NUCLEARE? NO, GRAZIE!

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"La Stampa", 03 Aprile 2008, pag. 24

Le aziende hanno tecnologie e mezzi per i piani di rilancio del settore

L’Italia è già pronta all’atomo da export

La storia

Luigi Grassia

Centrali nucleari italiane in Albania? Se la proposta di Giulio Tremonti di costruirne alcune per poi importare l’elettricità da noi attraverso l’Adriatico verrà resa attuale da una vittoria del centrodestra alle urne, l’industria italiana del settore è prontissima a mettersi all’opera. Il possibile futuro ministro dell’Economia ha lanciato lo slogan «delocalizzare il nucleare», ma l’intera operazione è condizionata dalla capacità dei gruppi italiani dell’atomo di fare la loro parte realizzando gli impianti necessari. Ebbene, su questo non ci sono dubbi: nonostante il blocco dopo l’incidente di Cernobil e il referendum del 1987, le imprese italiane dell’atomo hanno continuato a progettare, costruire, gestire e smantellare centrali in diversi Paesi stranieri, non hanno mai smesso di fabbricare ed esportare componenti (persino negli Stati Uniti) e si sono tenute aggiornate cooperando alle ricerche di punta a livello internazionale.
Per quanto riguarda la progettazione e la costruzione, il gruppo Ansaldo ha ricostituito nel 2005 una sua società che si chiama Nucleare, guidata da Giuseppe Zampini, con circa 200 ingegneri e tecnici; a parte qualcuno aggregatosi nel frattempo, questi signori sono essenzialmente i superstiti dei 1.700 e passa che lavoravano all’atomo in Ansaldo quando il referendum provò a spegnere la fiammella nucleare italiana; insomma duecento «carbonari» dell’atomo impegnati a svolgere un’attività lecita ma semi-clandestina, quasi sperando che non se ne parlasse per non suscitare polemiche nell’opinione pubblica. Ansaldo in tutti questi anni ha costruito centrali all’estero e il suo lavoro più ambizioso di questo genere è stato realizzato a Cernavoda in Romania. In collaborazione con Westinghouse e General Electric ha costruito e sta costruendo reattori ovunque nel mondo, anche in Cina - che al momento è il Paese con il programma atomico più imponente. E non bisogna credere che Ansaldo Nucleare si limiti a tirare a campare utilizzare le eccellenze tecnologiche altrui: è addirittura capofila del progetto pan-europeo di impianti di terza generazione raffreddati a piombo fuso, ed è entrata pure nel programma mondiale per lo studio della quarta generazione e nel “nuovo nucleare” a fissione di Carlo Rubbia. Fra le attività in cui Ansaldo ha esperienza rientra lo smantellamento, e suo fiore all’occhiello è la collaborazione della messa in sicurezza delle stessa Cernobil post-incidente. Quanto a competenze, insomma, non le manca nulla, anche se una strozzatura alla sua (ri)crescita potranno rivelarsi i pochi laureati in ingegneria nucleare che ha sfornato l’Italia in questi anni di «magra» atomica.
Un altro operatore importante è la Ansaldo Camozzi, cioè la parte di Ansaldo che è stata rilevata dal gruppo Camozzi di Brescia. Questa società nata da una costola di Finmeccanica produce ed esporta in tutto il mondo generatori di vapore per i reattori ad acqua pressurizzata, e da Sesto San Giovanni nello stabilimento ex Breda produce ed esporta macchinari nucleari soprattutto verso gli Stati Uniti. Componenti essenziali per le centrali nucleari vengono fabbricate anche dalla Techint della famiglia Rocca. Pure la milanese Edison si prepara a un futuro nucleare, se non altro da quando è partecipata dalla francese Edf (equivalente francese dell’Enel ma su scala più grande) che è il numero uno europeo e forse mondiale nella gestione degli impianti atomici. Edison qualche mese fa aveva proposto di costruire in Italia fra le cinque e le dieci centrali nucleari per avere la prima pronta a funzionare nel 2019: era sembrata quasi una boutade, ma più tempo passa e più del ritorno al nucleare si discute sul serio.

Il peso massimo dell’atomo italiano fuori dai confini è sicuramente l’Enel. Attraverso un’acquisizione totalitaria dispone di 4 reattori in Slovacchia più due in costruzione e in Spagna è azionista principale (con Acciona) della compagnia Endesa che ha 9 reattori in due siti. Enel si candida anche alla gestione di Cernavoda in Romania. In Francia il gruppo di Fulvio Conti collabora con Edf all’impianto nucleare di terza generazione Epr a Flamanville. E tratta con la russa Rosatom per costruire impianti nucleari nella stessa Russia e in Europa orientale. Un po’ di nucleare anche in Albania non sarebbe poi così stravagante.

Shopping russo
Severstal corteggia Finmeccanica

L’ingresso dei russi di Severstal in Ansaldo Energia (la controllante di Ansaldo Nucleare) sarebbe stato discusso ieri a Mosca dal presidente e a.d. di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, in Russia con la delegazione di top manager italiani che ha incontrato Putin. Nel Paese sta per essere lanciata una gara per all’ammodernamento delle vecchie centrali elettriche ereditate dall’Unione sovietica. Il problema della Severstal, come di qualunque altro gruppo russo, è che non è facile trovare nei confini nazionali le competenze tecnologiche necessarie, e la scorciatoia trovata dall’oligarca Alexei Mordashov è di comprare quote di imprese italiane in cui quelle competenze siano già bell’e pronte. Di Ansaldo Energia la Severstal vorrebbe il 30 o 40%. Allo stesso scopo i russi hanno messo gli occhi sulla Sofinter, o meglio sulla sua divisione Macchi di Fagnano Olona e sull’Ansaldo Caldaie di Gioia del Colle. Se Severstal entra in queste società, e grazie al loro apporto vince il maga-contratto in Russia, ci sarà in Italia un forte ritorno di commesse. Severstal nel nostro Paese ha già comprato le attività Lucchini a Brescia e a Piombino.

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Centrale nucleare di Krško

Centrale nucleare di Krško

Nei suoi trent'anni di vita la centrale di Krško non ha mai dato problemi, salvo un lieve incidente nel 2008. Il premier sloveno Pahor ora vorrebbe rilanciare con un altro reattore: interessata la regione Friuli Venezia Giulia, contraria l'Austria e l'esiguo movimento antinucleare sloveno

La Centrale nucleare di Krško più che un motivo di preoccupazione per la popolazione slovena resta un motivo di vanto, un simbolo del grado di progresso che la repubblica riuscì a raggiungere nella Jugoslavia comunista. Il progetto sulla carta partì nel 1970 e venne realizzato in collaborazione con Zagabria, che resta comproprietaria dell’impianto. La costruzione vera e propria ebbe inizio nel 1975. Nel 1981 fu fatto partire il reattore, ma la centrale venne formalmente inaugurata nel 1983.

Nonostante la Jugoslavia fosse un Paese comunista la scelta non cadde sulla tecnologia sovietica, ma su quella americana della Westinghouse. Fu installato così un reattore di seconda generazione del tipo PWR (Pressurized Water Reactor).

Una struttura, precisano oggi gli esperti nucleari sloveni, molto più sicura di quelle della centrale di Fukushima. L’impianto, infatti, ha una decina d'anni in meno rispetto a quello giapponese e proprio in quel periodo sarebbero stati fatti passi da gigante in materia di sicurezza nucleare.

Quello di Krško è un reattore a doppio circuito di raffreddamento; ha una camera di contenimento del vapore molto più ampia rispetto a quelli dei reattori saltati della centrale giapponese e sistemi di sicurezza all’avanguardia. La centrale è collegata direttamente ad una termo centrale, che in caso di problemi le fornirebbe in maniera prioritaria l’energia elettrica necessaria per far funzionare le pompe. L’impianto dispone inoltre di due motori diesel capaci ognuno di fornire da solo la corrente necessaria e se ciò non bastasse sarebbe il vapore stesso generato dal calore a mettere in funzione il circuito di raffreddamento.

Rischi e misure di sicurezza

Subito dopo l’incidente in Giappone in Slovenia ci si è premurati di precisare che a breve l’impianto sarà dotato di un altro motore diesel, mentre verranno innalzati gli argini che difendono la centrale dalle possibili inondazioni del fiume Sava.

Vista la sua collocazione il rischio non è quello del maremoto, ma semmai quello dell’esondazione del fiume. Dal punto di vista sismico, invece, la centrale sarebbe in grado di reggere le eventuali scosse massime previste per quella zona, mentre, in caso di incidente nucleare, tutte le misure di sicurezza sono già predisposte e nel Paese esistono sufficienti scorte di iodio da distribuire celermente alla popolazione.

L'impianto sloveno dovrebbe rimanere in funzione fino al 2023, ma si sta seriamente valutando di allungargli la vita di altri vent'anni, facendolo chiudere nel 2043, dopo sessant'anni di onorata carriera.

Un nuovo reattore con partecipazione italiana?

Intanto si sta facendo strada anche l'idea di costruire un nuovo reattore. Lo stesso premier Borut Pahor ha precisato, anche in questi giorni, di essere un sostenitore del nucleare, mentre l'ipotesi di raddoppiare la centrale sembra piacere molto anche al governatore del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, che si sta adoperando per una partecipazione italiana all'eventuale progetto.

La questione dell'energia è un argomento che resta in primo piano sia in Slovenia sia in Italia sia nel resto d’Europa. Lubiana è alle prese anche con un altro progetto dal discutibile impatto ambientale: l'ampliamento della termo-centrale di Šoštanj, che consentirebbe di fornire una parte dell'energia di cui la Slovenia ha bisogno, ma costerebbe un sacco si soldi e farebbe salire la quota slovena delle emissioni nocive rilasciate nell'atmosfera.

