutta nel contesto del Nuovo Polo per l’Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Luigi il Grande

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Terzo Polo, Urso: Berlusconi prigioniero del suo ego non ne comprende il valore

29 gennaio 2011

‘”Berlusconi non si accorge che lui fa gia” parte del passato. E senza aver realizzato il cambiamento, tanto meno la modernizzazione del Paese che aveva promesso: su lui pesa soprattutto questo grande fallimento’”. E” quanto ha dichiarato il coordinatore di Futuro e Liberta”, Adolfo Urso, secondo cui ‘”essendo prigioniero del suo ego il premier non capisce il valore di chi si mette insieme per unire e non lacerare, guardare avanti e non perennemente indietro. Lui e” solo al comando non puo” sempre accusare gli altri di quel che non ha saputo fare’”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Il Terzo Polo: siamo pronti per guidare l’Italia

29 gennaio 2011

Il Terzo Polo marcia compatto, si dice pronto a guidare il Paese e nel coordinamento dei parlamentari riuniti a Todi riflette a mente lucida sulla gravità del momento politico. Con un leader, il Premier in carica, che secondo Pierferdinando Casini mostra un altro “segno di impotenza” quando annuncia una nuova manifestazione per il 13 febbraio. Considera le elezioni inevitabili se il governo proseguirà nell’occuparsi esclusivamente delle vicende di Berlusconi, anziché procedere con le riforme.

“Il Paese è allo stremo- analizza il leader Udc- poi apre la televisione e vede che la politica si preoccupa del bunga bunga, se Berlusconi è distratto allora meglio che lasci il campo e si vada al voto, anche se un governo forte e credibile sarebbe meglio”. Ma quale l’alternativa ad uno schieramento che sino ad oggi si è distinto solo per asprezza e contrapposizioni anche forzate? Francesco Rutelli offre una chiave di lettura matura, quando annuncia che il nuovo polo non sarà “il polo delle vendette”, bensì un’aggregazione responsabile che allontani il più possibile quella stagione di accanimenti verso chi ha governato negli ultimi tre lustri. E poi incalza: “Noi garantiamo che la fine del berlusconismo non sarà alla Ben Alì”. Sgombra il campo dalle voci di intese elettorali con dipietristi e vendoliani, quando riflette che “giustizialisti e massimalisti devono sapere che con noi non ci sarà alleanza”, per sancire in seguito la strada che il nuovo polo percorrerà: “nasce il baricentro politico e programmatico dell’Italia futura, un’aggregazione destinata a formare le alleanze su cui l’Italia dei prossimi anni si misurerà”.

Rutelli difende anche il Presidente della Camera Fini dagli attacchi volgari degli ultimi mesi, proprio all’indomani della precisazione della Procura di Roma, secondo cui le carte di Santa Lucia “sono irrilevanti” e dice: “Difenderemo a viso aperto e con determinazione Gianfranco Fini che è stato un impeccabile presidente della Camera”, definendo l’aggressione che sta subendo “vile” in quanto indebolisce le istituzioni. Ma è il passaggio dagli anni della prima/seconda repubblica ad oggi che suscita l’attenzione dei partecipanti. Lorenzo Cesa riflette che sino a questo momento Berlusconi si è autodefinito come una novità del palcoscenico politico nazionale, ma “senza la Prima Repubblica, Silvio Berlusconi sarebbe un imprenditore brianzolo qualunque”, che si è seduto alla “tavola della Prima Repubblica, e ha ampiamente assaggiato tutte le portate”. E sulla nuova aggregazione ribadisce che non è un prodotto in scadenza come il Premier, ma “il futuro, la nuova unica grande casa dei moderati italiani”.
Per condannare definitivamente il populismo che ha incarnato da quando si è presentato agli elettori: “A Berlusconi diciamo una volta per tutte che in questa casa per i populisti non vi è posto”, chiudendo le porte a chi si sente padrone. Come sarà composto il nuovo polo? Non mancheranno le idee, che saranno le vere protagoniste, riunite per “scrivere un pezzo di storia nuova del nostro Paese”. Sull’agenda dei prossimi mesi Raffaele Lombardo auspica il ripristino delle regole che garantiscono ai cittadini piena rappresentanza, quindi pronti a nuove elezioni ma prima sarebbe meglio riformare la legge elettorale e risolvere una volta per tutte il conflitto di interessi.

Ma è la proposta di Italo Bocchino a spiccare per originalità e freschezza in questo conclave umbro, quando annuncia che sarebbe auspicabile un leader donna, “40enne e credibile” che guidi questa iniziativa di responsabilità.
Spazio anche a considerazioni sul federalismo,con Casini che precisa: “Capisco che la Lega sia preoccupata ma anche i sindaci leghisti si renderanno conto che questo è solo un federalismo delle tasse, come facciamo a votarlo?”. Mentre un altro richiamo alla sobrietà giunge dal mondo cattolico; questa volta viene dall’ arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, che incontrando i giornalisti in occasione della festa di san Francesco di Sales, si è premurato di ribadire che “da coloro che guidano il Paese tutti attendono esemplarità, nel pubblico e nel privato”.
Infine ancora una nota giudiziaria, perché si apprende che Carmelo Briguglio ha denunciato Panorama e Il Giornale “in relazione a servizi giornalistici, che prendono di mira anche i colleghi Bocchino e Granata, ritenuti dal parlamentare finiano diffamatori e lesivi dell’onorabilità”. Il tema è ancora il fango, ed il dossieraggio “berlusconiano per distrarre l’attenzione dallo scandalo Ruby”.

di Francesco De Palo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Procura Roma: documenti Santa Lucia del tutto irrilevanti

di Generazione Italia

 

Il contenuto degli atti inviati dal governo di Santa Lucia circa la titolarita’ delle societa’ off-shore che si sono succedute nella proprieta’ dell’immobile di Montercarlo ereditato da An nel 1999 ”appare del tutto irrilevante circa il ‘thema decidendum”’. E’ quanto sostiene la procura di Roma nelle deduzioni che hanno accompagnato la trasmissione degli atti al gip che dovra’ pronunciarsi sull’opposizione alla richiesta di archiviazione delle posizioni di Gianfranco Fini e di Franco Pontone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Dopo l’intervento di Frattini in Senato la risposta di FLI in conferenza stampa 

di Generazione Italia

 

Silvio Berlusconi “mandante dell’operazione di dossieraggio” ai danni di Gianfranco Fini sull’appartamento di Montecarlo svoltasi oggi nell’aula del Senato (e progettata “al solo fine di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dai gravissimi episodi che lo coinvolgono in vicende inquietanti”, quelle del caso Ruby), Valter Lavitola “manovale” (nello stesso giorno in cui l’interrogazione sull’immobile monegasco veniva presentata al Senato, l’editore dell’Avanti! Compieva una visita serale al premier). Mentre “il fattorino si chiama Franco Frattini”. Cosi’ Italo Bocchino, capogruppo Fli alla Camera, inquadra in conferenza stampa le novita’ odierne sull’affaire Montecarlo, riferite nell’aula di Palazzo Madama da Frattini. Le novita’ in realta’ non erano tali, denuncia Bocchino, visto che il documento di Santa Lucia attestante che Gian Carlo Tulliani (fratello della compagna di Fini) e’ il reale proprietario dell’appartamento di Montecarlo ereditato da An e ceduto a una societa’ offshore, risale al 16 settembre ed e’ stato pubblicato dal “Giornale” (mentre la conferma da Santa Lucia di cui ha dato conto Frattini non aggiungerebbe nulla di rilevante). Con la “sceneggiata” di Palazzo Madama, Frattini “ha infangato il ruolo e il prestigio della diplomazia italiana”, scandisce Bocchino, al cui fianco siedono in conferenza stampa Benedetto Della Vedova, Andrea Ronchi e Carmelo Briguglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Urso: Da Todi alternativa moderata e riformista al fango

27 gennaio 2011

Credo che oggi più che mai sia assolutamente necessario dimostrare che esiste un’alternativa moderata e riformista al fango che sembra sommergere tutto, appunto quello che abbiamo chiamato un “nuovo polo per l’Italia“. E’ quanto scrive Adolfo Urso sul suo profilo facebook “mentre ministri e parlamentari del Pdl sono ormai arroccati in una sorta di consiglio di guerra che paralizza le istituzioni, nel seminario che si apre domani a Todi oltre cento parlamentari in diretta tv sul web si confronteranno su come far uscire il paese dal pantano, con un corale impegno riformatore e modernizzatore“.

