CROCIFISSO SIMBOLO DI LAICITA' ... RUINI SIMBOLO DI LAICO ..

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SE IL CROCIFISSO E' IL SIMBOLO DELLA LAICITA', RUINI E' IL SIMBOLO DELL'UOMO LAICO.

Da corriere.it

Respinto il ricorso di una cittadina finlandese

«Il crocifisso deve restare nelle aule»

Sentenza del Consiglio di Stato: resti in quanto «è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili»

ROMA - Una sentenza che farà discutere. Il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche non perchè sia un «suppellettile» o un «oggetto di culto», ma perchè «è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili» (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, etc...) che hanno un'origine religiosa, ma «che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato». Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con un'importante e articolata sentenza, ha respinto il ricorso di una cittadina finlandese, Soile Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme (Padova).

SENTENZA - La donna aveva già fatto ricorso al Tar del Veneto che prima di darle torto aveva sollevato una questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta, nel dicembre del 2004, avevano dichiarato inammissibile la questione (e quindi non erano entrati nel merito) perchè l'affissione del crocifisso nelle scuole non era prevista da una legge, bensì da due regolamenti del 1924 e del 1927 sugli arredi scolastici sui quali il giudice delle leggi non poteva sindacare. A risolvere la delicata questione sono stati i supremi giudici amministrativi della sesta sezione. Nella sentenza di 19 pagine del Consiglio di Stato vengono posti importanti paletti. Innanzitutto - è scritto - «la laicità, benchè presupponga e richieda ovunque la distinzione tra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti e uniformi nei diversi Paesi, ma, pur all'interno della medesima civiltà», è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com'è al divenire di questa organizzazione». Insomma, diversa è il principio laico britannico da quello francese, statunitense e italiano.

LAICITA' - Premesso ciò, il Consiglio di Stato lascia alle dispute dottrinarie la definizione astratta di «laicità»: «in questa sede giurisdizionale - si legge nella sentenza numero 556 - si tratta in concreto e più semplicemente di verificare se l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di laicità che connota oggi lo Stato italiano, e al quale ha fatto più volge riferimento» la Corte Costituzionale. «È evidente - affermano i giudici di Palazzo Spada - che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo in cui è posto». Se in un luogo di culto «è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso», «in una sede non religiosa, come la scuola, destinata all'educazione dei giovani, il crocifisso - prosegue la sentenza - potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo), valori civilmente rilevanti». Si tratta di «quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso - sottolinea il Consiglio di Stato - il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte 'laicò, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni».

15 febbraio 2006

da repubblica.it

giustizia amministrativa si pronuncia su un ricorso presentato a Padova

"Non è solo un'immagine religiosa ma un simbolo che evoca valori laici"

Sentenza del Consiglio di Stato
"Lasciate i crocifissi nelle aule"

ROMA - Il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche non perché sia un "suppellettile" o un "oggetto di culto", ma perché "è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili" (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti) che hanno un'origine religiosa, ma "che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato".

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con un'importante e articolata sentenza, ha respinto il ricorso di una cittadina finlandese, Soile Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme in provincia di Padova.

Il Consiglio di Stato ritiene che la laicità dello Stato non è affatto intaccata dall'esposizione del crocifisso, anzi: appendere quel simbolo nelle aule, suggerisce agli scolari i valori a cui si ispira l'ordinamento costituzionale. "Il crocifisso- sottolinea il Consiglio di Stato - svolgerà una funzione simbolica educativa a prescindere dalla religione professata dagli alunni".

Secondo l'organo d'appello della giustizia amministrativa, "è evidente che in Italia il crocifisso esprime l'origine religiosa dei valori che connotano la civiltà italiana: tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione. Si tratta di valori che - prosegue la sentenza - hanno impregnato di sè tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano" e che "soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta Costituzionale".

"Il crocifisso esposto nelle aule scolastice - riassume la sentenza - non può essere neppure equiparato ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato".

15 febbraio 2006

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Corte Conti Europea - Consigliere della Corte dei Conti Europea e dello Stato Citta' Del Vaticano, su denuncia di Maurizio Turco la Commissione Controllo dei bilanci del PE decide di chiedere informazioni alla Corte dei Conti

Corte dei Conti

 

 
 Il 3 marzo il deputato radicale Maurizio Turco ha presentato un esposto al Presidente del Parlamento europeo e della Commissione controllo dei bilanci per segnalare che il membro della Corte dei Conti Europea, Massimo Vari, ha omesso nel suo curriculum inviato al Parlamento europeo di essere anche Consigliere dello stato Città del Vaticano.  Nella giornata di ieri i coordinatori della Commissione controllo dei bilanci, presieduta dall'On. Luigi De Magistris, hanno deciso all'unanimità che la segnalazione merita un approfondimento. Pertanto solleciteranno una risposta del Dott. Vari alla contestazione. Sulla base della risposta i coordinatori decideranno se audire il dott. Massimo Vari.
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FECONDAZIONE ASSISTITA – VIALE (radicali): UN PECCATO SENZA OBIETTORI (71% PER LA 194 e 0% PER LA LEGGE 40).

“La Penitenzeria Apostolica  avrebbe incluso la fecondazione assistita tra i peccati. Chissà se ora qualche medico farà obiezione di coscienza?”

A porre la domanda è Silvio Viale, il presidente di Radicali Italiani, che si chiede “se un peccato senza obiettori sia davvero un peccato o sia il segno dello scollamento tra la Chiesa e i fedeli”.

Silvio Viale ha dichiarato:

“Leggo su un quotidiano che le tecniche di fecondazioni assistite sono state inserite tra gli atteggiamenti peccaminosi., sperando forse di evocare la possibilità di obiezione di coscienza che è completamente ignorata dai ginecologi sia in Italia che nel mondo. Infatti, l’obiezione di coscienza tra i ginecologi è del 71% sull’aborto – in realtà molto più alta considerando i soli ginecologi ospedalieri, gli unici autorizzati a praticare gli aborti –  mentre per la fecondazione in vitro è inesistente, con gran parte dei medici della legge 40 che obietta “double face” per la legge 194. Anche qualora ci fosse la scomunica “latae sententiae”, come per l’aborto, sarebbe un’arma spuntata perché nessun ginecologo rinuncerebbe al prestigio e ai guadagni della fecondazione assistita. L’obiezione non sarà mai un tallone di Achille per la legge 40 come invece lo è per la legge 194. L’obiezione è un tallone di Achille per la 194 perché l’aborto è l’unico intervento che si può fare esclusivamente nel pubblico. Non vi sono altri esempi in sanità in Italia ed è l’unico caso in Europa. La chiesa fa bene a ricordare che la fecondazione assistita è un peccato, ma è lo Stato che dovrebbe prendere esempio dalla legge 40 per affrontare l’obiezione di coscienza sulla legge 194. Fosse coerente dovrebbe autorizzi gli aborti nel privato, ma basterebbe che invertisse il rapporto vantaggi/svantaggi perchi permette l’applicazione della 194 negli ospedali.”