Il ministro per l’Ambiente Roko Žarnić, di fronte ai timori sull’impiego del nucleare, ha commentato con una domanda retorica: “Continuare con la termo-centrale o con il nucleare. Di cosa abbiamo più paura, dei rischi della contaminazione o di qualcosa che lentamente distrugge l’atmosfera?”.

L'Austria contraria alle centrali

Se gli sloveni comunque non hanno dubbi sulla sicurezza del loro impianto, meno convinti paiono essere gli austriaci, che stanno ingaggiando una vera e propria guerra contro le centrali nucleari dell'Europa dell'Est. Il consiglio regionale della Carinzia ha persino minacciato che avrebbe chiesto al governo austriaco di porre il veto sull'adesione della Croazia all'Unione europea se la centrale slovena, di cui è proprietaria al 50%, non verrà chiusa.

Ovviamente in Slovenia c’è chi storce il naso vedendo mettere la propria centrale nello stesso calderone con quelle di produzione sovietica. Soprattutto sembra difficile accettare che si metta in discussione l’efficienza dei controlli sloveni. La centrale del resto in quasi trent’anni di attività non ha fatto registrare nessun incidente o quasi.

L’avaria più grave, ovvero quella che ha avuto maggior impatto mediatico, risale al 2008. All’epoca ci fu una perdita d’acqua dal sistema di raffreddamento primario, ma non ci fu alcuna fuga radioattiva all’esterno e l’impianto fu riavviato dopo alcuni giorni, tanto che l’evento fu classificato di livello 0 nella scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici.

Simili incidenti, ha sottolineato all’epoca un esperto nucleare sloveno, avvengono ogni mese in Europa. La comunicazione spedita alle preposte autorità ha però fatto scattare il sistema d’allerta europeo e messo in subbuglio tutto il continente, suscitando qualche dubbio sulle modalità con cui le autorità slovene hanno avvisato la comunità internazionale e soprattutto i vicini.

Gli antinuclearisti sloveni

Al di là dell’orgoglio nazionale, comunque, anche in Slovenia esiste un movimento antinucleare. La scorsa settimana una ventina di attivisti di Greenpeace hanno manifestato nel centro di Lubiana, ponendo l’accento sui pericoli del nucleare e sottolineando che la centrale di Krško sta in una zona sismica. Appelli per l’abbandono del nucleare sono stati lanciati anche da altri gruppi ecologisti e dai verdi. Tutti vorrebbero che la centrale venisse chiusa al più presto.

A livello politico non sembrano raccogliere troppi consensi, anche se non mancano autorevoli esponenti che sembrano voler riprendere le vecchie battaglie del passato. Franco Juri, diventato alcuni mesi fa capogruppo di Zares, ha riempito la sua pagina Facebook con notizie sulle energie rinnovabili.

La sua militanza politica d’altronde iniziò nella Lega della gioventù, che negli anni Ottanta, tra le mille battaglie per la democratizzazione della società, puntò anche sull’ecologia e mise per la prima volta nell’allora Jugoslavia in dubbio l’uso dell’energia nucleare. Oggi, però, pochi nel suo governo ed anche nel suo partito sembrano pronti a intraprendere questa crociata.

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Russia e Usa: «Stress test comuni sulle centrali»

 

Russia e Usa hanno deciso di tenere degli "stress test" comuni su tutte le centrali nucleari in attività: lo ha annunciato Sergei Kirienko, capo di Rosatom, l'agenzia nucleare russa. «Abbiamo concordato di cooperare su questa questione», ha riferito Kirienko incontrando i rappresentanti dell'industria nucleare Usa a Washington. La cooperazione, ha spiegato, riguarderàsia i requisiti dei controlli sia la reciproca collaborazione di esperti, nonché la partecipazione di specialisti nelle reciproche verifiche. Kirienko ha sottolineato che Russia e Usa hanno una particolare responsabilità nel mondo perché è in questi Paesi che si è sviluppata l'energia nucleare ed è in questi Paesi che si trovano le centrali più numerose e potenti. Egli ha sottolineato che la tragedia di Fukushima «ha indotto il settore nucleare a far proprie alcune lezioni, la più importante dell e quali è il rendersi conto che la condizione di base per lo sviluppo dell'energia nucleare è fornire informazioni e la garanzia assoluta di sicurezza per lapopolazione ad ogni livello di condizioni naturali, tecniche ed umane». «Ma la cosa più importante che oggi vorrei dire - ha proseguito Kirienko - è che queste azioni e queste decisioni non possono avere il carattere di misure individuali: l'energia atomica è globale».
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Chissà perché il cavernicolo è uscito dalle caverne

 

Il mio pensiero ed alcune considerazioni già sottoposte ad alcuni operatori dell’informazione di cui chiedo ai lettori di formarsi una opinione sugli sviluppi degli accadimenti di Fukuiama e delle scelte energetiche di scenario future per tutti i Paesi e segnatamente oggi per il Giappone, che è anche il più grande importatore di GNL e con il maggior numero di rigassificatori al Mondo, a causa della sua insularità.

In Italia invece abbiamo 6 (diconsi sei) canne del gas che insieme ai rigassificatori possono darci 80 miliardi di mc anno e pertanto non abbisognamo di ulteriori rigassificatori perché nel consumo del gas dovremmo dimagrire: siamo il solo Paese al Mondo che produce oltre il 50% dell’elettricità con il gas.

 

Oggi in Europa la prima fonte per la produzione dell’elettricità è il nucleare e la seconda è il carbone.

 

I Paesi più spreconi nella produzione d’elettricità col gas sono:

 

-Italia___________50%

-USA___________20%

-Gran Bretagna___20%

-Germania_______10%

-Francia__________5%

 

Una fotografia sui

Consumi elettrici

 

-Giappone__1’100 TWh anno

-Germania____640 TWh anno

-Italia________340 TWh anno (compresi 29 TWh importati da nucleare)

 

di cui dobbiamo tenerne conto se qualche irresponsabile vuole spegnere il nucleare con la facile fuga in avanti verso le fonti impossibili.

 

Arriviamo alle considerazioni sul rischio.

Nella prefettura di Fukushima il sisma ha causato il crollo di una diga, ma la notizia è quasi passata sotto silenzio, perché l’attenzione dei media europei si è subito focalizzata solo sulle installazioni nucleari.

Non parliamo poi della distruzione e incendi sviluppatisi in due raffinerie e di tutte le sostanze sversate a causa dello tsunami e di cui nessuno sembra abbia messo nel tragico conto.

 

-Chiedere la chiusura di tutte le strade italiane perché negli ultimi vent’anni per incidenti stradali sono morte circa 140′000 persone, ferite 450′000 persone e ferite con danni permanenti circa 250′000 persone?

 

-Chiedere la chiusura di tutti gli aereoporti perché nell’anno 1977 nell’incidente fra due Boeing perirono 583 persone?

 

-Chiedere la chiusura di tutti gli invasi per la produzione idroelettrica rinnovabile perché in una sola volta al Vajont perirono 2′000 abitanti a Longarone, Erto e Casso?

 

-Chiudere le attività industriali perché annualmente si verificano 1’300 infortuni mortali?

 

-Chiudere infine l’elettronucleare?

 

Questa è la ricetta che certuni vogliono propinare al Giappone?

 

Attenzione! Quella che oggi riconosciamo come democrazia nel campo occidentale potrebbe diventare un ricordo, a fronte dei problemi sociali che, inevitabilmente, una carenza negli approvvigionamenti energetici trascinerà ovvero una preoccupante disoccupazione per non parlare poi dell’approvvigionamento alimentare.

Senza energia si mangerà poco e male e si vivrà ancora peggio.

 

Mandi,

Renzo Riva

 

C.I.R.N. F-VG – Comitato Italiano Rilancio Nucleare

E

P.L.I. F-VG – Energia e Ambiente

 

renzoslabar@yahoo.it

http://renzoslabar.blogspot.com/

349.3464656

2011.03.16  Renzo Riva  Partito Liberale  Energia e Ambiente

s.i.p.  Renzo Riva      Via Avilla, 12/1    33030 BUJA (UD)      renzoriva@libero.it      Mob.Tel.: +39. 349.3464656

Roberto Scaruffi

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"La Repubblica", GIOVEDÌ, 24 MARZO 2011

Pagina 25 - Cronaca
 
La nube radioattiva ora è sull´Italia: "Ma i rischi per la salute sono minimi"
Centrali, ok alla moratoria. Referendum, alle urne 12 e 13 giugno
Il disastro del 1986 spinse le particelle a diversi chilometri di quota, oggi entro i mille metri
Il pericolo sanitario si è diluito lungo il cammino dal Giappone all´Europa
 
