ANSA (POL) - 03/12/2004 - 16.29.00
CIAMPI, VISITA IN CINA CONTRIBUIRA' A PACE TRA POPOLI
E DARA' IMPULSO AD INIZIATIVE IN OGNI CAMPO
(ANSA) - ROMA, 3 DIC - ''Sono convinto che questo nuovo incontro tra Italia e Cina dara' impulso ad iniziative in ogni campo e contribuira' alle relazioni di pace tra i popoli''. Lo ha detto all'aeroporto militare di Ciampino il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi prima di imbarcarsi sull'aereo che lo sta portando a Pechino, in Cina, dove sara' in visita di Stato fino al prossimo giovedi'. ''Tra poche ore - dice il Capo dello Stato - saro' a Pechino, capitale di un paese di antica civilta' ed uno dei protagonisti del XXI secolo. Vado con l'orgoglio di rappresentare il nostro Paese, l'Italia, fiera del suo passato lontano e recente e fiduciosa nel suo futuro''.(SEGUE)
ANSA (POL) - 03/12/2004 - 16.38.00
CIAMPI, VISITA IN CINA CONTRIBUIRA' A PACE TRA POPOLI (2)
(ANSA) - ROMA, 3 DIC - Sulla pista di Ciampino, il presidente Ciampi ricorda di essere stato in Cina gia' altre volte, la prima nel 1983, con altre cariche istituzionali. ''Sono convinto da tempo - aggiunge - che esistono grandi possibilita' di collaborazione e di lavoro comune tra Italia e Cina. Questa non e' solo una visita di Stato, ma anche l'occasione per dare impulso, continuita' e concretezza a iniziative in ogni campo''. Una visita che, spiega il presidente della Repubblica, e' caratterizzata da ''tre filoni uno politico-culturale, uno scientifico ed uno economico ambientale''. Per questo, Ciampi sottolinea che nelle varie fasi della sua visita di Stato in Cina saranno con lui il responsabile della Farnesina Gianfranco Fini, ed i ministri dei Beni Culturali, delle Attivita' Produttive e dell'Ambiente, Giuliano Urbani, Antonio Marzano e Altero Matteoli. ''Trovero' poi a Pechino e Shangai una folta e qualificata delegazione di imprenditori italiani''. E avviandosi verso la scaletta dell'airbus 319 del 31ø stormo dell'Aeronautica militare, il capo dello Stato saluta i cronisti e dice ''Arrivederci a giovedi' sera prossima''.
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"La Stampa", 25/03/11
«Io ho comprato direttamente tre fattorie in Australia»
6 domande a
Ercole Botto imprenditore
6 C’ Perù, in Australia oè chi va a cercarle in in Nuova Zelanda le lane più fini e pregiate della terra. E chi decide di «produrre in proprio» diventando proprietario di fattorie che hanno un solo obiettivo: garantire velli eccellenti per ottenere fibre di altissima qualità. Ercole Botto, amministratore delegato del Lanificio Reda di Vallemosso, nel Biellese, racconta l’esperienza dell’azienda (350 addetti) che produce ogni anno 5 milioni di metri di tessuto.
Quando avete deciso di investire sulla materia prima?
«La prima fattoria, in Nuova Zelanda, è stata acquistata dalla mia famiglia nel 1992. Oggi ne abbiamo tre: a Glenrock Station, Rugged Ridges e Otamatapaio Station: 30 mila ettari, altrettante pecore».
Che vantaggio offre questo investimento?
«Il rapporto diretto con gli allevatori ci ha portato grande beneficio. Lo scambio di esperienze crea sinergia, maggiore conoscenza e attenzione per l’ambiente».
La lana prodotta viene utilizzata solo da voi?
«No: partecipiamo alle aste perché il vero giudice deve essere il mercato. In altre parole, se la lana che produciamo nelle nostre fattorie venisse unicamente utilizzata da noi, gli allevatori non avrebbero stimoli per battere la concorrenza e ottenere risultati migliori».
Quanta lana producono 30 mila pecore?
«La tosa annuale ci dà circa 120 mila chili, si tratta di lana Merinos tra le più pregiate».
Avete avvertito anche voi la pressione cinese?
«Sicuramente sì, c’è difficoltà nell’approvvigionamento, ma c’è anche un aspetto importante da tenere presente. In questo momento la Cina sta acquistando lana per il mercato interno mentre noi siamo proiettati su Stati Uniti, Europa e Giappone. La questione è complicata poi dai prezzi instabili. La nostra politica d’acquisto è quotidiana, compriamo poco per volta per mediare aumenti e ribassi, e soprattutto non speculiamo, in modo da poter mantenere coerenza anche sui listini».
