PINELLI Una finestra sulla strage

Questa discussione ha 346 interventi
Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Umanità Nova, numero 16 dell'8 maggio 2005, Anno 85

Dalla tragedia alla farsa
Piazza Fontana: la Cassazione assolve i fascisti, Andreotti accusa gli anarchici

Sono passati ormai più di 35 anni dalla Strage di Stato. Era il 12 dicembre del 1969, infatti, quando alla banca dell'Agricoltura di Piazza Fontana a Milano scoppiò la bomba che causò diciassette morti e diede l'avvio alla cupa, criminale stagione della strategia della tensione. Trentacinque anni di inutili, velleitari, patetici tentativi della magistratura di arrivare a una soluzione giuridica che trovasse un minimo di corrispondenza con quanto diventò il sentire comune di tutto il paese, vale a dire che le bombe le avevano messe i fascisti con la complicità e la copertura dello stato.
Sappiamo come andarono i fatti, ma non sarà male cercare di ricapitolarli sommariamente. Dopo l'esplosione della contestazione studentesca, nel 1969 il rinnovo dei contratti di milioni di lavoratori registrò il saldarsi delle lotte proletarie con quelle studentesche. Il principio di autorità era quotidianamente sovvertito nelle scuole come nelle fabbriche e nei posti di lavoro e il tumultuoso affermarsi di una diffusa coscienza di classe metteva in pericolo gli equilibri politici nati coi primi governi di centrosinistra. Sembrerà strano rileggere quel periodo con le lenti di oggi, ma è un dato di fatto che la borghesia ricominciava ad avere paura e che il potere democristiano, fino ad allora inossidabile, vedeva messa in discussione la sua legittimità. Lo Stato doveva fare qualcosa per fermare questa deriva, e infatti lo fece. Attivando settori "deviati" dei servizi, manovrando la manovalanza fascista e lasciandosi manovrare dalla onnipotente Cia (non scordiamo che il mondo era diviso in due blocchi) cominciò a metter bombe. Prima, come prova generale, alla Fiera di Milano e sui treni diretti al sud, poi, più seriamente, quel 12 dicembre nelle banche romane e milanesi. Della strage, lo sappiamo, furono subito accusati gli anarchici, le belve assetate di sangue, i feroci emuli di Bresci e Ravachol rastrellati in tutta Italia per essere portati nelle questure. Valpreda, il mostro che fece tre anni di galera innocente, impedì il successo della montatura. E Pinelli, il ferroviere, per non essersi piegato alle minacce poliziesche, fu scaraventato dal quarto piano della Questura di Milano. La sua morte segnò la svolta, il suo dramma cominciò a far capire, e non solo agli anarchici e ai compagni di Lotta Continua, cosa stesse davvero succedendo. La strage era una Strage di Stato ordita da organi dello Stato per rafforzare lo Stato. E uomini dello Stato, i garanti della legalità repubblicana e della Costituzione, erano i diretti responsabili di quel crimine. Le stragi che vennero dopo, Brescia, l'Italicus, ancora Milano, Peteano, Bologna, non fecero che portare nuove conferme a quello che ormai tutti avevano capito.
Per trentacinque anni, in seguito, lo Stato ha finto di processare se stesso e di affermare un rispetto della legalità tanto grottesco quanto ridicolo. In una sequenza infinita di processi e controprocessi, assoluzioni e condanne, legittime suspicioni e trasferimenti, rinvii e ricorsi, primi gradi, appelli, cassazioni e via dicendo, magistrati d'ogni ordine e grado hanno svolto la parte loro assegnata, offrendo al pubblico delle aule dei tribunali uno spettacolo spesso indecente. Sarebbe troppo lungo, qui, rifare la cronistoria delle sentenze, e anche decisamente noioso: non c'è niente di più avvilente, infatti, di un'aula di tribunale quando vi si vorrebbe scrivere un pezzo della storia sociale di questo paese. E ora che finalmente, dopo oltre trent'anni, si è arrivati all'atto finale di questa drammatica farsa giudiziaria, con la definitiva assoluzione anche degli ultimi fascisti indagati, ridanno fiato alle trombe, sulle pagine dei giornali, alcuni dei protagonisti di quella stagione. E, guarda caso, si tratta di rappresentanti di spicco di tutte e tre le tre parti in gioco: magistratura, fascisti, potere.
Si comincia, in un'intervista sul Corriere, con il giudice milanese D'Ambrosio, famoso, ancor prima che per le inchieste su "mani pulite", per aver indagato, nei lontani anni settanta, sui neofascisti Freda e Ventura e avere inventato, con perversa fantasia, la sindrome da "malore attivo", di cui fu vittima il povero Pinelli "cadendo" dal quarto piano della questura. Rispondendo alle domande del giornalista, il giudice tira pesantemente in ballo, come "persone informate dei fatti" Pino Rauti e Giulio Andreotti, guardandosi bene, però, dallo spiegare in base a quali elementi giudiziari chiami in causa i due compari. Così che costoro, visto che il giudice non produce elementi di prova, si affrettano a rispondere da par loro.
Rauti, ovviamente, si dichiara estraneo alle trame nere che insanguinarono il paese, anzi!, fa di più. Con l'improntitudine che gli conosciamo, dichiara se stesso e i suoi camerati vittime delle trame statali che volevano criminalizzare destra e sinistra in base alla teoria degli "opposti estremismi". E fin qui ci siamo. Da tanto fascista non ci si poteva aspettare che il solito e vittimistico scaricabarile buono per incantare i gonzi di cuore tenero.
Ma anche Andreotti, con il perfetto stile mafioso di cui è rispettato maestro, non si smentisce. O meglio, fa un piccolo capolavoro. Con il linguaggio obliquo e curiale che lo accompagna fin dal grembo materno, riesce infatti, in poche righe, a mandare una sequela di messaggi trasversali a chi di dovere: alla magistratura che non ha saputo trovare il bandolo della matassa, agli ex compagni di partito compromessi fino al collo, ai fascisti di Almirante accusati di aver fatto i pesci in barile, ai vertici dei servizi per avere sempre ostacolato le indagini, agli avvocati degli imputati colpevoli di aver fatto il loro lavoro e... agli anarchici: "Un dettaglio mi ha sempre colpito. Il tassista che riconobbe Valpreda aveva annotato che indossava un cappotto diverso. Si scoprì poi che Valpreda era passato a casa di un parente e aveva cambiato cappotto. Un dettaglio, ma di quelli che in poche righe possono contenere la chiave di un giallo". Insomma, sembra incredibile, ma ancora gli anarchici!

Solitamente cerco di usare un linguaggio abbastanza educato e non troppo offensivo, soprattutto per rispetto verso chi legge. A volte, però, non posso impedire che questo aplomb vada a farsi benedire. Ma quando ci vuole, ci vuole.
Le parole di Andreotti sono una porcata, un'immonda porcata che solo un equivoco mestatore come lui poteva pronunciare. Andreotti ritira fuori una presunta responsabilità degli anarchici e di Valpreda, rispolverando il tassista Rolandi, il più screditato e compromesso dei testimoni "imparziali" che dettero l'avvio alle indagini (Rolandi, "riconobbe" Valpreda, nel famoso confronto all'americana, come l'autore della strage, ma quando la sua testimonianza cominciò a fare acqua da tutte le parti, morì di lì a poco per una provvidenziale "polmonite secca senza febbre"). E questo significa solo voler ribadire che le carte migliori, in mano, le ha ancora lui. Che si sente tanto forte, e che è ancora depositario di segreti talmente sporchi da potersi permettere di dire le più grosse infamie senza farsi sfiorare dal ridicolo. E che in lui, re Mida capovolto, prospera ancora quel dono che lo ha reso famoso in Italia e nel mondo: quello di infettare tutto ciò che tocca.
Insomma, se voleva convincerci che, nonostante l'età, sa sguazzare nel letame come un tempo e che nel letame si trova ancora - c'era da dubitarne? - come "un pisello nel suo baccello", non si affanni, onorevole, non ce ne era bisogno!