 

Torino, 21 marzo 2011.

 

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"La Stampa", 21/03/11

 

IL CROCIFISSO NON È INNOCUO

GIAN ENRICO RUSCONI SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

Posso comprendere il tripudio dei cattolici governativi e dei leghisti che dopo lo smacco della riuscitissima festa dell’Unità d’Italia si consolano dicendo che nazionale non è la bandiera tricolore ma il crocifisso.

Quello che non capisco (si fa per dire) è l’entusiasmo della gerarchia ecclesiastica. Non si rende conto dell’equivoco che promuovendo il crocifisso come simbolo di universalismo e umanitarismo in esclusiva nazionale, negando di fatto spazio ad altri simboli religiosi, lo priva della sua specifica autenticità religiosa?

Preoccupazioni culturali, considerazioni psicologiche; deduzioni giuridiche. Di tutto si parla, salvo che del valore religioso del crocifisso che rappresenta (dovrebbe rappresentare) il Figlio di Dio in croce. Non semplicemente un uomo giusto e innocente ma - in una prospettiva teologica carica di mistero - il Figlio di Dio che muore per volontà del Padre per redimere l’uomo dal peccato. Terribile mistero di fede, diventato oggi incomunicabile, banalizzato a segnaposto identitario nazionale.

Evidentemente tra i «valori non negoziabili» di molti cattolici c’è la rivendicazione dello spazio pubblico per le loro idee su famiglia e omosessualità, ma non c’è la capacità di trovare le parole per comunicare verità dogmatiche di cui si è perso letteralmente il significato: peccato originale, redenzione, salvezza. Tanto vale ripiegare sulla simbologia umanitaria, come si trattasse di Gandhi. Anzi meglio di Gandhi: «Abbiamo il crocifisso».

Non è certo compito degli atei devoti o dei laici pentiti occuparsi di queste cose. A loro non interessano queste faccende teologiche. Ma dove sono i cristiani maturi? Dove sono i «teologi pubblici» - come dice la nuova moda?

Lascio a chi è più competente di me dare un giudizio giuridico sulla sentenza di Strasburgo. Il lungo testo sembra molto preoccupato di delimitare i confini della competenza della Corte: «Non le appartiene pronunciarsi sulla compatibilità della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche con il principio di laicità quale è consacrato nel diritto italiano». In altre parole, si affida alla giurisprudenza italiana, facendo finta di non sapere quanto essa sia incerta e controversa. Anzi adesso molti uomini di legge saranno sollevati d’avere un’autorevole istanza «esterna» cui appoggiare i loro argomenti.

Un punto importante tuttavia è acquisito dalla sentenza: in tema di religione (insegnamento, spazio pubblico, rapporti istituzionali tra Chiesa e Stato) il criterio nazionale ha la precedenza su ogni altro. Ma questo in concreto vuol dire che in Europa prevarranno linee interpretative molto diverse da Paese a Paese: la situazione francese è inconfrontabile con quella tedesca, con quella italiana, con quella spagnola, per tacere dei nuovi Stati membri dell’Europa orientale. Con buona pace dell’universalismo del messaggio cristiano ridotto a principi generalissimi diversamente intesi e praticati a Parigi, a Berlino, a Roma o ad Atene. E’ come se per paradosso si riproducessero di nuovo - in termini non drammatici - le antiche divisioni della cristianità occidentale.

Ma poi la Corte fa un passo ulteriore significativo, quando dichiara con una certa disinvoltura di non avere prove di una influenza coercitiva negativa del simbolo cristiano su allievi di famiglie di religione o di convincimenti diversi. In realtà proprio su questo punto è stata decisiva anni fa la sentenza della Corte Costituzionale tedesca (a mio avviso la più equilibrata e convincente mai pronunciata) che al contrario ha dichiarato necessario tenere in considerazione le opinioni di tutti gli interessati. Si tratta infatti di un conflitto tra diritti legittimi. L’esito finale della lunga appassionata controversia sul crocifisso in aula è stato il più impegnativo che si potesse immaginare: nessuna imposizione di legge, ma ragionevole intesa tra tutti gli interessati. In nome dell’universalismo e del rispetto reciproco.

E’ una strada difficile da praticare, ma è l’unica degna di una democrazia laica matura. Peccato che noi ne siamo ancora molto lontani.

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"La Stampa", 21/03/11

 

«Sono stupito: viene praticata pure in ospedali cattolici»

3 domande a

Bruno Dallapiccola medico cattolico

Professor Bruno Dallapiccola (genetista del Consiglio superiore di sanità e direttore scientifico dell’ospedale «Bambino Gesù»), medici e pazienti compiono peccato con la fecondazione assistita?

«La posizione della Chiesa non è mai stata molto favorevole, però mi stupisce il fatto che la fecondazione assistita venga inclusa tra i peccati visto che viene effettuata nel mondo anche in alcune strutture cattoliche. In certi centri si è anche fatto ricorso a bolle d’aria tra uovo e spermatozoo per rendere il concepimento il più naturale possibile. Sono state ammesse alcune tecniche, quindi va criticato piuttosto l’abuso della fecondazione assistita: per la fretta di ottenere una gravidanza ormai dopo un anno di rapporti non protetti c’è la tendenza a rivolgersi ad una struttura specializzata».

C’è il rischio della “provetta selvaggia”?

«Ci sono diverse certificazioni internazionali che attestano la qualità dei laboratori e l’accuratezza delle diagnosi, ma in Italia meno del 30% dei laboratori che fanno diagnosi genetica possiedono questo tipo di certificazione. Spesso le strutture che offrono l’inseminazione artificiale non seguono la donna immediatamente dopo la terapia. Questo è un fatto gravissimo.