ANTONIO CIANCIULLO
ROMA - Palazzo Chigi ha ufficializzato il colpo di freno sul nucleare («un´opportuna moratoria di almeno un anno così da pervenire a decisioni ponderate e serene, non condizionate dall´emotività del momento») appena prima dell´arrivo della nube di Fukushima. La massa d´aria, caricata di radionuclidi dall´agonia del reattore giapponese, sorvolerà oggi l´Italia seminando un´inquietudine che appare legata al ricordo di Chernobyl e all´incertezza del presente più che a una minaccia reale. Il pericolo sanitario si è infatti diluito lungo il cammino ma il rischio associato alle politiche energetiche della maggioranza è più che mai presente. Tanto che il governo, in tempi di tagli draconiani, ha deciso di spendere più di 300 milioni di euro per tenere i referendum su nucleare, privatizzazione dell´acqua e legge sul legittimo impedimento lontani dalle amministrative sperando nel mancato raggiungimento del quorum (si voterà il 12 e 13 giugno).
In un paese che sta perdendo fiducia nel futuro anche l´ombra di una minaccia fa paura. Così, per tranquillizzare chi ha ancora negli occhi il dramma del 1986 che tolse il latte e le verdure a foglia larga dalla nostra tavola, il ministro della Salute Ferruccio Fazio e le associazioni dei medici hanno dovuto ripetere l´appello a stare tranquilli: «Problemi di sicurezza per la nube non ce ne sono».
Il remake della catastrofe ucraina non è possibile innanzitutto per le distanze in gioco. Se da Roma pigliamo un aereo per Tokyo voliamo per 10 mila chilometri, ma la nube ha fatto un percorso molto più lungo. Ha seguito i venti che l´hanno spinta verso il Pacifico. Ha attraversato l´oceano ed è arrivata già indebolita in America. Poi ha superato gli Stati Uniti e l´Atlantico continuando a perdere progressivamente per strada il suo carico radioattivo. In Italia arriva sfiancata da un viaggio di 30 mila chilometri.
«È un tragitto lunghissimo se teniamo presente che solo una particella su mille miliardi riesce a superare il percorso tra il Giappone e gli Stati Uniti», ricorda il climatologo dell´Enea Vincenzo Ferrara. «Inoltre in questo caso entrano in gioco altri due fattori. Il primo è la quantità di radioattività emessa a Fukushima che è mille volte inferiore a quella prodotta a Chernobyl. Il secondo è l´altezza della colonna dei fumi: il disastro del 1986 spinse le particelle a diversi chilometri di quota, questa volta sono restate entro i mille metri, quindi con un raggio d´azione ridotto».
La geografia ha rovesciato i ruoli e questa volta è Tokyo che si trova costretta a rivivere le preoccupazioni che sconvolsero l´Europa 25 anni fa: i bambini della capitale che non possono bere l´acqua del rubinetto, la lista nera degli alimenti, i prodotti giapponesi guardati con sospetto in tutto il mondo. E il dramma non si è ancora concluso, tanto che l´assessore alla Salute del Comune di Milano, Giampaolo Landi, dopo aver attivato un pool di esperti per il monitoraggio, ha dichiarato: «Tutti possono stare tranquilli perché i radionuclidi si sono dispersi per strada. Diversa sarebbe invece la situazione se l´ultimo dei sei reattori ancora in condizioni di criticità dovesse sfuggire al controllo». Anche il presidente dell´Agenzia per la sicurezza del nucleare, Umberto Veronesi, ha ribadito la necessità di un «periodo di riflessione sull´efficacia dei sistemi di sicurezza degli impianti nucleari».
Il rischio comunque non è legato alla nube. «Se anche le correnti dovessero trasportare sull´Italia particelle radioattive provenienti dalla centrale di Fukushima», ha precisato Ferruccio Fazio, «si tratterebbe comunque di quantità infinitesimali che non avrebbero alcun effetto sulla salute». Ma a 30 chilometri dalla centrale giapponese la situazione è molto diversa, come ricorda Roberto Moccaldi, del Cnr: «La radioattività si misura tra i 95 e i 170 microsievert ora, chi vive lì è come se si facesse 6 o 7 radiografie al torace ogni giorno, un´esposizione di cui in Italia non c´è traccia».
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«Prima usciamo dal nucleare, meglio è»

 

«Prima la Germania uscirà dal nucleare meglio sarà», la cancelliera Angela Merkel corregge la
rotta del governo sull'energia atomica tentando di mettere un freno alla caduta della sua coalizione.
Un'inversione di marcia avviata dopo la crisi alla centrale di Fukushima e dopo le critiche,
sempre più aspre in questi giorni, degli attivisti no-nuke. I Verdi incalzano, l'ultimo sondaggio realizzato del centro ricerche Forsa per il settimanale «Stern» e l'emittente televisiva Rtl - li dà al
20%, quando mancano solo tre giorni alle elezioni regionali nel Baden-Wuerttemberg e nella Renania-Palatinato. Mentre per la maggioranza si mette male: l'Unione (Cdu-Csu) è data al 33%,
tre punti in meno rispetto alla settimana scorsa, e la Fdp invariata al 5% (se sì votasse domenica
per le politiche, la coalizione della cancelliera otterrebbe solo il 38% contro il 45% di un'eventuale
alleanza rosso-verde, la Linke è rimasta invariata al 9%). Dunque se il nucleare entra nell'urna
per Merkel, a questo punto, non si può che trattare di una fonte di energia «transitoria», ha assicurato. «Il dibattito - ha aggiunto - deve svolgersi su basi razionali». Intanto sabato manifestazioni no-nuke a Berlino, Amburgo, Monaco di Baviera e Colonia, sono attese oltre 100mila persone.
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I Radicali: referendum per dire no al nucleare

 

«Noi diciamo da sempre no al nucleare, perché non risolve nulla, non conviene dal punto di vista economico e presenta problemi di sicurezza che sono riemersi con il disastro giapponese»: è quanto ha detto il vicepresidente del Senato Emma Bonino, ribadendo ieri la posizione antinuclearista dei Radicali. «In questa direzione - ha proseguito la leader radicale - dovrebbe lavorare anche il Comune, ad esempio attraverso la partecipazione in A2A. I cinque referendum, che abbiamo co-promosso e dei quali uno proprio sul risparmio energetico dovrebbero servire a questo, a una visione di città ecologica e sostenibile».
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Moratoria «bluff» sul nucleare

 

Davanti all'impasse, sul nucleare il governo tenta la mossa del cavallo. E con un discreto effetto mediatico, per bocca del ministro dello sviluppo economico Paolo Romani annuncia una «moratoria di un anno sull'attuazione e la ricerca di siti e sull'installazione di centrali». Nessun atto giuridico, spiegano fonti ministeriali, solo un impegno politico che il Consiglio dei ministri formalizzerà oggi stesso. La legge 133 del 2008, quella che reintroduce l'opzione energetica nucleare in Italia e che è oggetto del quesito referendario abrogativo, non dovrebbe subire - assicura Palazzo Chigi - alcun tentativo di modifica. Dunque il referendum si farà anche se, spera assai la maggioranza, a questo punto altamente “depotenziato”. «Mi aspetto che non si decida sull'onda dell'emotività ma sull'onda di un ragionamento e delle certezze che dobbiamo dare come governo e come Unione europea», incalza Romani che assicura: «La decisione è stata presa alla luce di quanto discusso lunedì in sede europea sulle procedure standard di sicurezza da stabilire per tutti i paesi comunitari».
Ma sotto il vestito, almeno fino a ieri sera, non sembra esserci davvero molto: perfino il decreto legislativo correttivo sulla localizzazione delle centrali nucleari e dei siti di stoccaggio non è stato ritirato, come sembrava ipotizzare la maggioranza e in molti speravano, e ha proseguito invece il suo iter parlamentare. Ieri sera la commissione Industria del Senato ha dato (con il voto contrario di Pd e Idv) l'ultimo parere favorevole necessario al governo per mettere a punto entro oggi, giorno di scadenza della delega parlamentare, il testo definitivo. «Fino all'ultimo - racconta il senatore Filippo Bubbico, membro della commissione - abbiamo sperato che il governo ritirasse il decreto, ma non lo ha fatto». Ermete Realacci, responsabile della green economy del Pd, parla di «lingua biforcuta» e di «bluff atomico». In realtà, secondo quanto annunciato dal ministro Romani, la moratoria di un anno non dovrebbe comprendere la localizzazione dei siti di stoccaggio dei rifiuti nucleari, visti i ripetuti richiami all'Italia da parte dell'Unione europea proprio per la mancanza di un «idoneo deposito nazionale» di rifiuti radioattivi derivanti dalle vecchie centrali dismesse ma anche dalle attività ospedaliere. «La nostra volontà - ha spiegato il titolare dello Sviluppo economico - è di portare al Consiglio dei ministri quella parte del decreto legge correttivo che riguarda il deposito nazionale per lo stoccaggio delle scorie perché si tratta di un grande tema perla sicurezza».
«Cosa significa la moratoria di un anno sul nucleare, se la maggioranza al tempo stesso approva la norma che consente di costruire centrali nucleari e impianti di stoccaggio di scorie anche in caso di parere contrario di Regioni e Comuni?», protesta Realacci riferendosi alle norme contenute nel decreto. Un problema che si ripresenta anche solo per i siti di stoccaggio. Come faranno a scegliere l'area senza il consenso della regione "prescelta"? Niente paura, spiegano da Palazzo Piacentini: l'iter di individuazione è lungo e complesso, e ancora di più lo è la successiva «fase di concertazione».

Dal leader di Fli, Gianfranco Fini, alla Cgil passando per l'Anci (comuni) e per il presidente della conferenza stato-regioni Vasco Errani, sono in molti a tirare un sospiro di sollievo o a complimentarsi per la moratoria, definita da alcuni un felice anche se non esaustivo «primo passo». Ma dal Pd all'Idv, dai Verdi al comitato "Vota sì per fermare il nucleare" costituito da oltre 60 associazioni, l'opposizione compatta grida invece alla «truffa» e al «sabotaggio». «Una mossa furba e truffaldina per far credere agli italiani che non c'è alcun bisogno di andare a votare al referendum», attacca Massimo Donadi, presidente dei deputati Idv. Per il partito di Antonio Di Pietro, come anche, per i Verdi di Angelo Bonelli, non è del tutto infondato il timore che il governo possa «preparare un decreto legge per modificare la norma oggetto del quesito referendario», in modo da sabotare non solo politicamente il referendum che dovrebbe tenersi il 12 e il 13 giugno prossimi. «Non possono farlo», reagisce il Radicale Marco Cappato che anche ieri mattina, da Milano in conferenza stampa con Emma Bonino, aveva chiesto di nuovo lo stop del piano nucleare e una decisa virata verso il risparmio energetico e le rinnovabili, colpite invece quasi a morte con l'ultimo decreto legislativo. «Non si può modificare una legge oggetto di referendum - spiega Cappato - ma nel Paese della distruzione della Costituzione, è lecito sospettare perfino una manovra del genere. Tanto più da parte di un governo che ha messo in piedi un piano nucleare costoso, insensato, e che ci rende subalterni a Sarkozy».