Massimo Ortalli

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

"Morte accidentale di un anarchico" a Bruxelles

Il testo di Dario Fo ripreso per il pubblico belga

Bruxelles – Cinque repliche a Bruxelles, dal 17 al 21 maggio, per la rappresentazione teatrale "Morte accidentale di un anarchico". Dal testo della commedia scritta dal Premio Nobel per la Letteratura italiano Dario Fo, con la sceneggiatura di Carlo Boso, la performance verrà portata in scena da Patrick Brüll, Béatrix Ferauge, Laszlo Harmati.

In lingua francese, all'Auditorium Passage, al pubblico belga verrà presentato quale uno dei pezzi forti della letteratura di Fo. Scritto sotto forma di libro, poi portato in scena dallo stesso attore ha sempre riscosso grande successo di pubblico.

Prende spunto da uno degli episodi più oscuri e tragici della storia italiana, la controversa morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli: Fo la racconta con ironia surreale, mista alla volontà di reclamare a piena voce verità e giustizia sulla strage di piazza Fontana. Accusato con Pietro Valpreda di aver messo una bomba nella Banca dell'Agricoltura il 12 dicembre del 1969, il ferroviere Pinelli volò da una finestra della Questura di Milano.

Il testo ribalta le posizioni e gli inquisitori diventano inquisiti.

il testo in italiano
http://www.strano.net/stragi/tstragi/anarc/scena1.htm

a.mazzucchelli (not verified)

LA SINTESI DI TUTTA QUESTA FACCENDA E' :

1- NON SAPPIAMO CHI HA MESSO LE BOMBE A PIAZZA FONTANA (ALMENO UFFICIALMENTE )

2- NON SAPPIAMO CHI HA SUICIDATO PINELLI ( ALMENO UFFICIALMENTE )

3- NON SAPPIAMO DOVE ERA IL COMMISSARIO CALABRESI QUANDO PINELLI E' "STAO SUICIDATO" ( ALMENO UFFICIALMENTE )

4- SAPPIAMO CHI E' IL MANDANTE DELL'ASSASSINIO DEL COMMISSARIO CALABRESI ( ALMENO UFFICIALMENTE )

5- ALMENO UFFICIALMENTE,POTREMMO EQUIPARARE LA MOGLIE E LE FIGLIE DI PINELLI , AI PARENTI DELLE VITTIME DELLA " STRAGE DI STATO" ?

a.mazzucchelli

ADRIANO SOFRI LIBERO !!!

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

da anarcotico.net

Una ricostruzione puntuale di 36 anni di Italia

di Barbara Fois

La sentenza della Corte di Cassazione del 3 maggio scorso chiude definitivamente un lunghissimo e doloroso iter processuale, che - da quel terribile pomeriggio di dicembre del 1969, in cui 7 kg di tritolo fecero a pezzi persone e cose nella Banca dell’Agricoltura di Milano - è approdato a un tristissimo “liberi tutti”, in un gioco d’acchiapparella a cui l’etica e la giustizia non hanno partecipato. Ma forse la cosa che ci ha ferito e indignato di più è stata la condanna a pagare le spese processuali, per i familiari delle vittime di quella strage lontana. Ma come è stato possibile mandare assolti anche questi imputati? Eh sì, perché nel corso di questi 36 anni c’è stato un incredibile alternarsi di indiziati, tutti poi più o meno prosciolti dalle accuse. Ma aldilà dei nomi degli esecutori materiali, che ormai non sapremo mai, cosa siamo riusciti a sapere? Almeno qualcosa l’abbiamo capita? L’ex procuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio ha detto “Quando eravamo a un passo dalla verità ci hanno eccepito il segreto politico e militare. Abbiamo incontrato ostacoli di ogni tipo. Anche la Cassazione, che ha avuto un ruolo molto pesante in questa vicenda. Nel 1974 con due ordinanze fermò il processo. Anche quando Giannettini, agente del Sid, si costituì e decise di parlare con noi: in tutta fretta ci fu tolto il processo". Di una cosa l'ex procuratore è comunque certo: se anche, giudizialmente, non ci sono colpevoli, "la verità storica è stata accertata. Sul finire degli anni '60 alcuni settori dello Stato pianificarono l'uso di terroristi di estrema destra per frenare l'avanzata della sinistra".

Della stessa opinione è anche il giudice istruttore Guido Salvini, che seguì le più importanti inchieste sul terrorismo di destra. Per il giudice Salvini dietro la strage di piazza Fontana c’è Ordine Nuovo e questo è un punto fermo, nonostante le assoluzioni “La verità giudiziaria non si esaurisce sempre nella condanna dei singoli responsabili. Non è una situazione molto diversa da quella dell' indagine sulla morte di Mattei, conclusasi con la certezza acquisita che si trattò non di un incidente ma di un sabotaggio, senza però giungere ai nomi dei suoi autori". http://www.tgcom.it/cronaca/articoli/articolo255642.shtml

Dunque almeno questo lo sappiamo: che dietro la strage c’è il terrorismo fascista. Ma questo noi ex ragazzi del ’68 lo avevamo già detto, anzi gridato, 36 anni fa…

Ma vediamo come è cominciata questa incredibile vicenda giudiziaria.

Sono circa le 16,25 del 12 dicembre 1969, è un venerdì e tutte le altre banche sono già chiuse, ma non la Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, perché il venerdì sera vi si svolgono le contrattazioni del mercato agricolo. Sotto il tavolo centrale, attorno a cui la gente normalmente si siede per compilare assegni e moduli, ci sono due valigette. Qualcuno le ha lasciate lì, ma nessuno sospetta che dentro ci siano circa 7 kg di tritolo. Il salone è pieno di gente ignara, che pensa al fine settimana e alle spese di Natale. Qualcuno si è portato dietro anche i bambini, perché magari dopo si va a vedere le vetrine già addobbate per le feste. Tutto accade in un attimo, e con un boato enorme, che manda in pezzi anche i vetri delle finestre del palazzo vicino, quell’ordigno esplode, disintegrando muri, pavimenti, vetri, mobili e straziando poveri corpi. Quattordici persone muoiono sul colpo, due moriranno all’ospedale nei giorni seguenti e un’altra qualche anno dopo, per le conseguenze delle menomazioni subite nell’esplosione. I feriti sono 84, alcuni gravissimi. La gente che accorre sul posto resterà sconvolta e subirà degli shock incancellabili. Lo stesso sindaco Aniasi, subito giunto sul posto, confesserà di non aver mai superato lo shock. Le ambulanze si allontanano con le ruote insanguinate: intorno è il caos, la disperazione, lo sconcerto. Non si sa bene cosa sia successo: è esplosa una caldaia? E’ colpa di una fuga di gas? Ma già i telegiornali della notte confermano l’agghiacciante verità: è stata una bomba. E del resto non è stata la sola, quel giorno: un’altra bomba viene scoperta nella sede della Banca Commerciale Italiana, in via della Scala… Ma ne esplodono anche a Roma. “ Le bombe di Roma sono tre. La prima esplode alle 16,45 in un corridoio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e via San Basilio. Tredici feriti tra gli impiegati, uno gravemente. Ma anche questa poteva essere una strage. Alle 17,16 scoppia un ordigno sulla seconda terrazza dell'Altare della Patria, dalla parte di via dei Fori Imperiali. Otto minuti dopo la terza esplosione, ancora sulla seconda terrazza ma dalla parte della scalinata dell'Ara Coeli. Frammenti di cornicione, cadendo, feriscono due passanti. Ma questi due ultimi ordigni sono molto più rudimentali e meno potenti degli altri.” http://www.ercanto.it/strage1.htm

Stando così le cose davvero non si capisce come mai ci sia voluto tanto tempo a capire che si trattava di una strategia precisa, che collegava tutti questi attentati e che la matrice era una sola.

A Milano le indagini si rivolgono subito verso l’ambiente degli anarchici. Quale sia il motivo di questa scelta è davvero un mistero nel mistero. A meno che non vogliamo pensare che il ragionamento sia stato: bomba= anarchici. Ma è troppo stupido davvero e preferisco scartarlo. Piuttosto gli anarchici sono gente senza partito, senza potere, sono cani sciolti: i candidati perfetti per diventare “mostri” da dare in pasto all’opinione pubblica. Comunque sia, vengono convocati in questura due anarchici : Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. Due persone qualsiasi, che hanno anche degli alibi per il momento dell’attentato: Pinelli gioca a carte nel suo solito bar dei Navigli e Valpreda, già indagato per un volantino contro Paolo VI, è a letto con l’influenza, a casa della zia Rachele Torri… Ma un tassista, un certo Cornelio Rolandi, che morirà il 16 luglio del 1971 di infarto polmonare (…circostanza curiosa: anche i testimoni dell’assassinio di Kennedy subirono la stessa sorte…), sostiene di averlo portato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, quel pomeriggio del 12.