Questi aumenti avranno ripercussioni particolari?
«I nostri clienti dovranno decidere se aumentare i prezzi o scendere di qualità. Noi scegliamo la qualità: risparmiare sarebbe un gravissimo errore, che a lungo termine non può che escluderci dal mercato».
[P. GUA.]
"La Stampa", 25/03/11
“Così il Dragone riduce la dipendenza dalle esportazioni”
L’obiettivo è spingere i consumi interni
ILARIA MARIA SALA HONG KONG
Fino a che punto è la Cina responsabile della penuria di lana nel mondo? Gli operatori del settore non hanno dubbi, il panorama mondiale sta cambiando, e la domanda cinese è una della cause trainanti.
«Si tratta di una materia prima sotto stress almeno dal 2010», dice Sergio Locoli, della Filpucci, che ha una delle maggiori aziende produttrici di filati proprio in Cina, a Zhangjiagang (regione costiera del Jiangsu): «per due ragioni: prima di tutto si registra un incredibile aumento del consumo interno, causato anche dall’aumentare del tenore di vita nel Paese. Questa è una situazione che non cambierà, anzi, quello cinese sarà sempre più il mercato di riferimento. In secondo luogo, c’è una diminuzione di produzione all’origine».
L’aumento dei consumi, d’altronde - visibile ad occhio nudo in qualunque città cinese ci si rechi - risponde a una precisa strategia delle autorità cinesi, che cercano di rendere più solida l’economia nazionale stimolando la domanda interna, riducendo così la sua dipendenza dalle esportazioni.
Nell’azienda cinese di Filpucci, del resto, il crescente interesse cinese per la filatura di lana è tradotto in un aumentare della vendita sul mercato nazionale: «fin’ora, il 70% del nostro prodotto è esportato, e il 30% resta nel paese: ma andiamo verso un incremento della vendita interna», specifica Locoli.
Esiste anche un problema di stockaggio, e, commentano gli operatori, una speculazione in atto, che sta facendo aumentare i prezzi in modo esponenziale, creando quella che molti non esitano a definire una bolla speculativa che potrebbe esplodere da un momento all’altro con importanti conseguenze per il settore.
«Durante la crisi finanziaria l’industria ha esaurito gli stock. Ora la domanda è piuttosto violenta. Resta piuttosto difficile valutare le dimensioni reali della domanda interna per il consumo domestico e non per l’esportazione, ma in Cina c’è grande liquidità e una volontà di investire in materie prime, fra cui proprio la lana», spiega Michael dal Grande della Michael dal Grande Naturfasern, azienda di filati naturali pregiati che fa sourcing in Asia e in America Latina.
«Per la lana, non siamo alla volontà esplicita di controllo del mercato a cui assistiamo rispetto al cashmere, ma bisogna tenere in conto che tutta la lana australiana, è processata in Cina», aggiunge Florence Rossetti, consulente di Michael dal Grande.
Le aziende nazionali di abbigliamento, intanto continuano ad espandere la loro presenza nelle città cinesi, con nuovi outlets tanto nei principali centri urbani che nelle città più piccole – marchi locali come la Li Ning, Borne e Joe One, o marchi di Hong Kong tutt’ora considerati prestigiosi (Giordano, Esprit, Baleno o Glorious Sun) che vedono il loro giro d’affari e di vendite nel campo dell’abbigliamento in costante aumento proprio in Cina, dove le fibre naturali sono ora ricercate da una clientela più abbiente, che può smettere di indossare materie sintetiche, e che oltre ad un maggiore potere d’acquisto sta guadagnando anche un maggior senso della moda e dell’estetica.
IL PIANO Il governo ha incoraggiato l’apertura di un’enorme rete di negozi di abbigliamento
"La Stampa", 25/03/11
Dossier/ il tessile in affanno
La Cina scippa la lana venduta agli italiani
Pechino paga le penali e si prende partite già assegnate Così le aziende nostrane restano senza materia prima
PAOLA GUABELLOSEGUE DALLA PRIMA PAGINA
Il Paese asiatico, concorrente numero uno per eccellenza del manifatturiero italiano, sta facendo incetta di materie prime: se, nel caso della lana, fa pressing agli allevatori australiani rilanciando sui prezzi fino ad aggiudicarsi le forniture migliori, al contempo trattiene per sé il cashmere, mettendo a dura prova il made in Italy. Che fatica da una parte a trovare qualcuno che abbia ancora materia prima da vendere, e dall’altra a sostenere i prezzi accessibili alle agguerritissime aziende asiatiche.