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Lista Bonino-Pannella: stop ai piani nucleari. Investire in risparmio energetico e rinnovabili, anche il Comune di Milano può fare la sua parte

Milano, 22 marzo 2011

"Il nostro no al nucleare non è mai stato ideologico: la verità è  che non conviene, costa troppo e rende poco. L'incidente giapponese ha solo aumentato le incertezze relative alla sicurezza, che già riguardavano l'irrisolto problema delle scorie. Ecco perché il piano nucleare del governo -invece di portarlo in Lombardia come vorrebbe Formigoni- va abbandonato, non per paralizzare tutto come si rischia di fare, ma perché le risorse siano convertite per un grande piano energetico nazionale basato sugli investimenti su risparmio (l'Enea parla di risparmi possibili corrispondenti a 7 centrali nucleari attraverso l'efficienza energetica da qui al 2020) e fonti rinnovabili.  In questa direzione dovrebbe lavorare anche iI Comune di Milano, ad esempio attraverso la partecipazione in A2A." Così Emma Bonino durante una conferenza stampa della Lista Bonino-Pannella tenutasi oggi a Milano. E ha aggiunto sulla situazione milanese: "I 5 referendum, che abbiamo co-promosso e dei quali uno proprio sul risparmio energetico, e l'occasione dell'Expo dovrebbero servire a questo, a una visione di città ecologica e sostenibile, invece che a litigare sulla lottizzazione dei terreni e sulla speculazione edilizia. Così temo divenga un'occasione persa per incapacità di visione." La vicepresidente del Senato ha concluso: "Ritardare i referendum significa svuotare la campagna delle amministrative di contenuti: spero ancora vengano abbinati con le amministrative."

Sul tema referendario è tornato Marco Cappato, capolista della Lista Bonino-Pannella alle Comunali di Milano:"A 40 giorni dal termine legale per la convocazione dei referendum, il Sindaco Moratti ancora non ha ricevuto il Comitato promotore Milanosìmuove, e questo nonostante siano passati 12 giorni dalla nostra richiesta. Nel frattempo il Sindaco insegue suggestioni sulla fusione fredda, mentre il Presidente della Regione apre al nucleare. La Lista Bonino-Pannella si candida a portare a Milano, a partire dai referendum e dallo stop al nucleare, una svolta radicale per il risparmio energetico e le rinnovabili, per la qualità della vita e dell'ambiente."

Alla conferenza stampa hanno partecipato anche Carlo Durante (Ad di Maestrale [Operatore eolico-fotovoltaico}) e membro della giunta dell'Associazione Produttori Energie Rinnovabili) che ha sottolineato come "I tedeschi hanno fatto un piano energetico al 2050. Da noi c'è solo un ginepraio di regole che favorisce la malavita. Se un Governo si pemette di fermare dalla sera alla mattina gli investimenti pubblici sulle rinnovabili (attraverso un decreto contrario a qualunque logica) il risultato è l'affossamento di qualsiasi piano energetico, e quindi di un quadro di riferimento certo che potrebbe attrarre gli investimenti certi per gli investitori, inclusi quelli sul nucleare. Il risultato è l'inizio della fine per un intero settore industriale." e Franco Valentini (Direttore Marketing Santerno e tra i principali produttori italiani di inverter, componentistica per fotovoltaico), il quale ha sottolineato come sia " anomalo che un gruppo industriale partecipi a una conferenza stampa come questa, ma è anomala la situazione italiana per colpa del decreto Romani contro le rinnovabili, che ha messo in ginocchio il settore: 10 miliardi di ordini cancellati in due settimane. Il settore fotovoltaico ha fatturato nel 2010 oltre 20 miliardi di euro (1,2% del PIL nazionale) e 100.000 occupati: una realtà fatta soprattutto di piccoli imprenditori che si sono assunti un rischio industriale. Ora è stato riaperto il tavolo di negoziazione, ma non va messo un limite massimo alle installazioni annuali, va lasciato il mercato libero unica possibilità per evitare distorsioni e garantire la certezza degli investimenti. Va adottato il modello tedesco, con incentivi dinamici che diminuiscano all'aumentare dell'installato e investimento sulle reti intelligenti di trasporto e distribuzione della energia elettrica".


Per informazioni:
Marco Di Salvo
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"La Repubblica", MARTEDÌ, 22 MARZO 2011

Pagina 57 - Cronaca
 
Al via anche in Italia il social housing: addio ai "casermoni", l´edilizia pubblica ora punta sulla sostenibilità Tanto legno, palazzi di pochi piani e tempi di costruzione brevi per garantire affitti e prezzi di vendita bassi
 
Low cost ed eco-compatibile: la casa popolare scopre il design
 
GIOVANNI VALENTINI
ROMA
Una volta si chiamavano, brutalmente, "case popolari". E in genere questi falansteri, palazzoni informi e anonimi, alveari umani, abbrutiscono le periferie urbane, più o meno degradate; i quartieri-dormitorio, affollati dai pendolari e dalle loro famiglie; i Bronx emarginati delle città o delle metropoli.
Poi, con il ricorso a uno dei tanti anglicismi che spesso riescono a nobilitare le definizioni nostrane, anche in Italia s´è cominciato a parlare di "social housing", vale a dire case sociali, edilizia residenziale pubblica, a basso costo. Prefabbricati, per lo più in legno oppure materiali misti con acciaio, cemento leggero, lane artificiali o animali, da realizzare in tempi assai più brevi di quelli normali. Magari per fronteggiare le emergenze abitative: un post-terremoto, come in Trentino o più recentemente all´Aquila, dove – a parte i ritardi della ricostruzione e i disagi della popolazione – sono stati realizzati 196 appartamenti in 72 giorni, per complessivi 12 mila metri quadri. Ovvero, per tamponare le conseguenze di un´alluvione o un´ondata di immigrazione clandestina.
Ma ora, sulla spinta di una tendenza partita dal Nord-Europa, la tecnologia della prefabbricazione punta a fare un doppio salto di qualità, funzionale ed estetico. E dall´idea originaria di abitazione temporanea, provvisoria, precaria, si sta passando a quella di residenza stabile e duratura. Con standard ambientali e anche architettonici più elevati. Una casa – insomma - eco-compatibile, con una maggiore sostenibilità sul piano dei consumi energetici, delle prestazioni termiche e perfino dell´isolamento acustico.
A Londra, è già stato costruito il primo edificio interamente in legno a nove piani. Nella zona nord della stessa capitale inglese, lungo i margini stradali di Murray Grove e Sheepherdess Walk, l´iniziativa promossa dalla Peabody Trust - una fra le più antiche associazioni filantropiche della Gran Bretagna – ha puntato proprio sul controllo del prodotto finale. Altri progetti con le stesse caratteristiche sono stati realizzati o sono in via di realizzazione a Berlino. Ma anche in Italia si vanno diffondendo i tentativi di realizzare un "social housing" per così dire di qualità, a partire dalle esperienze più innovative del Trentino e dell´Alto Adige per arrivare alle aree metropolitane di Roma e di Milano.
In Lombardia e Veneto la Cassa depositi e prestiti ha già assicurato la sua disponibilità a investire 118 milioni di euro in due programmi che prevedono una spesa complessiva di 295 milioni. E lo stesso istituto finanzierà con 25 milioni anche il progetto "Parma Social House" che comprende un mix di 852 alloggi, di cui 252 in locazione a canone sostenibile, 420 in vendita diretta e 180 in locazione a canone convenzionato con riscatto all´ottavo anno (140 milioni di investimento complessivo, realizzazione entro il 2012).
I vantaggi più rilevanti della prefabbricazione riguardano i costi e i tempi di realizzazione. E alla fine i benefici si riflettono sugli utenti. Nel caso degli affitti agevolati dalle amministrazioni locali, i canoni si aggirano intorno ai 6 euro per metro quadro al mese: una casa di 70-80 metri quadrati, può costare quindi meno di 500 euro mensili. I prezzi di acquisto, a seconda che si tratti di vendita a categorie disagiate oppure di vendita libera sul mercato, possono variare dai 2.500-2.700 euro al metro quadro fino ai 3.000-3.200. E in ogni caso, si tratta di livelli più accessibili per una fascia sociale che comprende giovani coppie, famiglie monoreddito, disoccupati, precari, studenti fuori sede, genitori separati, disabili.
Sul fronte energetico, per effetto delle proprietà di isolamento e coibentazione del legno, gli edifici di questo tipo possono ridurre notevolmente il fabbisogno fino alla metà: circa 7 litri di gasolio per metro quadro all´anno, contro una media nazionale di 15 litri. Oltre a diminuire così le emissioni, lo spessore dei pannelli in massello consente di ricavare anche un aumento delle volumetrie (circa il 10%). E infine, l´utilizzo del legno – accompagnato naturalmente da una programmazione del rimboschimento - offre una maggiore flessibilità architettonica, adattandosi alle diverse tipologie edilizie: tanto più nel caso della ristrutturazione di vecchi immobili.
Anche qui, però, c´è l´altra faccia della medaglia. Non si tratta tanto della sicurezza, né sul piano della resistenza anti-sismica né su quello della prevenzione anti-incendio: i prefabbricati in legno o materiali misti sono più elastici, assorbono meglio degli edifici tradizionali le scosse di terremoto e, opportunamente trattati con vernici ignifughe, resistono perfino all´assalto del fuoco. Le riserve sono piuttosto di ordine psicologico e attengono soprattutto alla consistenza di un classico bene-rifugio come la casa, particolarmente caro alle famiglie italiane. Ma è proprio dall´evoluzione della tecnologia che dipenderà in futuro l´espansione di un settore emergente della "green economy".