Racconterà:«Venerdì pomeriggio ho preso su un cliente mi ha detto di portarlo all’angolo di via S. Tecla. Aveva una grossa borsa. E’ sceso dicendo di aspettarlo, l'ho visto dirigersi verso il palazzo della Banca della Agricoltura… è tornato dopo qualche attimo a mani vuote. "Vada via, vada avanti..." mi ha detto. Si è fatto lasciare a duecento metri in via Albricci... subito dopo c'è stata l'esplosione...».
Come si potesse credere a una cosa del genere è davvero inconcepibile: qual è quell’attentatore, per quanto decerebrato, che si fa portare in taxi sul luogo in cui deve compiere un attentato? E tuttavia Valpreda resterà in carcere fino al 1972, ingiustamente trattenuto, tanto che daranno il suo nome ad una legge sulla carcerazione preventiva. Povero Valpreda. E povero Pinelli. Trattenuto senza uno straccio di prove, senza nemmeno una accusa precisa, torchiato senza tregua per tre giorni e poi “volato” dalla finestra del quarto piano della Questura, nella notte fra il 15 e il 16 dicembre. Dopo il volo e la morte dell’anarchico, i questurini si affannano a spiegare il fatto, ma le versioni non sono univoche ( ma come mai non si sono accordati su una versione comune? Forse perché, come dice un saggio detto popolare, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi?): si parla di un malore che avrebbe colto il Pinelli mentre era affacciato ( a dicembre??? A Milano???); poi si dice invece che gli agenti presenti nella stanza (4 o 5, non si sa, ma si dice con certezza che Calabresi, il commissario, al momento non ci sia… ma guarda un po’…) hanno cercato con tutte le forze di fermarlo mentre lui cercava di buttarsi. Anzi, addirittura a uno è rimasta una sua scarpa in mano… peccato che quando raccolgono il corpo, lì sul selciato, le scarpe le abbia entrambe…Si parla di una disgrazia, ma allora perché quegli agenti verranno poi indagati per omicidio colposo? Intanto i giornali italiani vagolano fra le ipotesi più incredibili, ma non quelli stranieri. Ho ancora impressa indelebilmente nella memoria la prima pagina del quotidiano francese “Le Monde” che titolava in caratteri cubitali “Pinelli a été suicidé” (Pinelli è stato sucidato). Certo, era quello che pensavamo anche noi tutti, ma vederlo scritto su un giornale fu davvero sconvolgente. Ci diede la misura della menzogna di cui era complice anche la nostra informazione. Allora le vittime della strage di piazza Fontana forse sono più delle 17 ufficiali: sono almeno 18. E infatti in una aiuola di piazza Fontana una targa ricorda quel povero ferroviere, colpevole solo di essere anarchico. Ma la morte di Pinelli non sarà digerita tanto facilmente. Subito circola nella sinistra giovanile una canzone che, sulla musica della vecchia ballata anarchica contro il “feroce monarchico” Bava Beccaris, cominciava così:

Quella notte a Milano era caldo

Ma che caldo che caldo faceva,

“brigadiere apra un po’ la finestra”

una spinta e Pinelli va giù….

La si canta nei cortei, davanti alle Questure di mezza Italia, con rabbia e con dolore. Ci sarà chi non si fermerà alla rabbia e al dolore e “ vendicherà” Pinelli, uccidendo il commissario Calabresi. Un altro caso intricato e confuso anche questo, di cui paga le conseguenze Adriano Sofri, che si è sempre dichiarato innocente dell’omicidio, ma colpevole del linciaggio morale. Ma se è per questo non c’è nessuno della nostra età che non lo sia: tutti abbiamo odiato Calabresi, ma non per questo siamo assassini.… mi chiedo cosa pensi in questo momento: lui chiuso in carcere e gli stragisti di piazza Fontana ancora liberi e sconosciuti…la sinistra punita per le parole e la destra assolta per i fatti…

Ma “torniamo a bomba”, è il caso di dire….

Mentre si indaga sui poveri anarchici, si scopre che le valigette che hanno contenuto l’esplosivo sono state acquistate a Padova e che il timer dell’ordigno proviene da Treviso. E’ una pista che porterà agli ambienti eversivi di destra. I primi ad essere accusati di essere coinvolti nell’attentato sono Franco Freda e Giovanni Ventura. Sono amici e fanno parte dell’organizzazione Ordine Nuovo, fondata da Pino Rauti. Poi spunta fuori un altro indiziato: Guido Giannettini, un agente del SID, che nel 1962 ad Annapolis, nel Maryland, ha tenuto un seminario per gli allievi della Scuola della Marina Militare degli USA, dal titolo “Tecniche e possibilità di un colpo di stato in Europa”.

Ma come caspita sono arrivati a questi nomi? E’ stato grazie ad un certo Guido Lorenzon, professore di Treviso, che va a raccontare al giudice Calogero le confidenze che gli ha fatto Ventura, circa gli attentati dinamitardi accaduti nel periodo. Anzi, già dal 15 dicembre di quel 1969 il Lorenzon è andato dall’avvocato Steccarella, a Vittorio Veneto, dove ha steso un memoriale che poi verrà consegnato alla magistratura. E allora perché, se già si sa che è la destra fascista che sta dietro questi attentati, si lascia il povero Valpreda in galera ancora per tanti anni? Ma che domande ingenue che mi faccio, a volte… Valpreda è ancora in galera nel 1971, quando si scopre un arsenale NATO in casa di un affiliato di Ordine Nuovo. “Tra le armi ritrovate sono presenti delle casse dello stesso tipo di quelle utilizzate per contenere gli ordigni deposti in Piazza Fontana. Quell’arsenale era stato nascosto da Giovanni Ventura dopo gli attentati del 12 dicembre ’69”. www.archivio900.it/cronologia/piazzaFontana.htm - 38k
Ma qual era l’obiettivo della strage? Forse capire questo può essere utile a capire i mandanti, se non gli esecutori. Ma nessuno dei processi arriva a dare una risposta, anche se è chiaro che si vuole arginare la crescente popolarità della sinistra Ipotesi che invento io? No. Lo scrive Aldo Moro, nel suo “Memoriale” : '' Io però, personalmente ed intuitivamente, non ebbi mai dubbi e continuai a ritenere (e manifestare) almeno come solida ipotesi che questi ed altri fatti che si andavano sgranando fossero di chiara matrice di destra ed avessero l'obiettivo di scatenare un'offensiva di terrore indiscriminato (tale proprio la caratteristica della reazione di destra), allo scopo di bloccare certi sviluppi politici che si erano fatti evidenti a partire dall'autunno caldo e di ricondurre le cose, attraverso il morso della paura, ad una gestione moderata del potere.” E ancora, in un altro passo “ La c.d. strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l'Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del '68 ed il cosiddetto autunno caldo. Si può presumere che Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi d'informazioni. Su significative presenze della Grecia e della Spagna fascista non può esservi dubbio e lo stesso servizio italiano per avvenimenti venuti poi largamente in luce e per altri precedenti (presenza accertata in casa Sid di molteplici deputati missini, inchiesta di Padova, persecuzioni contro la consorte dell'[ambasciatore] Ducci, falsamente accusata di essere spia polacca) può essere considerato uno di quegli apparati italiani sui quali grava maggiormente il sospetto di complicità, del resto accennato in una sentenza incidentale del Processo di Catanzaro ed in via di accertamento, finalmente serio, a Catanzaro stessa ed a Milano.
Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all'antico. Tra essi erano anche elettori e simpatizzanti della D.C., che, del resto, non erano nemmeno riusciti a pagare il prezzo non eccessivo della nazionalizzazione elettrica, senza far registrare alla D.C. una rilevante perdita di voti. E così ora, non soli, ma certo con altri, lamentavano l'insostenibilità economica dell'autunno caldo, la necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un giro di vite anche sul terreno politico. “

