repubblica.it, 8 dicembre 2005
Il presidente Ahmadinejad torna all'attacco dello stato ebraico
"Germania e Austria offrano territori per ospitare gli ebrei"
L'Iran: "Israele è un tumore"
Condanne da tutto il mondo
La Casa Bianca: "Neccessario fermarli sulla via del nucleare"
Berlusconi: "Parole contrarie alla verità e alla storia"
Mahmoud Ahmadinejad
TEHERAN - Torna all'attacco sulla questione israeliana il presidente ultraconservatore iraniano, Mahmoud Ahmadinejad. Dalla Mecca, la città santa musulmana dove si trova per il congresso dell'Organizzazione della Conferenza islamica (Oci), il giovane capo di Stato dell'Iran ha definito Israele un "tumore" ed ha lanciato la proposta che la Germania e l'Austria, paesi dichiaratisi responsabili del genocidio ebraico, offrano "due o tre" loro province per accogliere lo Stato Israeliano e tutti i suoi cittadini. Parole, queste, che hanno provocato l'immediata reazione indignata delle autorità israeliane e della Casa Bianca oltre che del premier Silvio Berlusconi.
"Dato che credete che gli ebrei siano stati oppressi e sterminati durante la seconda guerra mondiale - ha chiesto provocatoriamente Ahmadinejad - perché i musulmani palestinesi ne devono pagare ora il prezzo?". E' una domanda, questa, che ricorre spesso nel mondo arabo e islamico, a cui il presidente iraniano ha aggiunto stavolta una risposta concreta.
"Ebbene, dato che voi li avete perseguitati, offrite voi un pezzo di terra europea al regime sionista perchè possa stabilire lì il governo che più desidera. Noi lo sosterremo". Il presidente iraniano ha fatto questi ragionamenti ai margini della Conferenza dell'Oci, in un'intervista alla televisione satellitare iraniana Al-Alam. In sala, prendendo la parola di fronte al re saudita Abdullah e ad altri centinaia di dignitari islamici provenienti da tutto il mondo, Ahmadinejad si era limitato ad un discorso più di circostanza, con un appello finale alla riscossa di tutto il mondo musulmano.
"Se i nemici dell'Islam - aveva detto - non trovano risposte adeguate dai paesi musulmani, (i nemici dell'Islam) proseguiranno nella loro aggressione".
Nell'intervista televisiva, il presidente ha invece ribadito che Israele "costituisce un tumore" e che è inaccettabile che i paesi europei sostengano il "regime di occupazione di al Quds (Gerusalemme)".
Già nell'ottobre scorso, Ahmadinejad aveva scandalizzato la comunità internazionale affermando che "Israele deve essere cancellato dalla carta geografica". Un'affermazione che la diplomazia iraniana aveva tentato di attenuare, spiegando che il leader politico voleva semplicemente negare la legittimità dello Stato ebraico. Pur non nascondendo, nell'intervista televisiva, le sue simpatie per quegli storici revisionisti che pretendono di ridimensionare o addirittura negare l'Olocausto ebraico, il presidente iraniano ha tuttavia preso atto della ammissioni di responsabilità storiche da parte di Germania e Austria, chiedendo loro di risolvere di conseguenza il problema israeliano.
La negazione dello Stato di Israele è un dogma fondante della Repubblica islamica d'Iran, ed Ahmadinejad ha condannato senza riserve il processo negoziale per risolvere il conflitto israelo-palestinese, un processo che porta solo allo stallo: "Sono 40 anni che si negozia", ha osservato. L'unica soluzione pacifica, ha spiegato riproponendo una vecchia idea iraniana, è quella di "un referendum in Palestina", che escluda però dal voto tutti quelli che sono arrivati nella regione dopo il 1948.
Un'immediata risposta alle affermazioni del leader iraniano è arrivata stasera dalla Casa Bianca. Le proposte di Ahmadinejad e il fatto che torni a qualificare Israele come un tumore "mostrano come sia importante che al regime di Teheran sia impedito di avere la capacità di costruirsi un'arma nucleare", ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan. Israele, da parte sua, ha definito "scandalosa e razzista" la proposta di trasferire lo Stato ebraico in Germania e Austria e ha ricordato che "non è la prima volta che il dirigente iraniano esprime" tali punti di vista nei confronti degli ebrei d'Israele. Mentre Silvio Berlusconi dichiara: "L'Italia si associa alla piena e assoluta condanna espressa dalla Presidenza europea delle frasi del presidente iraniano contrarie alla verità ed alla storia. E contrarie anche ad ogni regola di civile convivenza e rispetto tra i popoli".
(8 dicembre 2005)
"La Stampa", 9/03/11
IR AN , IL D E CL IN O D E L L ’E X P R E S ID E N TE CHE CR ITICÒ L A R E P R E S S ION E
Teheran archivia l’era Rafsanjani
Non è più presidente dell’Assemblea degli Esperti
CL AU D IO G AL L O
Chi pensava che nell’Iran militarizzato del dopo 2009, anno in cui Ahmadinejad divenne presidente per la seconda volta tra i sospetti di brogli, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani avesse ancora uno straccio di potere nella Repubblica Islamica, dovrà ricredersi. L’ex presidente, uomo chiave nella rivoluzione di Khomeini, ha perso ieri la presidenza dell’Assemblea degli Esperti che occupava da quattro anni, l’organo costituzionale più potente ed elusivo dell’Iran che ha (teoricamente) la facoltà di destituire il «Vali e Faqih», la Guida Suprema.
Al suo posto è stato eletto l’ayatollah Mahdavi Kani, un conservatore di 79 anni, malato e costretto a muoversi sulla sedia a rotelle. Kani, che ha l’appoggio del governo e di Ali Khamenei, ha ottenuto 63 voti su 85. Rafsanjani, 77 anni, ha detto di essersi fatto da parte in nome dell’unità nazionale, ma ha avvertito che le divisioni stanno diventando «molto gravi» e il Paese «dovrà fare grandi sforzi per mantenere il popolo unito». L’uomo che alla fine degli Anni 80 guidò la ricostruzione dell’Iran dopo la guerra con l’Iraq, chiamato con velenosa adulazione Akbar Shah per le ricchezze personali accumulate, è stato progressivamente messo alla porta dai conservatori, da Khamenei in ultima istanza, che non ne amano la realpolitik da Talleyrand iraniano.