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"La Repubblica", MARTEDÌ, 22 MARZO 2011

Pagina 20 - Economia
 
La decisione della Ue: prove entro il 2011. Romani: anche da noi responsabile pausa di riflessione
Stress test sui reattori più vecchi: Italia "circondata" da sette impianti
Ieri a Bruxelles il vertice dei ministri competenti per le politiche energetiche
 
FRANCESCO MIMMO
ROMA - Entro l´anno si faranno rigorosi controlli sulla sicurezza delle centrali nucleari europee: tutti i 143 reattori presenti nella Ue, più quelli nei paesi vicini, saranno sottoposti a stress test. A partire dai più vecchi, quelli costruiti negli anni settanta (ce ne sono sette in un raggio di duecento km dal confine italiano). È stato deciso a Bruxelles, ieri, durante il consiglio straordinario sulle politiche energetiche. Per l´Italia c´era il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani che ha confermato la «pausa di riflessione» sul nucleare da parte del governo italiano.
Dopo Fukushima la sicurezza è diventata un´emergenza e l´Ue sta lavorando per alzare gli standard, seppur entro livelli «economicamente sostenibili». Si cercherà di concordare le misure anche con i paesi vicini (Svizzera, Turchia, Ucraina) e persino con chi le centrali non le ha, con verifiche che tengano conto della possibilità di attacchi informatici e terroristici. Solo con questi standard più elevati - che ieri sono stati invocati anche dall´Aiea, l´Agenzia atomica dell´Onu - si potrà riparlare di nucleare in Italia. «Per ora il governo si è preso una pausa responsabile di riflessione», ha detto Romani.
Gli stress test saranno volontari, ma a Bruxelles sono sicuri che tutti aderiranno. Dovrebbero essere effettuati nella seconda metà del 2011, ma il governo italiano ha chiesto di accelerare, evidentemente preoccupato del referendum. «Non so se faremo in tempo a dare ai cittadini le informazioni che ci aspettiamo», ha detto Romani. Tra le centrali europee «una decina sono di prima generazione, gli stress test saranno più rigorosi in questo caso», ha aggiunto il ministro. Il riferimento è alle centrali più vecchie ad essere entrate in funzione in Europa, cioè quelle realizzate negli anni settanta e simili a quella esplosa in Giappone (anche queste tecnicamente si definiscono di "seconda generazione"). L´Italia è circondata da centrali nucleari, anche da quelle anni ‘70. Sono almeno sette gli impianti di questi tipo tra Francia, Svizzera e Slovenia con diversi reattori.
Ma c´è un´altra urgenza che preme l´esecutivo. La delega al governo a stabilire con un decreto i criteri per la localizzazione delle eventuali nuove centrali scade a marzo. La settimana scorsa la maggioranza ha votato alla Camera a favore del testo già approvato prima della tragedia in Giappone (quello che stabiliva il parere obbligatorio, ma non vincolante, delle Regioni sulla scelta dei siti). Domani se ne riparlerà in consiglio dei ministri, oggi alla commissione industria del Senato dove Romani spiegherà al Parlamento la posizione del governo. Sull´intervento si è innescata una piccola polemica con il presidente del Senato Renato Schifani. «Apprendo che da Bruxelles il ministro Romani ha opportunamente annunciato una pausa di riflessione sul nucleare - ha detto Schifani - sono certo che vorrà informare la sede parlamentare di quanto da lui già affermato e delle relative motivazioni a sostegno». E Romani, oggi, ci sarà. Critiche dal Pd: «È propaganda anti-referendum, governo credibile solo se ferma il testo sulle nuove centrali».
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Proprio nessuno vuole più l'uranio

 

Sono in caduta libera le quotazioni dell'uranio. Un paio di mesi fa i prezzi di questa materia prima avevano raggiunto i 73 dollari (51 euro) alla libbra, che equivale a circa 450 grammi. Nell'arco di poche settimane i corsi sono scesi a 50 dollari (35euro), con una flessione intorno al 30%. Gli osservatori ritengono che gli acquisti precedenti fossero dovuti alla scommessa sul futuro dell'energia nucleare e delle centrali, con i numerosi progetti di sviluppo abbracciati da diversi paesi.
 
Poi, in seguito al disastro giapponese, l'uranio è diventato un elemento scomodo. Il tracollo dei prezzi è dovuto anche al fatto che il mercato in contanti di questa materia prima è limitato a 10 mila tonnellate all'anno su una domanda complessiva di 65 mila tonnellate: perciò le conseguenze del dietrofront si sono fatte sentire immediatamente.
Per gli operatori professionali il livello è divenuto appropriato per remunerare gli investimenti indispensabili a preservare i loro approvvigionamenti. Di conseguenza, essi non si attendono nuove discese come avvenne negli anni 1990, quando si arrivò a 20 dollari. E sono in molti a ritenere che, una volta passata la grande paura legata al Giappone, la domanda di uranio tornerà a crescere. Basti pensare che i big del nucleare in Russia, Cina e Sud Corea hanno rilevato partecipazioni nelle imprese minerarie per evitare di rimanere a secco.
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Cina e Turchia puntano sull'atomo: «Fukushima non ci fa cambiare idea»

 

Nonostante il disastro in Giappone, la Cina e la Turchia non hanno intenzione di frenare la corsa al nucleare e accelerano la costruzione di nuovi impianti. In Cina si progetta la costruzione di 28 nuovi siti, vale a dire il 40% del totale in costruzione in tutto il mondo. Suin Quin, presidente della China National Nuclear Corporation, ha dichiarato che «l'incidente nucleare avvenuto in Giappone non avrà conseguenze e non cambierà i piani di sviluppo a lungo termine della Cina». Il gigante asiatico, ora in grado di produrre con le proprie forze quasi la metà della sua energia nucleare, è diventato sin dall'anno scorso uno dei maggiori acquirente di uranio australiano. Zhou Xi'an, direttore della Commissione nazionale dell'Energia, ha descritto questo come «un momento d'oro per lo sviluppo di energia nucleare in Cina». Secondo gli esperti, i reattori cinesi utilizzeranno tecnologie più avanzate rispetto al primo lotto di reattori commerciali installati in Giappone nel corso degli anni Settanta.
 
Anche la Turchia è dello stesso avviso ed è intenzionata a costruire due nuove centrali nucleari, sulla costa del Mediterraneo e del Mar Nero. Nonostante molti esperti abbiano dichiarato che la tecnologia che la Turchia vuole impiegare ha origini russe e non è conforme agli standard occidentali, presentando problemi di raffreddamento simili a quelli emersi a Fukushima, il premier Recep Tayyip Erdogan non vuole rinunciare all'atomo. Nonostante le enormi potenzialità naturali della Turchia, lo sfruttamento delle risorse alternative come eolico e solare non è considerata l'opzione migliore.
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http://www.repubblica.it/ambiente/2011/03/21/news/romani_pausa-13911342/?ref=HREC1-3

 

ENERGIA NUCLEARE

Romani conferma la frenata
"Stress test entro il 2011"

 

Il ministro dello Sviluppo ribadisce la pausa di riflessione e annuncia l'avvio di controlli sulla sicurezza delle centrali in tutta Europa. L'opposizione critica: "Solo propaganda per paura dei referendum"

ROMA -

Più riflessione, più verifiche e più informazioni. E' questa la ricetta del governo italiano per tranquillizzare l'opinione pubblica e cercare di tenere aperta la strada del ritorno al nucleare. A enunciarla è stato stamane il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani in una conferenza stampa al termine del Consiglio straordinario dei ministri dell'Energia Ue. Poco più di una settimana dopo l'inizio dell'allarme che sta sconvolgendo il Giappone, Romani ha annunciato "una responsabile pausa di riflessione, come fatta da altri Paesi europei" sul programma nucleare italiano. Ora la priorità, ha aggiunto, è verificare la sicurezza a livello europeo delle centrali in funzione.

Mutuando quindi il linguaggio usato per fare fronte all'emergenza finanziaria, Romani ha spiegato che gli impianti d'energia atomica attivi in Europa saranno sottoposti "entro il 2011" a degli "stress test". I primi a essere interessati dalla verifica dovrebbero essere quelli più vecchi, di prima generazione. Si tratta di una decina di centrali sulle 143 presenti nell'Unione. L'Italia tra l'altro, ha precisato il ministro, "ha chiesto di accelerare al massimo". Inoltre, ha assicurato Romani, sulle condizioni di sicurezza del nucleare in Europa sarà garantita la massima informazione ai cittadini italiani. "Non so se prima del referendum faremo in tempo a dare le informazioni che ci aspettiamo - ha detto ancora - Ma cercheremo di fare in modo che i cittadini italiani

 

siano informati al massimo livello possibile delle risultanze di questa ricerca che sarà fatta a livello europeo e condivisa da tutti i Paesi europei".

Gli stress test immaginati dal governo italiano dovranno prevedere "standard di sicurezza molto elevati ed essere economicamente sostenibili". Inoltre dovranno tenere conto di "eventi eccezionali" di cui potrebbe essere vittima l'Europa "inclusi attacchi informatici e attentati terroristici", ha spiegato Romani.

Oggi, ha aggiunto il ministro, "è irreversibile la scelta di capire dal punto di vista della sicurezza se siamo nella condizione di massima sicurezza in base ai requisiti e standard che abbiamo immaginato e che vengono resi operativi da un organismo europeo. Vogliamo risposte chiare e procedure chiare anche per l'opinione pubblica che deve sapere tutto il necessario sulla questione sicurezza". "Una volta che saremo sicuri che tutto questo è stato risolto nella direzione auspicata, a quel punto la scelta nucleare del governo potrà proseguire", ha ribadito Romani ammettendo che quella sulle tracce di radioattività trovate nel latte a Tokyo "è una notizia clamorosa che ci preoccupa".

L'obiettivo finale del governo sembra essere quindi quello di ottenere per il ritorno al nucleare un via libera a livello di Unione Europea. "Oggi - ha chiarito Romani - siamo a chiedere agli organismi e alle autorità internazionali che facciano il lavoro da fare e stabiliscano con rigore" i criteri e gli standard per realizzare stress test credibili sui reattori "soprattutto quelli degli anni Settanta", in modo che almeno "nell'Ue il problema abbia una soluzione riconosciuta da tutti gli Stati membri, che abbiano o no centrali nucleari".