Parole gravi, parole pesanti. Accuse precise. A volte anche personali, sia pure nella forma curiale e cauta, tipica di Aldo Moro: “Si tratta di vedere in quale misura nostri uomini politici possano averne avuto parte e con quale grado di conoscenza e d’iniziativa. Ma, guardando al tipo di personale di cui si tratta, Fanfani è da moltissimi anni lontano da responsabilità governative ed è stato, pur con qualche estrosità, sempre lineare. Forlani è stato sul terreno politico e non amministrativo. Rumor, destinatario egli stesso dell’attentato Bertoli, è uomo intelligente, ma incostante e di scarsa attitudine realizzativa; Colombo è egli pure con poco mordente e poi con convinzioni democratiche solide. Andreotti è stato al potere, ha origini piuttosto a destra (corrente Primavera), si è, a suo tempo, abbracciato e conciliato con Graziani, ha presieduto con indifferenza il governo con i liberali prima di quello coi comunisti. Ora poi tiene la linea dura nei rapporti con le Brigate Rosse, con il proposito di sacrificare senza scrupolo quegli che è stato il patrono ed il realizzatore degli attuali accordi di governo”. E ancora “… Dell’On. Andreotti si può dire che diresse più a lungo di chiunque altro i servizi segreti, sia dalla Difesa, sia, poi, dalla Presidenza del Consiglio con i liberali. Si muoveva molto agevolmente nei rapporti con i colleghi della Cia (oltre che sul terreno diplomatico), tanto che poté essere informato di rapporti confidenziali fatti dagli organi italiani a quelli americani.” E per finire “… se vi furono settori del Partito immuni da ogni accusa (es. On. Salvi) vi furono però settori, ambienti, organi che non si collocarono di fronte a questo fenomeno con la necessaria limpidezza e fermezza.”

http://www.apolis.com/moro/moro/memoriale/3.htm

Dal 23 febbraio del 1972, dalla prima udienza del primo processo, alla sentenza del 3 maggio 2005, si sono alternate ipotesi, dubbi, intrighi, piste insabbiate, personaggi inquietanti, fughe di indiziati e una quantità infinita di processi, di appelli, di cambi di accuse, di assoluzioni che diventano condanne e di condanne che si tramutano magicamente in assoluzioni: 36 anni di questo circo equestre. E sullo sfondo tutti quei poveri morti. Tutte quelle persone ammazzate senza un vero perché, colpevoli solo di essere nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Tutte quelle vite spezzate, con i loro sogni, le speranze, gli affetti… E adesso quei familiari che li aspettavano a casa, che hanno dovuto riconoscere invece i loro corpi straziati, quei familiari che li hanno pianti per anni, sono stati anche condannati a pagare le spese processuali. Dovranno pagare l’incapacità di questo paese di rendere giustizia ai suoi morti. E dovranno farlo senza mai sapere chi ha ucciso i loro cari. E a niente varrà che non le paghino loro direttamente: il sindaco di Milano e il presidente del consiglio si sono candidati al premio “le istituzioni più generose”, offrendosi di pagare le spese; gruppi come Libertà e giustizia e Girotondi e movimenti stanno organizzando c/c su cui i cittadini possano versare il loro solidale contributo. Ma chissà perché io credo che a loro tutto questo non interessi: non erano soldi che volevano, ma verità e giustizia. Credo che ciascuno di noi oggi abbia mille ragioni in più per sentirsi profondamente indignato e “nauseato”.

Iscritto dal: 05/06/2002
User offline. Last seen 5 years 37 weeks ago.

Radio Radicale ,a mio avviso, dovrebbe intervistare la moglie di Pinelli.

a.mazzucchelli (not verified)

L'INCREDIBILE SENTENZA SU PIAZZA FONTANA,RICHIAMA ALLA MEMORIA,LE CIRCOSTANZE DELLA MORTE DI PINELLI.PINO FU VITTIMA
DI UN " ARRESTO ABUSIVO E VIOLENTO " , QUESTO E' ASSODATO .
MA LA SUA VICENDA E' INTIMAMENTE CONNESSA CON QUELLA DEL COMMISSARIO CALABRESI . PINELLI ERA RESPONSABILE DEL CIRCOLO ANARCHICO A MILANO,E COME TALE, OGNI QUALVOLTA SI VANTAVA UN MOTIVO DI ORDINE PUBBLICO,VENIVA CONVOCATO IN QUESTURA,INDOVINA UN PO' DA CHI ?,SI DA LUI,PROPRIO DA LUI,DAL COMMISSARIO CALABRESI .COSI' AVVENNE ANCHE IN OCCASIONE DI PIAZZA FONTANA.

ORA,SICCOME C'E' ANCORA QUALCUNO CHE SOSTIENE CHE IL COMMISSARIO CALABRESI NON FOSSE NELLA FAMIGERATA STANZA DEL
SUICIDATO,VORREI CHE NON PASSASSE QUESTO MESSAGGIO,ANCHE PERCHE',LA "VEXATA QUESTIO",NON E' QUESTA , SEMMAI L'APPURARE ,
DATO CHE NELLA STANZA C'ERA,ECCOME!, SE NE USCI' A PINELLI VIVO O GIA' MORTO .
NON E' QUESTIONE DA POCO,VISTA LA SUCCESSIVA CAMPAGNA DI CONTROINFORMAZIONE, CHE INDICO' PROPRIO NEL COMMISSARIO CALABRESI IL RESPONSABILE DELLA MORTE DI PINO .

ANCORA UNA VOLTA LA VERITA' STORICA,ORMAI PASSATA IN GIUDICATO NELLA COSCIENZA DELLA GENTE,SI CONTRAPPONE A QUELLA GIUDIZIARIA,COME LO FU PER VALPREDA,DAPPRIMA,E POI PER
TORTORA.

QUINDI,CHI ANCORA INSISTE CANDIDAMENTE CON LA CERTEZZA CHE
CALABRESI NON ERA IN QUELLA STANZA,DOVREBBE PERLOMENO FARSI
FARSI "TOCCARE" DAL DUBBIO .

CASO CONTRARIO,I CASI SONO TRE :

O SI E' IN MALAFEDE,

O SI E' DISINFORMATI,

O SI E' DISPONIBILI A TRANGUGIARE ANCHE LA CICUTA,BEN SAPENDO CHE NON E' ALTRO CHE UN DISTILLATO DELLO STATO,AUTORE DELLA STRAGE,E DEI SUOI "SERVIZI DEVIATI " , COME GRAZIOSAMENTE LI
APPELLANO I SUDDITI !

ADRIANO SOFRI LIBERO !!!

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

piazza fontana: familiari vittime, accettiamo elemosina del governo - evitata almeno la beffa

Roma, 6 mag. (Adnkronos) -Accettiamo l'elemosina del governo. Almeno ci è stata rispermiata la beffa. Carlo Arnoldi, che il 12 dicembre del 1969 perse il padre Giovanni nella strage di piazza Fontana, reagisce così alla notizia che il governo si farà carico delle spese processuali che la Corte di Cassazione aveva addebitato ai famigliari delle vittime, dopo avere confermato l'assoluzione dei tre principali imputati della strage.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.
Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