Il grande colpo di coda politico resta il sermone del venerdì del 17 giugno 2009, quando davanti a una folla brulicante come non si vedeva dai primi tempi della rivoluzione, criticò con la sua prosa ambigua e allusiva la repressione delle manifestazioni e la censura ai media. Un discorso sorvegliato ma dirompente nella sostanza che gli costò l’onore di condurre la preghiera a Teheran. I leader che allora infiammavano le piazze della nascente Onda Verde sono finiti peggio di lui: Mir Hussein Mousavi, Mehdi Karroubi e le rispettive mogli sono spariti in qualche casa segreta di detenzione, buchi neri in cui il regime è solito gettare i dissidenti più autorevoli e scomodi. Pochi ne sono riemersi. Rafsanjani, che non è mai stato un critico radicale, resta ancora presidente del Consiglio dell’Indirizzo, l’organo che deve comporre i dissidi tra istituti statali, ma apparentemene è finito.
La sconfitta di Rafsanjani toglie di scena l’unica figura che avrebbe potuto opporsi alle supposte intenzioni di Khamenei (71 anni, anche lui pare molto malato) di lasciare la sua carica al vertice della Repubblica Islamica al figlio Mojtaba. Uno scenario che si basa sulle poche voci inverificabili che escono dalle stanze segretissime del potere iraniano. Il regime sembra evolvere sempre più apertamente verso una compiuta tirannide clerical-militare: il capo del sistema giudiziario Sadegh AmoliLarijani ha detto che l’Assemblea degli Esperti non ha alcun potere di controllo sull’autorità della Guida Suprema. Questo nonostante l’articolo 111 della Costituzione dia all’Assemblea il potere di destituire il «Vali e Faqih» in caso di incapacità.
Larijani è l’ultimo campione di un attacco agli organi eletti e semi eletti del Paese che ha lo scopo di lasciare alla Guida Suprema un’autorità senza più limiti costituzionali. L’Iran di Khamenei come la Corea di Kim Jong-il.
Al suo posto un conservatore Senza più inciampi il potere di Khamenei
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 02 MARZO 2011
Nessuna opposizione è tollerata. Ancora una volta ieri, le forze di sicurezza hanno attaccato con violenza i gruppi di persone che tentavano di raggiungere piazza Enghelab, vicino all´Università di Teheran, e la piazza Azadi, facendo un uso massiccio di gas lacrimogeni per disperderli. Arresti (almeno cinque) e colpi di arma da fuoco sono stati denunciati dai siti riformatori (ai pochi corrispondenti stranieri a Teheran è fatto divieto di riferire sulle manifestazioni), mentre il sito ufficiale del governo iraniano afferma che "in tutti i quartieri della capitale regna la calma".
Il Movimento verde era tornato nelle strade delle città iraniane il 14 febbraio, sull´onda delle proteste in Medio Oriente, e aveva annunciato nuove manifestazioni per l´1 e l´8 marzo. Ma dopo gli arresti dei due leader dell´opposizione, Moussavi e Karrubi, un fiume di proteste si era riversato sui blog e su Facebook. "Il regime ha superato una linea rossa: solleviamoci", si leggeva ieri sulla pagina Facebook dell´Onda verde. Nella previsione di una massiccia adesione alle manifestazioni, fin dalla mattina le strade di Teheran erano presidiate da ingenti forze di polizia e di basiji, le milizie senza uniforme.
Il governo continua a negare che Karrubi e Moussavi, insieme alle rispettive mogli, siano stati portati nel famigerato carcere di sicurezza Heshmatijeh, nelle vicinanze di Teheran, come sostengono invece i figli dei due leader dell´opposizione, e come conferma un alto ufficiale dei pasdaran vicino al Movimento verde. Il governo ha evidentemente paura delle reazioni, e alle proteste internazionali reagisce con la solita sicumera, tacciandole di "interferenze" negli affari interni della Repubblica islamica.
Finora, il regime aveva usato metodi più sottili contro i due capi dell´opposizione: angariando, arrestando e in alcuni casi uccidendo i loro famigliari, picchiandoli quando si presentavano in pubblico, circondando le loro case e impedendo loro di ricevere persone, fino agli arresti domiciliari due settimane fa. Ma negli ultimi tempi si sono moltiplicate le minacce di condanna a morte per "tradimento" e "complotto": duecento tra parlamentari e religiosi hanno firmato una petizione contro i due leader, e il capo della magistratura, Sadek Larijani, ha chiesto la loro morte.
Moussavi già dall´inizio di gennaio aveva scritto sul suo sito di essere convinto che il regime andrà fino in fondo. "Sono pronto a morire per i diritti del popolo iraniano", aveva affermato. In molti a Teheran temono che le sue previsioni possano avverarsi. Prevedono una repressione ancora più dura, come dimostra anche il caso dell´avvocato di Sakineh, la donna la cui condanna a morte per lapidazione ha provocato una imponente mobilitazione internazionale.
L´avvocato Hutan Kian era stato arrestato in ottobre insieme al figlio di Sakineh e a due giornalisti tedeschi (per rilasciare questi ultimi, il presidente Ahmadinejad ha preteso una visita e una stretta di mano a Teheran del ministro degli Esteri tedesco Westerwelle). Ieri Kian ha denunciato di essere stato condannato a morte e selvaggiamente torturato nel carcere di Tabriz.
Ma l´arresto di Karrubi e Moussavi potrebbe provocare reazioni non solo nelle strade ma tra gli stessi conservatori e i religiosi di Qom, oltre a radicalizzare l´opposizione che finora, sotto le direttive dei due leader, chiedeva riforme e non l´abbattimento del regime. "Se Khamenei continua a chiudere tutte le porte prima o poi un´esplosione sarà inevitabile", è l´opinione di molti iraniani.
Iran, Perduca: repressione contro oppositori sconsigli legittimazione diplomazia parlamentare italiana con Teheran. Sarebbe pessimo segnale per chi rischia la vita in piazza
Pubblicato il 01/03/2011
Quanto sta accadendo in queste ore in Iran, oltre che continuare a non sorprendere, conferma la qualità di quel regime, un regime col quale è impossibile avere alcun tipo di confronto o dialogo che verta sul necessario rispetto degli standard universali dei diritti umani. Lo voglio ricordare in particolare ai 10 parlamentari italiani membri di un comitato interno all'Unione InterParlamentare presieduto dal Senatore Enzo Bianco che presto vorrebbero, o dovrebbero, recarsi a Teheran in una missione di cosiddetta diplomazia parlamentare. Qualche giorno fa abbiamo avuto modo di ascoltare a Roma il Presidente della Commissione affari esteri del Majlis iraniano Alaeddin Boroujerdi che ci ha venduto la solita propaganda di regime denunciando sfacciatamente il condono da parte dell'Occidente di doppie morali in materia di diritti umani. Ecco se queste sono le premesse, occorre evitare di correre in soccorso a chi giustifica il regime iraniano nella sua quotidiana opera di silenziamento delle voci, anche di quelle moderate come Moussavi e Karroubi, di dissenso. Legittimare questi signori col dialogo parlamentare è il peggiore segnale da lanciare a chi scende in piazza rischiando la vita per la propria libertà.