C’è discussione sul tema nella Chiesa?

«Mi stupisce il riferimento alla Fivet, poiché ormai la tecnica più utilizzata, in almeno il 70% dei casi, è l’Icsi, cioè l’iniezione del singolo spermatozoo nella cellula uovo. E’ tutto molto problematico e la Santa Sede ha accolto l’analisi del globulo polare che seleziona il gamete femminile nel caso di genitori con problemi conosciuti, ad esempio la talassemia. La ricerca sta facendo degli enormi passi in avanti in questo settore, raggiungendo dei risultati straordinari. La Chiesa ha avuto una posizione di apertura su questa nuova tecnica che di fatto è l’anticamera della fecondazione in vitro. E’ segno che su questi temi esistono posizioni variegate nelle gerarchie ecclesiastiche». [GIA. GAL.]

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"La Stampa", 21/03/11

 

La fecondazione assistita diventa peccato

La condanna del Vaticano che la inserisce tra gli “atteggiamenti peccaminosi”: è immorale

GIACOMO GALEAZZI CITTÀ DEL VATICANO

La motivazione «Il concepimento deve avvenire in modo naturale tra coniugi, mentre gli embrioni sono persone» La sfida La Chiesa è preoccupata perché il sacramento della confessione è in grave crisi: il 60% dei fedeli rinuncia

Cerimonia del battesimo nella Cappella Sistina

La fecondazione assistita è peccato». Rientra negli «atteggiamenti peccaminosi nei riguardi dei diritti individuali e sociali». Accanto ai tradizionali vizi capitali si affacciano nuove forme di peccato e non sempre i preti sono preparati ad affrontarle. Manipolare la vita in qualunque forma contrasta con l’amministrazione di un sacramento, la confessione, che negli ultimi tempi non gode di grande popolarità tra i fedeli, ma che la Chiesa vuole invece rilanciare. Delle nuove forme di peccato e della maniera giusta per affrontarle si occupa da oggi il corso sul foro interno organizzato per 750 sacerdoti dalla Penitenzieria apostolica, il dicastero vaticano dei «problemi di coscienza».

«Oggi - afferma il vescovo reggente della Penitenzieria Apostolica, Gianfranco Girotti - ci sono nuove forme di peccato che prima neanche si immaginavano. Le nuove frontiere della bioetica, innanzitutto, ci mettono di fronte ad alterazioni moralmente illecite e che riguardano un campo molto esteso». Il caso più frequente è rappresentato dal «ricorso ad alcune tecniche di fecondazione artificiale, quale la Fivet, cioè la fecondazione in vitro, non moralmente accettabili».

Il vescovo Girotti, infatti, chiarisce che il concepimento «deve avvenire in modo naturale tra i due coniugi», mentre la fecondazione assistita può comportare di per sé un altro «fatto non lecito» e cioè «il congelamento degli embrioni» che «sono persone». Davanti alle sfide bioetiche il Vaticano punta sull’aggiornamento per confessori e detta nuove lineeguida per i sacerdoti alle prese con i nuovi peccati sociali, ossia violazioni bioetiche come il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita e il controllo delle nascite, esperimenti di dubbia moralità come la ricerca sulle cellule staminali e gli studi sul Dna, l’abuso di droghe, inquinare l’ambiente, contribuire all’acuirsi della disparità fra ricchi e poveri, l’eccessiva ricchezza.

Tutto il campo delle manipolazioni genetiche, che sempre più si affacciano all’orizzonte, anche a causa dei processi di globalizzazione, «rappresenta un terreno insidioso», sottolinea il Reggente del supremo tribunale della Chiesa per il foro interno (cioè il dicastero dei peccati). E aggiunge: «Oggi si offende Dio non solo rubando o bestemmiando, ma anche con azioni di inquinamento sociale, rovinando l’ambiente, compiendo esperimenti scientifici moralmente discutibili». C’è poi anche la sfera dell’etica pubblica dove pure entrano in gioco nuove forme di peccato come la frode fiscale, l’evasione, la corruzione.

«È impressionante oggi il fenomeno della indifferenza che esiste nei confronti della confessione - osserva il vescovo Girotti -. Attualmente nella Chiesa la posizione di questo sacramento non è delle migliori né sul piano della pratica né su quello della comprensione, mentre, tra i fedeli, si va affievolendo la coscienza del peccato». Per questo, evidenzia il ministro vaticano dei peccati, «la Santa Sede, specialmente attraverso la Penitenzieria, si fa carico dell’impegno di approfondire e valorizzare il sacramento della misericordia e della penitenza» istruendo in particolare i «giovani sacerdoti». Inoltre, la Santa Sede «vuole dare lo strumento perché prendano piena consapevolezza del grande impegno che loro hanno». Si allunga, dunque, la lista dei peccati mortali condannati dalla Chiesa cattolica. Ai tradizionali richiami contemplati nei dieci comandamenti, si aggiungono le nuove forme del peccato sociale.

Urge rilanciare il sacramento della confessione in crisi da anni: ormai il 60% dei credenti non si confessa più, secondo una ricerca condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, sottolineano alla Penitenzieria Apostolica. In confessionale i sacerdoti sono chiamati ad affiancare al tradizionale perdono cristiano, l’attenzione alle nuove forme di peccato che si sono affacciate all’orizzonte dell’umanità quasi come corollario dell’inarrestabile processo di globalizzazione, in quanto «si offende Dio, non solo rubando, bestemmiando o desiderando la donna d’altri, ma anche rovinando l’ambiente, facendo esperimenti scientifici moralmente discutibili, dando vita a manipolazioni genetiche per alterare il Dna o compromettere l’embrione. Compie peccato chi si droga e spaccia e chi evade le tasse e chi, avendo responsabilità sociopolitiche, provoca ingiustizie, povertà o eccessivi accumuli di ricchezze destinati a pochi.
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"La Stampa", 19/03/11

 

Intervista/2

La condanna di Pannella: “Le icone di altri fedeli non si possono esporre”

ROMA

Contrario Il leader dei Radicali boccia Strasburgo

Icredenti non dovrebbero rallegrarsi per questa sentenza». Il crocifisso può restare appeso nelle aule delle scuole pubbliche italiane e il leader dei Radicali, Marco Pannella critica l’«impapocchiamento» di Strasburgo secondo cui la presenza in classe di questo simbolo non lede il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni e il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione.