I soldi di piazza Fontana

Aprile on line

All'ingiustizia siamo abituati. Soprattutto quando si tratta di episodi accaduti negli anni Sessanta e Settanta. Trattasi di stragi di Stato, attentati ai treni e alle stazioni o bombe fatte esplodere nelle piazze. Ma alle beffe, dobbiamo ammetterlo, non riusciamo proprio a fare il callo e il durone.
La sentenza che assolve tutti gli imputati della strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) è di quelle che bruciano. I neofascisti imputati (Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni) sono stati tutti assolti: e, per giunta, con sentenza definitiva. Amen per le 17 persone morte e gli 85 feriti nell'attentato.
Non ci sono – per la giustizia – né mandanti, né esecutori.
Sono passati 36 anni da quando cadde da una finestra della Questura di Milano l'anarchico Pinelli e poi s'incolpò dell'attentato un altro anarchico, Pietro Valpreda. Poi la pista delle indagini imboccò la destra senza risultati tangibili (chi si ricorda di Franco Freda e di Giuseppe Ventura, o dell'agente dei servizi Guido Giannettini?). Siccome questa ultima sentenza viene dalla Cassazione, il sipario sulla strage è calato definitivamente e non avrà repliche. Così sia.
Ma c'è una parte di quella sentenza che è inaccettabile. La Cassazione, dal momento che si è appurato che non ci sono colpevoli, ha deciso che le spese processuali sono a carico dei parenti delle vittime. Non deve quindi stupire se qualcuno di quegli stessi parenti ha già dichiarato con orgoglio ai giornali: "Non verserò neppure un soldo. Mi mettano pure in prigione o agli arresti domiciliari".
La beffa è motivata dalla burocrazia. Che a volte, come ha insegnato Franz Kafka, perseguita gli individui perfino psicologicamente dall'alto di un Castello o nelle aule di un Processo. Non importa se si è a Praga, in un tribunale di Milano o in un qualsiasi altro posto del mondo.
Certo, ci sono spese processuali da pagare (e di sicuro la cifra è alta, tenuto conto il tempo che è passato dal 1969). Eppure, se esistono cose che non si possono chiedere ai parenti delle vittime sono proprio i soldi. La vita umana non ha prezzo, si suole dire, e i soldi non sono tutto. Ma i soldi, in questo caso, sono la mortifera metafora dell'ingiustizia che si fa burocrazia giudiziaria.
Proprio per questo non facciamo fatica a sottoscrivere l'articolo di Paolo Franchi sulla prima pagina del "Corriere della Sera" di ieri ("Sia lo Stato a pagare quei soldi"). Come ha scritto Franchi, "Il debitore, politicamente e moralmente, è lo Stato. E per lo Stato sarebbe se non altro dignitoso, mentre è costretto a registrare una sconfitta dolorosa, cercare e trovare il modo per pagare, seppure in minima parte, il suo debito storico. Almeno sul piano economico". E così sia.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Piazza Fontana: 35 anni tra sospetti e depistaggi Da Valpreda ai timer di Freda I primi indizi sul fronte nero, poi il trasferimento del processo. Nel'90 le rivelazioni di «zio Otto», creduto a metà

Corriere della Sera

La strage di piazza Fontana resta impunita. Dopo 36 anni la giustizia dello Stato non è riuscita a ottenere neppure una condanna per l’eccidio (17 morti e 85 feriti) che ha segnato l’inizio del terrorismo politico in Italia. Il solo colpevole teorico (non punibile per prescrizione), secondo la sentenza confermata ieri dalla Cassazione, è Carlo Digilio: l’unico terrorista pentito di Ordine nuovo. La bomba del 12 dicembre 1969 devasta il salone gremito di innocenti della Banca nazionale dell’agricoltura fermandone l’orologio alle 16.37. In pochi minuti scoppiano altre 3 bombe a Roma e a Milano se ne scopre una quinta inesplosa. La polizia e l’Ufficio affari riservati indirizzano subito le indagini contro gli anarchici. La mattina del 15 dicembre Pietro Valpreda viene arrestato come «presunto esecutore». La stessa notte Giuseppe Pinelli muore sotto interrogatorio precipitando da una finestra della questura: l’inchiesta esclude l’omicidio, ma conferma che fu vittima di un «arresto abusivo e violento». Il 17 maggio ’72 Ovidio Bompressi uccide il commissario Luigi Calabresi, additato da Lotta Continua (senza alcuna prova) come responsabile della morte di Pinelli. Dopo tre anni di carcere, Valpreda viene assolto già in primo grado per insufficienza di prove.

Anche l’ultima sentenza (da ieri definitiva) riconferma che era innocente e fu incastrato da depistaggi raffinatissimi. La pista anarchica frana a partire dal 1971, grazie a una scoperta casuale: ristrutturando una casa a Castelfranco Veneto, i muratori trovano un arsenale nella soffitta di un vicino, che è un neofascista. La svolta fa riemergere dagli archivi la testimonianza dell’insegnante Guido Lorenzon, che subito dopo la strage accusò Giovanni Ventura di avergli confessato le bombe del 12 dicembre ’69, preannunciandone altre «per favorire un golpe». I magistrati veneti trasmettono gli atti a Milano, dove il giudice D’Ambrosio e i pm Fiasconaro e Alessandrini (poi ucciso da Prima Linea) raccolgono prove contro la cellula di Ordine nuovo padovana, capeggiata da Franco Freda. L’istruttoria accerta, tra l’altro, che la valigia con la bomba inesplosa (fatta scoppiare dalla questura con scelta «disastrosa») era stata venduta in un negozio di Padova a una persona simile a Freda e che la polizia lo sapeva, ma lo ha nascosto. Sempre Freda ha acquistato una partita di «timer a deviazione» identici a quelli del 12 dicembre. Nel ’73, dopo l’arresto, Ventura confessa gli altri 21 attentati del ’69, negando solo la strage. Quindi i pm scoprono che «faceva rapporto» a Guido Giannettini, un agente del Sid scappato all’estero con un passaporto dello stesso servizio segreto. La domenica successiva la Cassazione sposta tutti i processi a Catanzaro: «A Milano non c’è un clima sereno per giudicare».

Qui la Corte d’assise infligge l’ergastolo a Freda, Ventura e Giannettini, che in appello e Cassazione sono però assolti per insufficienza di prove. Freda e Ventura risultano colpevoli solo dei 21 attentati preparatori. Condanna definitiva per favoreggiamento anche per il generale Maletti e il capitano Labruna del Sid. Dopo un secondo, inutile processo ai neofascisti Stefano delle Chiaie e Massimiliano Fachini, negli anni ’90 il giudice Guido Salvini fa ripartire le indagini da un nome emerso a Catanzaro: a preparare le bombe era «zio Otto», identificato per Carlo Digilio. Rientrato dalla latitanza a Santo Domingo, Digilio si pente e accusa Carlo Maria Maggi, arrestato nel ’97 come mandante, e Delfo Zorzi, presunto esecutore, latitante in Giappone. Altri testimoni chiamano in causa come basista il milanese Giancarlo Rognoni, già condannato a 15 anni per una bomba sul treno del 1973.

In primo grado, nel 2001, la Corte d’assise infligge tre ergastoli. Ma in appello, nel 2004, i nuovi giudici scagionano Rognoni con formula piena e assolvono Zorzi e Maggi «perché la prova è rimasta incompleta». Nelle motivazioni, il presidente Pallini considera Digilio attendibile quando accusa se stesso, ma non credibile contro Zorzi e Maggi, rimarcando «il grave ictus che nel ’95 ne ha compromesso la memoria» e denunciando «l’oggettiva influenza» dei suoi «colloqui con i carabinieri». La stessa sentenza, ora definitiva, considera «pienamente attendibili i nuovi testimoni», dall’elettricista Tullio Fabris all’ex ordinovista Martino Siciliano, che «inchiodano Freda e Ventura alle loro responsabilità per la strage», che però valgono solo per gli storici: per la giustizia, il loro processo è ormai finito a Catanzaro. Per sempre.

Paolo Biondani
04 maggio 2005

Iscritto dal: 05/06/2002
User offline. Last seen 5 years 37 weeks ago.

Se s'incazzassero un pochino
gli anarchici non sarebbe male! :wink:

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

"La decisione su piazza Fontana è il rovesciamento tra vittime e carnefici, di carnefici assolti e le vittime che restano vittime senza il riconoscimento dell' ingiustizia subita", dice Mauro Decortes, portavoce del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa Milano. Decortes, che è stato amico di Pietro Valpreda, aggiunge che domani alle 11, con gli esponenti dell' Osservatorio Democratico, gli anarchici del Circolo terranno una conferenza stampa sulla questione davanti alla lapide che ricorda Giuseppe Pinelli in piazza Fontana. "Come anarchici - ha aggiunto - non possiamo che ribadire che la strage di Piazza Fontana resta una strage di stato. Così come ribadiamo l'innocenza di Valpreda e il fatto che Pinelli fu assassinato. La sentenza della Cassazione è un esempio emblematico per ricordare che ci sono state e che ci sono ingiustizie".

4 maggio 2005

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Aniasi: non posso accettare una sentenza che ci umilia

di RODOLFO SALA - da Repubblica

«Sono sgomento, questa sentenza umilia la città». Aldo Aniasi ha appena sentito la notizia al tg della sera e scuote la testa. Nel 1969 era sindaco (lo è stato per nove anni, dal ‘67 al ‘76), giunta di centrosinistra a guida socialista, e quel pomeriggio del 12 dicembre se lo ricorda benissimo. Adesso è un signore di 82 anni che porta con orgoglio il nome di quand´era partigiano, «comandante Iso» e ha la voce che vibra di indignazione.