"La Repubblica", MARTEDÌ, 01 MARZO 2011
"La Repubblica", LUNEDÌ, 21 FEBBRAIO 2011
Ieri centinaia di manifestanti sono tornati in piazza in molte città iraniane, chiamati alla mobilitazione dai leader dell´opposizione Mirhossein Mousavi e Mahdi Karrubi; i due ex candidati presidenziali sconfitti da Ahmadinejad nel 2009 sono stati denunciati per invito alla sedizione e presto potrebbero comparire innanzi ai tribunali islamici. Ma ieri sono tornati ad invitare il popolo iraniano a protestare per ricordare le ultime due vittime della protesta dell´"Onda verde". Secondo la giornalista iraniano-americana Christiane Amanpour, anche ieri un manifestante è stato ucciso in piazza a Teheran, mentre per Cnn e Bbc ci sono stati scontri con sparatorie nella parte nord della capitale e in particolare a piazza Vali Nasr.
Mentre i siti Internet vicini all´opposizione raccontano sia le proteste che l´intervento della polizia, il sito in inglese dell´agenzia di stampa Fars racconta che le strade sono state praticamente tranquille, e che non ci sarebbe nessuna vittima tra i contestatori, che nel linguaggio di regime vengono definiti «sabotatori e sediziosi». Su un punto però le fonti concordano: fra le persone fermate per qualche ora c´è stata anche la figlia dell´ex presidente Hashemi Rafsanjani, un conservatore molto potente in Iran che però negli ultimi anni è entrato in rotta di collisione con l´ala dura (maggioritaria) del regime. Faezeh Hashemi è stata bloccata per «comportamento provocatore» in via Vali Asr «mentre guidava un gruppo di riottosi e rivoluzionari». Sempre l´agenzia Fars ha informato più tardi che la donna «è poi stata rilasciata dopo aver dichiarato che era in giro per acquistare abiti», come dire che la figlia di Rafsanjani ha rinnegato la partecipazione alle manifestazioni.
Da giorni la protesta nei paesi arabi ha innescato in Iran una dinamica particolare: il regime e i dissidenti hanno inneggiato insieme alla caduta di Mubarak in Egitto, ma naturalmente con ragioni opposte. Tanto che ai dissidenti che chiedono più democrazia al regime, la polizia risponde con una nuova stretta repressiva. Moussavi e Kharrubi sono stati messi agli arresti domiciliari, in attesa di una decisione su un eventuale processo per «invito alla sedizione». Il governo iraniano sembra in grado di controllare la piazza: migliaia di poliziotti e di militanti "basiji" sono schierati in tutte le città iraniane per impedire che quello che è avvenuto in Egitto possa ripetersi a Teheran.
Iran: «Sakineh non sarà uccisa ha ricevuto il perdono dalla famiglia del marito»
Articolo di pubblicato su Avvenire, il 17/02/11
"La Stampa", 15/02/11
Intervista
“Per gli iraniani l’Europa è più vicina degli Usa”
Sazegara: puntiamo sulla guerriglia non violenta
MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Igiovani iraniani stanno applicando le tecniche della guerriglia non violenta e la loro richiesta sono libere elezioni». Mohsen Sazegara, ex co-fondatore dei pasdaran nel 1979 ed ora voce del dissenso iraniano a Washington, parla di «scontri in molte città».
Cosa sta avvenendo in Iran?
«Tutto è iniziato nella notte di domenica. I giovani sono saliti sui tetti di Teheran e di altre 37 città iraniane intonando Allah akbar per invitare la gente a scendere in piazza. Come poi è avvenuto, scatenando la repressione».
Qual è l’obiettivo dei manifestanti?
«L’intento è chiedere al regime della guida suprema Ali Khamenei e del presidente Mahmud Ahmadinejad di indire libere elezioni. Lo slogan è “Dopo Ben Ali e Mubarak tocca al Leader Supremo”, cioè a Khamenei».
Come avvengono le proteste?
«Abbiamo imparato la lezione del 2009. I manifestanti adesso usano una tattica diversa».
Di cosa si tratta?
«E’ una guerriglia urbana non violenta. Gruppi di persone si dirigono a piedi in diverse località della città, si mettono sedute in terra e iniziano a manifestare. A Teheran il luogo più grande dove si concentrano è piazza Azadi, che significa liberazione come Tahrir al Cairo, ma lo stesso avviene in altre zone. La novità è che i sit-in si stanno svolgendo anche a Teheran Sud, nei quartieri poveri».
Qual è stata la reazione delle forze di sicurezza?
«Stanno picchiando duro. Prima sono arrivati gli agenti in borghese e poi quelli in divisa. Hanno usato bastoni, manganelli, catene e pugnali per colpire i manifestanti. In un caso, dopo averli feriti, li hanno inseguiti dentro un ospedale di Teheran. Vi sono state aggressioni mentre i dottori stavano prestando le cure ai feriti. Ma, ripeto, non è solo Teheran, la protesta è molto più vasta».
Quanto conta l’impatto della caduta di Hosni Mubarak in Egitto per i manifestanti che scendono oggi in piazze in Iran?
«Basta ascoltarli. Dicono che vogliono terminare ciò che hanno iniziato. Vedono nella caduta di Mubarak e Ben Ali il risultato delle proteste democratiche in Medio Oriente, che furono loro a incominciare dopo il fraudolento risultato delle presidenziali del 2009».
Il Dipartimento di Stato americano ha appena inaugurato un Twitter in lingua persiana. Come giudica il sostegno di Washington alle proteste?
«La realtà è che per gli iraniani l’Europa conta più degli Stati Uniti. Vi sentiamo più vicini, legati a noi da storia e cultura. Per questo la gente in strada si aspetta che i leader europei parlino chiaro, facendo presente al governo di Teheran che se le persone saranno picchiate, ferite, arrestate e umiliate allora il regime subirà un isolamento internazionale ancora maggiore di quello esistente».
Perché la richiesta della piazza è di indire libere elezioni?
«Ciò che accomuna gli iraniani è l’amore per la libertà e la democrazia. Il regime di Ahmadinejad e Khamenei impone da trent’anni elezioni che servono solo a legittimarlo e prolungarlo. Chi scende in strada vuole avere la possibilità di scegliere i suoi governanti».
L’ex pasdaran ETÀ 56 ANNI STUDI IN IRAN E NEGLI USA CARRIERA COFONDATORE DEI PASDARAN NEL 1979, MINISTRO FINO AL 1989 DISSENSO ARRESTATO, VIENE LIBERATO DOPO 79 GIORNI DI SCIOPERO DELLA FAME ESILIO DAL 2003 VIVE IN OCCIDENTE
"La Repubblica", MARTEDÌ, 15 FEBBRAIO 2011
Signora Nafisi, si aspettava una giornata così?