Le parole del ministro sono state accolte con sospetto e scetticisimo dall'opposizione. "La pausa di riflessione sul nucleare del governo Berlusconi, ribadita anche oggi dal ministro dello Sviluppo Romani è solo un inganno", dichiara il presidente dei Verdi Angelo Bonelli. "Se il governo avesse voluto una pausa di riflessione, perché lo scorso 16 marzo ha dato il via libera al decreto sulla localizzazione delle centrali che prevede il parere obbligatorio ma non vincolante delle Regioni sulla scelta dei siti atomici?". "La finta frenata sull'atomo - conclude Bonelli - nasconde da un lato il tentativo di sabotare il referendum e dall'altro uno scontro interno all'esecutivo per scaricare i reattori francesi Epr per favorire quelli americani della Westinghouse, società con cui ha stretti rapporti Ansaldo Nucleare". Giudizi simili arrivano anche dall'Italia dei valori. "Gli altri Paesi si possono permettere una pausa di riflessione, visto che il nucleare lo hanno scelto e stanno ora valutando di abbandonarlo. L'Italia no - dice Massimo Donadi, presidente dei deputati dell'Idv - perché il nostro Paese sta scegliendo ora, controcorrente e fuori tempo massimo, se adottare o meno il nucleare. Per questo, la pausa di riflessione annunciata dal ministro Romani è solo un meschino stratagemma per scavallare il referendum".

(21 marzo 2011)

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"La Repubblica", DOMENICA, 20 MARZO 2011

 
Pagina 19 - Cronaca
 
Le reazioni degli ambientalisti all´intervento di Veronesi
 
"Ma la moratoria non diventi un trucco"
 
 
 
 
PAOLA COPPOLA
ROMA - È un primo passo, ma non basta. La scelta dell´energia nucleare non è «inevitabile». Alla "pausa di riflessione" evocata da Umberto Veronesi gli ambientalisti replicano che non si tratta di «rivedere la strategia nella progettazione degli impianti», ma quella energetica, perché si può superare l´atomo. La lezione di Fukushima - dicono al direttore dell´Agenzia di sicurezza nucleare - rende più stringente la necessità di puntare sulle energie alternative. «Ora la moratoria non diventi un trucco - attacca il direttore esecutivo di Greenpeace, Giuseppe Onufrio - per evitare che gli italiani vadano a votare il referendum». E lancia l´affondo: «Abbiamo contestato la nomina di Veronesi sin dall´inizio in quanto persona non competente in materia di sicurezza nucleare. Mesi fa aveva fatto dichiarazioni di abnorme stupidità sulle scorie nucleari e ha continuato a svolgere il ruolo di "piazzista nucleare"». Posizione ideologica e non scientifica «sostenere che il Pianeta ha bisogno del nucleare», puntualizza Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente. «Se calcoliamo i megawatt prodotti a fine 2011 dal fotovoltaico e dall´eolico in Italia e quelli risparmiati con la detrazione fiscale del 55% sono pari alla produzione di tre centrali, per farle servirebbero 15 anni e maggiori investimenti. Più che una moratoria serve lungimiranza: il coraggio di investire nella rivoluzione energetica». Perplesso Sergio Ulgiati, del comitato scientifico del Wwf, dalla promozione del nucleare «che spetterebbe al governo e non all´agenzia guidata da Veronesi». Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, apprezza l´invito a fermarsi non per convenienze elettorali, riconosce che è stata avviata una riflessione positiva ma invita Veronesi a documentarsi sul fatto che il nucleare non sarà indispensabile: l´Italia dove ci sono 200mila impianti solari ed eolici - dice - dovrebbe seguire l´esempio della Germania che entro il 2030 coprirà con le rinnovabili la metà del suo fabbisogno energetico. E aggiunge: «Se è importante continuare la ricerca, gli impianti di IV generazione sono ancora in fase progettuale ed entro il 2020 le centrali in Italia dovrebbero trovarsi a competere con energie meno costose, come eolico e fotovoltaico». Per Massimo De Maio, di Fare Verde: «Non si può più sostenere la sicurezza intrinseca del nucleare» mentre Roberto Romizi di Isde - Medici per l´ambiente condivide che la fortuna dell´Italia è di partire da zero ma «meglio scartare una tecnologia che implica conseguenze pesanti per la salute».
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"La Repubblica", DOMENICA, 20 MARZO 2011

Pagina 19 - Cronaca
 
Nucleare, anche Tremonti adesso frena
 
"Difficile che tutto continui come prima". Romani: "Referendum pericoloso per noi"
 
L´Italia
 
 
 
Il ministro dell´Economia: "Eurobond per finanziare le rinnovabili"
 
LUCA PAGNI
DAL NOSTRO INVIATO
CERNOBBIO - Il dietrofront del governo sul piano di rilancio del nucleare in Italia ora ha anche il timbro del titolare dei conti pubblici. «C´è un debito pubblico, un debito privato e un debito atomico. Se certi paesi non avessero il nucleare bisognerebbe ricalcolare il pil che si ridurrebbe rispetto a quello dell´Italia».
Parola di Giulio Tremonti, il cui parere sulla costruzione di nuove centrali pesa quasi come una sentenza definitiva visto che il titolare del dicastero dell´Economia è colui che tiene i cordoni della borsa: «Dopo il disastro in Giappone occorre una pausa di riflessione». E il tasto dei costi è proprio quello su cui ha premuto Tremonti che ieri ha parlato a un convegno di Confcommercio a Cernobbio: «I paesi che hanno il nucleare non tengono conto dei costi del decommissioning nel calcolare il Pil». Si tratta del termine tecnico con cui si indica lo smantellamento e la messa in sicurezza degli impianti una volta che vengono disattivati. Un operazione che, secondo alcuni studi, può arrivare a costare fino a tre volte le spese per la costruzione di una centrale. Così, quanto accaduto in Giappone, ma anche in Nord Africa, dovrebbe portare a una nuova visione dei piani energetici, è stata l´ulteriore riflessione di Tremonti. Ad esempio, «finanziare con gli eurobond forme di energie alternative».
Ma che il vento sia radicalmente cambiato nel governo lo si è capito anche dalle parole del ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani. Soltanto dieci giorni fa sosteneva come fosse «inimmaginabile che l´Italia torni indietro su un percorso già attivato». Ieri, invece, la sua dichiarazione è stata di ben altro tenore: «Abbiamo davanti un referendum drammaticamente pericoloso e impopolare per noi. Se tutto andava come doveva andare potevamo cavarcela ma l´evento giapponese è stato spaventoso». Sposando così la tesi del ministro dell´Ambiente Stefania Prestigiacomo. In ogni caso, la ricerca deve andare avanti. È l´argomento usato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, per la prima volta, ha parlato sul tema: «In generale – ha detto il capo dello Stato – credo che la ricerca possa dare risposte a tutti i quesiti che si pone, l´importante è porseli e avere i mezzi per portare avanti la ricerca».
Con tutte le sue implicazioni, la questione nucleare è diventata argomento di scontro politico anche nella campagna elettorale per l´elezione del sindaco di Milano. Il capoluogo lombardo è socio di controllo di A2a, l´utility che ha chiesto al governo di far parte di una delle cordate che potrebbe costruire le nuove centrali. Due giorni fa, il candidato del centrosinistra, Giuliano Pisapia, aveva proposto di congelare il progetto. E, ieri, gli ha risposto Letizia Moratti, sindaco uscente del centrodestra. A sua volta, con una bocciatura delle aspirazioni dei nuclearisti: «Personalmente ritengo che la sicurezza dei cittadini venga prima di tutto». Del resto a Milano si vota fra meno di due mesi.
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"La Stampa", 20/03/11

 

Di Pietro: “Nucleare, il governo fa sciacallaggio”

Il leader dell’Idv a piazza Navona lancia la campagna per il referendum

FLAVIA AMABILE ROMA

La retromarcia della Germania LA CANCELLIERA ANGELA MERKEL HA CONGELATO I PIANI NUCLEARI MA IERI ATTIVISTI HANNO SFILATO AD AMBURGO PER DIRE NO ALL’ATOMO
Nessuno spazio per l’atomo «DEL NUCLEARE NON TI PUOI FIDARE». QUESTO LO SLOGAN SCANDITO DA AMBIENTALISTI E SOSTENITORI DELL’IDV IERI A PIAZZA NAVONA

Dopo aver raccolto 2 milioni di firme contro il nucleare, Antonio Di Pietro scende in piazza e punta il dito contro il governo, che due giorni fa ha annunciato una pausa di riflessione rispetto ai piani di costruzione di nuove centrali. Un palco a piazza Navona, intellettuali, fisici, politici, persone dello spettacolo, e il leader dell’Idv apre la campagna che porterà al referendum del 12 e 13 giugno.

Fino a due mesi fa sembrava un’idea destinata al fallimento, una follia immaginare di riuscire a portare a votare la metà degli elettori. Ieri, purtroppo, il referendum è parso di un’attualità drammaticamente ineludibile e Di Pietro deciso a non farsi sfuggire il controllo della marcia antinuclearista. «Che vuol dire dobbiamo riflettere? - attacca - Se il nucleare non lo vuoi fare devi fare una legge, altrimenti vuoi solo scavallare il referendum. Vogliono imbrogliare i cittadini dicendo che fanno una riflessione e dopo il 12 diranno: faremo le centrali più sicure. Sono loro che fanno sciacallaggio, loro oggi dicono che bisogna uscire dal nucleare perché se no si perdono le elezioni. Noi abbiamo raccolto le firme un anno fa, quando il Giappone non c’era».