«È vero che i cinesi stanno acquistando in modo massiccio - conferma Piercarlo Zedda, presidente dell’Associazione nazionale del commercio laniero -. La lana, normalmente quella australiana, neozelandese e sudafricana, viene venduta all’asta e loro, direttamente o tramite commercianti locali, intervengono. Chi può pagare il prezzo più alto se la aggiudica. In questo momento i cinesi hanno molte aziende da far girare, buoni ordinativi in portafoglio con un grosso mercato interno in crescita; questo spiega il motivo di ciò che sta accadendo. Tutto si ribalta sulle nostre aziende, quelle che sono nella fascia medio bassa e hanno più difficoltà a competere a queste condizioni che diventano così proibitive».
La questione ha anche un altro aspetto importante da tener presente. «Il problema vero - continua Zedda è che la lana ha avuto prezzi troppo bassi negli ultimi anni, al punto che gli allevatori avevano grossi problemi di sopravvivenza e quindi hanno convertito, dove possibile, in agricoltura. Basti pensare che i livelli attuali di produzione di lana australiana sono simili a quelli degli Anni 20». Non sempre, insomma, correre dietro a produzioni che sembrano più redditive si rivela lungimirante.
Ma la riflessione non si ferma qui. «Non c’è un solo colpevole, se proprio di colpa si deve parlare - aggiunge Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia -. La lana che veniva normalmente comprata dalle aziende asiatiche era di qualità inferiore a quella acquistata dall’industria italiana. Ora le cose sono cambiate anche in funzione del fatto che i cinesi tendono a esportare il prodotto finito in modo da far crescere il loro manifatturiero, a partire dalle pettinature fino alle tessiture». E non ci sono soltanto i cinesi desiderosi di guadagni, naturalmente. «Il Pakistan e l’India - continua Tronconi - sul cotone hanno messo dazi e bloccato i contratti. Questo percorso si è iniziato da qualche anno ma c’è un dato per tutti che può rendere l’idea: se nel 2000 la produzione mondiale di fibre si attestava a 53 milioni di tonnellate nel 2009 siamo arrivati a 71 milioni (di questi 1,1 milioni di tonnellate sono di lana, 25 milioni il cotone). Se si valuta che la popolazione mondiale è di 6 miliardi, il consumo medio è salito da 8 a 10,4 chili a testa». E non basta: all’effetto caro-prezzi e al «saccheggio» cinese s’aggiunge il fattore liquidità. «Alla crisi finanziaria gli imprenditori, e non solo loro, hanno reagito andando a cercare rendimenti alternativi. E questo ha portato a una speculazione anche sulle materie prime. Nessuno si aspettava aumenti così forti. Il problema c’è ed è serissimo perché questo porta a un maggior onere di approvvigionamento la cui conseguenza diretta è una maggior necessità di capitale circolante. Il finanziamento dei magazzini si ribalta su un maggior costo di produzione, e se contemporaneamente, a questo s’aggiunge una nuova fase recessiva (la guerra in Libia e il Giappone, che è la seconda potenza industriale, non aiutano), si avranno maggiori costi e minor ricavo».
Conclusione: «Ovviamente ciò che bisogna fare, e non si sta facendo in Italia come in Europa, è pretendere reciprocità negli scambi. Manca una politica corretta, noi che abbiamo ancora delle eccellenze veniamo sacrificati sull’altare liberistico che ha portato alla crisi del 2008».
I LANIERI «Le imprese nella fascia mediobassa non riescono ad approvvigionarsi»
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I Parlamentari Internazionali in Tibet elogiano le elezioni tibetane: invitano la Comunità Internazionale a sostenere le istituzioni democratiche del Tibet in questo momento storico.
Pubblicato il 22/03/2011
La relazione finale dell’INPaT TEOM su queste elezioni, che sarà redatta entro la fine di aprile, conterrà raccomandazioni al nuovo Parlamento per migliorare il sistema democratico tibetano rivedendo le leggi elettorali per riflettere i generali standards internazionali e in particolare: le leggi di finanziamento elettorale e i regolamenti; la partecipazione delle donne e il sistema di voto regionale.
L'esempio tibetano dello sviluppo d’istituzioni e sistemi democratici è un modello per le nascenti democrazie di tutto il mondo e noi incoraggiamo la Comunità internazionale ad aiutare le istituzioni tibetane in esilio a continuare a sviluppare e a radicare il loro successo.