«Non ho mai pensato che quelle del 2009 fossero le ultime manifestazioni, ero sicura che sarebbero riprese. È il nostro 2009 che ha influenzato l´Egitto, ora l´Iran impara dal Cairo».
Cosa spera da piazza Azadi a Teheran?
«Molto. Purtroppo il regime userà tutte le armi possibili per fermarli, non hanno certo il problema dell´opinione degli americani, come Mubarak. Ma la società civile iraniana è forte. E poi, il regime aiuta formazioni come Hezbollah e Hamas, è amico dei peggiori Stati che ci siano: se crollasse, sarebbe un bene per tutti».
Uno degli slogan che cantano i manifestanti è «No Gaza, No Libano: Tunisia, Egitto, Iran».
«Questo è fantastico, è molto importante che dicano così. Si staccano dall´area di riferimento del regime, si mettono con il secolarismo. È lo slogan più significativo che ho sentito finora».
Ci sono molti arresti, secondo l´opposizione, e almeno un morto.
«So anch´io che li stanno assalendo in ogni modo, ma non credo che questa volta potrà funzionare. Come dice lo slogan, Egitto e Tunisia sono il segno che molte cose sono cambiate. Ora il mondo è vicino. Forse la violenza li farà tornare a casa per un poco, ma poi scenderanno di nuovo in piazza».
"La Repubblica", VENERDÌ, 11 FEBBRAIO 2011
Governo e opposizione iraniani guardano a quanto sta accadendo in Egitto con preoccupazione e speranza. Ahmadinejad ha goduto finora di grande popolarità tra le masse arabe per le sue posizioni intransigenti nei confronti degli Stati Uniti e su questa scia il governo iraniano cerca di presentare la rivolta in Egitto e in Tunisia come la replica della rivoluzione islamica che 32 anni fa cacciò da Teheran lo scià. Nel suo sermone del venerdì il leader Khamenei ha inneggiato ai dimostranti tunisini e egiziani. «Ma se il governo non darà al suo stesso popolo il permesso di protestare mostrerà la falsità di tutto quello che dice a sostegno del popolo egiziano» ha detto Karroubi al New York Times. Immediata è stata la risposta dei Guardiani della Rivoluzione. Una manifestazione nell´anniversario della rivoluzione è «un complotto del nemico», ha detto il comandante dei pasdaran Hossein Hamedani.
(v. v.)
Americani a processo rischio pena di morte
Articolo di pubblicato su Il Giornale, il 07/02/11
«Sono come Dio» Un iraniano impiccato per apostasia
Articolo di pubblicato su Liberazione, il 01/02/11
"La Repubblica", DOMENICA, 30 GENNAIO 2011
Ma ci sono forti dubbi che a condannare la donna siano stati davvero i 450 grammi di cocaina trovati, secondo l´agenzia Mehr, dalla polizia nella sua casa durante una perquisizione. Perché in quelle ore la Bahrami era già in carcere, dopo aver partecipato alle manifestazioni di protesta contro la rielezione di Mahmud Ahmadinejad nel dicembre 2009. Le autorità l´avevano anche accusata di far parte di un gruppo armato, delitto punito con la pena capitale. Però a farla giustiziare è stata l´accusa di traffico di droga. È vero, aveva ammesso tutto, ma nei pochissimi contatti con i familiari aveva anche smentito la confessione, strappata con le sevizie dai carnefici della prigione di Evin.
Insomma: una perquisizione realizzata senza garanzie, una confessione estorta - dicono i familiari - con la tortura, nessun accesso alla difesa, nessun contatto con diplomatici. E soprattutto un´esecuzione rapida, legata solo all´accusa "materiale" di aver portato cocaina nella repubblica islamica, mentre le accuse "politiche" sono finite in secondo piano. È soprattutto questo elemento a delineare il quadro: l´impiccagione della Bahrami è forse un segnale di debolezza del regime. La guida suprema Ali Khamenei ha deciso di usare il pugno di ferro con gli oppositori, e pugno di ferro continua a essere. Ma se persino a Teheran per andare all´esecuzione appare necessario usare un´accusa diversa, su fatti che anche all´estero sono un crimine, questo lascia pensare che la pressione internazionale si fa sentire anche in Iran.
E il regime la accusa, almeno a giudicare dalle ultime esecuzioni. È vero che i boia lavorano a tempo pieno (66 impiccagioni dall´inizio dell´anno), ma è anche vero che per giustiziare i dissidenti il governo di Ahmadinejad si preoccupa di trovare motivi diversi: è il caso di Jafar Kazemi e Mohammad Ali Hajaghai, incarcerati durante la protesta, e impiccati il 24 gennaio scorso con l´accusa di cooperazione con i mujaheddin del popolo, gruppo armato di opposizione al regime.
"La Stampa", 28/01/11
ALTO RISCHIO DI ESPLOSIONI, CHIESTA UN’ISPEZIONE URGENTE DELL’AIEA. TEHERAN: «TUTTO SOTTO CONTROLLO»
“L’Iran sull’orlo di una Cernobil”
Russia e Paesi arabi: un virus ha danneggiato la centrale di Bushehr
MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTEDANEWYORK
Russia ed Emirati del Golfo temono il rischio di una Cernobil 2 in Iran e premono su Teheran affinché consenta di ispezionare il reattore di Bushehr, danneggiato dal virus Stuxnet. A paventare il rischio di un disastro nucleare nel Golfo Persico simile a quello in Ucraina nel 1986 è l’ambasciatore russo alla Nato, Dmitry Rogozin, che ha proposto un’inchiesta congiunta russo-atlantica sulle reali condizioni di Bushehr, l’impianto atomico costruito proprio da tecnici moscoviti.
Il passo di Rogozin segue quello compiuto da più monarchie del Golfo presso l’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) al fine di inviare ispettori in Iran per appurare i danni arrecati agli impianti dal virus. Fonti diplomatiche a Vienna spiegano a La Stampa che il timore di Russia ed Emirati ha a che vedere con la possibilità che Teheran decida di attivare Bushehr sottovalutando i danni arrecati dal virus, andando così incontro al rischio di un incidente che potrebbe sprigionare radiazioni in tutto il Medio Oriente. Nel caso di Cernobil le nubi di radiazioni dall’Ucraina arrivarono fino alla Russia e all’Europa Occidentale.
Il virus Stuxnet ha colpito gli impianti iraniani alcuni mesi fa e, secondo una ricostruzione del New York Times , è il frutto della cooperazione fra le supersegrete task force cibernetiche di Stati Uniti e Israele - forse con la collaborazione di Gran Bretagna, Francia e Germania - che sono riuscite a confezionare un’aggressione digitale che avrebbe arrecato gravi danni, mettendo fuori uso parecchie centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.