Non è piena piazza Navona, ad ascoltare c’è un migliaio di persone, ma il fronte antinucleare fra gli italiani è forte e diffuso. Lo sa bene lo stesso Berlusconi, che ha chiesto ai suoi di frenare per evitare una sconfitta alle amministrative di maggio. E lo sa altrettanto bene Di Pietro, che passa tra la folla salutando e presentando a tutti la figlia Anna che lo accompagna, prende nota dei numeri di telefono di chi ha bisogno di un contatto, e sorride a tutti.

«Chiediamo ai cittadini di andare a votare per il referendum e di mettere una pietra tombale su una scelta scellerata che non guarda al futuro ma al passato - avverte il leader dell’Idv -. Quando sono state fatte le centrali negli altri Paesi si pensava potessero risolvere i problemi. Ora, invece, ci sono altre fonti di energia. Con le centrali avremmo solo tanto pericolo in un Paese a forte rischio sismico e con scorie che non sapremmo come smaltire: il gioco non vale la candela». In piazza c’è l’Idv al completo. Luigi De Magistris sottolinea la posizione del suo partito: «L’Italia dei valori da sempre, e non solo ora sull’onda emotiva del Giappone, ha detto di no al nucleare. Solo menti criminali possono pensare di dire sì al nucleare. In Italia bisogna puntare su tutt’altro: sulle energie rinnovabili, sul solare, sul fotovoltaico. Credo che gli italiani ancora una volta diranno no al nucleare».

Anche Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, mette in guardia rispetto alle parole del governo. «Vuole solo tergiversare, sabotare la consultazione referendaria e poi tornare a proporre le centrali». E chiede le dimissioni del ministro Prestigiacomo e di Umberto Veronesi, che hanno fatto marcia indietro dopo giorni di rassicurazioni sulle garanzie del nucleare.

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"La Repubblica", SABATO, 19 MARZO 2011

Pagina 1 - Prima Pagina
 
Non cambio idea
 
UMBERTO VERONESI

La politica per sua natura può avere ripensamenti, la scienza deve invece pensare più a fondo. Così ho molto apprezzato l´articolo di Francesco Merlo di ieri, perché mi invita a precisare la mia posizione sul nucleare.

E lo faccio pur rendendomi conto che il sovrapporsi delle dichiarazioni, l´inevitabile intreccio fra politica, cronaca e scienza di fronte a un disastro come quello giapponese, e lo sgomento generale che ci attanaglia, rendono molto difficile esprimere posizioni chiare. Il punto è molto semplice: io sono uno scienziato e il presidente dell´Agenzia per la sicurezza del nucleare. Non mi occupo di referendum, non leggo i sondaggi di nessun tipo e quindi neppure quelli che Merlo definisce "di cortile". Dunque ciò che appare come un ripensamento è invece l´esito di una riflessione. Studiando il più lucidamente possibile la dinamica di Fukushima ho pensato che ci troviamo di fronte al primo grave incidente di progettazione nucleare della storia, quindi di strategia. Gli altri due incidenti significativi, Chernobyl e Three Mile Island, sono stati infatti causati da un errore umano. Per Chernobyl più che di errore dovremmo parlare di follia. Ma anche negli Stati Uniti fu un errore dei tecnici a causare la fusione del nocciolo, che fortunatamente non causò nessuna vittima.
Va detto subito che sull´errore umano si può intervenire migliorando la preparazione, l´addestramento e le condizioni di lavoro. Un po´ come si fa con i piloti d´aereo. Invece a Fukushima non c´è stato nessun errore riconducibile al personale addetto, ma un errore di progettazione: le centrali non erano programmate per resistere a uno tsunami della portata di quello scatenatosi la scorsa settimana. Le fonti tecniche dicono che la progettazione teneva conto di tsunami di intensità minore. Ma questa è comunque una mancanza perché nel costruire una centrale nucleare sul Pacifico non si può non tenere conto della massima potenza delle forze del mare e della Terra. Non è una giustificazione il fatto che erano centrali attivate quarant´anni fa, e che erano quindi alla fine del loro ciclo vitale.
La lezione che credo dobbiamo trarre da Fukushima è che non possiamo non rivedere la strategia nella progettazione degli impianti nucleari. Il che non vuol dire ripensare o tornare sui propri passi, ma capire il problema alla radice, avere il coraggio di riconoscerlo e sforzarci di superarlo. Se è vero - ed è scientificamente vero- che senza l´energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma andare avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico. Dobbiamo pensare al futuro tenendo conto che petrolio, carbone e gas hanno i decenni contati e che sono nelle mani di pochissimi Paesi,che possono fare delle fonti di energia strumento di ricatto economico e politico; che stiamo avvicinandoci ai 7 miliardi di persone sulla Terra, con consumi sempre maggiori di energia; che le altre fonti di energia, le rinnovabili, hanno grandi potenzialità, ma per alcune non abbiamo le tecnologie che rendano accessibili i costi di trasformazione e globalmente non sono sfruttabili in modo tale da assicurare la copertura del fabbisogno. La scelta dell´energia nucleare è dunque inevitabile e il nostro compito è ora quello di garantirne al massimo la sicurezza per l´uomo e l´ambiente. Abbiamo per anni sostenuto che gli impianti di ultima generazione sono sicuri e con un rischio di incidente vicino allo zero. Oggi il Giappone ci impone di riconsiderare criticamente questa convinzione. Molti si domandano se il modello delle centrali nucleari di grossa taglia, come sono oggi tutte quelle del mondo, sia quello da continuare a realizzare; oppure se non è possibile ed opportuno considerare l´adozione di reattori più piccoli e modulari : una rete di minireattori. Alcuni di questi modelli progettuali sono già in produzione e dovremo studiarne a fondo le caratteristiche e la fattibilità.
La tragedia giapponese ci impone inoltre di pensare fuori dalle logiche nazionali. E´ evidente ora che i piani energetici devono essere discussi a livello internazionale. In Italia ci troviamo nella circostanza favorevole di partire da zero e quindi di poter scegliere, senza fretta, il modello strategico migliore.

 

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Nucleare, Zamparutti: governo decida la strategia energetica nazionale

Tralicci energia
 “Il Governo definisca subito la strategia energetica nazionale. Da un lato emergono titubanze sul nucleare dall’altro si procede in maniera confusa ed insoddisfacente sulle rinnovabili come avvenuto con la recente mozione approvata alla Camera. Anche la crisi Libica conferma come sia necessaria una maggior capacità di gestire la complessità delle politiche energetiche.
Poiché mercoledì scorso, Governo e Parlamento hanno accolto la richiesta contenuta nella risoluzione dei Radicali sulle rinnovabili di procedere in questo senso, il Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare convochino subito la Conferenza nazionale sull’energia e l’ambiente.”
Dichiarazione di Elisabetta Zamparutti, deputata radicale in Commissione Ambiente
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"La Stampa", 18/03/11, ultima pagina

 

FUKUSHIMA

Cosa succederà al reattore?

A CURA DI PIERO BIANUCCI

A sei giorni dal terremoto che ha innescato il dramma della centrale nucleare di Fukushima come si prevede che evolva l’incidente?

I punti più critici sono il reattore 3 e il reattore 2: in questi il nocciolo (vessel) che contiene le barre di combustibile è fessurato (quindi lascia sfuggire materiale altamente radioattivo), le barre sono parzialmente fuse, il guscio di contenimento ha subito lesioni, i sistemi di raffreddamento di emergenza non funzionano, il livello dell’acqua residua è basso e si tenta con scarso successo di farlo risalire. Il tentativo ora in atto consiste nel ridare corrente elettrica alle pompe per immettere liquido refrigerante. Qui si aprono due scenari. Uno ottimistico e uno pessimistico.

Qual è lo scenario ottimistico? In questo caso, un po’ grazie all’acqua arricchita con boro che si è già versata per «avvelenare» la reazione a catena e fermarla, e molto per il ripristino del liquido refrigerante, cessa il surriscaldamento. La perdita radioattiva all’esterno non sarà particolarmente allarmante. Quando la situazione sarà stabilizzata e il livello di radiazioni nell’edificio tornerà ad essere sopportabile, si potrà procedere allo smantellamento: dovranno comunque passare molti mesi o anni, e non sarà una passeggiata.

E lo scenario pessimistico? Il calore potrebbe aver messo fuori uso il sistema di pompaggio. Ciò vanificherebbe il tentativo di ripristinare la refrigerazione e il reattore rimarrebbe fuori controllo. A 1200˚C il combustibile fonde. Se il processo continua, a 3800˚C bolle. Avremmo allora un impasto rovente di ossido di uranio, scorie di plutonio e altri elementi radioattivi, acciaio, cadmio e metalli vari. L’impasto potrebbe infiltrarsi nel terreno. La «sindrome cinese» descritta dal film del 1979 diretto da James Bridges è pura fantasia, ma l’inquinamento del suolo sarebbe difficilmente rimediabile, falde acquifere lo propagherebbero. Pesantissime contaminazioni in polveri e gas radioattivi verrebbero rilasciate nell’atmosfera.

Se il nocciolo arrivasse alla fusione completa, la massa informe di uranio e scorie radioattive potrebbe dare luogo a una esplosione? Certamente no. Il miscuglio fuso non può in alcun modo generare una massa critica, cioè quella che è necessaria per l’esplosione. L’uranio per uso civile che alimenta le centrali è arricchito appena al 3,5 per cento (cioè contiene il 3,5% di uranio 235, l’isotopo fertile, tutto il resto è uranio 238). Per fare una bomba l’arricchimento in uranio 235 deve avvicinarsi al 90 per cento.