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Tibet/Cina: Mecacci guida missione osservazione elettorale elezioni tibetane in esilio decisive per il futuro dei tibetani
Pubblicato il 19/03/2011
Roma/Dharamsala, 19 Marzo, 2011
Comunicato stampa del Network Internazionale di Parlamentari
"Nella giornata di domani i tibetani in esilio in tutto il mondo si recheranno alle urne per il rinnovo del 15' parlamento in esilio e per la terza elezione diretta del Kalon Tripa (Primo ministro del Governo in esilio).
Oltre 85.000 tibetani si sono registrati per queste elezioni che hanno visto un primo turno nel mese di novembre.
Per la carica di Primo Ministro competono tre candidati che succederanno al Primo Ministro uscente il Professor Samdhong Rinpoche che non può essere rieletto avendo svolto due mandati consecutivi.
In occasione di questo appuntamento elettorale il Network Internazionale di Parlamentari ha promosso, su iniziativa del deputato radicale e Relatore dell'Assemblea Parlamentare dell'Osce Matteo Mecacci, una Missione di Osservazione elettorale internazionale che si svolgerà in molte località indiane, in Svizzera, in Olanda, in Canada e negli Stati Uniti.
Alla missione partecipano oltre venti esperti internazionali, il presidente dell'intergruppo Parlamentare per il Tibet al Parlamento europeo Thomas Mann (in Svizzera) e il Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato Consiglio Di Nino.
"Dopo la formalizzazione da parte del Dalai Lama al Parlamento - ha dichiarato Matteo Mecacci - della richiesta di modificare la Carta fondamentale segnando una netta divisione tra il potere politico e quello religioso, che riconferma la sua straordinaria modernita' e capacita' di leadership, e' essenziale che vi sia un maggiore sostegno internazionale al processo di democratizzazione delle istituzioni tibetane in esilio. Si tratta di un investimento per il futuro non solo dei tibetani, in esilio e non, ma della stessa Repubblica Popolare cinese, nel suo cammino verso la modernità non solo in campo economico, ma anche politico"
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"La Stampa", 18/03/11
GIAPPONE REAZIONI NEL MONDO
La Cina aiuta il vecchio nemico
Inviati soldi, materiali e soccorritori, un gesto di generosità ma anche di rivincita
ILARIA MARIA SALA OSAKA
La Cina guarda al Giappone alle prese con disastri multipli, e invia aiuti. Situazione straordinaria, pochi mesi dopo il sorpasso economico ufficiale della Cina sul Giappone, e che riporta alla ribalta una relazione caratterizzata da forti scambi commerciali ma anche da una persistente mancanza di fiducia reciproca - fra il timore giapponese di una Cina che si arma e diplomaticamente agguerrita, e la lunga memoria cinese degli affronti e atrocità durante la Seconda guerra mondiale nel corso dell’invasione giapponese (una memoria spesso utilizzata politicamente per mantenere coesione interna, malgrado le derive nazionaliste).
Ma ora che l’amato-odiato vicino, un tempo paragone di ricchezza, è in difficoltà, provvedere aiuti è sia un atto umanitario sia una piccola, generosa rivincita sul rivale di sempre: diecimila tonnellate di acqua potabile, di benzina e gasolio sono già state inviate, insieme a 4,5 milioni di dollari. Ma anche coperte, tende e lampade d’emergenza, e perfino una squadra di 15 uomini che si sono recati a Iwate, una delle zone più colpite, per soccorrere chi potrebbe ancora essere imprigionato sotto le macerie. Jiang Yu, portavoce del ministero degli Esteri, commentando le donazioni ha detto: «La Cina e il Giappone hanno entrambi sofferto a causa di disastri naturali. La consolazione e il sostegno fra i due governi e i due popoli mostrano lo spirito di aiuto reciproco che due Paesi confinanti dovrebbero avere». I disastri multipli sono coperti con attenzione dai media cinesi, per quanto negli ultimi giorni i primi sospetti di panico rispetto alla possibilità di fughe radioattive dalla centrale di Fukushima abbiano portato alla censura di alcune parole sul web: il timore, per il momento, sembra essersi concentrato sulla sicurezza del consumo del sale prodotto dopo l’incidente, che ha scatenato acquisti di massa per approvvigionarsene immediatamente. Anche il sale iodato è stato razziato, dopo che si è diffusa l’idea che aiuterebbe a proteggersi dalle radiazioni, se queste dovessero essere trasportate fino in Cina.