Lo scenario di ispezioni internazionali a Bushehr ha spinto Ali Khamenei, leader supremo della Repubblica Islamica, a varare un piano per scongiurarlo. Da qui la decisione di affidare a Ali Akhbar Salahi, titolare dell’Agenzia atomica nazionale, il compito di convincere l’Aiea che «la situazione è del tutto sotto controllo» nonostante Stuxnet e che i tecnici iraniani «sono in grado di gestire la situazione senza rendere necessari interventi esterni». Al tempo stesso Khamenei ha ordinato a Mohammad Hosseini, ministro della Cultura, di coordinare una campagna di controinformazione per negare che Stuxnet abbia arrecato seri danni. Khamenei ha convocato Salahi e Hosseini spiegando loro che le priorità sono due: evitare ritardi nell’attivazione di Bushehr e scongiurare la diffusione di panico fra la popolazione civile per un possibile incidente nucleare.
L’obiettivo di Khamenei, osservano fonti vicine all’Aiea, sembra essere quello di continuare a smentire danni agli impianti per non dover discutere l’ipotesi di sostituire le strutture danneggiate. Il virus Stuxnet è stato progettato per colpire il sistema di controllo - inviando comandi che mandano fuori uso alcune componenti - e se gli ispettori dell’Aiea dovessero appurare quanto avvenuto dovrebbero mettere mano al software, ovvero venire a conoscenza dei segreti più gelosamente custoditi.
È da novembre che Salahi si oppone alle richieste dell’Aiea: prima negando che le centrifughe fossero state danneggiate e poi, dopo le frammentarie ammissioni del presidente Ahmadinejad, ribadendo la volontà di impedire all’Occidente «di penetrare i nostri impianti». La palla ora è nel campo dell’Aiea e l’intervento dell’ambasciatore russo alla Nato potrebbe portare a una richiesta congiunta di verifica sui danni di Stuxnet.
Usa e Israele hanno condotto una guerra cibernetica segreta «I danni sono seri»
"La Stampa", 23/01/11
COLLOQUI TRA TEHERAN E I 5+1
Nucleare iraniano nulla di fatto a Istanbul
ISTANBUL
Nessun risultato, nemmeno un accordo su un prossimo appuntamento: i due giorni di colloqui tra l’Iran e i rappresentanti dei 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) sul programma nucleare di Teheran si sono conclusi con un nulla di fatto. Catherine Ashton, responsabile della politica estera europea, ha parlato di «delusione»: dalla parte iraniana, secondo lei, sono venute «precondizioni inaccettabili». La porta però «resta aperta, se l’Iran risponde positivamente» alle proposte dei sei Paesi che «restano compatti».
La versione iraniana invece è che tutto si chiarirà in incontri successivi, dei quali però non sono stati fissati né il luogo, né la data. La responsabilità del fallimento viene attribuita da Said Jalili, capo negoziatore iraniano, al rifiuto della parte occidentale di «riconoscere i diritti» della Repubblica islamica ad avere il proprio ciclo di produzione di combustibile nucleare. Semmai, ha fatto presente Teheran, la discussione avrebbe dovuto vertere sul disarmo globale e il presunto arsenale nucleare di Israele. [P. DM.]
Undici anni all’avvocato della Ebadi Il marito vuole difenderla, arrestato
Articolo di P.DM. pubblicato su La stampa, il 17/01/11
"La Repubblica", LUNEDÌ, 17 GENNAIO 2011
NEW YORK - Altro che sanzioni. E stato il cyberattacco congiunto Usa-Israele ad allontanare di qualche anno l´incubo dell´atomica iraniana. L´ex capo del Mossad, Meir Degan, l´ha detto alla Knesset: «Teheran ha così tante difficoltà tecniche che non potrà costruire la bomba prima del 2015». Ma come: per Israele il rischio della nuclearizzazione degli ayatollah non era imminente? Non bisognava colpire con uno strike prima possibile? C´è strike e strike. E gli israeliani - con il grande aiuto degli amici americani - hanno già colpito. Solo che questa volta non sono serviti i bombardamenti del 1981 in Iraq e del 2007 in Siria. L´arma si chiama Stuxnet: il baco informatico che ha mandato in tilt le centrifughe per la produzione di uranio di Ahmadinejad.
La rivelazione non è nuova. E dall´autunno scorso che il virus viene considerato responsabile del rallentamento della produzione e che gli israeliani erano sospettati. Ma ora il New York Times svela il ruolo degli Usa. A partire dal piano messo a punto già da Bush e accelerato da quell´Obama che la destra metteva sotto accusa per le sue aperture di credito a Teheran - e intanto nei laboratori informatici dell´Idaho studiava come sabotare i computer controllers iraniani.
Sembra un film questa Operazione Stuxnet. Un film le cui prove si sono svolte a meno di duemila chilometri dalla centrale iraniana di Natanz. Nel deserto del Negev dove Israele custodisce «Il segreto peggio nascosto del mondo» - come dice il titolo del libro di Avner Cohen: e cioè il suo arsenale nucleare. Lì gli israeliani hanno testato sulle loro macchine l´efficacia del virus. E qui nel film si apre un flashback. Che cosa lega il nucleare iraniano e quello israeliano? L´utilizzo di P-1. Cioè quella piccola macchina per l´arricchimento dell´uranio che da 40 anni è l´oggetto del desiderio degli Stranamore del mondo. E che realizzata dagli olandesi fu rubata da un ingegnere pachistano che lavorava per loro: A. Q. Khan. L´uomo che venderà la bomba a Iran, Libia e Corea del Nord. Non è finita. Il film potrebbe avere ora un sequel visto che Stuxnet sarebbe capace di «addormentarsi» e poi «risvegliarsi».
"La Repubblica", MARTEDÌ, 11 GENNAIO 2011
Alla notizia la premio Nobel per la pace ha reagito sconvolta: «Hanno voluto punirla per aver lavorato con me e perché ha difeso tanti oppositori - dice al telefono la Ebadi - Nasrin non ha mai ceduto, non ha mai voluto rinunciare al suo lavoro». Ebadi, come i familiari dell´avvocato ed il suo difensore, non si aspettava una sentenza tanto dura: «Faremo appello, abbiamo venti giorni per farlo», ha subito annunciato al sito internet riformista Kaleme Reza Khandan, marito della donna. Ma è difficile pensare che i giudici di secondo grado vogliano rovesciare una sentenza dal senso politico tanto chiaro. Inoltre lo stesso Khandan è nel mirino delle autorità iraniane per aver denunciato l´arresto della moglie.