Perché non condivide la sentenza?

«Mi sembra evidente che anche in questo campo siamo ormai passati da una patria europea alla vecchia Europa delle vecchie patrie tradizionali e tradizionaliste. Ciò detto, vorrei far notare che la corte di Strasburgo parte dall’affermazione che non sono provate l’importanza e la funzione dell’esposizione di un importante simbolo di una importante religione su adolescenti e giovani. Quindi credo che ci sia legittimamente da chiedersi perché mai una delle suddette patrie (per conto dell’ideale patria vaticana) abbia sollevato scandalo e rabbiosa opposizione alla precedente sentenza che nel 2009 disponeva la rimozione del crocifisso dalle aule. Mi chiedo sinceramente se un autentico credente cristiano possa essere davvero fiero o felice del fatto che si riconosce a Cesare la possibilità di imporre a tutti i suoi sudditi il massimo simbolo della propria fede con la motivazione che in realtà quel simbolo non comporta alcun effetto su una parte di coloro ai quali è rivolto».

Per il fronte pro-crocifisso è una vittoria a tutto campo?

«La Corte afferma di non aver trovato prove che la presenza di un simbolo religioso in una classe scolastica possa influenzare gli alunni. In sostanza quel che resta è una volta ancora il fatto che si riconosce a Cesare il diritto di imporre (o altrimenti vietare) il simbolo del mistero della fede. Non c’è di che rallegrarsi per i giovani che credono in Gesù Cristo. A patto che i credenti provino (sia pure non più in questa inappellabile sede) che in effetti “Cristo o suoi equivalenti simbolici o storici” debbano ancora manifestarsi nella storia umana poiché per la loro religione il preannunciato avvento sulla terra di Dio non si è ancora manifestato e preghino di conseguenza».

Il crocifisso, definito simbolo passivo, provoca indottrinamento oppure no?

«Si sostiene che la presenza del crocifisso pur conferendo alla religione maggioritaria una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico non sia sufficiente a indicare che sia in atto un processo di indottrinamento. E che nel curriculum didattico non esiste un corso obbligatorio di religione cristiana e che l’ambiente scolastico italiano è aperto ad altre religioni. Altri giudicheranno il valore dell’impapocchiamento che connota questo pronunciamento».

Cosa non la convince?

«La corte europea finge di ritenere che concretamente esista nella scuola pubblica italiana il diritto o la facoltà di esibire altri simboli religiosi, per esempio la “Menorah” ebraica. E ciò a prescindere dal fatto che per la stessa Onu vadano riconosciuti pari diritti a religiosità teiste o non teiste. D’altra parte mi si consenta con gravità una battuta: non è questa l’unica manifestazione di una sorte di grave feticismo che attualmente ha per oggetto embrioni o zigoti». [GIA. GAL.]

L’ANALISI «Si sono manifestati una sorta di feticismo e il ritorno del tradizionalismo»

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"La Stampa", 19/03/11

 

Intervista/1

“Riconosciuto il valore universale di un simbolo religioso”

Il cardinale Ruini: la fede non deve essere esclusa dallo spazio pubblico

GIACOMO GALEAZZI CITTÀDEL VATICANO

Imporre la sua rimozione avrebbe significato negare la libertà di espressione di un popolo intero Camillo Ruini Cardinale
Favorevole La reazione del cardinale Ruini alla sentenza dell’Ue è stata di «profonda gioia»

Il crocifisso ha valore universale». Informato del sì della Corte europea per i diritti dell’uomo alla presenza del crocifisso nelle aule delle scuole italiane e in attesa di leggerne integralmente le motivazioni, il cardinale Camillo Ruini è «molto lieto» per le notizie in arrivo da Strasburgo.

Eminenza, è una sentenza impegnativa e che fa storia. Qual è stata la sua prima reazione a questo pronunciamento?

«Una profonda gioia. Il crocifisso esprime certamente valori universali e da tutti condivisibili e già per questo la sentenza si giustifica ampiamente. Bisogna aggiungere che un sano pluralismo vive proprio di questa accoglienza reciproca, dove le tradizioni religiose di un popolo possono essere integralmente mantenute senza che ciò costituisca un ostacolo per l’accoglienza di coloro che hanno e professano convinzioni diverse».

Qual è il valore di questa sentenza definitiva e inappellabile?

«Ha grande significato perché conferma alcuni principi fondamentali. Innanzitutto la religione non deve essere esclusa dallo spazio pubblico. In particolare le espressioni e i simboli della religione cattolica, come quelli di ogni altra determinata fede e tradizione religiosa, non offendono coloro che non condividono la nostra fede».

Non c’è dialogo senza identità?

«Mi sembra evidente che solo chi è consapevole e lieto della propria identità può fare sinceramente spazio a identità diverse dalla sua. In altre parole, chi non conosce e non ama se stesso difficilmente può comprendere il suo prossimo e volergli bene».

È importante che il pronunciamento riguardi specificamente gli istituti scolastici?

«Sì. D’altra parte la scuola, ambiente per sua natura finalizzato alla formazione delle nuove generazioni, è un luogo nel quale la presenza visibile del crocifisso può esercitare una funzione positiva difficilmente contestabile. Il crocifisso, infatti, invita all’amore reciproco e anche a saper dare un senso alla sofferenza: è il segno dell’amore di Dio e, per il fatto di avere un volto e un cuore umano, esprime la grandezza che appartiene a ogni uomo».

Cosa insegna la croce?

«L’amore reciproco e la capacità di dare un senso alla sofferenza sono le chiavi per costruire una vita piena e autentica. Ciascuno di noi, infatti, non è autosufficiente e non è nemmeno invulnerabile. Soltanto chi sa aprirsi al suo prossimo e chi sa fare i conti con la realtà, spesso dura e difficile, cresce come persona e può essere davvero utile agli altri. Inoltre vorrei precisare che, allargando il discorso, la questione riguarda l’intera Europa».

Il «caso Italia» fa scuola per il resto d’Europa?