Sul web, dove le reazioni sono sempre immediate, alcuni internauti cinesi davanti alle prime immagini sconvolgenti del terremoto e dello tsunami si sono messi a litigare: alcuni hanno cominciato a scrivere che quello che stava accadendo al Giappone era una «giusta retribuzione» per le loro azioni contro la Cina durante la guerra, altri invece si sono detti «pieni di vergogna» per le parole dei primi. Ma una volta di più i nazionalisti più rabbiosi sono solo una piccola percentuale, sia su Internet che fra la popolazione, che in generale ha reagito con compassione e sgomento davanti alle tragedie abbattutesi sul Giappone. Molti, addirittura, hanno espresso ammirazione per la compostezza e disciplina dei giapponesi davanti alle avversità, incoraggiando altri a prenderne esempio.
Poi, come riportato dal quotidiano Yangtze Wanbao, c’è Chen Guangbiao: un milionario di 42 anni che ha fatto fortuna riciclando edifici distrutti, che si è personalmente recato in Giappone per distribuire aiuti e 160 mila dollari americani, facendosi fotografare mentre aiuta una signora a uscire dalla finestra di una casa quasi interamente crollata. Chen, con indosso un completo tempestato di adesivi con la bandiera cinese, si è recato sui luoghi del disastro con quattro camioncini, avvolti nella bandiera cinese, distribuendo cibo, acqua, sanitari, coperte, e «auguri da parte del popolo cinese». Non solo, l’esuberante Chen (che alcuni sospettano sia interessato a recuperare le macerie lasciate dal terremoto e dallo tsunami per la sua azienda di riciclaggio di materiali da costruzione) ha anche infilato molte banconote nelle varie cassette di raccolta fondi per aiutare i sinistrati, unendole al suo biglietto da visita, «affinché la gente sappia che il donatore è un cinese, un cinese ordinario che vuole solo aiutare».
Meno stravaganti, invece, i numerosi post su Twitter che esprimono solidarietà e cordoglio per il Giappone: anche se il popolare social media non è accessibile liberamente in Cina, conta non di meno numerosi utilizzatori, che si annoverano fra i più capaci a scavalcare il Grande muro di fuoco della censura cinese, ed è già divenuto un mezzo di comunicazione fra i più efficaci per trasmettere informazioni anche in Cina.
Ma la serie di catastrofi che si è abbattuta sul Giappone sta avendo effetti anche sul progetto cinese di aumentare in modo significativo la quantità di centrali nucleari sul suo territorio. Ad oggi, infatti, la Cina conta su 13 reattori nucleari, con almeno altri 25 in costruzione. I progetti di numerose altre centrali sarebbero stati approvati, e la costruzione era prevista nel piano quinquennale appena iniziato. Ma l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua in un breve dispaccio ha riportato che il Consiglio di Stato avrebbe sospeso le approvazioni per le stazioni nucleari, per consentire di «rivedere le misure di sicurezza, alla luce dell’esplosione alla centrale giapponese».
Il Consiglio di Stato avrebbe concluso la discussione dicendo che «la sicurezza è la nostra priorità», senza però precisare che tipo di controlli e miglioramenti saranno adottati per rendere le centrali cinesi, già operative o ancora in costruzione, più sicure.
SENTIMENTI CONTRASTANTI Molti cinesi esultano: «Così i giapponesi sono stati puniti per le atrocità della guerra» SOTTILE VENDETTA Un miliardario distribuisce banconote ai terremotati insieme a bandierine cinesi
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"La Repubblica", VENERDÌ, 11 MARZO 2011
PECHINO - Il Dalai Lama vuole un Tibet democratico, con un governo e un parlamento eletti liberamente dal popolo e con il potere temporale distinto da quello spirituale. Lo storico annuncio di Tenzin Gyatso, deciso a cambiare la millenaria tradizione secondo la quale la reincarnazione del Buddha è un re con pieni poteri politici, è stato fatto ieri a Dharamsala, in India, sede del governo tibetano in esilio. Il 10 marzo per il Tibet è un giorno cruciale. Nel 1959 scoppiò la rivolta contro l´invasione cinese e il 14° Dalai Lama fu costretto a lasciare Lhasa per sempre. Nel 2008 una sommossa dei monaci fu repressa nel sangue da Pechino: il bilancio fu di 208 morti, 6800 arresti e 7 condannati a morte.