La sentenza contro Sotoudeh è l´ultimo atto della stretta che il regime iraniano ha messo in atto nei confronti di oppositori politici e difensori dei diritti umani dopo le proteste dello scorso anno: centinaia di persone secondo le stime di diverse organizzazioni internazionali sono ancora in carcere. Per alcune si teme la pena di morte. La stessa Ebadi ha scelto di non tornare nel suo Paese dopo una serie di minacce contro la sua persona e la sua famiglia: i suoi beni, compresa la somma di denaro ricevuta insieme al premio Nobel per la pace, sono stati sequestrati e il suo centro per la Difesa dei diritti umani chiuso. «Lo scopo di queste azioni - spiega la Nobel - è senza dubbio quello di terrorizzare la gente. Ma dobbiamo leggere la cosa anche in un´altra direzione: se il governo vuole spaventare è perché è spaventato. Teme il suo stesso popolo».
Sempre ieri a Teheran le autorità hanno arrestato un gruppo persone accusate di essere spie israeliane e aver lavorato per assassinare lo scienziato nucleare Masoud Ali-Mohamma, ucciso il 12 gennaio 2010 in un attentato.
http://www.corriere.it/esteri/11_gennaio_10/iran-smantellata-rete-spie-mossad_fdfe608c-1ca9-11e0-a4b5-00144f02aabc.shtml
L'assassinio dello studioso risale al gennaio dello scorso anno
L'Iran: "Distrutta rete di spie del Mossad"
L'annuncio della tv di Stato: il network era coinvolto nell'omicidio di uno scienziato nucleare iraniano
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TEHERAN- L'Iran ha arrestato un «network di spie» legate al Mossad, il servizio di intelligence israeliano, che sarebbe coinvolto nell'uccisione di uno scienziato nucleare iraniano avvenuta un anno fa. Lo ha annunciato la televisione iraniana senza aggiungere molti particolari a quello che è stato definito un annuncio del ministero dell'interno di Teheran.
L'OMICIDIO DELLO SCIENZIATO - «La rete di spie e terroristi collegati al Mossad - ha detto lo speaker leggendo un comunicato ufficiale - è stato distrutto. Il network era implicato nell'assassinio di Masoud Ali-Mohammadi». Mohammadi, scienziato operante in ambito universitario, era stato ucciso da una bomba in un attentato avvenuto nella Capitale il 12 gennaio del 2010. Non sono state ancora diramate conferme o smentite da parte del governo di Gerusalemme. Non è la prima volta che gli israeliani vengono accusati da Teheran di eliminare senza troppi scrupoli scienziati coinvolti nei progetti nucleari iraniani, da sempre invisi a gran parte del mondo occidentale, con appunto Israele e gli Usa in testa. A fine novembre i servizi segreti dei due Paesi erano stati ritenuti responsabili di un attentato in cui uno scienziato era morto e uno secondo era rimasto ferito.
Redazione online
10 gennaio 2011
L’Iran invita gli ambasciatori alla sceneggiata dei nucleare
Articolo di pubblicato su Il Giornale, il 05/01/11
Hey Obama, dov’è finita la carota?
Articolo di pubblicato su Il Foglio, il 05/01/11
"La Repubblica", LUNEDÌ, 03 GENNAIO 2011
La Sakineh che si è presentata l´altro giorno alla stampa nella sua casa di Tabriz non era infatti quella dal volto gentile, innocente, dallo sguardo mite e avvolta nel suo chador nero che ha commosso milioni di persone in tutto il mondo. Non aveva le sembianze di una vittima della brutalità di un regime integralista, non era l´eroina che appariva sulle pagine dei giornali, sugli schermi televisivi e sulle pagine web, mentre le sue gigantografie coprivano i palazzi pubblici e gli edifici municipali delle grandi metropoli occidentali.
Sakineh, seduta su una poltrona finto impero accanto al figlio Sajjad, con i vassoi di frutta e di dolci in primo piano sul tavolino di fronte a loro, ha rivendicato l´onore del suo Paese offuscato dalle menzogne raccontate sul suo conto dai giornalisti; portava un foulard marrone a fiori come qualsiasi donna iraniana moderna, si muoveva rilassata e nel suo sguardo si avvertiva a tratti un lampo di furbesca ironia.
Il più imbarazzato è sembrato invece Sajjad, il mingherlino figlio di Sakineh. Egli, figlio di una donna nanajib, disonorata, che di mestiere fa l´aiuto autista degli autobus di linea a Tabriz, aveva davvero sfidato i mullah e le antiche tradizioni della sua comunità difendendo la madre adultera accusata di aver assassinato il marito con la complicità dell´amante. Nessun maschio iraniano, nessun figlio nelle sue condizioni nel religiosissimo e tradizionalista Azerbaijan iraniano, avrebbe avuto tale coraggio. Ma anche il povero Sajjad, dopo mesi di carcere, ha dovuto cedere, ammettendo le colpe della madre, pur di salvarle la vita.
Dietro a questa tragica, a momenti però anche grottesca, storia iraniana ci sono intanto i sintomi e i segnali delle incertezze di un regime che fatica a gestire la propria immagine nel mondo. Dalle manipolazioni della figura di Sakineh e da come si è consumata ed è stata gestita la sua vicenda da parte delle autorità è evidente l´impaccio del regime di fronte a un tipico caso che per trent´anni è stato in grado di risolvere a suo modo, senza alcun clamore: decine e decine di donne adultere in Iran sono state periodicamente lapidate nell´assoluto silenzio dei media mondiali. Le lapidazioni erano state sospese durante la presidenza del riformista Khatami, ma riprese successivamente con l´arrivo di Ahmadinejad. Sakineh diviene improvvisamente e con profonda sorpresa del regime una questione internazionale: il simbolo delle contraddizioni della Repubblica islamica, un ulteriore motivo del suo isolamento e un nuovo stimolo per la società civile iraniana nella difesa dei diritti. Il caso di Sakineh scoppia quando è in corso la brutale repressione ai danni del Movimento verde e riporta l´Iran al centro dell´attenzione mondiale.
Dalle reazioni pubbliche di Teheran sul caso di Sakineh si è manifestato inoltre un duro scontro tra il governo (la diplomazia dell´ex ministro degli Esteri Mottaki) e gli ambienti ultraconservatori vicini all´Ayatollah Khamenei. Se Keyhan, il giornale legato alla Guida della rivoluzione, definiva la consorte del presidente francese «una prostituta che difende un´altra prostituta», il portavoce del ministero degli Esteri si scusava con la presidenza francese sostenendo che Keyhan non riflette le posizioni del governo.
Con ogni probabilità le odierne messe in scena del caso Sakineh sono il risultato di un compromesso tra il governo e il leader supremo: salviamola, trasformandola tuttavia in un strumento di scherno dei nostri "nemici".