Perché sgomento?

«La sentenza della Cassazione è assurda: dice che la strage di piazza Fontana non c´è mai stata, che il 12 dicembre non è successo niente. Sarà anche una verità giudiziaria...».

Però?

«Io non la accetto, perché contrasta con la verità storica».

In che senso?

«Gli esecutori materiali sono stati i neofascisti. I mandanti e responsabili dei depistaggi i servizi segreti italiani e stranieri. Questo è innegabile, non c´è Cassazione che tenga. Del resto non è la prima volta che vengono assolti dei colpevoli».

A che cosa si riferisce?

«Al processo di Catanzaro. Quello è stato l´inizio. Dicevano che Milano, essendo la città della strage, non dava sufficienti garanzie di serenità e di tranquillità. Si sa come è andata: tutti assolti, nessun colpevole. E adesso che sono passati quasi 37 anni la storia si ripete: un altro insulto alla città. Soprattutto ai familiari delle vittime, che dovranno addirittura pagare le spese processuali. Per loro l´insulto è stato doppio».

Dov´era, quel giorno?

«Cerco sempre di non pensarci, perché è una cosa orribile. Purtroppo non ci riesco. Comunque ero in piazza Cavour, a un convegno. Mi hanno avvisato subito».

E che cosa ha fatto?

«Sono corso in piazza Fontana; una scena infernale. C´era il prefetto Mazza che dava una dichiarazione alla stampa: "Sono stati gli anarchici". Ma come faceva a dirlo, a pochi minuti dalla strage?».

Secondo lei?

«È evidente: quella era la verità prefabbricata dall´ufficio Affari riservati del Viminale. Il che dimostra che ci furono anche responsabilità della politica di allora: scarsa vigilanza, perfino tolleranza nei confronti dell´eversione».

Torniamo a quel 12 dicembre.

«Da piazza Fontana ho raggiunto Palazzo Marino, per presiedere una giunta straordinaria. Per proclamare il lutto cittadino, ma non solo».

E cioè?

«Bisognava organizzare la difesa - anzi, diciamolo pure: la Resistenza - della città. Avevamo capito subito che stavano tentando di seminare la paura: era stata messa una bomba anche alla Banca commerciale, gli artificieri poi l´hanno fatta brillare troppo in fretta, e solo per occultare le prove».

Quindi?

«Ci siamo messi in contatto con i sindacati, le forze politiche democratiche, i sindaci dei Comuni dell´hinterland. Abbiamo capito subito che era indispensabile una risposta eccezionale della Milano democratica. L´occasione furono i funerali, celebrati il 16 dicembre in Duomo».

Com´era il clima?

«Una folla immensa e muta. Operai in tuta da lavoro, donne che piangevano. E una tensione che tagliava con il coltello. Se non è successo nulla, lo si deve all´atteggiamento fermo e consapevole dei milanesi. Avevano capito perfettamente che bisognava vigilare contro tutti i tentativi di creare disordine, di impaurire le gente per scopi politici. Ma io non me ne stupii».

Perché?

«Riaffiorava con chiarezza la memoria storica di questo Paese, di questa città. La Resistenza, gli operai del Nord, che avevano impedito con le armi la rapina degli impianti industriali tentata dai tedeschi. Come accadde durante la Resistenza, Milano aveva capito per prima che la democrazia stava correndo un serio pericolo».

Che cosa capirà adesso, Milano? C´è la stessa tensione di allora?

«Sì, ne sono sicuro. Però la città è delusa. Non è la prima volta che un´aula di Tribunale dice che il 12 dicembre del ‘69 non è successo niente. Oggi la democrazia non vive i pericoli di quegli anni. Ma c´è il rischio che ci si abitui agli insulti, questo sì».

Un rischio che si può evitare?

«A una condizione: far rivivere la memoria, dire la verità fino in fondo. Io ho sempre cercato di farlo. Non da solo, certo: ma siamo stati in pochi».

È ancora buio su piazza Fontana?

«La commissione parlamentare sulle stragi, quella presieduta da Pellegrino, ha aggiunto parecchi tasselli. Ma non è stata in grado di dire tutta la verità sul pericolo che abbiamo corso in quel periodo della nostra storia repubblicana. Ma nella coscienza dei milanesi quel buio non c´è».

Come fa a dirlo?

«Abbiamo appena celebrato il 25 Aprile insieme al presidente della Repubblica. In piazza Duomo c´era aria di festa, ma la tensione era la stessa che si poteva cogliere ai funerali delle vittime di piazza Fontana».

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.
Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

se.giordano wrote:
Sul Corsera di ogg...

Va a finire che la vedova deve pagare anche
i danni alla finestra :cry:

Bene!. Cioè male.
Bene per il fatto che domani l'articolo del Corriere sarà aggratis

Iscritto dal: 05/06/2002
User offline. Last seen 5 years 37 weeks ago.

Sul Corsera di oggi viene fatto un riassunto del dopo strage di Milano.
"Pinelli muore sotto interrogatorio
precipitando da una finestra della questura
:l'inchiesta esclude l'omicidio
ma conferma che fu vittima di un "arresto abusivo e
violento".....
e tante altre cose (Paolo Biondani)

Va a finire che la vedova deve pagare anche
i danni alla finestra :cry:

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

PIAZZA FONTANA: CIRCOLO ANARCHICI, SENTENZA INDEGNA E INDECOROSA Milano, 3 mag. - (Adnkronos) -

''Sentenza indegna e indecorosa''. Cosi' Mauro Decortes, portavoce del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa Milano, commenta la decisione dei giudici della Cassazione sulla strage di piazza Fontana. ''La verita' storica e' che fu una strage di stato cosi' come l'innocenza di Valpreda e l'assassinio di Pinelli - dice Decortes -. La sentenza non ci sorprende. Potremmo chiamarla cronaca di una ingiustizia annunciata: la decisione su piazza Fontana e' il rovesciamento del rapporto tra vittime e carnefici. Ci sono carnefici assolti e le vittime che restano vittime senza il riconoscimento dell'ingiustizia subita. E' come il Vajont. Ci sono le ingiustizie di ieri e le ingiustizie di oggi.''

(Gio/Pn/Adnkronos)
03-MAG-05 21:04

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Piazza Fontana strage di stato, tutti assolti.
Cancellati 36 anni di crimini del potere.
Con una sentenza incredibile solo per chi è convinto che la legge sia uguale per tutti, lo stato si assolve e tenta di cancellare la memoria storica.
Noi non dimentichiamo.
Non dimentichiamo tutte le stragi volute dal potere, non dimentchiamo l'assassinio di Pinelli, l'incarcerazione di Valpreda. Non dimenticheremo.
Mai.

CIRCOLO ANARCHICO PONTE DELLA GHISOLFA

MILANO

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.
Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Quel francobollo...

Quel francobollo…già, mi ricordo
una sera a Milano era caldo
e un ferroviere anarchico…non sbaglio
dalla questura volò giu. Vero Commissario?

Quel francobollo ora lo compro, prometto,
in tasca la memoria graffia, fa male, brucia
poche righe scritte con rapita furia
la storia vive d’improvviso, rapido, getto.

Quel francobollo mi costa parecchio
dolore prenderlo con la mano tremula
sulla faccia nota di uno sbirro della pula
finito prima di diventar vecchio.

Quel francobollo mi serve per questo
biglietto scritto in tanti anni di lotte
con chi per nessun misero pretesto
scorda gli schiaffi, gli sputi, le botte

Quel francobollo l’ho appiccicato
generoso d’umore bagnato
poi l’indirizzo: Questura di Milano,
via Fatebenefratelli
dov’è stato ucciso Giuseppe Pinelli.

Jules Èlysard

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

tavola realizzata da Dario Fo in preparazione dello
spettacolo "morte accidentale di un anarchico (1970)

Iscritto dal: 05/06/2002
User offline. Last seen 5 years 37 weeks ago.

Vorrei tanto che come i segreti di Fatima
anche quello sulla morte di Pinelli
venisse alla luce.
Un Lollo-Marino in Commissariato non c'è? :roll:

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

documento 1998

Iscritto dal: 16/08/2000
User offline. Last seen 1 anno 26 weeks ago.