Il nuovo polo – secondo il coordinatore di Futuro e Libertà - intende rappresentare un’alternativa concreta e immediata sin dalle prossime elezioni amministrative e se necessario alle elezioni politiche anticipate alle quali appunto ci prepariamo, nella convinzione che l’Italia voglia trovare una via d’uscita per voltare pagina. Non ci rivolgiamo soltanto ai delusi del Pdl, che peraltro sono sempre di più, ma anche a tutti coloro che oggi, giustamente sconcertati, si rifugiano nell’astensione e sono essi il presupposto del grande cambiamento“.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Caso Ruby, Fini: “Premier non può pensare di essere al di sopra della legge”

23 gennaio 2011

“La presunzione di innocenza, che va sempre richiamata, non puo’ essere confusa con la presunzione di immunita’ o, peggio ancora, di impunita’”. Lo ha detto il presidente della Camera Gianfranco Fini nel suo intervento a Reggio Calabria. Parlando delle ultime vicende che hanno riguardato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Fini ha detto che “non puo’ pensare, avendo vinto le elezioni, di essere al di sopra della legge e di essere nella condizione di non rispondere alla legge”.

Poi, rispondendo alle dichiarazioni di Berlusconi al convegno dei socialisti, il leader di Fli ha precisato che il movimento e’ nato non per stravolgere il risultato delle elezioni come denunciato dal premier ma “perche’ abbiamo verificato l’impossibilita’ nel Pdl di affrontare certe questioni, l’impossibilita’ di dire certe scomode verita’, di dibattere di cosa era giusto fare nell’interesse nazionale”.

Per il presidente della Camera “la legalita’ e il rispetto della Costituzione devono essere un momento unificante. Non ha nulla a che vedere con la logica bipolare di un perenne derby in cui non si riconoscono i meriti degli altri”.

Proprio le ultime vicende che riguardano il premier, sottolinea ancora Fini, “hanno fatto capire perche’ nasce un nuovo soggetto politico. O davvero si ritiene che l’impegno in politica deve essere all’insegna di certi valori o si finisce per essere prigionieri del compromesso”. E così alcuni principi “vengono traditi se non si ha a cuore il buon nome dell’Italia e da qualche tempo a questa parte il buon nome e’ sottoposto a dure critiche, anche a causa di certi comportamenti” sottolinea Fini.

“In politica c’e’ anche un problema di opportunita – aggiunge il presidente della Camera – . Non e’ opportuno candidare alcuni personaggi cosi’ come non e’ opportuno nel momento in cui si e’ sottoposti a indagini particolarmente complesse e che gettano una luce particolarmente negativa, dire ‘non mi muovo’ o peggio ancora ‘non considero possibile essere sottoposto alla valutazione dei magistrati’ dimostrando altro che presunzione di innocenza, quella e’ una richiesta evidente di impunita’”.

Fini durante il suo intervento a Reggio Calabria ha parlato a lungo delle opportunita’ politiche e delle collusioni con la criminalita’ e i settori dagli interessi sospetti. Sulla definizione di Mangano come eroe ha detto: “o si dice che non e’ vero o si diventa complici”.

Nel corso del suo intervento Fini ha poi aggiunto: “se il coordinatore regionale del Pdl di una regione importante come la Campania, che e’ anche sottosegretario, viene colpito da una richiesta di provvedimento restrittivo e gli viene chiesto un passo indietro per ragioni di opportunita’, significa venire meno al dovere di fare sempre e comunque quadrato, allora vi dico che la lealta’ e’ un valore, la complicita’ diventa una colpa”. “Non si puo’ essere sempre silenti – ha poi concluso Fini -. La politica si basa anche sulla credibilita’”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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In Primo Piano Rss

 

 

E ricorda che Fli è nata perché su certe cose non si poteva più tacere...

Fini: «Chi ha vinto le elezioni non è al di sopra della legge»

di Alessandro Oriente

«Chi ha vinto le elezioni non può pensare di essere al di sopra della legge», ha detto oggi  Gianfranco Fini intervenendo, a Reggio Calabria, a un incontro di Futuro e libertà dedicato alla “legalità”. E sarebbe un'affermazione banale, in un paese normale (e in una situazione normale). Ma così non è, a quanto pare, se da giorni l'Italia è bloccata, lacerata e turbata dal cosiddetto “Rubygate”: una vicenda tutt'altro che “privata”, che mette in discussione la tenuta e l'immagine dell'esecutivo e del paese intero. 
 
E proprio a proposito di “immagine”, il presidente della Camera si è soffermato sul tema del risalto negativo che la vicenda sta avendo a livello internazionale: «Non voglio infierire, ma il buon nome dell'Italia da qualche tempo a questa parte viene sottoposto a dure critiche per comportamenti di chi l'Italia la rappresenta». Dunque il premier (che oggi ha definito Fini “un eversore”...) ha una sola cosa da fare: raccontare la sua verità davanti ai magistrati. 
 
«Il giustizialismo – ha detto ancora Fini – è un male, ma non può esserci giustizialismo quando si ribadisce chiaramente che la presunzione di innocenza non possa essere confusa con la presunzione di impunità». E dunque, «quando si è oggetto di indagini complesse, che gettano una luce particolarmente negativa, dire "non mi muovo" o "non considero possibile essere sottoposto ai magistrati" è una richiesta evidente di impunità». Una richiesta inaccettabile, dunque.
 
Ma nell'intervento di Reggio Calabria, Fini fa anche riferimento alla “storia” di Futuro e libertà e della “fuoriuscita” dal Pdl: «Ho il dovere di ricordare al presidente del Consiglio che Fli è nata per l'impossibilità nel Pdl di affrontare certe questioni, di dire scomode verità e soprattutto perché abbiamo pensato fosse un dovere morale dimostrare che a certi principi noi crediamo davvero». Tanto per essere chiari, «l'idea di destra che abbiamo è diversa dalla caricatura di centrodestra che ora è intenzionato solo a evitare che italiani sappiano, che facciano chiarezza. La legalità è un abito mentale, che presuppone che ai più giovani si debba ricordare che ci sono doveri cui bisogna adempiere. Per la legalità devono essere impegnati tutti, politica e istituzioni in prima linea, devono essere sempre trasparenti».
 
E allora, Fli è nata da un'esigenza di trasparenza, di verità, di libertà di parola.  «Perché in certi momenti – scandisce Fini – tacere diventa essere corresponsabile. Non ce la sentivamo di non dire, di tacere». Un esempio, per essere ancora più chiari: il presidente della Camera ricorda che «quando si arriva a dire che Vittorio Mangano è un eroe, o si ribadisce che non è vero, oppure si diventa complici». 
 
22 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Berlusconi risponda a magistrati o si dimetta. Nuovo Polo insieme alle prossime amministrative

19 gennaio 2011

“Le forze politiche del nuovo Polo (Fli, Udc, Api, Mpa, liberaldemocratici e repubblicani), riunite con i rappresentanti regionali, hanno deliberato di presentarsi insieme alle prossime elezioni amministrative con programmi e candidature comuni, per costruire un’alternativa di governo fin dal livello locale.