«Dato che si tratta di una sentenza di una corte europea oso formulare un auspicio. E cioè che questo pronunciamento possa aiutare non solo l’Italia ma l’Europa intera a libersarsi dal’odio di se stessa, il cui oggetto principale sembra essere proprio il cristianesimo. Questo strano sentimento, come ha più volte affermato Benedetto XVI, è forse la ragione più profonda delle sue attuali debolezze. In una fase storica in cui l’Europa vede diminuire il proprio ruolo economico e politico, essa deve trovare invece la strada di una sua interna unità e solidarietà più vera».

Perché sarebbe stata grave la rimozione della croce dalle aule?

«Imporre la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche equivale a negare la libertà di espressione di un popolo intero che, nel crocifisso, esprime la sua tradizione e i propri valori profondi. I valori devono essere trasmessi, devono passare da una generazione all’altra. La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche testimonia valori e beni importanti per la comunità nazionale».

Non c’è rischio di esclusione, come sostiene chi ha chiesto di togliere il crocifisso?

«Nel sentire comune della gente il crocifisso non provoca esclusione, non separa né limita la libertà di alcuno. Non è giustificabile il tentativo di cancellare il contributo dei valori religiosi nella storia e nella cultura italiana, soprattutto in un ambiente formativo e in una realtà educativa basilare come deve essere la scuola».

È una questione emersa anche in passato?

«Già Giovanni Paolo II nella lettera del 1994 ai vescovi italiani sulle responsabilità dei cattolici evidenziava come le tendenze che nella società odierna mirano a indebolire l’Italia siano negative per l’Europa stessa e nascano sullo sfondo della negazione del cristianesimo. E Giovanni Paolo II sottolineava come all’Italia, in conformità alla sua storia, sia affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli apostoli Pietro e Paolo».

IL RISPETTO COMUNE «Importante l’affermazione che le espressioni di fede non sono offensive» L’ESEMPIO «La presenza della croce nelle scuole invita i giovani all’amore reciproco»

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"La Stampa", 19/03/11

 

“Che delusione! Ora spero che qualcuno continui a lottare”

 

3 domande a Massimo Albertin

Lei e sua moglie Soile avete condotto la battaglia contro il crocifisso nelle scuole. Qual è ora la vostra reazione?

«Una grande delusione: ho l’impressione che abbiano preso una decisione pregiudiziale e che vi abbiano costruito sopra le motivazioni. Mi pare vi siano anche errori grossolani. Credo siano molto delusi anche i cattolici veri, quelli che non si nascondono dietro il bisogno di un simbolo che per qualcuno conta più di un significato».

Cosa farete adesso?

«Più nulla. I miei figli hanno ormai lasciato la scuola, sono passati 9 anni, sono all’Università e il crocifisso in aula non ce l’hanno più. Mi spiace per i figli che verranno. Ma noi abbiamo già dato».

Voi ci avete messo la faccia. Lo rifarebbe?

«Visto come è finita, no. È stato uno stress molto forte. Però ho una speranza: mi auguro che, dopo di noi, qualcun altro continui». [A. SAN.]

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"La Stampa", 19/03/11

 

STATO E CHIESA: L’EUROPA ASSOLVE L’ITALIA

Ue: sì al crocifisso in aula “Non viola nessun diritto”

Sentenza della Corte di Strasburgo dopo il ricorso di una mamma

MARCO ZATTERIN CORRISPONDENTEDA BRUXELLES

La motivazione Non ci sono elementi che provino l’influenza della sacra rappresentazione sugli studenti

Eliminando i simboli religiosi si tagliano radici culturali che alimentano la coesione sociale Franco Frattini ministro degli Esteri

Il caso è chiuso. Il crocifisso può restare appeso in tutte le aule delle scuole pubbliche italiane, «è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione alle attività religiose». La Grande Camera della Corte dei diritti dell’uomo legata al Consiglio d’Europa ha assolto ieri l’Italia dall’accusa di aver discriminato gli alunni non cattolici esponendo l’icona cristiana nei luoghi dell’insegnamento. I giudici hanno ribaltato il pronunciamento preso sempre a Strasburgo il 9 novembre 2009, e accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l’influenza sugli studenti dell’affissione della sacra rappresentazione in classe.

I ricorrenti sono delusi. Soile Lautsi, la donna italiana di origini finlandesi che ha avviato la vertenza 9 anni fa perché la scuola di Abano Terme frequentata dai due figli (ormai adulti) si era rifiutata di togliere il crocifisso, fa sapere attraverso il suo avvocato che la decisione «la delude molto, perché la prima sentenza su questa vicenda era clamorosamente chiara». La sua voce scompare nel coro soddisfatto del mondo cattolico, del governo che si è battuto per la causa e di una parte dell’opposizione. «È stata restituita dignità alle nostre solide e irrinunciabili radici cristiane», assicura il ministro Guardasigilli, Angelino Alfano. «Si mette ordine contro il nichilismo», dice la Conferenza episcopale.

La sentenza è positiva, ma non priva di avvertimenti. I diciassette giudici di Strasburgo, tribunale legato al Consiglio d’Europa, si sono espressi quindici a due per negare il principio secondo cui la presenza stessa del crocifisso possa influenza gli alunni. Allo stato italiano che sosteneva la necessità di «perpetuare una importante tradizione», i magistrati hanno comunque fatto notare che «ciò non li esonera dall’obbligo di rispettare diritti e le libertà consacrati dalla Convenzione sulla libertà di coscienza e religione».

Il passaggio chiave, si legge nella disposizione, è che non si effettui «una qualche forma di indottrinamento» nella gestione del margini di discrezionalità che permettono legittimamente agli stati di collocare i crocefissi nelle scuole, «soprattutto in assenza di un consenso europeo». È vero anche, si precisa, che «la presenza obbligatoria del crocifisso attribuisce alla religione maggioritaria una visibilità preponderante». Questo, però, non risulta rappresentare una violazione dei diritti.

La Grande Camera strasburghese si spiega con numerose ragioni, tra cui la non obbligatorietà dell’insegnamento del cristianesimo, l’apertura dello spazio scolastico a fedi differenti, la «non sussistenza di elementi per indicare intolleranza verso le altre religioni, i non credenti o i detentori di convinzioni filosofiche non riferite a una religione». Tutti elementi, questi, che confortano la tesi della «passività» del simbolo e il fatto che non si possa percepire una condizione di indottrinamento. Oltretutto, si legge, la signora Lautsi ha mantenuto «intatto il suo diritto, in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i figli per orientarli verso le proprie convinzioni filosofiche».