Il premio Nobel per la pace, sulla soglia dei 76 anni, ha scelto la data più sensibile per confermare anche la volontà di lasciare la carica di capo del governo, conservando solo la leadership spirituale. Già in novembre aveva annunciato il desiderio di «andare in pensione» entro sei mesi, ritirandosi a una vita monastica. Da tempo il Dalai Lama prefigura un passaggio di consegne, delegando le responsabilità politiche a esponenti giovani del governo in esilio. Questa volta però la scelta destinata a cambiare il volto medievale del Tibet sembra imminente. Lunedì a Dharamsala si riuniranno governo e parlamento. Tenzin Gyatso proporrà alcune modifiche della costituzione, tra cui la consuetudine secondo cui il capo del buddismo è anche il sovrano del Tibet. Se la modifica sarà approvata, entro un mese il parlamento di Dharamsala eleggerà il primo premier della diaspora tibetana non coincidente con la reincarnazione divina.
«Già all´inizio degli anni ‘60 - ha detto ieri il Dalai Lama - sostenevo che il popolo tibetano avesse bisogno di un leader liberamente scelto dal popolo, a cui delegare il potere politico. Ritengo che i tempi per farlo siano maturi». Il Dalai Lama ha sottolineato che ciò non equivale a una sua uscita dalla scena pubblica. «Il mio desiderio di trasmettere i poteri - ha detto - non ha nulla a che vedere con la rinuncia alle mie responsabilità». Tenzin Gyatso ha proposto anche l´invio in Tibet di una delegazione di esiliati, accompagnati da rappresentanti di organizzazioni internazionali e parlamentari. «Se si verificasse che i tibetani in Tibet sono felici, lo accetteremo». L´idea di dare continuità alle istituzioni tibetane in esilio anche dopo la sua morte, ha scatenato immediatamente le ire della Cina. «Il Dalai Lama - ha detto il portavoce del ministero degli esteri, Jiang Yu - sta prendendo in giro il mondo. Lo ha già fatto in passato. E´ un tranello per ingannare la comunità internazionale».
Secondo Pechino il leader buddista «è un lupo travestito da monaco, a capo di una gang politica che usa la bandiera della fede per compiere attività secessioniste». Sono le accuse consuete di uno scontro sospeso da sempre sulla distinzione ambigua tra separazione e autonomia. Ma ora il cortocircuito in Cina è innescato dal colpo di scena di un Tibet con un potere politico eletto «in modo libero e democratico». Per le autorità cinesi, impegnate da anni nell´individuazione di un Dalai Lama scelto dal partito comunista, sull´altopiano himalayano al virus dell´indipendenza si aggiunge quello occidentale della democrazia. «Il Dalai Lama - ha detto il nuovo governatore della regione, Padma Choling - non ha diritto di scegliere il proprio erede e deve accettare la tradizione della reincarnazione». E´ il tentativo di spaccare esuli e residenti del Tibet tra conservatori e progressisti, ingrossando a suon di finanziamenti le fila dei filo-cinesi. Il passaggio sarà lungo e contrastato, mentre la regione è tornata inaccessibile. Lhasa in marzo sarà chiusa agli stranieri. Ufficialmente per il freddo. Nella realtà perché il clima, per le strade, torna pericolosamente a riscaldarsi.
"La Stampa", 11/03/11
LA GUIDA DEI TIBETANI IN ESILIO: «MI DEDICHERÒ SOLO ALLA RELIGIONE»
Il Dalai Lama: “Lascio la politica”
“Il mio posto a un successore liberamente eletto”
ILARIA MARIA SALA HONG KONG
Il Dalai Lama rinuncia al suo ruolo politico: parlando ieri a Dharamsala, in India, il leader spirituale tibetano in esilio ha annunciato di volersi concentrare sulle sue cariche spirituali. Si tratta di un annuncio che conferma le dichiarazioni fatte da Tenzin Gyatso, 75 anni, XIV Dalai Lama, già negli scorsi anni. La carica politica ricoperta fin’ora sarà assegnata a un nuovo primo ministro del governo tibetano in esilio, che verrà eletto il 20 marzo.
Tenzin Gyatso, fuggito in India nel 1959 dopo un tentativo di rivolta contro le autorità cinesi, già da tempo lavora per evitare che la sua scomparsa crei un vuoto politico, che danneggerebbe le comunità tibetana in esilio in India e gli i tibetani rimasti sull’altopiano oggi controllato da Pechino. «Fin dal 1960 - ha detto nel messaggio diffuso in occasione del 52˚ anniversario della rivolta anticinese - ho ripetutamente affermato che i tibetani hanno bisogno di un leader liberamente eletto dal popolo tibetano. Ora è chiaramente giunto il momento di passare all’azione».