Al termine della riunione è stato inoltre approvato un documento in cui si rileva che “le gravi vicende emerse in questi giorni confermano e rafforzano le ragioni per le quali nelle scorse settimane il nuovo Polo aveva chiesto una profonda svolta politica nella conduzione del Paese. Se il Presidente del Consiglio non è in grado di rispondere nelle sedi competenti alle accuse che gli sono state mosse e quindi di rassicurare un’opinione pubblica profondamente e giustamente turbata, deve rassegnare le sue dimissioni e consentire così al Paese la serenità e la speranza per un futuro migliore e alle istituzioni di realizzare le riforme necessarie. Altrimenti, nel rispetto delle prerogative del Capo dello Stato, è meglio chiedere ai cittadini, attraverso il voto, di realizzare il cambiamento necessario e urgente”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Gianfranco Fini ospite alla trasmissione “Che tempo che fa” RaiTre del 16 Gennaio 2011

17 gennaio 2011

“La magistratura si rispetta e, se sbaglia, paga. Al pari di tutti”. E’ una delle considerazioni che Gianfranco Fini svolge, intervistato a “Che tempo che fa” da Fabio Fazio il 16 Gennaio 2011, a proposito del caso Ruby e delle accuse di persecuzione politica rivolte da Berlusconi ai magistrati.  ”Spero che l’Italia non viva per i prossimi due mesi una sorta di telenovela permanente delle vicende che riguardano Berlusconi e che lascia fuori dalla attenzione di tutti i grandi problemi del Paese”. E ancora: “Nel decreto di cui si sta discutendo, quello sul fisco comunale, qualche problema c’e', perche’ con l’attuale versione il rischio e’ quello di aumentare la necessita’ di risorse derivate, anziche’ l’autonomia, ma questo lo sa anche Calderoli. Il vero nodo sara’ comunque il federalismo regionale”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fini a Messina, 15 gennaio 2011

di Generazione Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Messina, prima tappa del “Tour per l’Italia”. Fini: “Italia più credibile grazie ai magistrati”

15 gennaio 2011


 

«La credibilità della nostra democrazia è cresciuta grazie anche ai successi contro il terrorismo prima e cosa nostra dopo. Se la qualità della democrazia è aumentata, lo si deve anche all’impegno di tanti servitori dello Stato, ma all’interno anche del martirologio dei servitori dello Stato il ruolo della magistratura è stato ed è di prim’ordine». Lo ha detto Gianfranco Fini intervenendo al Palazzo di Giustizia di Messina ad un incontro con i vertici del Tribunale e l’Avvocatura. Fini ribadisce l’importanza del «ruolo dei magistrati»: «dimenticarlo -ha detto- è fare torto a un impegno e ad un sacrificio».

«Dobbiamo mettere da parte le divisioni, dobbiamo investire per una riforma della giustizia che sia più efficiente e celere e per raggiungere insieme gli obiettivi che verranno indicati dal Parlamento». Per Fini «dobbiamo soprattutto cercare di dare vita a un movimento unitario volto a individuare una giustizia che sia efficiente e dia la sensazione al cittadino che lo Stato lo difende». E poi ha concluso: «La libertà si basa su un giudice che afferma il principio della legalità, altrimenti non c’è la libertà ma il predominio dell’arbitrio».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Effetto bunga bunga
Inchiesta choc a Milano su Ruby.
 

Berlusconi indagato, il Pdl in trinceaRoma. Dal 21 dicembre Silvio Berlusconi è indagato per concussione e prostituzione minorile nell'inchiesta sul caso Ruby. Già recapitato al premier l'invito a comparire dalla Procura di Milano: dovrà presentarsi ai pm tra venerdì 21 e domenica 23 gennaio. I tabulati telefonici acquisiti nel corso delle indagini dimostrerebbero che Ruby avrebbe soggiornato nella residenza di Arcore dal 24 al 26 aprile e poi vi si sarebbe recata il primo maggio e durante le giornate di Pasqua e Pasquetta. Indagati con il premier anche Nicole Minetti (la cui abitazione è stata perquisita, come quella di Ruby), Emilio Fede e Lele Mora. Nel pc della ragazza sarebbero stati rinvenuti foto e filmati delle feste cui ha preso parte. Gli avvocati hanno prima parlato di intromissione nella vita privata del premier e quindi hanno negato la competenza della procura a indagare sul caso. La Procura intende procedere contro il premier con rito immediato, che salta la fase dell'udienza preliminare. Il Pdl ha reagito arroccandosi a difesa del premier, rispolverando la nota tesi del complotto delle solite procure politcizzate. Berlusconi avrebbe detto ai suoi che la linea dev'essere: non ci faremo intimidire e avrebbe nuovamente evocato la possibilità di rivolgersi al suo popolo per denunciare le "trame" ordite dai magistrati nemici. Nel partito c'è anche chi azzarda un paragone tra la nuova inchiesta e l'avviso di garanzia che arrivò nel '94, in pieno vertice sulla criminalità a Napoli, annunciato sulle colonne del Corriere della sera. Le altre forze politiche evitano, per ora, di strumentalizzare i clamorosi sviluppi del caso Ruby. Futuro e libertà precisa: i magistrati fanno il loro lavoro, noi ci occupiamo di politica.
Milana e Maurellipag 2 e 4

15/01/2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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http://video.corriere.it/principali-notizie/82008916-1fe1-11e0-aeb3-00144f02aabc

 

ESCLUSIVO - La consigliera Pdl sotto indagine per favoreggiamento della prostituzione

 

Caso Ruby, Berlusconi indagato

Perquisizioni negli uffici di Nicole Minetti: il premier l'avrebbe indotta ad intervenire per coprire i retroscena della festa di Arcore. La marocchina più volte nella villa

Silvio Berlusconi (Archivio)

 

 

 

 

 

Silvio Berlusconi (Archivio)

MILANO - La Procura di Milano ha indagato Silvio Berlusconi per le ipotesi di reato di «concussione» e di «prostituzione minorile». Secondo la contestazione d’accusa, allo scopo di occultare di essere stato cliente di una prostituta minorenne in numerosi week-end ad Arcore, assicurarsi l’impunità da questo reato e scongiurare che venissero a galla i retroscena delle feste nella sua residenza brianzola, il presidente del Consiglio la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 avrebbe abusato della propria qualità di primo ministro per indurre i funzionari della Questura di Milano ad affidare indebitamente l’allora 17enne marocchina Karima "Ruby" El Mahroug, scappata da una comunità per minori, alla consigliera regionale lombarda pdl Nicole Minetti. In una nota, la Procura di Milano spiega che il premier è stato iscritto nel registro degli indagati il 21 dicembre e che oggi gli è stato notificato l'invito a comparire. Nello stesso comunicato, il procuratore capo della Repubblica di Milano Edmondo Bruti Liberati chiarisce che il reato di sfruttamento della prostituzione si sarebbe consumato ad Arcore nel periodo che va da febbraio a maggio del 2010.

I REATI CONTESTATI -Il reato di «concussione» (articolo 317 del codice penale) punisce con la reclusione da 4 a 12 anni il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringa o induca taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità. Al premier è contestato con l’aggravante il reato di «prostituzione minorile» (articolo 600 bis, contestato al premier nella forma del secondo comma) punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni chiunque compia atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e 18 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica, ed è l’unico caso nel quale il cliente di una prostituta è sanzionato penalmente.

LE PERQUISIZIONI - Gli sviluppi dell’inchiesta sul caso Ruby stanno emergendo dalle perquisizioni in corso a Milano, tra le quali quella all'uomo di fiducia del premier che storicamente amministra il "portafoglio" familiare di Berlusconi: Giuseppe Spinelli, anni fa indagato con il Cavaliere e uscito dai processi su Medusa film e sulla villa di Macherio, nonchè già tra gli amministratori della holding Dolcedrago e dell'immobiliare Idra (che ha la villa di Arcore). Gli inquirenti si sono presentati nell’ufficio di Spinelli, non indagato, per eseguire una perquisizione, ma ad essi è stato opposto il fatto che le sue stanze sarebbero «pertinenza della segreteria politica dell’onorevole Berlusconi». Argomento che, secondo fonti vicine al manager, non sarebbe stato contestato dagli inquirenti, i quali hanno rinunciato alla perquisizione e lasciato gli uffici di Spinelli. La polizia sta perquisendo anche gli uffici della consigliere regionale Nicole Minetti, indagata per favoreggiamento della prostituzione, sia adulta sia minorile. Stessa ipotesi di reato per Lele Mora ed Emilio Fede, raggiunti da un avviso di garanzia. Anche la giovane marocchina Ruby, che risiede in una comunità in provincia di Genova, si apprende da fonti giudiziari, è stata perquisita.

 

FORZE DELL'ORDINE PARTI LESE - Nell'inchiesta sul caso Berlusconi/Ruby non ci sono appartenenti alle forze dell'ordine indagati. Anzi, i funzionari della Questura milanese che ricevettero le telefonate di Berlusconi sono le parti lese della concussione addebitata dai pm al premier.