Difficile trovare commenti negativi sul pronunciamento. A parte qualche singolo magistrato o esperto laico di diritto, a parlare è un fronte bipartisan cattolico. «Oggi ha vinto il sentimento popolare dell’Europa», ha detto il ministro degli esteri Franco Frattini. «La sentenza consolida processi virtuosi di pacificazione e integrazione», ha commentato il presidente del Senato, Renato Schifani. «Il trionfo di una idea di laicità “ricca”, che non mortifica i simboli e le identità religiose, ma sa accoglierne il valore positivo», ha aggiunto il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero, dando quasi il senso di una riconciliazione con l’Europa, contestata al momento a fine 2009, anche se la Corte di Strasburgo non ha a che fare con l’Ue.

Perplessità nella comunità ebraica. Per il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, «dire che il crocifisso è simbolo culturale è, a mio parere, mancargli di rispetto. E non mi ci riconosco come simbolo culturale».

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http://www.corriere.it/appsSondaggi/votazioneDispatch.do?method=risultat...

Strasburgo, la Corte europea per i diritti dell’uomo «salva» il crocefisso nelle scuole.
Sei d’accordo?
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CROCIFISSO/RADICALI – VIALE, LA SENTENZA NON VIETA, MA INCORAGGIA LA ESPOSIZIONE DI ALTRI SIMBOLI RELIGIOSI

 

“Passata la sbornia per la “storica vittoria” ci si accorgerà presto che la sentenza della Corte Europea apre nuove strade e nuove interpretazioni. Lascia il crocifisso dov'è, senza farne obbligo, ma non vieta l'affiancamento di altri simboli, anzi lo incoraggia.”

 

Ad affermarlo è il presidente dei Radicali, Silvio Viale, che ieri era intervenuto per dichiarare come la sentenza “non fosse un segno di civiltà” e che avessero vinto solo coloro che vogliono marcare lo spazio pubblico per marcare le coscienze”.

 

Oggi Silvio Viale ritorna sulla sentenza sottolineando come “le osservazioni della Corte sul crocifisso valgano in positivo per tutti gli altri simboli religiosi, la cui esposizione non dovrebbe violare i diritti umani di nessuno, dando un sostanziale via libera alla richiesta di esporli accanto al pari del crocifisso:

 

Silvio Viale ha proseguito:

“Come per il Crocifisso, anche per l’affissione in classe di altri simboli religiosi «non sussistono elementi che provino l'influenza sugli studenti» per cui non può significare affatto «una qualche forma di indottrinamento». Secondo le argomentazioni della Corte, la presenza di simboli religiosi in aula non lede nè il diritto dei genitori a educare i figli secondo le proprie convinzioni, nè il diritto degli alunni alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione. Inoltre, a qualunque religione si appartenga o non si appartenga, rimane intatto il diritto, in quanto genitori, di spiegare e consigliare i figli per orientarli verso le proprie convinzioni filosofiche. Resta solo il nodo che la presenza obbligatoria ed esclusiva del Crocifisso attribuisce alla religione maggioritaria una visibilità preponderante e dovrebbe essere la CEI a scioglierlo per evitare di legittimare chi volesse vietare i Crocifissi nei paesi ove la religione dominante non è quella Cattolica. Mi pare che ce ne sia già abbastanza per capire che la questione del Crocefisso e dei simboli religiosi nello spazio pubblico non sia affatto chiusa in una società nazionale ed internazionale che è sempre più plurale.

 

Torino, 19 marzo 2011.

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Crocifisso, Turco: non c'è più religione: chi dovrebbe difendere il simbolo religioso urla vittoria se lo derubricano a simbolo culturale pur di avere ancora per un po' di potere mondano

 

 

 
 
Dichiarazione di Maurizio Turco, deputato radicale: 
 
Esultare perché il Crocifisso è stato derubricato da simbolo religioso a simbolo culturale pur di mantenere una posizione di potere è quanto di più simoniaco, antireligioso e blasfemo si possa immaginare.  Tant'è che anziché protestare le gerarchie vaticane esultano pur di continuare a rodere denari pubblici come topi affamati che si buttano su tutto ciò che odora di potere mondano  E' semplicemente squallido il commercio che si fa della fede. Parlano della loro amata Italia, in cui a chi troppo e a chi troppo poco qualcosa comunque è stato chiesto, tranne che a loro e se si prova a toccargli i privilegi fiscali ed economici ti troncano la mano.  L'azione giudiziaria e la generosa iniziativa del giudice Tosti sul crocifisso sono fondate ma non ci ha appassionato perché crediamo che sia necessario convogliare tempo ed energie per fermare l'ingordigia e completare l'opera di spoliazione dei padri fondatori. Convinti che in questo paese non ci sarà libertà religiosa, cioè non ci sarà uno Stato laico, liberale e democratico se non taglieremo i tentacoli alla piovra vaticana affamata a più non posso dei denari pubblici, che sono i denari dei più indifesi e dei più poveri.
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CROCIFISSO – VIALE (radicali), LA SENTENZA NON E’ UN SEGNO DI CIVILTA’, SE DIVENTA UN SIMBOLO LAICO PERDONO I CREDENTI.

 

Sulla sentenza della Corte di Strasburgo è intervenuto Silvio Viale, presidente di Radicali Italiani, che ha rilasciato la seguente dichiarazione:

“Facendolo diventare un simbolo laico perdono soprattutto i credenti e vincono quelli che lo vogliono usare per marcare il territorio e lo spazio pubblico, sperando così di marcare le coscienze. Ma la storia per fortuna non torna indietro e non è lontano il giorno in cui ognuno potrà professare la propria religione, o nessuna religione, senza il bisogno che una di esse voglia attribuire al proprio simbolo una arbitraria funzione universale altamente educativa. Sono cresciuto con il crocifisso sul muro ed è tuttora presente nella sala operatoria ove pratico gli aborti. Non mi ha mai dato fastidio, ma non l’ho mai considerato un simbolo laico alla stregua di una qualsiasi carta geografica appesa in un’aula. La sentenza di Strasburgo non è un segno di civiltà. Da oggi sarà più difficile chiedere il rispetto dei cristiani nel mondo, se l’Europa è la prima ad imporre la croce ai fedeli delle altre religioni.”