La successione del Dalai Lama presenta problemi significativi, visto lo stato delle relazioni fra il Tibet, la comunità in esilio e Pechino. Le tre cariche principali del buddhismo tibetano (Dalai Lama, Panchen Lama, Karmapa Lama) sono, come molte altre, selezionate con pratiche secolari volte a identificare la nuova «reincarnazione» in un ragazzino, che verrà specificamente educato per assumere i compiti spirituali e politici che si accompagnano a questi ruoli. Ma dalla morte del X Panchen Lama (che, tradizionalmente, è il maestro del Dalai Lama), nel 1989, la questione delle reincarnazioni è diventata spinosa: il Dalai Lama, dall’esilio, aveva selezionato Gendhun Choekyi Nyima come reincarnazione del Panchen. Poco dopo, però, il ragazzino è scomparso («portato in un luogo sicuro», secondo le dichiarazioni ufficiali di Pechino) e il governo cinese ha selezionato un nuovo ragazzino, Gyaltsen Norbu. Quest’ultimo però non è mai stato accettato come legittimo dai fedeli tibetani — una situazione che ha portato all’assenza di fatto, sulla scena spirituale tibetana, di un Panchen Lama che possa succedere al Dalai Lama.
Il Karmapa, invece, era stato individuato in Tibet dalle autorità religiose locali, ma con il benestare delle autorità cinesi. Ma nel 2000 il giovane monaco ha deciso di scappare in India – ufficialmente, alla ricerca del suo cappello rituale, portato in India anni prima.
Alla morte del Dalai Lama, dunque, ci sarà una situazione di stallo: Pechino ha già annunciato di volersi fare carico della successione, mentre Tenzin Gyatso anticipa la possibilità di non reincarnarsi, o di farlo al di fuori dell’altopiano tibetano – per poter mantenere fuori dal controllo cinese la selezione del prossimo leader.
La decisione del Dalai Lama di procedere verso la separazione delle cariche spirituali e politiche risponde anche al suo desiderio di creare una vera democrazia tibetana, per quanto solo negli angusti perimetri consentiti dalla vita della comunità nell’esilio indiano.
Dal canto suo, Pechino, con una dichiarazione del Ministero degli Esteri ha subito definito l’annuncio del Dalai Lama, un «trucchetto per ingannare la comunità internazionale».
Pechino: è solo un trucchetto per ingannare la comunità internazionale
Tibet: 10 marzo anniversario insurrezione di Lhasa, Partito Radicale Nonviolento co-promotore degli eventi previsti a Roma
Pubblicato il 10/03/2011
Oggi, giovedì 10 marzo, in occasione del 52° anniversario dell'insurrezione di Lhasa il Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito, da sempre impegnato per la difesa dei diritti umani del popolo tibetano, è tra gli organizzatori, insieme alla Comunità tibetana in Italia e decine di altre Associaizoni, dell'evento che si svolgerà questa sera, dalle ore 19,30, all'Auditorium dell'Ara Pacis. Dichiarazione di Matteo Mecacci, deputato radicale-Pd, Presidente dell'Intergruppo Parlamentare sul Tibet, dirigente del Prntt: "Proprio oggi, in occasione del 52esimo anniversario della rivolta popolare contro l'occupazione cinese del Tibet, il Dalai Lama ha annunciato della sua intenzione di dimettersi dal suo ruolo di guida politica dei tibetani per lasciare spazio alle decisioni del Parlamento tibetano in Esilio. Questa decisione del Dalai Lama dimostra della volontà dei tibetani di tenere separati i valori religiosi dall'organizzazione politica che si va formando tra il popolo tibetano che vive in esilio e che necessita del sostegno di tutti. Non possiamo che apprezzare questa decisione e continuare a sostenere tutti i tentativi di dialogo avviati dal Governo e del Parlamento tibetano in esilio per trovare una soluzione al tentativo, da parte della Cina, di eliminare la sua cultura e la religione, che si ispira ai valori della nonviolenza. Continueremo a sostenere il dialogo e le iniziative nonviolente del Governo e del Parlamento tibetano in esilio, augurandoci che la Cina finalmente accolga le richieste finora inascoltate".