Quali sono gli altri punti critici e qual è la loro pericolosità? L’edificio del reattore 4 è semidistrutto e anche lì il livello dell’acqua è basso. Assai peggiore è la situazione del reattore 4. E’ più piccolo degli altri (460 Mw di potenza contro 784). Ma ha il nocciolo danneggiato ed è bloccata la refrigerazione di emergenza. Per tutti i reattori bisogna inoltre ricordare che si tratta di Bwr, cioè reattori ad acqua bollente su licenza General Electric. In essi l’acqua di raffreddamento è la stessa che, trasformata in vapore, va in turbina, mentre nei reattori Pwr, cioè ad acqua pressurizzata, il tipo Westinghouse, il circuito di raffreddamento è separato da quello di turbina. Nel Bwr, quando c’è un guasto grave, il rilascio di radioattività nell’ambiente è maggiore.

C’è allarme per la piscina delle barre di combustibile in raffreddamento: l’acqua si è prosciugata. Qui dovrebbe essere più facile aggiungere acqua e fermare il processo. Il guaio è che la piscina è a cielo aperto, e quindi i gas contaminanti vanno direttamente nell’aria. Inoltre si tratta di combustibile Mox, che contiene plutonio, un elemento radioattivo insidioso e chimicamente tossico. Quanta radioattività potrà essere rilasciata nell’ambiente e causare danni gravi alla popolazione? Il danno all’ambiente e alle persone sarà di gran lunga inferiore a quello dell’incidente di Cernobil per la diversa natura dei reattori. Ma se le conseguenze saranno minori, per certi versi l’incidente è più preoccupante: a Cernobil furono tecnici incoscienti a causare il peggiore degli incidenti possibili in un reattore a grafite quasi primitivo. In Giappone, anche tenendo conto del terremoto e del conseguente tsunami, preoccupa che un reattore ben gestito e di seconda generazione non abbia garantito la sicurezza promessa sulla carta.

Si può stimare la contaminazione già avvenuta? Mancano i dati. Un aspetto grave è la reticenza delle fonti di informazione: è comprensibile (benché non giustificabile) da parte della Tepco, la società proprietaria della centrale, ma è del tutto ingiustificabile da parte del governo giapponese.

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"La Stampa", 18/03/11

 

Il nucleare nipponico storia di scandali e bugie

Il gestore degli impianti, uno stato nello stato che gode di coperture e omertà

INVIATO A OSAKA

Vista aerea della centrale di Fukushima

L’ industria elettronucleare è uno strano animale: è un operatore economico privato alla caccia dei profitti, ma svolge un business tanto «pubblico» da diventare una sorta di Stato nello Stato. È vero in tutto il mondo, è verissimo anche in Giappone, dove dal 1954 c'è stata una sorta di simbiosi tra gli interessi industriali e il governo nazionale, in nome dell'autonomia energetica. E così, fino al momento in cui il premier Naoto Kan ha poi deciso di prendere in mano la situazione chiamando in causa l'esercito, il governo si è limitato a girare le notizie diffuse dalla Tepco, la società che possiede la centrale e a cui erano in pratica state delegate tutte le operazioni. Una società che insieme alle altre aziende elettriche nipponiche ha una lunga storia di disinformazione, sempre con la connivenza dell’amministrazione incaricata di controllarla.

Proprio a Fukushima 1, il sito che minaccia la catastrofe, nel 1991 i tecnici della Tepco trovarono microfratture in 242 delle 282 tubature per l'acqua di raffreddamento del reattore 3; in sei di queste il tubo era spesso la metà di quanto necessario. Invece di denunciare il problema alle autorità di controllo, la faccenda fu insabbiata. Nel 1992, per evitare che venisse scoperto un problema al «vessel» del reattore 1, la Tepco chiese e ottenne dalla Hitachi, che doveva effettuare i controlli, di «correggere» con un trucco tecnico i valori che emergevano. Altre irregolarità sono emerse successivamente, con «adeguamento» dei dati che non andavano bene, esami a certi componenti vitali che venivano considerati «non necessari», persino un problema al «vessel» di un reattore.

Soltanto nel 2002 l'Agenzia per la Sicurezza Nucleare e Industriale certificò l'imbroglio, provocando le dimissioni dei vertici di allora: ben 29 erano i problemi strutturali emersi in 13 reattori della società di Tokyo, tutti nascosti violando la legge.

Un grande scandalo che però non cambiò le cose: nel 2006 si scoprì che a Fukushima 1 la Tepco aveva falsificato i dati sulla temperatura dell’acqua di raffreddamento nel 1985 e nel 1988, dati usati per «passare» i controlli effettuati nel 2005 sull’impianto. «Sono fatti così, non dicono la verità, è nel loro Dna», dice Taro Kono, un deputato del Partito Liberaldemocratico da sempre su posizioni antinucleari.

Solo adesso, forse, capiamo perché la crisi a Fukushima 1 - dove continuavano a operare centrali costruite negli Anni 70, di vecchia concezione, per le quali la Tepco chiedeva altri dieci anni di attività - sia stata poi peggiorata da una sequenza di errori e indecisioni davvero imperdonabili, a dire di tutti gli addetti ai lavori. E del resto è l'intera industria ad avere un passato fittissimo di incidentipiccoli e grandi. Chissà quanti sono stati tenuti nascosti all'opinione pubblica, sostengono al Cnic, una organizzazione antinucleare giapponese. Alcuni, invece, sono emersi alla luce, come il caso dell’incidente del reattore «fast-breeder» di Monju del 1995, con tanto di rapporti falsificati e immagini video convenientemente editate per evitare visioni sconvenienti; l'incidente di Tokaimura del 1999, in cui persero la vita due lavoratori che utilizzavano secchi di acciaio per mischiare a mano il combustibile atomico; l'esplosione di gas a Mihama del 2004, in cui persero la vita cinque persone, dove l'indagine mostrò gravi carenze nei controlli e nella vigilanza da parte delle autorità.

Il fatto è che in Giappone - e forse non solo qui - l'industria dell'atomo gode di un potere sconfinato. Con la vecchia ma indistruttibile pratica dell'amakudari (ascesa in paradiso), tutti o quasi i funzionari delle amministrazioni pubbliche che seguono il dossier energetico nucleare una volta in pensione vengono immediatamente assunti con ricchi stipendi proprio dalle aziende su cui - in teoria - dovevano vigilare. Chissà se la crisi in corso cambierà le cose.

Certo è che a un certo punto il premier Naoto Kan non ce l'ha fatta più: martedì, di fronte a tutti, se l'è presa con i responsabili della Tepco, che non l'avevano informato delle due esplosioni ai reattori: «Mi volete dire - è esploso - che caspita sta succedendo?». Non era mai successo.

SENZA SCRUPOLI Nel 2006 si scoprì che i dati delle temperature dell’acqua erano stati falsificati

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"La Stampa", 18/03/11

 

IL GOVERNATORE: «IL GIAPPONE? ORA PENSO AD AIUTARE LE VITTIME»

Nucleare in Piemonte “Non è un’area idonea”

Cota e l’assessore Ravello: ma non siamo contrari all’atomo

MAURIZIO TROPEANO

La centrale di Trino La Centrale Fermi a Trino Vercellese è stata aperta nel 1964, è inattiva dal 1987 Nel luglio 1990, dopo il referendum, il Cipe dispose la sua chiusura definitiva

Inutile cercare di strappare una presa di posizione ufficiale del presidente del Piemonte sul nucleare, soprattutto perché in questo momento «io penso alla vittime del Giappone e a come posso aiutarle». E Roberto Cota ricorda morti e dispersi del terremoto e dello tsunami nel suo intervento per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Fino ad oggi la giunta di centrodestra non ha messo il bastone tra le ruote al governo. Senza dimenticare che il presidente ha sempre detto di non essere pregiudizialmente contro il nucleare anche se in campagna elettorale si era fatto forte di parere tecnici che indicavano il sito di Trino Vercellese come non più idoneo ad ospitare nuove installazioni. Si spiega così perché ad un giornalista che prima dell’avvio del Consiglio regionale straordinario per i 150 anni gli chiede lumi di località piemontesi inserite nell’elenco di possibili siti nucleari risponde deciso: «Non è vero». Per poi puntualizzare: «Il Piemonte non è stato indicato tra i possibili siti ospitanti».

Non è un no deciso come quello pronunciato dal governatore leghista del Veneto, Luca Zaia, o come quello che invoca il parlamentare ecodem del Pd, Roberto Della Seta. Ma è chiaro che il presidente giocherà molto sul concetto di «non idoneità» per bloccare eventuali centrali. Lo spiega l’assessore regionale all’Ambiente, Sergio Ravello: «E’ prematuro parlare oggi di localizzazioni anche se è positiva la decisione del governo di coinvolgere le regioni nella scelta dei siti. Decisione che comunque non avverrà prima di un anno». Ravello, che non ha cambiato idea sulla necessità dell’energia nucleare in Italia, aggiunge: «Da quanto possiamo conoscere sui criteri di localizzazione e incrociando queste informazioni possiamo dire che «il Piemonte non è tra le regioni più idonee per accogliere le nuove centrali».

Per ora, comunque, il centrodestra tiene il punto. Martedì in consiglio regionale Lega Nord e Pdl, infatti, hanno bocciato un ordine del giorno del Pd, primo firmatario Nino Boeti, che impegna la Giunta «a rassicurare i piemontesi relativamente alla non disponibilità del Piemonte a ospitare centrali nucleari». E il centro-destra ha bocciato anche i documenti del Movimento 5 stelle e dell’Italia dei Valori che chiedevano un ripensamento del governo nazionale.

Paolo Tiramani, consigliere regionale leghista, parla di «atteggiamento ipocrita da parte della sinistra che strumentalizza la tragedia del Giappone». E aggiunge: «Parlare di nucleare è giusto e doveroso. Se la sinistra vuole farlo ha tutti gli strumenti per chiedere un consiglio regionale ad hoc». E Paola Ambrogio, coordinatrice torinese di FareAmbiente aggiunge: «Non servono strumentalizzazioni sul nucleare. Gli eventi tragici del Giappone siano alla base di un confronto europeo sulla sicurezza».

In Consiglio regionale Lega e Pdl respingono le richieste di Pd, Idv e Grillini di stop