 

Torino , 18 marzo 2011.

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(Siamo tornati al punto di partenza di questo trhead!)

 

http://www.corriere.it/cronache/11_marzo_18/crocefisso-italia-assolta_f7...

 

Soddisfatto il ministro Frattini: «Ha vinto il sentimento popolare dell'Europa»

Crocefisso nelle aule, Italia assolta

La Corte europea per i diritti dell'uomo non ha accolto la tesi della violazione dei diritti umani

Soddisfatto il ministro Frattini: «Ha vinto il sentimento popolare dell'Europa»

Crocefisso nelle aule, Italia assolta

La Corte europea per i diritti dell'uomo non ha accolto la tesi della violazione dei diritti umani

 

MILANO - L'Italia ha vinto la sua battaglia a Strasburgo: la Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo l'ha assolta dall'accusa di violazione dei diritti umani per l'esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. La decisione della Corte è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. I giudici hanno accettato la tesi in base alla quale non sussistono elementi che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocefisso nella aule scolastiche.

LA DENUNCIA - La Corte di Strasburgo si è pronunciata sul ricorso di una cittadina italiana di orgine finlandese, Soile Lautsi, che contestava la presenza del crocefisso nella scuola pubblica frequentata dal figlio ad Abano Terme, affermando che è un attentato alla libertà di coscienza e al diritto di ognuno a ricevere un'istruzione conforme alle proprie convinzioni. La sentenza di primo grado aveva suscitato proteste non solo da parte dei cattolici. L'84% degli intervistati in un sondaggio di qualche giorno fa, si diceva favorevole alla presenza del crocefisso nelle scuole.

«HA VINTO L'EUROPA» - «Accolgo con grande soddisfazione la decisione della Corte europea - ha commentato a caldo il ministro degli Esteri, Franco Frattini - Oggi ha vinto il sentimento popolare dell'Europa. Perchè la decisione interpreta soprattutto la voce dei cittadini in difesa dei propri valori e della propria identità. Mi auguro che dopo questo verdetto l'Europa torni ad affrontare con lo stesso coraggio il tema della tolleranza e della libertà religiosa».

Redazione Online

18 marzo 2011

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"La Repubblica", MARTEDÌ, 15 MARZO 2011

Pagina 1 - Prima Pagina
 
La polemica
Crocifisso, un paese a laicità limitata
 
CHIARA SARACENO

La Cassazione ha depositato la sentenza con cui conferma la rimozione del giudice di pace di Camerino che rifiutava di tenere udienza in tribunali dove c´è il crocifisso.

Il giudice Luigi Tosti considerava la presenza di questo, unico, simbolo religioso una lesione della libertà di coscienza dei cittadini, particolarmente grave perché attuata in un luogo - il Tribunale - dove l´uguaglianza, la non discriminazione, la neutralità di fronte agli orientamenti di valore dovrebbero essere proclamati in modo esplicito.
Non entro in merito alla correttezza della decisione relativa al giudice "obiettore", ovvero al giudizio di non legittimità circa il suo rifiuto ad esercitare i suoi obblighi professionali in circostanze da lui considerate inaccettabili non solo per sé, ma per i cittadini. Mi auguro solo che tale rigore venga esercitato anche nei confronti di quei medici o farmacisti che, in nome delle loro opzioni di valore, si rifiutano di prescrivere o vendere la pillola del giorno dopo.
È la motivazione della sentenza che trovo inaccettabile per ciò che dice non sul giudice, ma sul rispetto della libertà di coscienza dei cittadini e sulla laicità delle istituzioni pubbliche. I giudici della Suprema Corte, infatti, da un lato propongono una duplice definizione di laicità: una per addizione (pluralismo di riferimenti religiosi) e una per sottrazione (assenza di riferimenti). Laddove è solo la seconda che configura un atteggiamento laico, specie nello spazio pubblico: che deve essere per definizione neutrale in un contesto non solo di pluralismo religioso, ma anche di persone che non hanno alcun riferimento religioso.
Dall´altro lato, i giudici affermano che «la presenza di un Crocifisso può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un´aula di giustizia per i più svariati motivi e non solo necessariamente per essere tali utenti dei cristiani». La contorta formulazione «può non costituire necessariamente minaccia» lascia di fatto aperta la possibilità che, invece, per alcuni o per molti, la costituisca, il che dovrebbe preoccupare chi ha la responsabilità di garantire l´imparzialità.
Soprattutto, la Corte non offre elementi a dimostrazione che l´esposizione del crocifisso in un´aula di tribunale non lede «necessariamente» la libertà di coscienza dei non cristiani. Afferma semplicemente che è così, con buona pace di chi viceversa si sente leso nella propria libertà. Lo Stato, la Suprema corte, non se ne preoccupano. Tanto meno stanno dalla sua parte. Si limitano a dirgli che si sbaglia.
Con la sua affermazione, più che rovesciare l´onere della prova su chi percepisce la presenza di un simbolo religioso come una lesione alla neutralità dello spazio pubblico, la Corte ha sottratto lo stesso terreno del contendere. Una ennesima conferma che siamo un Paese a laicità limitata.

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"La Repubblica", MARTEDÌ, 15 MARZO 2011

 
Pagina 24 - Cronaca
 
La Cassazione: negli uffici solo il crocifisso
"Unico simbolo ammesso, la laicità dello Stato non si discute". Venerdì la sentenza Ue
Attesa per la decisione della Corte dei diritti dell´uomo, che sarà inappellabile
"Per esporre altro occorre una scelta discrezionale del legislatore che al momento non c´è"
 