RUBY PIÙ VOLTE AD ARCORE - Karima, la 17enne (nel 2010) marocchina al centro del caso per il quale Berlusconi è indagato per le ipotesi di reato di concussione e prostituzione minorile, non avrebbe detto il vero quando aveva pubblicamente affermato di essere stata ad Arcore solo una o due volte. A smentirla, e a pesare nell'inchiesta, sarebbe l'esito dello studio del traffico telefonico del suo cellulare, che l'avrebbe localizzata ad Arcore non una sola volta, ma in numerosi week-end concomitanti con la presenza di Berlusconi nella propria residenza.

Luigi Ferrarella
14 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Politica

 

 

Cazzullo: "Dal berlusconismo si esce da destra"

Federica Perri

«Dal berlusconismo non si esce da sinistra. La sinistra non ha i voti, né il leader, né la sintonia con il Paese, in particolare con il Nord. Può contribuire, non guidare. Ma per costruire l’alternativa a Berlusconi è forse ancora possibile aggregare i moderati intorno a valori oggi negletti: merito; legalità; responsabilità; nazione». Lo spunto offerto da Aldo Cazzullo sul magazine del Corriere della sera, Sette, ha fatto il giro dei blog finiani, con commenti positivi dei vertici di Fli tra cui una nota di Italo Bocchino che invita a costruire «l’alternativa votabile» bandendo ogni tatticismo parlamentare. Cazzullo invita a sventare il rischio di costituire «un cartello elettorale tra finiani, casiniani e rutelliani», o peggio un’alleanza di nomenklature e ceti politici «logori e mediocri»: così, dice, il Terzo Polo non andrà da nessuna parte. «Ma se saprà aprirsi alla società, agli studenti e ai loro professori, agli imprenditori, ai cattolici, e trattare da posizioni centrali un accordo con la sinistra riformista, allora potrà giocare un ruolo cruciale». Perché l’unico modo di superare il berlusconismo è «un’operazione di respiro, che dia rappresentanza a valori e a interessi a lungo trascurati». Sarà il tema della prossima riunione dei cento parlamentari (in realtà sono un po’ meno) che costituiscono il Terzo Polo. E sicuramente sarà il problema dominante del percorso congressuale di Futuro e libertà, che porterà a metà febbraio all’assemblea di Milano. I dirigenti del rassemblement finiano stanno confrontandosi con una serie di dati sulla composizione del loro bacino di consenso per molti versi sorprendenti. La prima base di consenso è rappresentata dai giovanissimi (18-24 anni) e dai giovani (25-44 anni), cioè dalle due fasce meno garantite dell’Italia di oggi. Chi conosce Fli (non tutti gli italiani: circa un terzo non sa esattamente di che si tratti) la percepisce già, in qualche modo, come un partito dell’interesse nazionale al di sopra delle categorie destra-sinistra, “nuovo” (70%) e “moderno” (78%). Sono indicazioni che vanno incrociate con un tema politico che fino a ora non è stato sufficientemente analizzato, ma che ha fatto capolino nelle discussioni di Futuro e libertà e che sicuramente era ben presente ad Aldo Cazzullo nel suo ragionamento sulla fuoriuscita dal berlusconismo “da destra”: per la prima volta dal ‘94, cioè dall’anno della famosa discesa in campo, il Cavaliere dovrà competere con Fini anziché beneficiare dei suoi voti. È uno scenario dirompente, che spiega bene l’accanimento antifiniano dei media vicini al premier: lo strappo di Fli ha fatto cadere lo schema che ha governato la politica italiana nell’ultimo quindicennio. E la discesa in campo di una destra del patriottismo repubblicano e della legalità, alternativa al Pdl (o a qualunque sigla qualificherà lo schieramento berlusconiano) è destinata a sparigliare un campo bloccato per tre lustri dall’inesistenza di una alternativa credibile all’attuale presidente del Consiglio. Forse questa consapevolezza comincia a spaventare anche il partito del premier, se è vero che Altero Matteoli ieri ha aperto a sorpresa al dialogo con il Terzo Polo esprimendosi in modo positivo sulle ultime interviste di Pier Ferdinando Casini e di Gianfranco Fini e chiedendo di «metterli alla prova» (sortita peraltro caduta nel vuoto). Ma è evidente che la possibilità per la destra “finiana” di intestarsi il terzo tempo della Repubblica, determinandone il destino nel nome del nuovo patto per la Nazione, è strettamente legata alla sua capacità di marcare la differenza con la stagione che si è lasciata alle spalle e con l’attuale impaludamento della maggioranza. L’afasia del Pdl sul governo del Paese è il vero punto di caduta del berlusconismo, che non sa più immaginare se stesso oltre le scadenze imposte dall’agenda minima della sopravvivenza: ieri il voto di fiducia, oggi la sentenza della Consulta, domani la mozione di sfiducia a Bondi e poi (è immaginabile) il voto amministrativo. Tutte “ultime spiagge” interpretate all’insegna di una resa dei conti che non arriva mai, di un match decisivo che invece non decide mai niente perché è subito pronta un’altra emergenza, un’altra sfida per la vita e per la morte. L’inesistenza di una credibile alternativa di sinistra ha consentito fino a ora di sopravvivere a questo logoramento pur perdendo masse ingenti di consenso: tra le politiche del 2008 e le regionali del 2010 il Pdl ha lasciato per strada (considerando solo le regioni in cui si è votato) 4 milioni di voti. In totale, fra le due date, sono scomparsi dai seggi 8 milioni di elettori: cittadini che nell’arco di due anni hanno deciso di non essere più interessati a usufruire del principale diritto-dovere del modello democratico, quello a scegliere i propri rappresentanti. La riapertura dei giochi della politica, oltre il bipolarismo tribale degli ultimi tempi e nel nome di un superamento della democrazia bloccata di questa fase, può essere dirimente per suscitare un’inversione di tendenza e una nuova ondata partecipativa così come accade in tutte le fasi di trasformazione e cambiamento. Il voto ritorna “utile”. A chiunque si intenda darlo, perchè nulla è scontato se emerge a destra l’alternativa al berlusconismo che la sinistra non ha saputo costruire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Politica

 

 

Ecco, Fini ha detto qualcosa di destra...