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Per le cinesi non è mai festa
Articolo di pubblicato su Il Foglio, il 10/03/11
http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_10/dalai-lama-rinuncia-ruolo-politico_a3d6a30c-4ae0-11e0-9e9a-b429a0ac9415.shtml
La decisione sul suo successore spetterà al parlamento tibetano in esilio
Il Dalai Lama passa la mano:
«Guida politica a qualcuno che sia eletto»
L'annuncio diramato nel 52esimo anniversario della rivolta popolare contro l'occupazione cinese del Tibet
La decisione sul suo successore spetterà al parlamento tibetano in esilio
Il Dalai Lama passa la mano:
«Guida politica a qualcuno che sia eletto»
L'annuncio diramato nel 52esimo anniversario della rivolta popolare contro l'occupazione cinese del Tibet
MILANO - Il Dalai Lama ha annunciato la sua intenzione di dimettersi dal suo ruolo di guida politica dei tibetani per far posto ad un suo successore eletto dal Parlamento in esilio. È quanto emerge da un messaggio in occasione del 52esimo anniversario del sollevamento popolare contro l'occupazione cinese del Tibet
L'ANTICIPAZIONE -
La decisione del leader spirituale tibetano di trasferire le sue responsabilità politiche non giunge del tutto inaspettata. Il 21 novembre scorso, in una intervista alla tv indiana Cnn-Ibn il Dalai Lama, 75 anni, aveva ammesso: «Credo, sì credo che mi ritirerò entro sei mesi. Non posso essere più preciso - aggiunse - perchè ne devo parlare con il Parlamento in esilio», anche se «brevemente ho già accennato ai dirigenti del movimento le mie intenzioni».
«SERVE UN ALTRO LEADER»
-Nel discorso diffuso oggi, la guida spirituale dei tibetani ricorda che «fin dagli anni '60 ho ripetutamente sottolineato che la nostra gente ha bisogno di un leader, eletto liberamente, a cui io trasmetterò il potere». «Adesso - ha ancora detto - è venuto il momento di passare dalle parole ai fatti. In occasione della imminente 11/a sessione del 14/0 Parlamento tibetano in esilio, che comincia il 14 marzo, proporrò formalmente che si facciano i necessari emendamenti alla Carta dei tibetani in esilio che riflettano la mia decisione di restituire la mia formale autorità al leader eletto». «Da quando ho manifestato questo proposito - ha infine indicato - ho ricevuto molte richieste di continuare ad esercitare la guida politica», ma «il mio desiderio è di trasferirla per il bene a lungo termine di tutti i tibetani».
(Fonte: Ansa)
10 marzo 2011
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"La Stampa", 9/03/11
FOCUS
La cavalcata di Obama verso Pechino
Stati Uniti (Paolo Mastrolilli)
Il nuovo ambasciatore americano a Pechino si chiama Gary Locke, è di origini cinesi, e fino a ieri faceva il ministro del Commercio. Una biografia che aiuta a capire almeno due cose: primo, l’importanza strategica che il presidente Obama attribuisce alle relazioni con la Repubblica Popolare; secondo, l’enorme vantaggio che un paese intelligente può ricavare dall’immigrazione, quando sa integrarla.
Obama, per rilanciare la sua economia, si è posto l’obiettivo di raddoppiare le esportazioni americane nel giro di cinque anni. Il primo passo logico è cercare di vendere più prodotti alla Cina, con cui gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale record di 273 miliardi di dollari. Chi potrebbe aiutarlo meglio a raggiungere questo traguardo se non Locke, che quando era governatore dello stato di Washington aveva raddoppiato le esportazioni della sua regione nella Repubblica Popolare, portandole a 5 miliardi di dollari all’anno e creando così 280.000 posti di lavoro? Da qui si capisce la scelta di “retrocedere” Gary dal rango di ministro a quello di ambasciatore, ma si capisce anche perché lui ha accettato, forse pensando al suo predecessore George Bush padre, che cominciò la lunga marcia verso la Casa Bianca partendo proprio con lo stesso passo di rappresentante diplomatico a Pechino.
Del resto, ogni volta che va in Cina Locke viene accolto come una rock star. Il motivo è semplice: lui è cinese. Suo padre era nato nella Repubblica Popolare e la sua famiglia viene dalla cittadina di Taishan. Quando lo misero al mondo, a Seattle nel 1950, i suoi genitori gli diedero il nome cantonese di Lok Gaa Fai, e lui fino a cinque anni d’età non parlava nemmeno l’inglese. Ma di giorno lavorava nel negozio di alimentari del padre e di notte studiava, con voti così buoni da ottenere una borsa per l’università di Yale. Procuratore, avvocato di uno studio che si occupava di relazioni commerciali con la Cina, e nel 1996 eletto governatore dello stato di Washington, primo e finora unico asiatico a salire così in alto. Durante le elezioni del 2008 aveva appoggiato Hillary Clinton, ma Obama ha deciso di non farci caso: le sue qualità erano troppo utili, per lasciarlo in panchina a causa di una ripicca politica. E qui c’è la seconda lezione di questa storia, utile anche a noi italiani: l’immigrazione è sempre una risorsa, per chi sa usarla con la testa.
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