"La Repubblica", LUNEDÌ, 03 GENNAIO 2011
Ad aprire è stato ieri Malek Ajdar Sharifi, responsabile dell´apparato giudiziario della provincia dell´Azerbaijan orientale dove Sakineh è detenuta. «Tutto è possibile», ha detto a un giornalista che chiedeva se la sentenza di lapidazione potesse essere annullata senza però precisare se Sakineh rischi tuttora l´impiccagione. Il giorno prima ad accusare la donna era stato proprio il figlio, Sajjad Ghaderzadeh, lo stesso ad avere rivolto accorati appelli alla comunità internazionale. «Considero mia madre l´assassina di mio padre insieme a Issa Taheri (il suo presunto complice e amante, ndr)», ha detto chiedendo però clemenza. Arrestato il 10 ottobre insieme all´avvocato Hutan Kian e a due giornalisti del domenicale tedesco Bild am Sonntag, Marcus Alfred Rudolf Hellwig e Jens Andreas Koch, sarebbe stato rilasciato il 12 dicembre dopo che - stando alle sue dichiarazioni in conferenza stampa - un parente avrebbe pagato una cauzione di 400 milioni di rial, 40mila dollari. E contro i due giornalisti tedeschi in carcere da oltre due mesi si è scagliata invece Sakineh, dopo aver avuto il permesso di lasciare il carcere una sera per cenare con i figli a Capodanno. «Ho detto a Sajjad di querelare coloro che hanno disonorato me e il mio Paese», ha detto riferendosi ai «due tedeschi», al suo ex-avvocato Mohammad Mostafaei e a Mina Ahadi del Comitato internazionale contro la lapidazione. «Voglio dire a coloro che vogliono strumentalizzarmi [...] lasciatemi in pace. Perché volete disonorarmi?», ha aggiunto alla presenza di agenti di sicurezza, mentre ai giornalisti non era consentito fare domande. «Sono venuta - ha precisato - dinanzi alle telecamere di mia volontà», ma è difficile, come ha osservato il ministero degli Esteri tedesco, non dubitare delle dichiarazioni di madre e figlio come l´ennesima messa in scena voluta dal governo iraniano. Iniziativa giudicata «sorprendente» dalla Bild am Sonntag che ieri ha pubblicato un appello a favore dei suoi reporter siglato da un centinaio di personalità, tra cui ministri, sportivi come Michael Schumacher e scrittori come il Nobel Herta Müller.
"La Stampa", 3/01/10
TEHERAN RILANCIA LA SFIDA AGLI USA
I pasdaran: “Abbiamo abbattuto droni-spia”
I Guardiani della Rivoluzione «Possiamo colpire le forze americane»
TEHERAN
I Guardiani della rivoluzione iraniani hanno voluto lanciare un segnale della loro potenza, affermando di avere abbattuto, in un arco di tempo non precisato, «diversi» dronispia occidentali, di cui due sul Golfo. «È la prima volta che lo rendiamo noto», ha detto il comandante delle forze aeree dei Pasdaran, Amir Ali Hajizadeh, citato dall’agenzia Fars, senza precisare quando questi episodi sono avvenuti né a quali Paesi appartenessero i velivoli.
L’annuncio arriva nel giorno in cui il Washington Post ha riferito che le forze armate Usa stanno per dispiegare in Afghanistan un nuovo tipo di drone da ricognizione che permetterà di sorvegliare un teatro di operazioni assai più vasto di quanto avvenuto finora. L’alto ufficiale iraniano ha anche avvertito che la Repubblica islamica è in grado di lanciare un contrattacco verso le forze americane nella regione. [P. DM.]
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 30 DICEMBRE 2010
Nel dispaccio diplomatico la fonte iraniana sostiene anche che la sospensione della riunione del Consiglio venne citata in alcuni blog dell´opposizione ma senza accennare allo schiaffo che l´aveva provocata. Lo scontro fra il presidente iraniano e il capo della Guardia rivoluzionari sarebbe andato avanti nei mesi successivi. Il cable sullo schiaffo ricevuto da Ahmadinejad venne scritto l´11 febbraio del 2010. In quella data la fonte assicurava gli americani che le cose andavano «di male in peggio» nel suo Paese. «Credo che la situazione di proteste e instabilità non possa continuare a lungo e prevedo che le circostanze avranno un ulteriore sviluppo e una nuova fase».
Secondo le fonti, considerate dai servizi italiani «di una certa affidabilità», i miliziani avevano in dotazione mitragliette Ak-47, lanciagranate e mortai, che tenevano in due sedi poco lontane dai ponti, nel centro della città. In realtà l´8 aprile la prima "battaglia dei ponti" era già cominciata: il rapporto dell´intelligence era palesemente stato redatto prima di quella data. A far scoppiare gli scontri per il controllo della città era stato il fallimento dei colloqui fra il comando italiano, il governatore della provincia di Dhi Qar e gli emissari dell´esercito del Mahdi, la milizia sciita guidata dal mullah Sadr. Ma in realtà l´attacco agli italiani era nato dallo scontro generalizzato fra sciiti e truppe Usa, dopo il rifiuto di Moqtada di riconoscere l´Autorità provvisoria insediata dagli americani a Bagdad. Proprio il 5 aprile il proconsole Usa Paul Bremer aveva definito «fuorilegge» il religioso sciita.
Proprio durante gli scontri di Nassiriya, in agosto, i militari italiani aprirono il fuoco contro un´ambulanza uccidendo quattro persone: l´agenzia Ansa ha rilanciato la storia dopo avere avuto accesso alla sentenza del 2007, con cui il giudice Antonio Lepore ha assolto due Lagunari accusati di omicidio plurimo. Secondo la sentenza, l´ambulanza era dotata degli «usuali contrassegni e dispositivi luminosi», della Mezzaluna Rossa. In altre parole, rappresentava «un pericolo in concreto insussistente», e arrivava da una parte del ponte da cui non si «sparava sugli italiani». In ogni caso, i militari accusati hanno agito «in stato di necessità militare», dice il dispositivo, perché avevano fatto una valutazione «erronea quanto incolpevole».