Annalisa Terranova

Dopo tante, e inutili, scorribande dialettiche sul Fini “compagno”, sul Fini spostato a sinistra, sul Fini immemore della destra, sul Fini che dovrebbe dire qualcosa di destra, sul Fini che fa rotta al centro eccetera eccetera, la domanda gliel’ha posta Claudio Tito nell’intervista di ieri su Repubblica: «Lei si sente un uomo di destra o di centro?». Risposta di Fini: «I valori restano quelli di destra. Servirebbe però un libro per spiegare cosa si intende nel 2011 per destra, centro o sinistra. Sono categorie del secolo scorso. Se poi per destra si intendesse il prevalere della finanza sull’economia reale, allora non sarei di destra... altri ci si riconoscerebbero più facilmente». Insomma una presa di distanza da chi identifica l’essere di destra con la supremazia dell’economia sulla politica. Una rottura netta con la linea di pensiero che traccia un dicrimine tra i proprietari da una parte e i poveracci dall’altra, che intravede nella ricchezza uno status symbol, e che dipinge la controparte come una massa di nullatenenti invidiosi della dichiarazione dei redditi di chi si trova in cima alla scala sociale. In questa visione, in cui per fortuna Fini non si riconosce, il comunismo non va bene perché è attentato alla proprietà privata e la libertà si accosta spericolatamente allo spirito d’impresa che va salvaguardato da lacci e lacciuoli e che in sostanza va “assolutizzato” anche a spese del superiore bene comune. Bene questa destra, quella che ci si ostina a chimare “destra” e che ha sempre avuto un’infima dignità culturale, appartiene addirittura all’Ottocento più che al Novecento, è un tentativo di nobilitare con un’infarinatura pseudoideologica le ambizioni del capitalismo. Se si recide ogni legame con essa la cosa non può certo ascriversi nell’elenco dei tradimenti ideologici, anzi. Si tratta di un guizzo salutare verso orizzonti più liberi e più degni, che traggono alimento dalle ramificazioni spirituali che vanno oltre un piatto e inconsapevole individualismo. C’è poi il discorso sul superamento delle etichette. Non è una novità (nel Msi se ne discuteva fin dalla fine degli anni Settanta) e occorrerebbe semmai chiedersi se l’uso di logore appartanenze non sia diventato ormai un fattore strumentale, la cifra reale della distanza tra la politica e società sempre più complesse, tra un linguaggio datato e incapace di proprietà connotative e il linguaggio che scaturisce dal basso, dai veri bisogni, dalla vita normale. E andrebbe anche chiarito, una volta per tutte, che Fini non da oggi mostra un certo disagio nell’uso di categorie del secolo scorso. Già negli anni Novanta, per esempio, proponeva un altro tipo di dualismo per superare la coppia oppositiva destra-sinistra, quello tra innovazione e conservazione, laddove con la scelta di collocare la sua nuova formazione nel pantheon ideale del futurismo ha optato per un’ulteriore dicotomia, che si gioca sul contrasto tra chi è ancorato al passato e chi vuole anticipare il domani, condizionandolo. In questa rinnovata dialettica chi si oppone al “futurismo” si pone, anche a livello semantico, nel terreno della nostalgia, del passatismo, della convenzione, dell’immobilismo. Un terreno, è appena il caso di sottolinearlo, in cui le vecchie etichette saltano e non sono più in grado di identificare nulla e nessuno. Un terreno sgombro da pregiudizi dove possono ritrovarsi storie politiche differenti e distanti ma unite dall’attenzione al futuro da costruire insieme. Fuori da questa dimensione, dove la dialettica si sperimenta sulle cose da fare e non sugli “elenchi” fideistici, la politica non rimanda a identità reali ma a un vuoto fatto di slogan e di propaganda dove prosperano le pulsioni di un confuso populismo, che non riconosce articolazioni con cui confrontarsi ma solo “popoli” fittizi cui regalare l’illusione del benessere. Ciò che Fini mette a nudo con la sua risposta è la pigrizia della politica a imboccare la via d’uscita da categorie rassicuranti anche se il rischio è di fare di quelle stesse categorie un uso improprio, anacronistico e strumentale. L’idea di un superamento di destra e sinistra ha sempre fatto parte, del resto, dell’anima più avanguardista dello stesso Novecento: come non ricordare che Pierre Drieu La Rochelle, per esempio, rimpiangeva l’aristorazia dell’Ancièn régime ma al tempo stesso era attirato dalla sinistra perché solo lì riconosceva il «disordine» causato da «un capitalismo che non aveva più alcuna virtù»? Fuori dalle metafore e dalle citazioni, tuttavia, è il caso di azzerare una volta per tutte la nostalgia delle facile etichette ma non senza denunciare che l’agglomerato di interessi e di sottoculture che oggi si richiamano alla destra non rimandano a un insieme di valori ma a un sistema di potere. E i sistemi di potere si giustificano se sono utili. Quando sopravvivono a se stessi andrebbero almeno liberati dal velo aureolato dell’ortodossia. In questi frangenti, gli eretici sono indispensabili, da qualunque famiglia politica provengano. E una destra che si rispetti, di questi tempi, non può che essere eretica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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L'Intervento Rss

 

 

L'analisi del ministro è giusta, ma le parole non bastano

Caro Tremonti, adesso è il momento dei fatti

di Gianfranco Fini

La discussione aperta prima da Piero Ostellino e ieri da Giulio Tremonti sul Corriere della Sera, ha di certo il merito di puntare al cuore dei problemi e delle prospettive dell'Italia: a partire dalla capacità competitiva, da difendere ma soprattutto da rilanciare, della nostra economia. E poco importa se i ragionamenti del ministro sono analoghi a quelli espressi mesi fa sul Sole 24 ore. La mancata risposta su questi temi, al netto del clamore della polemica, è una delle ragioni della presa di distanza di Futuro e libertà dal governo e anche uno dei nodi da cui dipende il destino della legislatura in corso. 
 
Non a caso Tremonti propone il tema "alto" di una riforma costituzionale, che dovrebbe implicare il massimo di condivisione tra le forze parlamentari. Necessità sulla quale, alla luce dei fallimenti di tutti i tentativi di riformare la Costituzione a colpi di maggioranza è difficile dissentire e personalmente di certo non lo faccio. Il ministro lo fa a partire da un solo articolo, il 41, la cui valenza simbolica e di indirizzo però non sfugge, trattandosi dell'articolo dedicato all'iniziativa economica privata, sulla quale - e nessuno può più avere dubbi -  si basano il futuro benessere degli italiani e le risorse per il funzionamento di uno stato efficiente.
 
Condivido l'idea di Tremonti: la formulazione dell'articolo 41 è contraddittoria e esprime, più che una visione liberale coerente del rapporto tra Stato e mercato (e con i principi fondativi dell'Unione Europea), un compromesso tra impostazioni culturali e politiche sostanzialmente incompatibili. L'articolo 41 è anch'esso figlio del clima politico della assemblea costituente e del compromesso culturale che in essa si raggiunse. Certo, non solo ad esso può addebitarsi la tirannia burocratica e l'ipertrofia regolatoria che oggi affligge le imprese italiane. Le colpe sono anche e soprattutto di quanti hanno approvato negli anni norme sempre più invadenti, che hanno finito per ostacolare l'esercizio della libertà economica e non per garantirla o disciplinarla. 
 
Personalmente non mi sottraggo ad assumere, "pro quota", le responsabilità che al riguardo ha avuto anche la destra politica, fin dai tempi del Msi. Penso però, come Tremonti, che non sia «il tempo di cercare le colpe della situazione presente. È tempo di cambiarla». 
 
Una riforma dell'articolo 41 della Costituzione che affermi in modo netto il principio della massima libertà economica e assegni allo Stato non il ruolo di programmazione e azione diretta nei processi economici, ma di controllo (più attento, rigoroso ed efficace, ma anche più amichevole verso il cittadino, di quanto accaduto fino ad oggi) è oggi assolutamente opportuna. Al di là della "rivoluzione liberale" che il Pdl ha predicato senza praticarla in questi lustri, il dibattito politico ha bisogno di un salto di qualità.
 
Sarei insincero, se non aggiungessi però che il miglior viatico per questa riforma apparentemente minima ma profonda, sarebbe quello di comportamenti coerenti in primis da parte del governo e del legislatore. Si può fare molto anche a Costituzione invariata.
Perché non riprendere quindi il processo interrotto delle privatizzazioni per ridurre il debito, punto dimenticato del programma elettorale del centrodestra? La riduzione del debito pubblico è la vera politica per i giovani: se non interveniamo drasticamente, i debiti di oggi saranno le tasse di domani. 
 
Futuro e libertà ha proposto tempo fa con Benedetto Della Vedova di partire dalla Rai, non per "svenderla", ma per consentire una valorizzazione della principale azienda culturale del paese, il cui destino rischia ogni giorno di più di seguire quello fallimentare della "vecchia" Alitalia. Perché non ridurre drasticamente il peso e il costo dello Stato e della politica, abolendo le province inutili, accorpando comuni ed enti strumentali e dismettendo le partecipazioni pubbliche nelle "vecchie" municipalizzate?
 
Il governo inoltre potrebbe finalmente presentare - già con discreto ritardo, rispetto ai termini previsti - la legge annuale sulla concorrenza, al fine di abbattere le barriere di accesso ai mercati e alle professioni, a partire dalle  segnalazioni dell'Antitrust. Sul piano locale, si dovrebbe dare concreta attuazione al decreto Ronchi sulla liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici locali. Sono tutte riforme a costo zero. Che ne pensa il ministro Tremonti?
 
Dare prospettive credibili all'economia italiana, sul piano dei principi ma soprattutto su quello delle politiche concrete, è un obiettivo che tutti (politica, sindacati, mondo dell'impresa) ci dobbiamo porre. È indispensabile farlo e con urgenza anche per corrispondere al richiamo del presidente della Repubblica sulla necessità di garantire alle giovani generazioni di vivere nell'Italia delle opportunità e non del declino.
Se non lo facciamo i giovani avrebbero molte ragioni per non perdonarci il nostro "egoismo generazionale".
 