PAOLA COPPOLA
ROMA - Nei pubblici uffici, aule di giustizia comprese, può essere esposto solo il crocifisso. Anche se a prevederlo è una circolare del 29 maggio del 1926. Per esporre altri simboli religiosi serve un intervento «discrezionale» del legislatore, «che allo stato non sussiste». È quanto si legge nelle 46 pagine di motivazioni contenute nella sentenza 5924 con cui le sezioni unite civili della Cassazione - a pochi giorni dalla decisione finale della Corte di Strasburgo sulla presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche - confermano la rimozione dalla magistratura disposta dal Csm del giudice di Camerino, Luigi Tosti, che si era rifiutato di tenere udienza in un´aula in cui era esposto il crocifisso anche dopo che il presidente del tribunale gliene aveva messa a disposizione un´altra senza simboli religiosi alle pareti. Una soluzione, questa, definita «ghettizzante» da Tosti che nel suo ricorso aveva chiesto di far sparire, in nome della laicità dello stato, i crocifissi da tutte le aule italiane.
La Cassazione spiega che Tosti rifiutando di tenere udienza ha intralciato il funzionamento del tribunale e che la sua pretesa andava oltre l´interesse soggettivo di chi la avanzava e sconfinava nel campo dei diritti altrui e degli interessi diffusi che non possono essere rivendicati da un singolo.
Tra maggio e luglio del 2005 il giudice si era astenuto dal trattare 15 udienze, comunicando il suo rifiuto con poco anticipo, un atteggiamento mantenuto anche dopo che era stata predisposta l´altra aula. Nel 2006 era stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio. Quindi punito severamente dal Csm e radiato dall´incarico. Ma la sua battaglia non ha fatto breccia nei supremi giudici.
Respinta anche l´altra richiesta di Tosti di poter esporre la menorah ebraica accanto al crocifisso nelle aule di tribunale. «È vero - scrive la Cassazione - che sul piano teorico il principio di laicità è compatibile sia con un modello di equiparazione verso l´alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso (laicità per sottrazione)», ma - aggiunge piazza Cavour - «tale scelta legislativa presuppone che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti la praticabilità concreta ed il bilanciamento tra l´esercizio della libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con l´analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte dell´ateo o del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra loro incompatibili».
Nella sentenza i giudici sottolineano comunque come la presenza del simbolo cristiano non intacchi il principio della laicità dello stato che non può essere messo in dubbio, ma allo stesso tempo ricordano che l´esposizione del crocifisso negli uffici pubblici non può essere avvertito come un pericolo per la libertà religiosa per cui non ci si può rifiutare di lavorare perché in altre aule è presente.
È deluso Tosti perché ora è scritto nero su bianco «che il crocifisso non lede la libertà religiosa mentre altri simboli potrebbero», annuncia ricorso a Strasburgo e, nonostante la sentenza della Cassazione, si dice ottimista sul verdetto, venerdì, della Grande chambre della Corte europea dei diritti dell´uomo, che, dopo il ricorso del governo italiano, scriverà l´ultima parola sull´esposizione del crocifisso nelle scuole. Una sentenza inappellabile che chiuderà il caso sollevato dalla cittadina italiana di origine finlandese Soile Lautsi e rispetto alla quale c´è grande attesa anche da parte dei vertici cattolici.

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"La Stampa", 15/03/11

 

SENTENZA LA SUPREMA CORTE

La Cassazione: solo il crocefisso in tribunale

La presenza del simbolo religioso non invalida la laicità dello Stato

GIACOMO GALEAZZI ROMA

Solo il crocifisso può comparire nelle aule dei tribunali italiani come simbolo religioso. Non si conoscono ancora le motivazioni integrali della sentenza, ma per la Cassazione il principio di laicità dello Stato nell’ordinamento italiano non esclude la presenza della croce negli spazi pubblici. Ieri la Suprema corte, pur riaffermando il principio di laicità dello Stato, ha confermato la rimozione dalla magistratura del giudice Luigi Tosti che non aveva voluto celebrare un processo in un’aula di giustizia in cui era presente il crocifisso. Per esporre simboli religiosi diversi, stabilisce la Cassazione, è necessaria una legge. Dunque è stata confermata la rimozione dall’ordine giudiziario del giudice di pace del Tribunale di Camerino, Luigi Tosti, già sanzionato dal Csm per essersi rifiutato di celebrare le udienze nelle aule con il crocifisso.

L’8 febbraio il sostituto procuratore generale della Cassazione aveva chiesto ai giudici delle sezioni unite civili di respingere il ricorso contro la sentenza disciplinare del Csm che a gennaio aveva disposto la rimozione dalla magistratura per Tosti. Tra i primi a portare la vicendacrocifisso in tribunale fu nel 2003 il presidente dell’Unione musulmani d’Italia, Adel Smith, che presentò ricorso al Tribunale dell’Aquila contro l’istituto comprensivo «Navelli» per far rimuovere il crocifisso esposto nella scuola materna ed elementare di Ofena, in provincia dell’Aquila, frequentata dai suoi figli. Nel dicembre 2004, a voler togliere il crocifisso dal muro è un insegnante dell’istituto per geometri «Giovanni Cena» di Ivrea ed è il consiglio d’istituto a decidere all’unanimità che la croce torni in aula purché le classi ne facciano richiesta. Nel 2005, durante le elezioni regionali, la questione investe anche i seggi elettorali. Soddisfazione bipartisan per il verdetto di ieri. «Finalmente l’unico simbolo religioso autorizzato a essere esposto nelle aule dei tribunali è il crocifisso, riconosciuto come simbolo della nostra identità culturale», esulta il sindaco di Roma, Gianni Alemanno.

«Le istituzioni sono separate dalle confessioni religiose ma non dalla società civile in cui vivono le esperienze religiose anche se il singolo può legittimamente richiederne la rimozione», osserva il costituzionalista e senatore Pd, Stefano Ceccanti, rievocando il «caso Folgero», quando nel 2007 in Norvegia fu riconosciuto che nell’impostare l’insegnamento della materia «cristianesimo, religione e filosofia», lo Stato aveva tutto il diritto di basarsi sulla storia nazionale e la tradizione, ma che aveva anche il dovere di prevedere la richiesta di esonero totale per gli alunni i cui genitori avessero convinzioni diverse. Una soluzione analoga a quella adottata in Baviera per i crocifissi nelle scuole. Già per il Consiglio di Stato in Italia la croce in aula ha una funzione simbolica altamente educativa a prescindere dalla religione professata.

Intanto, la Corte europea dei Diritti dell’uomo si esprimerà venerdì, con sentenza d’appello definitiva, sul caso dei crocifissi nelle scuole italiane. In primo grado la Corte aveva concluso che la presenza del Crocifisso violava diritto all’istruzione e diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

La croce in aula riflette il sentimento religioso dei cristiani di qualsiasi denominazione e non si traduce in un’imposizione Cei Nota ufficiale dei vescovi italiani

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