1965

25 ottobre

In occasione della condanna dell’obiettore di coscienza anarchico Ivo Della Savia, viene diffuso un documento (firmato da Mario Barbani, Fabrizio Fabbrini, Marco Pannella, Giuseppe Pinelli, Pietro Pinna, Aldo Rossi, Edmondo Tata) con cui si denunciano coloro che impediscono in Italia questa "affermazione rigorosa di una volontà di pace e di libertà".

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Rogo Primavalle, omertà di classe

Maurizio Belpietro sul Giornale

Facciamola finita, mettiamoci una pietra sopra e chiudiamo la storia del terrorismo che per vent'anni e più ha insanguinato l'Italia. Una bella amnistia, oppure un indulto, fate voi.
E ciò che ripetono ossessivamente i protagonisti degli anni di piombo. C'era una guerra - essi dicono - fra noi e lo Stato. Noi eravamo innocenti, ma la strage di piazza Fontana ci ha fatto perdere l'innocenza e siamo stati costretti a reagire, a tirare prima le pietre, poi le molotov e infine i colpi di P38. Adesso che la guerra l'abbiamo persa, i cadaveri sono sepolti e alcuni di noi sono ancora in carcere, o se non ci sono mai andati continuano a essere fastidiosamente inseguiti da vecchi mandati di cattura, pacifichiamo il Paese, troviamo una soluzione politica, tirate fuori di galera i nostri amici che ancora non sono stati messi in libertà per buona condotta.
Oltre ai diretti interessati, una pietra sugli anni di piombo la vogliono mettere pure alcuni importanti opinionisti con un passato da militanti dell'ultra sinistra, anche loro convinti che la guerra vada chiusa restituendo i loro cari alle famiglie.
Peccato che quella guerra allo Stato, ai suoi servitori e a un certo numero di giornalisti liberi, fosse stata dichiarata da una parte sola: quella dei terroristi. E peccato che quella guerra che si vorrebbe cancellare con un colpo di spugna sia ancora avvolta da troppi misteri e che le famiglie delle vittime reclamino se non la giustizia, almeno la verità.
Ne è prova la vicenda di Primavalle. In un'intervista al Corriere della Sera, Achille Lollo, condannato a 18 anni per il rogo in cui morirono un ragazzo di 21 anni e un bimbo di 8, ora che il delitto è andato in prescrizione, rivela che quell'attentato alla casa del modesto segretario di una sezione romana del Msi, non fu organizzato da tre attivisti di Potop, ma da sei. Lollo tira in ballo alcuni compagni di rivoluzione, che in questi trent'anni hanno cambiato vita, fatto carriera e si sono affermati nelle loro arti o mestieri. Non so se le accuse di Lollo, che da tempo è latitante in Brasile, siano vere o soddisfino solo una voglia di vendetta covata per troppo tempo: ce lo dirà la magistratura, che nel frattempo ha aperto un'inchiesta.
Una cosa però è certa: per molti anni i dirigenti di Potere operaio hanno contribuito a nascondere la verità su quell'atroce delitto. Lo ha rivelato al nostro Giornale Valerio Morucci, ex di Potop poi diventato brigatista, il quale ha confessato a Pierangelo Maurizio che dopo la strage il vertice dell'organizzazione fu informato dell' identità degli autori dell'attentato, ma i capi decisero di imbastire una campagna innocentista, accusando falsamente i missini di essere gli autori della strage e aiutando i colpevoli a fuggire.
E oggi, come allora, quegli stessi compagni tacciono. Da quando si è avuta notizia della prescrizione della pena, i cronisti del Giornale hanno bussato a tutte le porte, ma nessuno dei loquaci protagonisti di quegli anni sembra disposto a parlare. Tace Franco Piperno, che fa l'assessore a Cosenza; non si fa trovare Toni Negri, che è tornato a fare il filosofo; sfugge Iaroslav Novak, che aiutò Grillo a darsi alla latitanza, e ora collabora col presidente della Provincia di Roma. Silenzi imbarazzati e cornette riappese anche quando si prova a cercare qualche gregario.
La reticenza di quelli che volevano cambiare il mondo non riguarda solo il caso Primavalle. II patto del silenzio avvolge tutte le storie sanguinose di quegli anni. Del caso Calabresi, il commissario assassinato nel 1972 e per cui Adriano Sofri è in carcere, Erri de Luca, oggi scrittore e ieri uno dei capi del servizio d'ordine di Lotta continua, qualche tempo fa disse: quando ci restituirete il corpo di Sofri, vi racconteremo la verità su Calabresi.
Gli ex terroristi hanno speso fiumi d'inchiostro per narrare le proprie gesta - alcuni sono già giunti a molte edizioni - ma non hanno usato neppure una goccia di quell'inchiostro per raccontare le complicità, le coperture e i depistaggi delle bande armate che s'ispiravano al comunismo. Purtroppo dalla lotta di classe i nostri rivoluzionari sono passati direttamente all'omertà di classe. E oggi vorrebbero pure la clemenza per decreto.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Racconto d’inverno

di Olga Foti

A 35 anni dalla defenestrazione di Giuseppe Pinelli, un breve racconto ne ricorda la tragica fine.

Dicembre 2004

Sembra che a Milano, in questura, si aggiri un fantasma.
Un mio conoscente, il signor B., mi ha rivelato un episodio accadutogli non molti giorni fa.
Venendo di notte dalla stazione centrale si trovò a passare da via Fatebenefratelli dove, appunto, ha sede la questura. Guidava lentamente in quella calma notturna senza traffico quando, staccando gli occhi dalla strada: ”Toh, guarda, si disse, come si agita al vento quel lenzuolo!”
Ma non c’era vento.
C’era la nebbia. Poca. Una luce fredda priva di colore, e quella figura bianca sul davanzale della finestra che, a dire il vero, non dava l’idea di un semplice lenzuolo.
… che fosse un fantasma?
Ma i fantasmi bazzicano gli antichi castelli e le case scricchiolanti nelle brughiere, i quartieri abbandonati anche, ma in pieno centro cittadino, in questura poi… Mai sentito!
Per non dire che gli spettri attendono i rintocchi della mezzanotte prima di venir fuori, è cosa risaputa, e alla mezzanotte mancava ancora un buon quarto d’ora, l’orologio parlava chiaro.
Gli venne in mente persino una poesia di Trilussa dove un vecchio, lui solo fra tanta gente spaventata, pensa:
Io senza dubbio vedo che è un lenzuolo
ma più che dir la verità da solo
preferisco sbajamme in compagnia.
Dunque è un fantasma, senza discussioni.

Ma… altra storia questa.
Provò a darsi una spiegazione sensata: la stanchezza, il sonno che avanza… Qualche volta la notte proietta film girati senza cinepresa e per farli dileguare basterebbe bagnarsi il viso con l’acqua fredda delle fontanelle.
A trovarne una però! E di bar aperti a quell’ora neanche l’ombra.
I palazzi erano bui e quieti, perfino troppo, come se gli abitanti fossero andati via chissà per quale ragione misteriosa. Insomma, pareva esserci solo il fantasma.
Ed eccolo staccarsi dal davanzale, rimanere sospeso, precipitare nella strada. Lungo disteso sul selciato, come morto.
Poi si era alzato, era sparito, era riapparso alla finestra e si era lasciato cader giù di nuovo. Una volta, due volte, più volte.
Un fantasma che si suicidava.
Il signor B. lasciò che il motore si spegnesse e rimase lì con le mani sul volante, immobile, come marmorizzato.
Si sa di morti che restano nel luogo dove sono morti, di luci che si accendono e inspiegabilmente si spengono, di passi e voci in case disabitate, anche di spettri affacciati alle finestre.
Il signor B. sentiva un brivido percorrergli la schiena.
Nel palazzo di fronte un balcone si aprì e si richiuse con sbatacchiare frettoloso, ma nella strada nemmeno un passante, solo la nebbia e il fantasma. Pareva guardare verso di lui, ora, verso la macchina. La fissava. Poi si mosse lentamente, la raggiunse, fece segno di voler salire.
Come dire di no a un fantasma?
E aprì la portiera, mise in moto.
“Dove vuole che andiamo ?” ed era stupito di avere ancora un fil di voce.
Non ebbe risposta. Ma improvvisamente, inspiegabilmente, il signor B. seppe il percorso che doveva fare: piazza della Repubblica, via Manzoni, il Duomo con la Madonnina, piazza Castello…
Una corsa nella notte attraverso la città illuminata, le statue come sentinelle, la luce cruda dei lampioni, quella violenta delle insegne. Lui e il fantasma, in macchina.
Roba da non crederci. Che storia, che storia! Guarda cosa doveva capitarmi stasera!
Ma poi di colpo: in una sera come questa, molti anni fa, in questura, non era successo un fatto strano?
Sicuro, ma sicuro, ne avevano parlato tivù e giornali!