Pubblicato sul Secolo d'Italia del 13 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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L'Intervista Rss

 

 

E sui temi etici, nel Nuovo Polo ci sarà libertà di coscienza

Fini: «Governo paralizzato. Adesso, un patto nazionale»

di Claudio Tito - La Repubblica Un patto di salvezza nazionale. Per tirare fuori dalle secche un Paese «fermo e sfiduciato». Gianfranco Fini esce dal silenzio in cui si era trincerato dopo la «sconfitta» del 14 dicembre. È appena tornato dalle vacanze nei mari delle Laccadive. Abbronzato, seduto nel suo studio a Montecitorio descrive le incapacità di Silvio Berlusconi nell’affrontare le emergenze: un governo «paralizzato». Ma il presidente della Camera vuole superare lo scontro dei mesi scorsi. «Per il bene dell’Italia», dice. E rivolge la sua proposta a tutti: «maggioranza e opposizione». Al centro del suo ufficio c’è la foto di Napolitano, quella del Papa e le immagini delle tre figlie. Sulla scrivania un posacenere. E un pacchetto di sigarette. Segno che gli scossoni politici hanno forse fatto naufragare il tentativo di smettere di fumare. L’Italia è sul punto dell’«asfissia» e ha bisogno di «convergenze tra maggioranza e opposizione». Una proposta da sottoporre a «tutti, non solo al governo»: al Pdl, alla lega e al Pd. Le elezioni ora sarebbero «una prospettiva rischiosissima». «Perché la situazione, rispetto al 14dicembre, non è tanto cambiata».

Quella giornata è ancora una ferita aperta per lei?
Ho preso atto di una sconfitta politica.

Anche di alcuni tradimenti?
Il tradimento è una categoria che non dovrebbe appartenere alla politica. Comunque alcuni hanno fatto delle scelte che vanno rispettate anche se non ne colgo le ragioni politiche.

Ora, però, sembra essere tornati al punto di partenza.
Nel voto del 14 c’è sicuramente la conferma che Berlusconi gode della maggioranza al Senato e alla Camera. Ciò che oggi si può fare seriamente è avanzare proposte per il prossimo futuro. Io vorrei iniziare l’anno con un auspicio: spero che nei prossimi mesi si compia un salto di qualità complessivo nel dibattito e nell’azione politica. E questo deve riguardare le forze della maggioranza e quelle dell’opposizione.

In che senso?

Ci si può dividere nel dire che gli ultimi sei mesi del 2010 non hanno rappresentato un successo per nessuno? Non credo. Sarebbe invece molto pericoloso continuare a pensare che i prossimi sei mesi saranno come i precedenti. Il rischio è che si ampli la frattura con l’opinione pubblica. Si percepisce il senso di repulsione nei confronti della politica. Questo accade perché il Paese è fermo e sfiduciato. C’è l’incubo dell’abisso.

Pensa a una sorta di patto di salvezza nazionale?
Faccio notare che la ripresa economica è lontana. La metafora di Tremonti è stata felice: un videogame in cui se uccidi il mostro, ne compare subito un altro. Noi non riusciamo a innestare la marcia. E questo determina una sfiducia complessiva, non solo nel governo. Molti degli interventi del capo dello Stato - che io condivido e con il quale c’è sempre stata sintonia - hanno sottolineato proprio questo aspetto.

Le proteste dei giovani contro la riforma Gelmini ne erano un’espressione?
Certo. Ma la sfiducia nel domani va al di là della riforma. Nell’insicurezza scattano i meccanismi di autodifesa individuale. Ad aggravare la situazione ci sono alcune conflittualità storicamente irrisolte: quella tra nord e sud, tra le parite iva e i lavoratori dipendenti, tra precari e garantiti, tra giovani e anziani. O la politica, complessivamente, comprende che stiamo affrontando un tornante difficilissimooppure i fossati si acuiranno.

Ma lei e Fli siete usciti dal governo per questo. Ora cosa pensate di fare?
Se si condivide questo approccio di sano realismo, allora ci possono essere convergenze per le forze di maggioranza e opposizione. Le opposizioni non si possono riparare dietro la logica del tanto peggio, tanto meglio. Sarebbe una logica sfascista. Così come per la maggioranza la logica dell’”andiamo avanti, non c’è alternativa”.

Ma lei pensa davvero che Berlusconi lo possa accettare? O pensa ad un altro governo?
Questo non mi compete, lo decide il premier. La mia riflessione è rivolta a tutti e non solo al governo. Vivacchiare è negativo per tutti. Fermo restando i ruoli, della maggioranza e dell’opposizione, è un dovere proporre soluzioni per evitare l’asfissia.

Ha pensato di dire queste cose direttamente al presidente del consiglio?
Io faccio un’intervista a un importante giornale per parlare con tutti. Voglio uscire da quello che proprio Berlusconi chiama il teatrino della politica. E non userò nei confronti del premier una sola espressione polemica.

I giornali del Cavaliere, però, non sono stati teneri. Le hanno attribuito anche una relazione con una escort.
È solo fango. Non so da chi diffuso. Non ho mai conosciuto quella signora e chiunque affermi il contrario ne risponderàin tribunale.

Le hanno chiesto anche le dimissioni.
Mai prese in considerazione. Mi si possono contestare posizioni politiche ma non l’incapacità di rappresentare la Camera e l’imparziale gestione dei lavori d’Aula.

L’asse con Casini è saldo?
Certo. L’ho visto anche stamattina».

Lei si rivolge anche al Pd?
Io parlo a chi è in Parlamento. Opposizione e governo.

Bersani e D’Alema, però, le hanno chiesto qualcosa di più. Immaginano un cartello per sconfiggere Berlusconi.
Le alleanze non si fanno in ragione delle sommatorie di sigle. Ma sulla condivisione di alcuni progetti. E comunque le elezioni non sono vicine.

Se non ci fosse la consapevolezza generale di cui parla, l’alternativa sarebbero le elezioni anticipate?
Una prospettiva rischiosissima per l’Italia. In campagna elettorale non si fanno le riforme. Se poi la maggioranza riterrà di non poter governare, spiegherà il perché agli italiani e se ne assumerà la responsabilità. Ma sia chiaro che Futuro e libertà e il Polo della nazione non temono le urne.

Più che il voto a Palazzo Chigi stanno cercando di strappare qualche deputato per andare avanti e qualcuno chiede ai centristi di “entrare” in squadra.
È tempo sprecato. Certo, c’è il tentativo di guadagnare dei singoli, ma non ci riusciranno. E se poi lo scarto anziché di tre parlamentari diventasse di cinque, cosa cambierebbe? Continuerebbero a vivacchiare. Ma in questa situazione non si può vivacchiare e l’opposizione non si può limitare a dire valuteremo di volta in volta. Sarebbe un gioco di rimessa, e invece bisognerebbe disegnare un impianto di regole condivise.

Regole condivise in due anni di legislatura?
Siamo entrati nel 2011, il 150.mo anno dell’Unità d’Ita-lia. Si può fare una riflessione su cosa significa essere italiani? Sui vizi del nostro sistema bipolare - di cui resto un convinto sostenitore e su questo Casini sarà d’accordo - che ha reso possibile l’alternanza ma non ha innovato sul piano della cultura politica?.

Ma l’emergenza sembra soprattutto economica in questa fase.
E infatti ridurre le spese e tenere sotto controllo i conti pubblici è necessario ma non sufficiente.

Un limite di Tremonti?
Di tutto il governo. Sarebbe ingeneroso dire che è colpa di Tremonti o pensare che si diverte a tenere sotto schiaffo i ministri. È il deficit di dibattito interno al Pdl che ho denunciato un anno fa. Anche l’Ue ha chiesto politiche riformatrici, che rilancino l’economia. Siamo in ritardo.

Il ministro dell’Economia la accuserà di essere uno spendaccione.
Non ci si può dividere tra chi vuole la spesa facile e i rigoristi. Sarebbe più lungimirante individuare progetti strategici. Cito sempre la Germania, non per la Grosse Koalition ma per la cultura politica condivisa che indica gli investimenti nella ricerca e nella tecnologica come strategici.

Quindi i tagli lineari sono stati un errore?
Sono l’esatto opposto. Sarebbe più utile una “Grande Assise” dell’economia e del lavoro con 100 teste pensanti in grado di trovare soluzioni. Nel nostro Paese c’è una miscela esplosiva: la giusta flessibilità nel mercato del lavoro si unisce però a un tasso di precarietà altissimo e a un livello retributivo tra i più bassi d’Europa. L’Italia è impoverita. Il ceto medio sta scomparendo. Il 45% della ricchezza delle famiglie è in mano al 10% degli italiani.