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Diritti umani in Iran, l’allarme dell’Onu
Articolo di C. Zec. pubblicato su Corriere della Sera, il 23/12/10
"La Stampa", 21/12/10
Intervista
“Vogliono schiacciare il dissenso”
Il legale di Sakineh: regime paranoico
GIORDANO STABILE
«Ci siamo noi in prima linea. Ci siamo battuti per i diritti dei più deboli, degli analfabeti condannati senza nemmeno poter capire che c’era scritto nella sentenza. Per le donne oppresse da norme medievali, per i minorenni destinati alla forca. Ma adesso, ad uno ad uno, sono gli avvocati, gli attivisti dei diritti umani, che finiscono nelle galere. Che vengono torturati, o seppelliti vivi, senza possibilità di difesa. Come Nasrim Sotoudeh, che è al centodecimo giorno di sciopero della fame a Evin, il peggior carcere della repubblica islamica». Mohammad Mostafaei è il legale di Sakineh. Era, anzi, perché dopo essere stato condannato a sei anni, in contumacia, l’11 novembre scorso, non è più potuto tornare in Iran dalla sua assistita. La sua colpa è stata denunciare in una intervista alla tv Deutsche Welle l’amputazione della mano a cinque condannati per rapina. Era il 24 luglio scorso. La sera stessa hanno arrestato sua moglie e suo cognato. Lui è riuscito a fuggire. Da poco la Norvegia gli ha riconosciuto lo status di rifugiato politico. È in Italia per un giro di conferenze, con l’aiuto di Amnesty International, Iran Human Rights e altre associazioni che difendono i diritti umani. Perché adesso nel mirino ci sono i dissidenti, anche famosi come Panahi? «I dissidenti, gli artisti, gli avvocati attivisti per i diritti umani, come Sotoudeh, hanno cercato di infilarsi nelle contraddizioni del regime. Noi legali abbiamo battuto le carceri per anni, per difendere i più deboli, in primis i minorenni condannati a morte, una vergogna. Ma ora il governo, anche per i casi come quello di Sakineh che abbiamo contribuito a far emergere, ci teme. Sta diventando paranoico». Che ha pensato quando ha visto Sakineh alla tv di Stato iraniana, Press tv, nella casa dove è stato ucciso suo marito, a confessare davanti alle telecamere? «Penso che sia stata una raffinata forma di tortura. Partiamo dal fatto che Sakineh è stata costretta a sposare un uomo molto più anziano di lei, Ebrahim Ghaderzade, violento, brutale, che voleva costringerla a prostituirsi. Ha fatto l’errore di confidarsi con un parente del marito, un certo Eisa, che ha architettato l’omicidio. Lei ha partecipato marginalmente, somministrando di nascosto un sonnifero al marito. Eisa l’ha ucciso con scariche elettriche. Ora Eisa è libero, e nella ricostruzione in tv non c’era nemmeno. C’era il figlio di Sakineh, Sajjad, che però faceva la parte del padre. Perché? Perché nel processo si è schierato dalla parte della madre e per questo ora è in carcere. Vogliono costringerlo a cambiare versione, facendo leva sui sensi di colpa, facendolo identificare con il padre». E perché Eisa, il presunto amante di Sakineh, non è in carcere? «Perché non essendo sposato, non può essere condannato per adulterio. È l’adulterio quella che conta nel caso di Sakineh. È la logica della sharia che distorce tutto». Il regime però sottolinea l’indipendenza della magistratura. «L’ordinamento giudiziario iraniano soffre di profonde contraddizioni. È schizofrenico. Per i delitti comuni il sistema di garanzie è sulla carta equilibrato. Ma il giudizio arriva in base alla sharia, quindi discrimina a priori, per esempio, le donne. Poi ci sono tutta una serie di reati che attengono alla “sicurezza pubblica” perseguiti senza nessuna garanzia dalle forze di repressione, in definitiva dai pasdaran. Carcerazioni preventive, arresti senza mandato del giudice, condizioni di detenzione disumana, torture fisiche e psicologiche sono il corollario del sistema».
Le capita di aver paura? «Non avevo paura quando ero in Iran, a portata di mano dei Pasdaran».
Mohammad Mostafaei Mohammad Mostafaei ha partecipato al movimento dell’Onda verde nel 2009 e difeso decine di minorenni Ora è rifugiato in Norvegia
"La Stampa", 21/12/10
IL PRESIDENTE AHMADINEJAD PUNISCE IL CINEMA DI OPPOSIZIONE.
IL MONDO DELLO SPETTACOLO SI MOBILITA: «UNO SCANDALO»
Carcere e censura per il regista Panahi
Iran: sei anni di prigione e venti d’interdizione dal cinema con il divieto di espatrio
ALBERTO SIMONI
«Ha agito contro il sistema, ha fatto propaganda e ha partecipato a manifestazioni contro il governo». Tanto è bastato a un tribunale iraniano per condannare a sei anni di prigione il regista Jafar Panahi. Mano pesante quindi della Corte che alla detenzione aggiunge una sfilza di divieti e limitazioni: Panahi non potrà scrivere sceneggiature, girare film e lasciare la Repubblica islamica per i prossimi 20 anni.
Tocca al suo avvocato, Farideh Gheyrat, comunicare la sentenza, definirla «pesante» e ricordare che avrà a disposizione 20 giorni per presentare appello. Con Panahi è stato condannato alla stessa pena, e per gli stessi reati, Mohammad Rasoulof, un altro regista anch’egli arrestato in marzo.
Il cineasta, Leone d’Oro a Venezia nel 2000 con «Il Cerchio», era da tempo nel mirino del regime iraniano. Era stato uno dei grandi sostenitori di Mir Hossein Moussavi, il candidato dell’opposizione ad Ahmadinejad attorno al quale aveva trovato forza e respiro la rivolta popolare, l’Onda verde, dopo le elezioni del giugno del 2009. In marzo era stato arrestato e tenuto in prigione per 88 giorni durante i quali aveva iniziato uno sciopero della fame. Prima dell’arresto, in febbraio, il regime gli aveva vietato di partecipare alla Berlinale; in seguito gli era stato ritirato il passaporto per cui fu costretto a saltare anche il festival di Cannes, dove i giurati ne avevano fatto una sorta di «giudice virtuale» e una sedia vuota ne simboleggiava l’assenza fisica ma allo stesso tempo la «presenza».
Arrestato con la moglie già un prima volta nel luglio del 2009 in un cimitero di Teheran dove partecipava a una commemorazione di Neda Agha Soltan, la giovane uccisa durante le proteste seguite alle presidenziali, Panahi è diventano uno dei simboli del dissenso contro il governo di Ahmadinejad. Una posizione che ha difeso strenuamente e che gli è costata il divieto a partecipare alle maggiori kermesse del cinema. Nell’ottobre del 2009 il regime gli negò il visto e non poté partecipare al Festival di Mumbai dove doveva fare parte della giuria. Dopo il rilascio a maggio, Panahi non aveva più potuto lasciare l’Iran. Invitato lo scorso settembre alla Mostra di Venezia dalla Giornate degli Autori che ha proposto in anteprima mondiale il suo corto The Accordion, il regista in collegamento telefonico disse: «Non so perché c’è questo accanimento del governo iraniano contro di me, forse perché sono un regista che fa film per la gente e per la società, e le autorità non amano questo».
Immediata la reazione del mondo dello spettacolo alla notizia della condanna del regista. Da Cannes, gli organizzatori del Festival, si dicono pronti a mettere in piedi un comitato per sostenere un «regista scomodo» per il regime.
Il cineasta è stato arrestato più volte «Non capisco questo accanimento»
Ahmadinejad cambia ancora Una donna vicepresidente
Articolo di pubblicato su Giorno/Resto/Nazione, il 21/12/10