dicembre 1969
In quella stanza dell’ufficio politico della questura, in via Fatebenefratelli, al quarto piano, c’erano il commissario, un ufficiale dei carabinieri, un sottufficiale, e l’uomo da interrogare.
Come aveva trascorso le ultime ventiquattro ore, volevano sapere.
Era scoppiata una bomba alla banca dell’Agricoltura, una strage con decine di morti, feriti, e un ragazzo condannato alla sedia a rotelle per tutta la vita.
L’uomo rispondeva calmo, tranquillo: dove aveva trascorso la giornata potevano testimoniarlo in tanti…
“Quel giorno, a quell’ora, Pino era al bar.” Così il barista.
E il fornaio e il vigile urbano del quartiere: “Abbiamo giocato a carte, gli abbiamo vinto anche dei soldi.”
Ma dopo quel volo dal quarto piano il questore dichiara alla stampa:
“Il suo alibi non reggeva, non c’erano riscontri, e l’abbiamo visto alzarsi all’improvviso, aprire la finestra e buttarsi sotto.”
“Si è avvicinato alla finestra che era aperta e inavvertitamente è scivolato giù” così invece il commissario.
Un cronista però gli aveva fatto notare che la finestra era alta e l’uomo non avrebbe nemmeno potuto scavalcarla con il suo metro e sessantasette di statura.
Di sicuro l’uomo era morto, l’omicidio veniva escluso, e il suicidio (era stato dimostrato) era tecnicamente impossibile.
Una storia complicata e scritta con lenti di colore diverso.
Molti affermavano che parlare di suicidio era solo una leggenda metropolitana; per altri era leggenda metropolitana parlare di omicidio.

Ricostruiva i suoi ricordi il signor B., si dimentica, certo, ma se si dà una scrollatina alla polvere del tempo tutto ritorna come fosse ieri. Invece era successo nel dicembre del 69.
Il giorno del funerale la strada era piena di folla: bandiere nere, bandiere rosse, tanta gente senza bandiere; giovani ma anche anziani, vecchi, sconosciuti, compagni, amici. E la moglie, piccola, minuta, chiusa in un cappotto lungo.
Freddo, un gran freddo quel giorno.
Ripensava a quei fatti il signor B. e continuava a guidare, accanto al fantasma immobile. Avevano lasciato il centro, superata Porta Genova, erano già al quartiere Ticinese, ai Navigli.
Fredda, quasi bagnata, la luce cambiava. Vie piene di ombre e di silenzi, case poco illuminate, più lontano una chiesa e il buio che sostava sull’acqua del canale, catturava un’ombra che spariva in un portone.
Il fantasma d’improvviso fece un cenno, indicò una strada, una casa, una come tante, con i fiori alla finestra e nel balcone disegni scoloriti di bambini ormai cresciuti.
Si fermarono. Un gatto miagolò, una saracinesca calò nel silenzio.
Anche la casa era immersa nel silenzio, ed era buia, forse disabitata, ma il fantasma la guardava, guardava quella casa, e il signor B. guardava lui.
Lo poteva vedere solo di profilo, e forse per colpa della luna, apparsa all’improvviso nel triangolo dei tetti, non capiva se erano giochi di luce o lacrime quelle sul lenzuolo bianco del fantasma.

Iscritto dal: 21/06/2001
User offline. Last seen 6 years 44 weeks ago.

Un francobollo per Pinelli

di Piero Sansonetti

Una trentina d'anni fa Camilla Cederna scrisse un libro molto bello, di inchiesta, sulla morte di Pinelli. Un paio di mesi fa - in occasione del trentacinquesimo anniversario di quella morte - il settimanale "Diario" ha ristampato il libro e ha ottenuto un discreto successo editoriale. Il quotidiano "Libero" ha aperto una campagna contro "Diario", perché - sostiene - pubblicando quel libro ha diffamato il commisario Calabresi. Il Ministro Gasparri ha dato ragione, come spesso gli capita, a "Libero", e ha anche annunciato l'emissione di un nuovo francobollo in onore di Calabresi.

Spieghiamo meglio questa storia un po' intricata e che non tutti conoscono. Chi è la Cederna, chi è Pinelli, chi è Calabresi. Camilla Cederna è una giornalista e scrittrice italiana, fasmosissima negli anni '60 e '70, che aveva tra le sue specialità quella di fare giornalismo di inchiesta. Andava sul posto, parlava con centinaia di persone, cercava indizi, riscontri, controllava le carte, i luoghi, le caratteristiche delle persone.

Pino Pinelli era un ferroviere, di opinioni politiche anarchiche, attivista, e in una tragica giornata del dicembre 1969, poco più che quarantenne, venne arrestato dalla polizia, accusato di essere l'autore di una strage orrenda (la strage della banca dell'Agricoltura a piazza Fontana, 12 dicembre 1969, 16 morti), portato in questura, interrogato, forse un po' torturato, e poi... E poi volò da una finestra e morì. Il commissario Calabresi era un poliziotto che si occupò delle indagini sulla strage di piazza Fontana e che ebbe a che fare con Pinelli. "Lotta Continua" e altri gruppi extraparlamentari lo accusarono di aver partecipato attivamente alla defenestrazione di Pinelli, ma in un processo per diffamazione (contro Adriano Sofri) i giudici accertarono che Calabresi non era nella stanza quando Pinelli volò dalla finestra.

Tre anni più tardi il commissario Calabresi, mentre usciva dalla sua abitazione a Milano, fu affrontato da un killer che gli sparò con una pistola, lo uccise e fuggì. Sedici anni dopo questo dellitto un ex militante di "Lotta Continua", Leonardo Marino, si autoaccusò, dicendo che lui era l'autista del killer, che il killer era Bompressi e il mandante Adriano Sofri. Per questo motivo, Sofri (che al tempo era il capo di Lotta Continua) ora sta in carcere, anche se si è sempre proclamato innocente e contro di lui, in processo, non si è trovata nessuna conferma alle accuse di Marino.

La questura di Milano in quei drammaticissimi giorni del '69 sostenne che Pinelli si era suicidato. E si era suicidato per il rimorso. Cioè per la vergogna di avere compiuto l'attentato. Quasi tutti i giornali diedero retta alla questura di Milano. Quasi tutti i giornali parlarono di Pietro Valpreda (amico di Pinelli, arrestato con lui e sopravvissuto agli interrogatori) come di un mostro. Scrissero la parola mostro a caratteri cubitali sulle prime pagine. Le indagini successive accertarono che Valpreda era innocente, che Pinelli era innocente, che Pinelli non si era suicidato. E furono trovate montagne di prove sul fatto che era stato prima stordito, forse con un colpo di karatè (o forse ucciso con quel colpo) e poi gettato dalla finestra, esanime, per fingere il suicidio.

Ora nessuno ha niente da dire sul francobollo per il commisarrio Calabresi. Noi sappiamo che Calabresi era un giovane commissario, dicono che fosse molto bravo, aveva moglie e tre bambini piccoli.

Ha perso la vita da servitore dello Stato, ucciso ingiustamente e barbaramente da dissennati e fanatici terroristi: è questa è la motivazione per dedicargli un francobollo. Vorremmeo però - lo diciamo senza polemica - che si dimostrasse la stessa sensibilità e riconoscenza per l'anarchico Pino Pinelli. Era un servitore dello Stato anche lui, faceva il ferroviere, lavorava sodo, faceva politica onestamente e con passione, senza ricompense e senza doppi fini, ed è stato ucciso ingiustamente dalla polizia. Non vi sembrerebbe giusto se lo Stato lo risarcisse, seppure con immenso ritardo e con un gesto simbolico infinitamente Piccolo, dedicando anche a lui un francobollo?