Tutto questo con il governo in carica?
Noi cerchiamo di farlo. Avanziamo soluzioni, proposte. Il mio auspicio è che non sia solo un’iniziativa di parte. Poi, certo, non si risolve tutto dalla sera alla mattina.

Intanto vi aspettano delle scelte da cui dipende la sopravvivenza dell’esecutivo. Come il voto sul federalismo.
Quel decreto è importante, ma il prossimo - quello sulle Regioni - è la vera sostanza. Il fisco municipale non è il cuore del problema. Le scelte sulle regioni saranno determinanti. Non dobbiamo perdere il complesso dei problemi.

Ma voi cosa farete?
Vedremo. In quel testo ci sono degli aspetti non so se voluti. I comuni, ad esempio, avranno meno entrate. L’Ici si paga solo nei luoghi dove non si risiede. Verificheremo alla fine se Calderoli troverà un’intesa con Tremonti sui saldi.

E la mozione di sfiducia a Bondi?
Non è una questione cruciale, ma deciderà il coordinamento del Polo della Nazione.

L’alleanza con Casini è strategica?
Se si votasse, staremmo insieme. Ci sarebbe una competizione con tre soggetti e non con due. Fli comunque farà un congresso a febbraio. Abbiamo un’idea del centrodestra diversa da Berlusconi e Bossi. Senso delle Istituzioni, dello Stato, dell’etica pubblica, della legalità. Fli si muoverà con la sua identità insieme all’Udc, all’Api, all’Mpa e ai Liberaldemocratici. E anche nel Pdl tanti condividono questi ragionamenti.

Molti dicono che il leader di questo schieramento è Casini e non lei.
Mi fanno ridere. Qualcuno - soprattutto nel Pdl - ha una scarsa considerazione di me e di Casini. Pensano di farci litigare.

Sui temi etici una qualche differenza, però, c’è.
Quando si presenterà il problema, lo risolveremo con un solo principio: la libertà di coscienza. Questa è la regola nei partiti democratici. Questa è una vera concezione liberale che altri ignorano.

Lei si sente un uomo di destra o di centro?
I valori restano quelli di destra. Servirebbe però un libro per spiegare cosa si intende nel 2011 per destra, centro o sinistra. Sono categorie del secolo scorso. Se poi per destra si intendesse il prevalere della finanza sull’economia reale, allora non sarei di destra... altri ci si riconoscerebbero più facilmente.

C’è chi usa il caso Fiat come bussola.
Marchionne è il segno di quanto l’Italia è in ritardo. Ho tirato un sospiro di sollievo quando ho sentito il segretario della Cisl Bonanni dire che senza le fabbriche non ci sono nemmeno i diritti dei lavoratori.

Se fosse un operaio di Mirafiori lo voterebbe l’accordo?
Senza dubbio. Il problema è che la politica è assente. ha delegato tutto alle parti sociali anche sulla rappresentanza. Bersani ha fatto bene a dire che si discute e poi l’esito del referendum si rispetta. Nessun paese occidentale si trova in questa condizione.

Pubblicato su La Repubblica del 12 gennaio 2011

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Politica

 

 

E ai mestatori dobbiamo dire: stiamo oltre...

Flavia Perina
 

«Ma in quanti siamo ad avere dubbi sul terzo polo, a non voler regalare il lavoro di mesi e anni a Pierfurby, a volerci riappropriare del sogno di una destra laica e liberale, a chiedere al presidente Fini di non infrangere il nostro sogno?» Gli antifiniani in servizio permanente effettivo di Libero hanno pescato questo e altri analoghi interrogativi dai siti dell’area di Fli per la solita operazione di piccolo cabotaggio: dimostrare che Fini sarebbe «contestato dai finiani» e che Italo Bocchino è «attaccato dalla base». Abituiamoci perché da qui al congresso di Milano del 12 febbraio la solfa sarà quasi sempre questa. In un mondo disabituato al dibattito e unito solo dagli slogan del leader, tutto ciò che è confronto diventa conflitto, accusa, faida, ed è naturale che lo schema semplificatorio già usato in passato (falchi-colombe, laici-cattolici, moderati-estremisti) per catalogare le dinamiche di Futuro e libertà sarà riproposto fino alla nausea. Detto questo, non ci sono dubbi sul fatto che i fili del progetto politico-culturale definito prima del voto del 14 vadano ripresi e riannodati, per cancellare l’idea che il terzo polo costituisca una soluzione tattica di ripiego, un maldestro “piano b” per galleggiare in attesa di tempi migliori. E magari varrà la pena di andarsi a riprendere il discorso di Bastia Umbra, dove c’era molto di più dell’ultimatum a Silvio Berlusconi sul quale si è concentrata come è ovvio l’attenzione mediatica. C’era, ad esempio, uno dei dati fondanti dell’esperienza di Fli: il superamento delle incomprensioni e delle categorie del Novecento, che in Italia si sono trascinate oltre ogni ragionevole scadenza temporale a causa dell’incapacità dell’attuale bipolarismo di compiere il salto di qualità che tutta Europa ha fatto. Il riemergere di dati “ideologici” in ogni partita politica – dalla bioetica al “caso Battisti”, dal contratto Fiat allo smaltimento dei rifiuti – è il male oscuro di questo Paese. E con esso l’idea che i partiti siano chiese che offrono una visione del mondo anziché strumenti che danno rappresentanza a blocchi sociali precisi, e in base a questo stabiliscono le loro priorità. Futuro e libertà deve scegliere (o meglio, confermare le sue scelte) cancellando la pretesa tipica del “vecchio mondo” di tenere tutto insieme, riformismo e istanze reazionarie, ceti medi riflessivi e rumorose nicchie qualunquistiche. Il suo pubblico di elezione, come tanti sondaggi hanno confermato, è nelle vastissime aree che si sentono non garantite, o non più garantite, dall’operato del governo, a cominciare dai giovani. E l’analisi da approfondire per intercettare il consenso di questa parte di società riguarda il contro-riflusso in atto nella società italiana, che dopo un trentennio di disimpegno cominciato negli ’80 sta dando segnali robusti di una nuova voglia di partecipazione e di impegno civile. Ci parlano di questo non solo le mobilitazioni studentesche ma anche fenomeni disparati che segnalano una modifica dell’immaginario del Paese: dal tramonto della formula dei cinepanettoni e dei reality, incarnazione dello spirito da “Drive In” che per lustri ha dominato i gusti italiani, alla partecipazione intellettuale suscitata da iniziative come il Manifesto di ottobre, con centinaia di firme sotto l’appello per una nuova politica. Lo stucchevole dibattito sulle formule (contro Berlusconi o oltre Berlusconi: e dov’è la differenza?), sulle prospettive tattiche (opposizione vietcong o responsabile?), sulle etichette (destra-centro-sinistra) appartiene al politichese e non tocca la realtà dei fatti: è ovvio che lo strappo con il Pdl è irreversibile ed è scontato che l’esperienza di Fli avrà un destino nella misura in cui saprà definire, nei comportamenti e nel confronto delle idee, una alternativa di qualità alla “politica dei blocchi” in cui l’Italia è nuovamente precipitata. Fli non sarà mai «sinonimo di pensiero unico, di insipidi e deboli minestroni», aveva detto fra l’altro Fini a Bastia Umbra, invitando a cogliere i tratti civili della nostra vocazione per metterli al servizio del progetto. È questo, per tornare alla citazione iniziale, il sogno che non si deve infrangere e che implica, il superamento dell’antico vizio di “sommare” le idee anzichè cercare sintesi alte. Abbiamo già vissuto in un partito che risolveva il dibattito triplicando gli organigrammi, poi in uno che lo cancellava con le espulsioni. Adesso, è ora di andare altrove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Politica

 

 

Fli è finito? «No, ha appena cominciato...»

Federico Locchi

Almeno il gioco di parole sghignazzante sembra che siamo riusciti a buttarcelo alle spalle. Ma sì, il classico calembour tra il cognome di Fini e il participio del verbo “finire” ripetuto fino allo sfinimento da mesi a questa parte. Il titolone di Libero, ieri, optava infatti per un più classico “Fini è fallito”. Il senso, però, non cambia: l’avventura di Fli sarebbe terminata prima di cominciare, azzerata dallo scacco del 14 dicembre, priva di idee, consensi e dirigenti. In verità si tratta della solita visione autoconsolatoria tipica dei berluscones. Ovvero: dare una visione della realtà favorevole ai propri interessi e poi finre per crederci davvero. Perché poi, a ben vedere, il lavoro della compagine finiana prosegue ed è ben vivace. A cominciare, magari, da ciò che non sembra interessare a chi ha come scopo primario quello di durare a qualsiasi scopo: i contenuti. In Fli, insomma, i lavori fervono. «In vista del congresso di febbraio – ha spiegato ad esempio Adolfo Urso – abbiamo in programma 20 assemblee regionali a gennaio per dibattere delle linee programmatiche e organizzative. Ci saranno, poi, quattro meeting tematici cui sarà presente lo stesso Gianfranco Fini. Si tratterà di un’assemblea sul lavoro e il Sud a Messina, una sulla legalità a Reggio Calabria, poi un incontro in Veneto sullo sviluppo e un altro meeting a Bologna sui giovani». Altro che partito finito, insomma. Ma c’è di più: «Stiamo costituendo migliaia di circoli – prosegue Urso – e la campagna di iscrizione a Futuro e libertà è in corso tanto per i singoli che per i circoli stessi. Insomma, stiamo ragionando sui contenuti e sul modello partito. Stiamo inoltre preparando la campagna amministrativa con gli altri amici del Polo sia in relazione alle candidature che in merito a un pacchetto di proposte riformiste che presenteremo a gennaio». E a livello locale, come vanno le cose? Qualcuno prova a fare il furbo e a scambiare il proprio ombelico per il centro del mondo. Accade, ad esempio, in Lombardia dove ieri, con molta enfasi, è stato annunciato il ritorno nel Pdl di tre assessori della provincia di Varese e dei comuni di Busto Arsizio e Castellanza a suo tempo passati a Fli. «A noi risultano ampie adesioni sia a Milano che in Lombardia – minimizza Alberto Arrighi – anche se mettiamo in conto che qualcuno in odore di perdita di poltrona possa ritornare sui suoi passi. Sono cose normali, ci saranno altri che lo faranno ma tanti altri ancora che compiranno il percorso opposto. Il dato di fondo è la forte crescita a Milano, che è incontestabile». L’esponente lombardo di Fli, quindi, esprime un ottimismo a 360°: «Abbiamo dei gazebo tutte le settimane che illustrano il progetto e raccolgono adesioni. Personalmente, poi, resto convinto della necessità di allargare il fronte per creare un’alternativa più vasta possibile al berlusconismo». L’esponente campano Enzo Rivellini, dal canto suo, parla di un livello di attenzione e consenso «molto soddisfacente». In Campania, spiega, «senza una vera e propria struttura di partito abbiamo già gruppi comunali in 150 comuni. Se togliamo i centri minori, dove la politica è fatta dalle liste civiche, possiamo dire di essere presenti nel 50% dei comuni. Non è poco. In tanto a gennaio presenteremo il nostro “Manifesto per Napoli”. È un progetto importante per rilanciare la politica sul territorio. Del resto, sempre nel capoluogo, stiamo inaugurando un coordinamento in piazza Dante, storico luogo della destra partenopea». Tra i trabocchetti da evitare, infatti, l’europarlamentare cita espressamente il “romanocentrismo”, ovvero, spiega, «la politica di chi è nel palazzo e non deve fare i conti con il territorio. Io spero, invece, che Fli vada in controtendenza, da questo punto di vista. E vorrei che il movimento facesse proprie alcune parole d’ordine che noi sentiamo particolarmente vicine. Ad esempio – continua – non siamo “antiberlusconiani” ma semplicemente “non berlusconiani”, per l’ovvio motivo che noi non amiamo la politica “contro” qualcuno. E poi ci piace la politica legata al territorio. Nel nostro caso la politica per il sud, dato che noi siamo legati alla patria, certo, ma anche alla “matria”, alle appartenenze carnali che hanno molto da dare. Anche per costruire l’alternativa a una destra sempre più ostaggio della Lega». Anche un altro esponente meridionale sembra particolarmente fiducioso: «Avventura finita? Ma se abbiamo appena cominciato!», esclama il parlamentare siciliano Giuseppe Scalia. «C’è stato – ammette – un timido smarrimento dopo il 14 dicembre, ma ora è tornato l’entusiasmo. Le adesioni, anche qui in Sicilia, arrivano copiose e personalmente non posso che dirmi ottimista e sereno. Abbiamo già calendarizzato molti eventi, tra i quali spicca la visita di Gianfranco Fini a Messina. Ci saranno poi diverse assemblee provinciali. Anzi proprio ora, guardi, sto andando a parlare con dei consiglieri del Pdl in procinto di passare con noi». Insomma, Futuro e libertà è ripartito. «Macché – insorge Scalia – noi non ci siamo mai fermati».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Impegniamoci per offrire a tutti un Futuro di Libertà

di Potito Salatto

 

Alla fine di ogni anno è consuetudine fare un bilancio di se stessi e di ciò che ci circonda. Se guardiamo a questo 2010 non c’è certo da rallegrarsi e tantomeno si può immaginare un 2011 in termini positivi. È un Paese, il nostro, ormai riverso su se stesso, incapace di trovare quello scatto di orgoglio necessario a una ripresa politica, economica e sociale. La disoccupazione aumenta, fra poco i fondi per la cassa integrazione finiranno; le imprese stentano a recuperare il terreno perduto; i giovani, con il pretesto della riforma scolastica, manifestano tutta la loro rabbia verso una società che non dà loro certezze per il futuro; le classi sociali più povere sembrano ormai rassegnate allo stato d’indigenza in cui versano; le città (vedi Roma Capitale) sono buie e meste al contrario della scintillante luminosità natalizia che avvolge gli altri Paesi europei; la cristianità sbanda a causa dagli scandali che hanno colpito la Chiesa; le persecuzioni religiose si moltiplicano nei Paesi musulmani e non solo; la classe dirigente ha perso la bussola, non segue più le logiche, giuste o sbagliate, della politica con la P maiuscola e non sa più ritrovare una via d’uscita dall’attuale confusione istituzionale. Tutto ciò viene paradossalmente e impunemente negato da chi, avendo responsabilità della guida della cosa pubblica, continua a dire che stiamo bene, anzi meglio di altri Paesi. Viviamo in una società ormai senza valori, i cui riferimenti di vita sono quelli trasmessi dagli organi d’informazione, innanzitutto dalla televisione: il Grande fratello, l’Isola dei famosi, le veline e i calciatori diventano miraggio di popolarità e di ricchezza.
Smettiamo dunque di rifiutare aprioristicamente il diverso per colore della pelle o per la diversa professione di fede religiosa. Questo non ci giova e ci pone fuori dalla storia dei nostri tempi presenti e futuri. È questo che la nostra generazione lascerà a quelle che verranno? Ognuno di noi, rappresentanti istituzionali a tutti i livelli, faccia un passo in avanti, abbia il coraggio di proporre nuovi modelli compatibili con le aspettative di miglioramento sociale, fuori da egoismi personali carrieristici.
Lo scempio morale compiuto in questi ultimi giorni da chi è stato eletto dal popolo o nominato dai capi di partito ha dato una visione indegna della classe politica accomunando in un solo giudizio negativo anche chi non si è mai venduto per un piatto di lenticchie.
Per riprendere quel cammino che ha sempre caratterizzato il nostro come un Paese orgoglioso in grado di superare tutte le difficoltà della sua storia con una capacità invidiata da altri, abbiamo bisogno di ripristinare valori universali ormai considerati obsoleti e che invece sono il faro di ogni civiltà che si rispetti.
Basta con gli steccati ideologici, sconfitti o superati dalla storia, basta con i leaderismi illusori. Si affrontino i temi reali della nostra società chiamando a raccolta quanti sono pronti a spendersi per il bene della comunità con proposte ragionate e non con slogan urlati. Facciamo nostro, a tale proposito, il richiamo del Santo Padre. I governanti riscoprano la loro doverosa vocazione all’ascolto piuttosto che pretendere che i cittadini ascoltino loro e solo loro attraverso i mezzi di informazione spesso manipolati dal potere pubblico od occulto. Riscopriamo e impegniamoci per offrire a tutti un Futuro di Libertà che non sia solo uno slogan, ma un impegno civile e politico concreto, vero, imprescindibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande