Un sentico ringraziamente all'arma dei Carabinieri, a protezione dell'ordine costituito ed in difesa dei cittadini

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La Centrale Operativa

Un tour virtuale ti farà conoscere le nostre apparecchiature radio.

Centrale operativa


Un tour virtuale all'interno di una Centrale Operativa, di un elicottero A109 e di una radiomobile vi consentirà di comprendere meglio la gestione delle richieste di intervento al 112. Seleziona dai collegamenti nella colonna di destra ciò che vuoi visitare.

I comandi provinciali ed infraprovinciali esercitano l'attività di comando, coordinamento e controllo nei confronti dei reparti dipendenti, avvalendosi anche di centrali operative, dotate di tecnologie costantemente adeguate per garantire con prontezza, tempestività ed efficacia l'assolvimento dei compiti istituzionali.

La Centrale Operativa è il centro motore del comando, lo strumento fondamentale per l'innesco, lo sviluppo ed il completamento di tutta l'attività istituzionale dell'Arma e la sede appropriatamente organizzata, ove pervengono al comandante in continuità le notizie di interesse e da cui egli esprime - personalmente e per il tramite del personale addetto - gli ordini per la risoluzione dei problemi contingenti.

Il ricorso a moderne risorse tecnologiche ha consentito sin dal 1999, a seguito di studi svolti dall'Arma, di avviare la realizzazione di una completa interconnessione delle centrali/sale operative delle forze di polizia, individuata quale forma più efficace ed adeguata ai tempi per l'ottimizzazione del pronto intervento. L'interconnessione persegue non solo lo scopo di elevare l'efficienza dei servizi, ma anche quello di migliorare tutte le attività di prevenzione generale che precedono il momento della richiesta di aiuto, realizzando pertanto il totale coordinamento delle forze di polizia.

In particolare, i sistemi adottati consentono di visualizzare su monitor, attraverso una cartografia elettronica molto ben definita, tutti i mezzi dei Carabinieri e della Polizia di Stato impiegati nel controllo del territorio oltre che collegare in videoconferenza le due centrali, al fine di assicurare, sempre mediante procedure condivise, l'intervento della forza di polizia in grado di agire più tempestivamente nonché di quello delle altre organizzazioni/istituzioni (sanitarie, VV.FF., protezione civile, ecc.) la cui opera è ritenuta necessaria per un efficace soccorso.

L'interconnessione delle centrali/sale operative fornisce un'ulteriore valore aggiunto perché persegue l'obiettivo di un efficiente coordinamento non limitato alla sola gestione delle chiamate d'emergenza. Nel contempo garantisce anche l'immediata reciprocità informativa, rendendo "trasparenti" le informazioni di cui ciascuna forza di polizia dispone - in tempo reale - sugli eventi verificatisi e sulle risorse impiegate, consentendo così di orientare "ad horas" l'attività di prevenzione generale.

Gli operatori delle centrali e delle sale operative garantiscono l'intervento più tempestivo in qualsiasi circostanza facendo riferimento a regole predefinite per la gestione delle emergenze. Nelle stesse è previsto che, in caso di emergenza, la gestione dell'evento sia attribuita alla centrale/sala operativa dalla quale dipende l'unità in grado di assicurare l'intervento più tempestivo ed efficace, sulla base dei dati di radiolocalizzazione e di quelli relativi allo stato d'impiego delle risorse. In sostanza, interviene la pattuglia non impegnata in altre incombenze prioritarie più vicina al luogo dell'evento. In ogni caso, è prevista che sia garantita l'informazione reciproca, completa ed in tempo reale, anche allo scopo di consentire - quando necessario - l'assunzione raccordata di ulteriori misure operative ad integrazione e/o supporto della forza di polizia già intervenuta, ad esempio la convergenza di più servizi in caso di eventi particolarmente gravi.

Il tour all'interno di una Centrale Operativa vi consentirà di capire meglio la sua importanza e le funzioni che in essa vengono assolte.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Le missioni operative fuori area dell'Arma dei Carabinieri

I Carabinieri impegnati in missioni operative all'estero sono oggi 788.

L'Arma dei Carabinieri vanta una tradizione di partecipazione ad interventi umanitari e di supporto alla pace all'estero risalente alla guerra di Crimea nel 1855. Ha sempre preso attivamente parte al processo di evoluzione delle operazioni internazionali, contribuendo, nella sua duplice veste di forza militare e di polizia, alle più significative esperienze condotte dall'Italia sotto egida ONU, NATO ed OSCE o in forza di accordi multinazionali fra Nazioni (c.d. Coalition of Willing).

Ai tradizionali impegni di natura squisitamente militare e di polizia militare in supporto delle altre Forze Armate, si sono aggiunti, nel tempo, quelli di osservazione sul rispetto dei diritti umani, di addestramento, supervisione e consulenza per la ricostruzione delle forze di polizia e, infine, di ripristino/mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. In tale ultimo settore d'intervento, assume significativa rilevanza il contributo assicurato dall'Arma con i Reggimenti MSU (Multinational Specialized Unit), operanti nell'ambito delle missioni dell'Alleanza Atlantica e IPU (Integrated Police Unit), schierati nell'ambito delle missioni a guida Unione Europea, per l'assolvimento di un ampio spettro di compiti tipici di forze di polizia "robusta" riconducibili all'esigenza di colmare il security gap in ambienti destabilizzati tra gli assetti militari, pesantemente equipaggiati ed armati e le unità di polizia civile, non armate e senza mandato esecutivo ad addestrare la polizia locale.

La capacità d'intervento in contesti operativi differenziati, la piena interoperabilità ed integrabilità con le altre forze militari, fa della MSU uno strumento flessibile e versatile utilizzabile anche in ambito europeo per l'assolvimento dei c.d. "compiti di Petersberg¹". Anche gli assetti IPU, al pari di quelli MSU, possiedono capacità di controllo del territorio, raccolta informativa, intelligence criminale e contrasto al terrorismo, come avviene per il Reggimento IPU operante nell'ambito della missione "ALTHEA", in Sarajevo.

Di seguito sono riassunte le principali missioni cui l'Arma contribuisce all'estero.

Missioni ONU

Nel 2006, con l'avvio della missione UNIFIL 2 (United Nations Interim Force in Lebanon) l'Arma ha schierato una Compagnia di Polizia Militare a Tibnine ed una componente per attività tecnico - investigative a Naqoura. É all'esame dell'ONU e delle competenti Autorità diplomatiche l'ipotesi avanzata dal Gen.D. GRAZIANO (C.te della Missione UNIFIL fino al 27 gen. 2010), di dispiegare in Ghajar (villaggio per 2/3 in territorio libanese e 1/3 in territorio siriano occupato da Israele, diviso da una linea di confine internazionale), orientativamente entro fine anno, un'unità Carabinieri/Gendarmerie-like con compiti di polizia.
L'Arma è presente anche a Cipro dal 2005, nell'ambito della missione UNFICYP (United Nations Force in Cyprus), con compiti umanitari e di assistenza alla polizia locale nonché per concorrere al controllo della "zona cuscinetto" che separa il Nord turco dal Sud greco.
In seguito al terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio del 2010, i Carabinieri hanno impiegato una Formed Police Unit (FPU) all'interno delle Missions des Nationes Unies pour Stabilisation (Missioni degli Stati Uniti per la Stabilizzazione) in Haiti MINUSTAH. L'unità è formata da 120 Carabinieri, 10 militari dell'Aeronautica e sarà integrata da un plotone di 25 Gendarmi Serbi e un plotone di 14 poliziotti israeliani (con status militare). Detta FPU ha il compito di formare la Polizia locale e mantenere l'Ordine Pubblico.

Missioni NATO

Le missioni NATO nei Balcani hanno costituito il maggiore impegno operativo e logistico dell'Arma dei Carabinieri. Da agosto 1998, l'Arma ha schierato in Bosnia un Reggimento MSU - SFOR che ha operato fino a dicembre 2004, quando è stato ridenominato IPU, al passaggio della missione sotto egida UE. Da agosto 1999 un Reggimento MSU è schierato nell'ambito di KFOR (Kosovo Force), la forza della NATO presente in Kosovo, con compiti di controllo del territorio, raccolta informativa, pattugliamento areale, ripristino/mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, investigazione e intelligence criminale, contrasto al terrorismo, addestramento del KPS (Kosovo Police Service) nonché consulenza in materie specialistiche (tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e investigazioni scientifiche). Il successo delle MSU ha suscitato, sin dagli esordi in Bosnia, l'interesse di numerosi Paesi Europei ed extra Europei, che hanno chiesto di contribuire con proprio personale alle Unità, accrescendone così la valenza multinazionale e contribuendo a consolidare la posizione di leadership internazionale dell'Arma nello specifico settore tant'è che analoghe unità sono state create in Albania (1999) ed Iraq (2003 - 2006).

Nell'ambito della missione NTM-I (NATO Training Mission - Iraq), l'Arma impiega in Baghdad (Camp Dublin), dal 2007, una componente addestrativa (CC Training Unit - Iraq), altamente qualificata per la formazione della IFP (Iraqi Federal Police) ossia la Gendarmeria irachena. Il progetto, avviato su richiesta del Ministro dell'interno iracheno e sostenuto dalle Autorità militari statunitensi, si inserisce tra le iniziative più riuscite ed apprezzate, a livello internazionale, tese alla stabilizzazione dell'area attraverso la ricostruzione delle locali forze di sicurezza. Fino ad oggi, nell'ambito degli 12 cicli addestrativi conclusi, sono stati complessivamente addestrati 7.508 poliziotti iracheni.

Sempre sotto egida NATO, l'Arma contribuisce alla missione ISAF (International Security and Assistance Force) in Afghanistan con assetti di polizia militare (60 unità). L'Arma da giugno '08 è presente in Afghanistan, con la CC Training Unit - Adraskan al fine di addestrare l'ANCOP (Afghan National Civil Order Police), ossia i "Battaglioni mobili" della polizia afgana. Nell'ambito degli 9 corsi svolti interamente dall'Arma dei Carabinieri (inizialmente parte della formazione veniva impartita da contractors civili), sono stati addestrati 1.531 poliziotti. L'Istituzione fornisce il proprio contributo anche nell'ambito della NTM-A (NATO Training Mission - Afghanistan), con personale di staff inserito nel Quartier Generale della missione e nell'IJC (Intermediate Joint Command); inoltre, per l'ulteriore addestramento nei confronti dell'AUP (Afghan Uniformed Police), l'Arma, in aggiunta ai trainers impiegati in Adraskan, ha recentemente schierato:
- 30 CC presso il Central Training Centre di Kabul (CTC-K);
- 30 CC presso il Central Training Centre di Kabul (CTC-K);
- 40 CC, in Herat, suddivisi in 2 POMLT (Police Operational Mentoring Liaison Team) destinati alla "monitorizzazione"dei locali Comandi Regionali e Provinciali dell'AUP. Un 3° POMLT (20 CC) verrà inviato in T.O. entro la fine del mese di giugno p.v..

Missioni UE, OSCE o conseguenti ad accordi multinazionali o bilaterali

Attualmente i Carabinieri sono presenti in Bosnia Herzegovina nell'ambito della missione EUPM (European Union Police Mission), che dal gennaio 2003 ha sostituito l'International Police Task Force (IPTF) nell'assolvimento dei medesimi compiti con 13 unità, mentre 106 sono schierate nel Reggimento IPU - EUFOR. Da novembre 2007, nell'ambito della suddetta IPU (Integrated Police Unit) si è inserita una componente della Forza di Gendarmeria Europea (EUROGENDFOR - EGF), costituita dai cinque Paesi europei che dispongono di forze di polizia ad ordinamento militare alla pari dell'Arma dei Carabinieri (Italia, Spagna, Portogallo, Francia e Olanda), con Quartier Generale a Vicenza, a cui l'Arma partecipa con proprio personale (85 CC).

Dal 2 dicembre '08, in concomitanza con l'avvio della missione esecutiva europea EULEX in Kosovo, la forza di MSU KFOR è stata ridotta a 164 u. con contestuale ritiro del Ctg. francese (76 u., cui subentreranno entro la fine dell'anno 20 poliziotti militari austriaci). L'Italia risulta essere tra i primi tre Paesi contributori e di EULEX (circa 200 u. su 1650, di cui 125 CC, oltre a personale della P.S., G.d.F., magistrati e funzionari civili), con una significativa presenza nel campo della Justice e del Police component.
Nel quadro delle missioni di osservazione, è estremamente significativo l'apporto dell'Arma in Palestina, ove 13 Carabinieri, nel quadro della missione multinazionale TIPH (Temporary International Presence in Hebron) sono presenti nella città di Hebron dal gennaio 1996 con il compito di supervisionare l'applicazione dell'accordo firmato tra Israele e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), favorendo così il delicato e difficile processo di pace arabo-israeliano.

Sempre in Medio Oriente, l'Arma schiera nella missione EUBAM - Rafah (European Union Border Assistance Mission presso il valico di Rafah) un Cap. impiegato quale Executive Officer del Capo Missione. L'Ufficiale è inquadrato in un contingente multinazionale, con il compito di assistere l'Autorità Palestinese nelle operazioni di frontiera presso il valico di Rafah e per assicurare una presenza internazionale, con funzioni di monitoring e mentoring, durante l'apertura del valico.

In Afghanistan, nell'ambito della missione EUPOL - Afghanistan (European Union Police in Afghanistan), avviata a luglio 2007, l'Arma impiega 15 u., fra Ufficiali e Marescialli, nell'incarico di monitors, con compiti di addestramento, supervisione e consulenza per la ricostruzione dell'ANP (Afghan National Police).

Dal 1° Luglio 2008, con il mandato della missione "EUPOL RD" 4 Carabinieri sono impiegati nella Repubblica Democratica del Congo nell'ambito della missione EUPOL RD Congo, con compiti di addestramento della polizia locale.

Da settembre 2008, 3 osservatori dell'Arma sono presenti anche in Georgia, nell'ambito della EUMM (European Union Monitoring Mission), missione avviata a seguito della crisi russo-georgiana, con compiti di monitoraggio del "cessate il fuoco" e della libertà di movimento.

Nell'ambito dell'operazione della Difesa denominata "White Crane", finalizzata al sostegno della popolazione di Haiti vittima del recente sisma, è stato costituito un Contingente interforze imbarcato sulla Nave Cavour che è salpato dal porto di La Spezia il 20 gen. u.s. alla volta dell'isola caraibica. In tale quadro, il Cdo Gen. ha disposto l'impiego di 6 CC con compiti di PM (il più anziano anche di Provost Marshall), nonché di 2 "Sottufficiali - Infermieri Professionali" per ambulatori e degenza del Role 2 imbarcato, per il supporto sanitario del contingente nazionale ed eventuale assistenza alla popolazione locale. È all'esame delle autorità politico-militari nazionali, da ultimo, l'impiego di 130 Carabinieri, di presunto schieramento entro la fine del corrente mese.

¹ A Petersberg (Germania) nel giugno 1992 ha avuto luogo un Consiglio dell'UE in cui sono stati definiti tali compiti: umanitari e di soccorso, di attività di mantenimento della pace e di missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi militari (ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace).

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Organizzazione Centrale

 

 

L'immagine mostra il fregio del berretto da Generale sullo sfondo e in primo piano l'organigramma del Comando Generale

 

Il Comando Generale è l'organo di direzione, coordinamento e controllo di tutte le attività dell'Arma, con particolare riferimento a quelle operative condotte dai reparti e di analisi dei fenomeni criminali. Nelle sue linee essenziali comprende:

  • Comandante Generale:
    • Dirigente Generale responsabile dei Sistemi Informativi Automatizzati;
    • Commissione di Valutazione per l'Avanzamento
    • Ufficio rapporti con la Rappresentanza Militare
    • Segreteria ed Aiutante di Campo
  • Vice Comandante Generale:
  • Capo di Stato Maggiore:
    • Ufficio del Capo di SM
    • Reparto Autonomo
    • Direzione di Sanità
    • Direzione di Amministrazione
    • Servizio Spirituale
    • Sotto Capo di Stato Maggiore:
      • Centro Nazionale Selezione e Reclutamento
      • Ufficio Legislazione
      • Centro Nazionale Amministrativo di Chieti (CNA)
    • Stato Maggiore.

Lo Stato Maggiore, in particolare, è articolato su 6 Reparti:

  • I Reparto "Organizzazione delle Forze". Sulla base delle direttive superiori il Capo del I Reparto svolge funzioni di comando e di indirizzo nel campo ordinativo, addestrativo, del governo del personale, disciplinare e assistenziale. E' articolato su 6 Uffici: Ordinamento; Personale Ufficiali; Personale Marescialli; Personale Brigadieri, Appuntati e Carabinieri; Addestramento e Regolamenti; Assistenza e Benessere del Personale;
  • II Reparto "Impiego delle Forze" . Il Capo del II Reparto svolge, sulla base delle direttive superiori, funzioni di comando e di indirizzo nel campo operativo. Il Reparto si articola su 6 Uffici: Operazioni; Piani e Polizia Militare; Criminalità Organizzata; Cooperazione Internazionale; Sicurezza; Servizi Aereo e Navale;
    Nell'Ufficio Operazioni è collocata la Sala Operativa, centro propulsore del Comando Generale, che - informata dai Comandi Periferici dell'Arma su fatti ed operazioni d'interesse - aggiorna, a sua volta, il Comandante Generale e le Autorità Centrali sull'evolversi di situazioni particolari, nazionali ed internazionali, attivando gli Uffici dello Stato Maggiore ed i Comandi Periferici;
  • III Reparto "Telematica". Il Capo del III Reparto svolge, sulla base delle direttive superiori, funzioni di comando e di indirizzo nel settore informatico, avvalendosi degli Uffici: Informatica e Telecomunicazioni, Sistemi Telematici, Armamento ed Equipaggiamenti Speciali;
  • IV Reparto "Logistica". Il Capo del IV Reparto è, in sintesi, organo responsabile della manovra logistica, svolge le funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo nel settore del sostegno delle forze. Esplica altresì funzioni di coordinamento, sotto il profilo logistico, nei confronti dell'Ufficio dei Servizi Aereo e Navale, Informatica e Tlc, Sistemi Telematici, Armamento ed Equipaggiamenti Speciali. In particolare, per quanto attiene le attività logistiche (approvvigionamenti, rifornimenti, riparazioni, mantenimento e recuperi), svolge azione di pianificazione, di indirizzo, di coordinamento e controllo. In qualità di Ispettore logistico è consulente del Comandante Generale e del Capo di SM. Il Reparto è articolato su 6 Uffici/Direzioni: Logistico, Infrastrutture, Direzione Lavori del Genio, Direzione della Motorizzazione, Direzione di Veterinaria, Direzione di Commissariato;
  • V Reparto "Relazioni esterne e Comunicazione". Il Capo del V Reparto, sulla base delle direttive superiori, esercita funzioni di comando ed indirizzo nei settori relazionale e promozionale. Il Reparto è articolato su 3 Uffici: Stampa, Cerimoniale, Relazioni con il Pubblico;
  • VI Reparto "Pianificazione Programmazione Bilancio e Controllo". Il Capo del VI Reparto coordina l'attività amministrativa e finanziaria dell'Arma avvalendosi degli Uffici: Pianificazione Programmazione e Controllo, Bilancio, Approvvigionamenti.
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Il tempo e l'Arma

A cinquecento anni dalla nascita di Luigi Lilio, il medico e astronomo crotonese cui dobbiamo la cosiddetta Riforma Gregoriana, una riflessione sul senso di quella "rivoluzione" dalla quale discende anche il Calendario a noi più caro: quello dell'Arma

Riforma Gregoriana, la chiamano. Fu in effetti papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Buoncompagni, a promulgarla con la bolla Inter gravissimas il 24 febbraio del 1582. Eppure il vero merito di questa rivoluzione, che segnò una tappa fondamentale nel millenario tentativo umano di rendere comprensibile il tempo - e con esso l'esistenza umana -, appartiene non tanto al Pontefice che l'avallò, quanto all'astronomo che, con i suoi calcoli, la rese possibile.Copertina del volume - Il Calendario Storico dei Carabinieri

Dalla Magna Grecia a Roma. Aloysius Lilius, meglio noto come Luigi Lilio, era nato a Cirò, nei pressi di Crotone, giusto cinquecento anni fa. Roma fu solo l'ultima tappa di una brillante carriera che l'aveva portato dapprima alla laurea in Medicina conseguita all'Università di Napoli insieme al fratello Antonio e poi a insegnare quella materia nell'ateneo di Perugia. Fu però a Roma che lo studioso, da sempre appassionato di matematica e astronomia, entrò in contatto con il cenacolo di intellettuali riuniti intorno all'Accademia delle Notti Vaticane, fondata dai cardinali Guglielmo Sirleto e Carlo Borromeo.

Scienze naturali e astronomia, medicina e biologia, ma anche filosofia, arte, letteratura: nessun campo dello scibile umano era alieno a questi Illuministi ante litteram che si incontravano, preferibilmente di notte, nel palazzo pontificio detto il Vaticano per "levare l'ozio della Corte ed introdurvi l'emendazione alla virtù". Tra le loro materie di discussione non poteva certo mancare una questione tanto annosa quanto controversa: quella della riforma del Calendario Giuliano. Il problema da risolvere era tutt'altro che banale. Per esporlo è necessario risalire all'anno 46 a.C., quando Giulio Cesare, avvalendosi dell'astronomo Sosigene, abbandonò l'anno lunisolare adottato da Numa in favore di quello solare, seguendo l'esempio degli Egizi. Cesare aggiunse dieci giorni al calendario precedente - due a gennaio, agosto e dicembre; uno ad aprile, giugno, settembre e novembre -, computando così la durata complessiva dell'anno in 365 gioni e 6 ore, con uno scarto, rispetto al corso del Sole, di circa 11 minuti e 13 secondi. Un'eccedenza che finiva per formare, ogni 128 anni, un giorno in più, con l'effetto di far retrocedere sia l'equinozio di primavera sia il solstizio invernale.

Un'intuizione vincente. Fin dal Medioevo si erano studiati vari metodi di riforma del calendario, ma ci volle l'intuizione del cirese Lilio, il cui cinquecentesimo compleanno è stato celebrato in grande stile dalla sua città con un fitto programma di mostre, convegni ed eventi culturali, per trovare il bandolo della matassa. Al geniale studioso, al cui nome è stato intitolato un cratere sulla Luna, furono sufficienti pochi dati astronomici contenuti in vecchie tavole compilative, insieme a un innovativo sistema di computo, per elaborare un calendario tanto preciso da sfidare i secoli. L'idea di Lilio consisteva nel ricondurre l'equinozio di primavera, secondo quanto aveva decretato il Concilio di Nicea, al 21 marzo, togliendo dieci giorni al mese di ottobre del 1582, dal 5 al 14 incluso. Calcolata quindi l'eccedenza del calendario giuliano in 3 giorni ogni 400 anni, si stabilì che tra gli anni secolari fossero bisestili solo quelli divisibili per 400.
Nemmeno il calendario liliano, in realtà, è esente da pecche. Recenti calcoli sulla lunghezza dell'anno terrestre, infatti, hanno accertato che esso è di 365,242214 giorni, con una diminuzione di 61 decimilionesimi di giorno ogni cento anni rispetto al nostro anno legale. Non colse tuttavia la magagna Gregorio XIII quando lo studio di Luigi Lilio gli fu consegnato dal fratello Antonio (Luigi morì ben prima di veder trionfare la sua teoria, nel 1576). Il pontefice lo accolse invece con gratitudine, lo fece stampare in diverse copie da diffondere tra studiosi e cardinali e finì per farlo approvare da un'apposita Congregazione riunita allo scopo di valutarne l'adozione.

immagini mobili dell'eternità. Fu così che la Riforma Gregoriana rivoluzionò il modo di concepire il tempo almeno nel mondo occidentale, dove è stata pressoché universalmente accettata, pur con una certa resistenza da parte degli Stati a maggioranza protestante e ortodossa (i cristiani ortodossi di Russia, Grecia, Bulgaria e Jugoslavia adottarono il nuovo calendario solo nel secondo dopoguerra).
Superato anche questo "scisma" - ma ancora oggi la Chiesa russa celebra la Pasqua secondo il vecchio stile, a volte diverse settimane dopo di noi -, i calendari sono diventati finalmente quelli che conosciamo oggi, pressoché identici ad ogni latitudine. Sulle scrivanie dei manager newyorchesi come su quelle degli impiegati moscoviti, alle spalle dell'assicuratore milanese come a quelle del panettiere parigino, sono ovunque chiamati a compiere un identico lavoro: rendere il tempo comprensibile all'intelletto, aiutarci a sopportare il pensiero che più di ogni altro si lega allo scorrere inesorabile dei giorni. L'avvicinarsi della morte.

Ad esorcizzare il sentimento della fine, il calendario riesce da una parte parcellizzando il tempo, segmentando l'infinita freccia che dal passato si scaglia verso il futuro, sorvolando veloce sul presente, e dall'altra riempiendo, "adornando" l'alternarsi dei giorni e delle notti con i colori, le immagini, le fantasie che da sempre i calendari propongono, dai tempi delle miniature medievali, raffiguranti i lavori da svolgersi nei campi nei vari mesi dell'anno, a quelli dei patinati calendari di oggi, icone di una modernità irrimediabilmente consacrata al culto di una bellezza che si vorrebbe resistente al tempo, passando per quelli che scandiscono il quotidiano impegno di chi condivida un ideale, un mestiere, un'appartenenza.

un calendario per ogni salotto. «Questo calendario sarebbe molto bello che penetrasse nelle case dei Borghesi e degli Italiani di ogni ceto. Potrà figurare splendidamente in ogni salotto, in ogni studio, in qualsiasi ritrovo, per quanto ricchi, lussuosi». Così veniva anunciata, a pagina 178 de La Fiamma Fedele del maggio 1927, la nascita di quella che è ormai diventata una vera e propria istituzione: il Calendario Storico dell'Arma dei Carabinieri.

A dire il vero quel primo almanacco rossoblu, datato 1928, è finito per lo più nei cestini della spazzatura o tra le ceneri dei camini. Ma non certo per disaffezione. Composto da 385 foglietti in bianco e nero, infatti, esso era concepito come un datario: ogni giorno si doveva strappare il foglio relativo a quello precedente, in un progressivo assottigliarsi che era la rappresentazione concreta del passare del tempo, oltre che un monito a non accartocciare un giorno senza aver messo a frutto le opportunità che ogni alba generosamente offre a chi le sappia cogliere. Va da sé che rarissimi sono gli esemplari del Calendario del 1928 rimasti intatti fino ad oggi. Pezzi pressoché unici come quello riprodotto nelle prime pagine del volume Il Calendario Storico dei Carabinieri. 80 anni di storia vissuti sfogliando il calendario.

Pubblicato nel 2009 dall'Ente Editoriale per l'Arma dei Carabinieri, il libro è firmato dall'appuntato scelto Dino Predan. Nelle sue 333 pagine, descrive l'evoluzione del Calendario lungo i sui otto decenni di storia, da quell'esordio del 1928, nel quale il generale Dino Poggesi dei Nobili di Pisa ebbe l'idea di offrirlo come "gadget" ai lettori del già citato mensile La Fiamma Fedele, ai giorni nostri, che lo vedono trasformato in un oggetto di culto per collezionisti appassionati, quando non in un vero e proprio status symbol da esporre nell'ufficio di un dirigente, sul muro di un ristorante, nella reception di un albergo o in qualsiasi altro luogo in cui si voglia esibire la propria vicinanza, materiale o ideale, ai valori che l'Arma incarna.

Valori che nel corso dei secoli sono stati evocati anche dalle copertine dei calendari succedutesi negli anni, a interpretare uno dei tanti volti del carabiniere di oggi e di ieri. Si va dai primi, rigorosi frontespizi ornati solo da stemmi araldici e colonne classicheggianti, alle più recenti copertine artistiche firmate da valenti pittori e illustratori. E qui il pensiero corre a La sentinella di E. Di Manlio, che sulla copertina del 1959 ritrae un carabiniere di guardia nella quiete notturna alla porta di una caserma, alla carica di Grenoble, interpretata dal pennello di Alberto Spagnoli per inaugurare l'anno 1973, alle tavole di Ferenc Pintèr, il compianto pittore savonese che ha illustrato l'originale edizione del 2001.

Cambia ogni anno il tema dominante - che sia la vita della Stazione o i successi mietuti dai Carabinieri nelle competizioni sportive, la fortuna cinematografica della Benemerita o il valore di istituti come il Giuramento, che vincola ogni carabiniere alla sua missione -; cambiano magari anche lo spessore della carta, il numero dei fogli, il colore dell'immancabile cordoncino con il quale viene appeso al muro e che del Calendario è un po' la cifra stilistica; ma rimangono sempre uguali gli elementi che lo hanno reso celebre: l'eleganza e la sobrietà, la qualità dell'estetica e la coerenza dei contenuti. E soprattutto quel senso di familiarità, di rassicurazione che proviamo ogni volta che, entrando in una caserma, in un ufficio pubblico, in uno studio professionale, o semplicemente nell'abitazione di un conoscente, ci fa sentire, in qualche modo, di essere a casa.

Maria Mataluno
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Partecipazione ad operazioni militari all'estero.

L'Arma dei Carabinieri, in relazione ai propri compiti, partecipa a vari organismi militari interforze o di polizia, nazionali o internazionali, secondo le norme che ne regolano la composizione ed il funzionamento.

 

Sulla base delle direttive del Capo di Stato Maggiore della Difesa, l'Arma partecipa alle operazioni militari all'estero, comprese le operazioni per il mantenimento ed il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale, al fine, in particolare, di realizzare condizioni di sicurezza ed ordinata convivenza nelle aree d'intervento. Concorre, altresì, ad assicurare il contributo nazionale alle attività promosse dalla comunità internazionale o derivanti da accordi internazionali, volte alla ricostruzione ed al ripristino dell'operatività dei corpi di polizia locali nelle aree di presenza delle Forze Armate, assolvendo compiti di addestramento, consulenza, assistenza e osservazione. In caso di conflitti armati e nel corso delle operazioni di mantenimento e ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale, i comandanti dell'Arma, analogamente agli altri comandanti militari, vigilano, in concorso, ove previsto, con gli organismi internazionali competenti, sull'osservanza delle norme di diritto internazionale umanitario.

Tra le numerose operazioni alle quali l'Arma prende parte, sono certamente da annoverare le "Multinational Specialized Unit" (MSU) di SFOR e KFOR, con oltre 600 uomini, i Reparti di MP a seguito della forza multinazionale in Bosnia-Herzegovina, Kosovo ed Albania (SFOR, KFOR e rear KFOR), il contingente impiegato in Etiopia-Eritrea nella Missione UNMEE.

La componente operativa responsabile dell'attuazione delle attività di cooperazione militare internazionale è la 2^ Brigata Mobile, che, attraverso le unità dipendenti, costituisce l'asse portante delle "Multinational Specialized Unit" (M.S.U.), ossia le forze internazionali di polizia, formula ideata dall'Arma nel 1998 con l'impegno in Bosnia Erzegovina. Queste, infatti, sono state costituite con il contributo determinante dei Carabinieri, perché non appena si smette di combattere inizia la pacificazione, lunga, difficile, pericolosa e ci si è resi conto che disporre di personale con formazione militare ed esperienza nel controllo dell'ordine pubblico e nelle attività di polizia è decisivo per il successo della missione.

Oggi, le M.S.U. hanno trovato formale previsione nelle pubblicazioni alleate interforze ed il loro modello è stato assunto dall'Unione Europea come riferimento per la costituzione di unità integrate di polizia destinate a fronteggiare gli aspetti civili della gestione delle crisi internazionali. Costituite inizialmente per concorrere con le forze militari in teatro e le forze di polizia locali o delle Nazioni Unite al mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, Le M.S.U. hanno acquisito, in breve tempo, i compiti della raccolta informativa e di investigazione criminale, sopperendo così alle carenze delle strutture locali di polizia, e dopo l'11 settembre 2001 anche quelli di cattura di terroristi e criminali di guerra. In sostanza, le M.S.U. sono particolarmente idonee a condurre attività investigative o interventi di polizia, nonché ad esercitare il controllo del territorio ed a fornire assistenza ed addestramento alle forze di polizia locali, com'è stato recentemente richiesto in Bosnia.

   
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fatti & Persone

 

LA CANZONE DEL SOLE. Secondo i suoi seguaci solo Pitagora era in grado di udirla. Eppure la "musica delle sfere", quella prodotta dagli astri muovendosi nel cosmo secondo rigorose leggi matematiche, era lì, a contribuire all'armonia del tutto. Lo dimostra anche un esperimento condotto da un gruppo di astronomi dell'Università inglese di Sheffield, che per la prima volta sono riusciti a registrare e a riprodurre la "canzone del Sole". Che non è quella scritta da Lucio Battisti nel 1971, bensì l'armonia prodotta dal campo magnetico che avvolge la parte più esterna dell'atmosfera solare. L'insolita partitura è stata "catturata" dai ricercatori inglesi utilizzando le immagini, registrate dal satellite, degli archi magnetici che circondano il Sole. Gli scienziati ne hanno quindi accelerato la frequenza in modo da renderla udibile all'orecchio umano. E il risultato non ha solo un valore "estetico": l'esperimento dei ricercatori britannici sarà utile a comprendere cosa accada negli strati più esterni dell'atmosfera solare, dove le temperature raggiungono milioni di gradi e si scatenano le famigerate tempeste solari.

UN COMPUTER TRA I DOTTORI. C'è il quattordicenne Giovanni che il pc lo usa per navigare in Internet o comunicare con gli amici; la piccola Maria, di 5 anni, che ci ascolta le canzoni dei cartoni animati e dello Zecchino d'Oro, mentre la sua coetanea tunisina si tiene in contatto con il papà che vive sull'altra sponda del Mediterraneo. Sono i piccoli ricoverati negli ospedali che hanno aderito al progetto "Bambini al pc", ideato dalla onlus trevigiana Informatici senza frontiere, il cui obiettivo è utilizzare le nuove tecnologie per portare un aiuto concreto a chi viva situazioni di emarginazione e difficoltà. Come i bambini che siano costretti a lunghe degenze in ospedale, a cui l'associazione veneta ha voluto dare la possibilità di avere un computer a propria disposizione, naturalmente dotato di connessione ad Internet, programmi per il gioco e per la comunicazione. Adottato dagli Spedali civili di Brescia, "Bambini al pc" è stato rapidamente esportato al Burlo Garofano di Trieste, al San Gerardo di Monza, al Policlinico di Napoli. Un'epidemia che, per una volta, speriamo contagi l'intera Penisola.

STASERA? TUTTI A CENA DA CESARINA. No, non si tratta di una delle tante mamme, nonne o zie alle quali, in ogni famiglia italiana che si rispetti, è affidato il compito di conservare la memoria gastronomica del casato. È tuttavia ispirato a loro il progetto dell'associazione Home Food chiamato, appunto, "A cena dalle Cesarine". Un'idea che intende coniugare il rispetto delle tradizioni con la valorizzazione dei prodotti tipici, offrendo agli amanti della buona tavola la possibilità di essere ospiti di una famiglia italiana e di condividere la passione della padrona di casa per i fornelli. Secondo la propria città di residenza, allora, non c'è che l'imbarazzo della scelta: tra la sarde in saor che vi offrirà Mercedes a Venezia e il ragù di salsiccia preparato dalla bolognese Giustina, tra le trenette avvantaggiate al pesto di Prà confezionate dalla genovese Luana al timballo alla Gattopardo di cui solo Annamaria custodisce i segreti, naturalmente in quel di Palermo. E se poi vi trovate a passare da Napoli, Assunta e Rosanna non vi negheranno certo uno dei loro speciali polpettoni ripieni di friarelli. Un'esperienza che vale il viaggio. E il prezzo, non esattamente popolare, richiesto da ogni Cesarina per "invitarvi a cena" (per maggior informazioni: www.evinia.it).

ECCO A VOI LA SCIENZA. Ci sono i globi celesti e terrestri di Vincenzo Coronelli; la cinquecentesca sfera armillare di Antonio Santucci, modello del sistema cosmologico tolemaico; i cannocchiali e la lente obbiettiva con cui Galileo scoprì i satelliti di Giove e persino due dita e un dente appartenuti all'autore del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, recentemente ritrovati da due collezionisti fiorentini dopo essere svaniti per oltre un secolo. Sono i pezzi forti del nuovo Museo dell'Istituto di Storia dell'arte e della scienza fiorentino, riaperto lo scorso giugno al termine di un restauro durato due anni, con il nuovo nome di Museo Galileo. Una dedica doverosa, quella al grande scienziato pisano, nell'anno in cui si celebrano i quattrocento anni dalla pubblicazione del Sidereus Nuncius. Ma soprattutto una dedica che rispecchia in pieno lo spirito dell'istituzione fiorentina, come Galileo da sempre votata all'amore della conoscenza e al culto del progresso: lo dimostrano anche "dettagli" come il sito Internet del Museo, particolarmente ricco nei contenuti oltre che di facile consultazione, e l'avveniristico sistema di videoguide interattive che accompagna il visitatore all'interno del Museo. È in grado di riconoscere a breve distanza uno qualsiasi dei 1.300 oggetti esposti in 60 teche speciali e di fornirne storia e descrizione.

In Breve

Sorprese dagli abissi
Dorme a 120 metri sotto il livello del mare, e la buona notizia è che non sembra abbia intenzione di svegliarsi. È il vulcano scoperto dagli studiosi dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dell'Università della Calabria sul fondale del Tirreno meridionale, di fronte a Capo Vaticano (Vv). Spento da 670mila anni, non costituisce minaccia, ma la sua presenza, finora ignota, ridisegna la mappa geologica dell'Italia intera.

British gladiators
Gli scheletri sono un'ottantina. Appartenevano certamente a uomini alti e robusti, hanno evidenti segni di ferite provocate da animali, alcuni sono addirittura privi della testa. Sono i resti di gladiatori romani meglio conservati che siano mai stati rinvenuti, ma non sotto le arcate del Colosseo, bensì in un cimitero a Driffield Terrace, a Sud-Ovest della città inglese di York, in quella che Cesare avrebbe chiamato Britannia.

Aeroporti accessibili
Stampata in duecento copie, sarà a disposizione dei passeggeri non vedenti per la sua consultazione nella Sala Amica degli aeroporti nazionali aperti al traffico civile. È la Carta dei diritti del passeggero scritta in caratteri Braille pubblicata dall'Enac (Ente nazionale per l'aviazione civile). La prima in Europa pensata per i viaggiatori con disabilità visiva totale.

Sulle orme dei giganti
Avranno 150 ore di tempo, dalle 10,00 del 12 settembre alle 18,00 del 18, i partecipanti al Tor des Géants, la prima competizione sportiva di corsa in montagna lungo il tracciato delle Alte Vie valdostane. Studiato dalla associazione sportiva Courmayeur Trailers, il percorso si snoda su 321 chilometri e 24mila metri di dislivello positivo per compiere il perimetro della Valle d'Aosta, tra imponenti massicci e riserve naturali. Partenza e arrivo sono a Courmayeur. Per chi osi iscriversi: www.tordesgeants.it.

Maria Valeri
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I 100 anni dell'Alfa

La famosa Casa automobilistica milanese ha appena compiuto un secolo di vita. Un'età portata benissimo, sempre al passo con i tempi. Così come la nostra Istituzione: con cui collabora da decenni

Milano, 24 giugno 1910. Questo è quanto troveremmo scritto su un certificato ufficiale di nascita. Non è però di una persona che stiamo parlando, ma di un acronimo dal nome A.L.F.A., ovvero Anonima Lombarda Fabbrica Automobili a cui, qualche anno più tardi, si sarebbe aggiunto un cognome, Romeo: quello dell'abilissimo imprenditore Nicola, che aveva nel frattempo assunto le redini dell'azienda. E dunque, facendo un rapido conto, l'Alfa Romeo, mitica Casa automobilistica che raccoglie milioni di appassionati in tutto il mondo, lo scorso giugno ha spento cento candeline, festeggiando con cerimonie, raduni, un libro (redatto da importanti firme del giornalismo di settore e non solo), e persino un monumento, l'anno in cui alcuni uomini d'affari rilevarono l'attività della Società italiana automobili Darracq, filiale della Casa francese con officine al Portello.Alfa Romeo Giulia Ti - livrea di colore blu con tetto bianco

Cento anni esatti ci separano da quello storico evento: durante i quali l'Alfa Romeo ha segnato un capitolo di straordinaria importanza, ergendosi come simbolo di esclusiva sportività e di eccellenza tecnologica italiana e, più in generale, lasciando una traccia indelebile nella cultura e nell'evoluzione del costume del nostro Paese.

UN PO' DI STORIA. L'entrata della nuova azienda nel mercato partì subito con un successo: la 24 hp. Della vettura spiccavano la meccanica, le prestazioni, il piacere di guida: caratteristiche che diventeranno sinonimo del marchio. L'anno seguente, all'esordio sportivo, stava per aggiudicarsi la Targa Florio, quando per un banale incidente fu costretta a ritirarsi. L'arrivo del Primo conflitto mondiale e le ancora scarse risorse economiche misero in difficoltà l'azienda, che però ebbe la fortuna di essere rilevata da un lungimirante e capace ingegnere napoletano: Nicola Romeo. Lo stabilimento del Portello, dove lavoravano più di duemila operai, venne ampliato per adeguarsi alle commesse militari. Con la fine della guerra s'impose una nuova riconversione: si fabbricavano trivelle, trattori, materiale ferroviario, anche se Romeo non trascurò mai l'automobile. Nel 1920 nasceva infatti la Torpedo 20-30 hp, prima vettura con la nuova ragione sociale: Alfa Romeo. Proprio guidando uno di questi esemplari, il giovane Enzo Ferrari giunse secondo alla Targa Florio.
Con l'arrivo della Seconda guerra mondiale l'Alfa Romeo era di nuovo in difficoltà: venne ceduta all'Iri, Istituto per la Ricostruzione Industriale, e l'amministratore delegato, Ugo Gobbato, assegnò il reparto corse alla Ferrari. Una scelta vincente, che vide l'Alfa Romeo conquistare titoli e prestigio con le fantastiche stagioni di Farina e Fangio. Dal 1948, col passaggio a Finmeccanica, l'Alfa propose modelli ancora oggi indimenticati: la Giulietta, la Giulietta Sprint, la Spider, la Giulia, veri e propri simboli negli anni del boom; modelli che varcarono i confini nazionali per approdare Oltreoceano, dove era esplosa la passione per queste auto grazie anche alla loro apparizione nei film hollywoodiani.
Tutto ciò convinse i vertici dell'azienda a inaugurare il nuovo stabilimento di Arese e, nel 1968, quello di Pomigliano D'Arco, dove nacque l'Alfasud, modello dal design non bellissimo, ma dalle ottime innovazioni tecniche.
Il passaggio del marchio al Gruppo Fiat è stato il risultato di un'altra crisi avvenuta verso gli ultimi anni Ottanta.

I MODELLI. Sia attraverso i più celebri disegnatori di tutti i tempi sia grazie al proprio Centro Stile, l'Alfa Romeo ha rivestito un ruolo di assoluto rilievo anche nella storia e nell'evoluzione del design: 33 Stradale, Montreal, Carabo, Coupé Pininfarina, Protéo, Nuvola e Brera rappresentano in tal senso autentiche pietre miliari, cui non si poteva non rendere doveroso tributo. Ma ancor prima che sulle piste di tutto il mondo, il mito Alfa Romeo è nato e cresciuto sulle strade, grazie ad una lunga serie di vetture, alcune delle quali entrate a buon diritto nella storia dell'automobile di Casa nostra.

L'ALFA NELL'ARMA. Nell'immediato secondo dopoguerra l'industria pesante iniziò a riprendere l'attività con una piccola parte di produzione: furgoni e camion di nuova concezione. Per esigenze militari, inoltre, vennero sviluppati diversi progetti di fuoristrada.
Dopo aver superato il trauma del conflitto, anche l'Alfa tornò a occupare un ruolo decisivo nella produzione di veicoli. Già dal 1949,
presso gli stabilimenti del Portello, cominciarono ad essere testati due prototipi di fuoristrada ribattezzati "Folle" e "Matta". Del primo non si fece nulla, il secondo (ar 51) divenne invece una realtà importante del settore. All'Arma dei Carabinieri vennero assegnati 120 mezzi nell'anno 1953: tutte le unità erano di colorazione caki.
Ma se la ar 51 (auto da ricognizione o camionetta) ha rappresentato l'iconografia classica dei Carabinieri del primo dopoguerra, l'immagine moderna dell'Arma nasce con l'introduzione della Giulia Ti. Già alla fine degli anni Cinquanta era stata evidenziata da parte di tutti i Comandi dell'Arma l'esigenza di modernizzare il servizio automobilistico per contrastare la malavita organizzata. A tal scopo troverà un'alleata preziosa nella nuova nata dalla Casa di Arese, che proponeva concezioni all'avanguardia coniugando ottime prestazioni motoristiche con le elevate doti di affidabilità necessarie ai gravosi compiti a cui erano chiamati i carabinieri.
L'auto ben si integrava nel disegno di rinnovamento strutturale che l'Arma si stava dando, completato dai nuovissimi apparecchi radiotelefonici collegati alle Centrali Operative, che costituivano il fiore all'occhiello del Comando Generale. Il mezzo venne impiegato dal 1963 al 1968, la distribuzione nei Nuclei Radiomobili fu massiccia, per un totale di quasi 1.500 vetture.
Messa a frutto la positiva esperienza, il Comando Generale dell'Arma decideva di avvalersi anche delle migliorie e degli ammodernamenti subiti dalla veloce berlina del Biscione, introducendo - a partire dal 1969 - la nuovissima Giulia Super, derivata come carrozzeria e telaio dalla Ti.
La Super beneficiava dei rivoluzionari carburatori doppio corpo che la rendevano ancora più veloce e potente e, nelle sue diverse versioni, entrò a far parte dell'autoparco dell'Arma dei Carabinieri in un momento in cui esso andava sempre più ampliandosi, cercando di soddisfare le crescenti richieste di automezzi, specie nell'ambito della prevenzione e repressione dei reati. Tra il 1969 e il 1973, l'Arma ne acquistò oltre 2mila esemplari, estendendo la dotazione a tutti i Nuclei Radiomobile.
Dell'Alfa Romeo Giulia Super l'Arma sperimentò anche una versione di colore integralmente bianco, con le insegne e le scritte sulle fiancate di colore blu.
Nella primavera del 1973, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri procedeva all'acquisto di 75 Alfa Romeo Alfetta. L'auto era stata immessa in commercio nell'estate del 1972 e rappresentava un notevole balzo in avanti in materia di autovetture veloci, considerata la sua ragguardevole cilindrata (1.800) e la sua elevata velocità. Molti erano titubanti circa la possibilità di rimpiazzare la ormai "mitica" Giulia Super: i dubbi, però, vennero ben presto fugati. L'Alfetta si dimostrava un mezzo eccellente sotto tutti i punti di vista, tanto da venire assegnata, entro l'estate del 1974, a tutti i Comandi di Gruppo in sede di Legione. Dai dati esaminati si può affermare che i 39 Nuclei Radiomobile di allora e i 76 Comandi isolati vennero riforniti, dal 1973 al 1977, di 1.952 unità.
L'Alfetta, pur mantenendo l'ormai consolidata livrea blu e bianca, introduce un'importante novità di allestimento: il doppio faro lampeggiante sul tetto per far notare l'automezzo da lontano, in condizioni di traffico caotico.
Negli ultimi anni c'è stato un susseguirsi di modelli sempre più adeguati alle necessità cui un'Istituzione come l'Arma dei Carabinieri ha dovuto far fronte: dall'Alfa 75, nata dalla casa di Arese come modello sostitutivo alla Giulietta, all'Alfa 90; dall'Alfa 155 alla 156, a cui è stata totalmente rinnovata l'elettronica di segnalazione, fino ad arrivare, a partire dal 2006, all'Alfa 159, l'ultima volante in dotazione ai Carabinieri e la prima diesel nella loro storia. La nuova auto, uscita dalla matita di Giorgetto Giugiaro, è destinata, oltre che ai Nuclei Radiomobile - appositamente attrezzata per il servizio di Pronto Intervento -, agli Alti Comandi dell'Arma.

Claudia Colombera
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Nato due volte

 

Le occasioni di soddisfazione professionale, nella vita di un carabiniere, non mancano di certo. Arrestare un pericoloso latitante, assicurare alla giustizia un ladro, un assassino, un usuraio, sono risultati che indubbiamente ripagano di tanti sacrifici, di tanti giorni e notti passati ad inseguire i sospetti, a tessere la tela nella quale poterli alla fine catturare. Probabilmente, però, poche operazioni rimangono scolpite nella memoria di un militare come quelle nelle quali ci si trova non tanto ad arrestare i colpevoli, quanto a salvare gli innocenti. Uomini e donne che, in un momento di difficoltà, trovano in un carabiniere il proprio angelo custode, pronto a cambiare il loro destino. È quanto è successo a un cittadino di Rottofreno, piccolo centro in provincia di Piacenza, che grazie ai carabinieri, possiamo dire, è nato due volte.

Nato due volte perché la prima, di vita, aveva deciso di gettarla via, ingoiando una dose letale di psicofarmaci. Pasticche che normalmente prendeva solo per avere un po' di pace, per passare una notte tranquilla, e che un giorno di maggio aveva deciso di prendere, invece, col folle proposito di addormentarsi per sempre. È stata la madre dell'aspirante suicida, che ne conosceva bene lo stato d'animo, ad avvertire i carabinieri che qualcosa non andava, nell'abitazione del figlio. E lo hanno compreso anche il maresciallo capo Bartolo Palmieri e il carabiniere scelto Gianluca Locuratolo, addetti alla Stazione di Nicolò a Trebbia, che sono subito intervenuti sul posto. Quando infatti, dopo aver bussato alla porta, non hanno ricevuto alcuna risposta dall'uomo, i due militari non hanno perso tempo: scavalcato il muro di recinzione, sono entrati nell'abitazione infrangendo una finestra. Inequivocabile lo spettacolo che si sono trovati di fronte: un uomo riverso a terra in stato d'incoscienza, una confezione di barbiturici. Vuota. Di qui l'arrivo dell'ambulanza e la corsa all'ospedale di Piacenza, dove l'uomo è stato curato e strappato alla morte. Per lui, ancora, un altro giro di giostra.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Lo "Spirito di Sanremo"

Ricerca, addestramento e formazione di personale militare e civile in tema di diritti umani: sono tra le principali attività dell'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario. Una realtà alla quale anche l'Arma contribuisce in modo significativo

A Sanremo, nella storica sede di Villa Ormond, ha sede l'Istituto Internazionale di Diritto Umanitario (Iihl, International Institute of Humanitarian Law): un'organizzazione no profit indipendente fondata nel 1970. L'Iihl promuove la conoscenza e la diffusione del diritto internazionale, dei diritti umani, dei diritti dei rifugiati e dei temi a tutto ciò correlati. L'indubbia professionalità e la serietà dell'approccio alle diverse discipline hanno consentito all'Iihl di acquisire nel tempo un'ottima reputazione come centro di eccellenza nella ricerca, nell'addestramento e nello sviluppo di tutti gli aspetti del diritto internazionale umanitario.Lo staff della prestigiosa organizzazione sanremese

In linea con il perseguimento dei propri obbiettivi, e avvalendosi anche di un ufficio di collegamento a Ginevra, l'Istituto lavora in stretta collaborazione con un gran numero di importanti organizzazioni internazionali dedicate alla causa umanitaria. Tra queste ricordiamo l'International Committee of the Red Cross (Comitato Internazionale della Croce Rossa, Icrc), la United Nation High Commissioner for Refugees (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Unhcr) e l'International Organisation for Migration (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Iom). L'Istituto, inoltre, ha relazioni con l'Unione Europea, l'Unesco, la Nato e la International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies (Federazione Internazionale delle Società Nazionali di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa, Ifrc). Particolare risalto assumono infine gli accordi di reciproca collaborazione con il Centro studi Post Conflict Operations di Torino, il Centro Alti Studi della Difesa di Roma e il Centro di Eccellenza per le Stability Police (Coespu) gestito dall'Arma dei Carabinieri a Vicenza.

L'ORGANIZZAZIONE. A stabilire le linee direttive e la politica dell'Istituto è un'Assemblea Generale. Il Consiglio, da essa eletto, ne controlla la gestione, determina il programma di lavoro e procede all'elezione del Presidente, dei Vice Presidenti ed alla nomina del Segretario Generale, i quali formano il Comitato Esecutivo. Attualmente, Presidente dell'Iihl è l'ambasciatore italiano Maurizio Moreno.
Membri dell'Organizzazione sono persone di diverse nazionalità che, ai sensi dello Statuto, si siano distinte per competenza e attività nei settori in cui si esplica l'impegno dell'Iihl. Possono essere inoltre ammessi, in qualità di membri, gli Enti che svolgano una significativa collaborazione con le attività dell'Istituto, mentre soggetti qualificati ed Enti pubblici e privati, nonché Stati e Organizzazioni Intergovernative Internazionali che ad esse contribuiscono, possono divenire Membri associati, senza diritto di voto.

IL DIPARTIMENTO MILITARE. Un particolare organismo dell'Istituto è il Dipartimento Militare. Esso è comandato dal colonnello Darren Stewart, dell'Esercito Britannico, in stretto contatto con due ufficiali italiani: il tenente colonnello Angelo Simeone, dell'Arma dei Carabinieri, e il tenente colonnello Andrea De Vita, dell'Esercito.
Il Dipartimento cura l'addestramento e la formazione di personale civile e militare, attraverso corsi di Diritto internazionale. In particolare, ogni anno vengono organizzati i "Foundation" e gli "Advanced" in tutte le materie del Diritto internazionale umanitario: essi interessano ufficiali delle Forze Armate dei diversi Governi, diplomatici, esperti, rappresentanti di organizzazioni non governative, ma anche studenti di tutto il mondo, e sono tenuti in francese, spagnolo, inglese, arabo, cinese, russo e portoghese. Spesso realizzati in collaborazione con Istituzioni internazionali e Stati, da insegnanti di diverse nazioni, tutti di grande esperienza nel settore, adottano un approccio multidisciplinare e interattivo: gli argomenti vengono analizzati dal punto di vista teorico e i principi poi applicati nella pratica, simulando "vere" situazioni di criticità internazionale.

I DIRITTI DEI RIFUGIATI. I temi inerenti gli aspetti giuridici del fenomeno dell'immigrazione trovano sempre più spazio nell'agenda dell'Iihl. Presso l'Istituto è attivo anche un secondo organismo che si occupa dei programmi di formazione sul Diritto dei rifugiati e delle migrazioni. Responsabile è la dottoressa Marie Helene Cholin, francese, che ha maturato diverse esperienze in Africa, con l'Unhcr, e in Asia con la Irc (International Rescue Committee).
I corsi organizzati da questo dipartimento, oltre ad occuparsi dei rifugiati, affrontano la gestione e il trattamento degli sfollati in occasione di conflitti interni o internazionali. In sostanza, mirano ad accrescere le conoscenze e le competenze dei funzionari di governo coinvolti nella formulazione e applicazione della legislazione e delle politiche che interessano soggetti bisognosi di protezione. Anche questi corsi sono aperti alla società civile, in particolare a chi è impegnato nella difesa degli sfollati o di quanti sono costretti ad abbandonare la propria casa in seguito ad operazioni belliche, agli appartenenti alle Ong e a tutti gli attori coinvolti in questo genere di attività.

CONFERENZE, TAVOLE ROTONDE, WORKSHOP. Il mondo cambia in continuazione, e gli eventi organizzati dall'Iihl - tra i quali una specifica menzione merita l'annuale tavola rotonda - offrono ad esperti di ogni parte del mondo una opportunità di dialogo e discussione sui principali argomenti, sia accademici che reali, nell'applicazione del Diritto internazionale umanitario. Gli appartenenti alle organizzazioni interessate hanno l'opportunità di definire i problemi umanitari e quelli internazionali, esaminarne gli strumenti legali, verificare come procedere con l'azione reale sul campo, e infine individuare nuovi aspetti e soluzioni che potrebbero essere utilizzati per uno sviluppo futuro.
Quarant'anni di dialogo sotto gli auspici dell'Istituto hanno creato quello che è universalmente noto come "Spirito di Sanremo".

RICERCHE E PUBBLICAZIONI. L'Istituto svolge anche attività di ricerca, studio e analisi. Pubblica testi, esercizi e monografie indirizzati a migliorare i diversi aspetti e i più importanti temi di ricerca del Diritto internazionale umanitario. Il Sanremo Manual on International Law Applicable to Armed Conflict at Sea (Manuale di Sanremo sul diritto internazionale applicabile nei conflitti armati in mare), completato tra il 1988 e il 1994, rimane uno dei testi più consultati nelle Accademie Navali di tutto il mondo, ed è considerato tra i più importanti nel panorama mondiale. The Manual on the Law of Non-International Armed Conflict (Manuale sul diritto internazionale applicabile nei conflitti armati non-internazionali), del marzo 2006, riflette l'evoluzione delle norme umanitarie internazionali e la loro applicazione di fronte alle moderne dispute.
Infine, il Sanremo Handbook on Rules of Engagement, del novembre 2009, rappresenta l'unico lavoro, nel suo genere, che analizzi con un taglio pratico le complesse procedure e metodologie per lo sviluppo e il miglioramento delle Regole di ingaggio in caso di interventi armati internazionali.

Angelo Simeone
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Eventi

 

Anniversario della morte del Vice Brigadiere Salvo D'Acquisto

Torre di Palidoro (RM),23/09/2010

Vice Brigadiere Medaglia d'Oro al Valor Militare Salvo D'Aquisto 

Oggi ricorre il 67° Anniversario della morte del Vice Brigadiere Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Memoria Salvo D'Acquisto.

Era il 23 settembre 1943 quando, a seguito di un presunto attentato alle SS, il comando tedesco prese in ostaggio 22 innocenti. Il comandante del contingente, per rendere "legale" il sequestro, cercò il carabiniere più elevato in grado affidandogli il compito di individuare un colpevole tra i 22 innocenti presi in ostaggio.

Deposizione di una corona d'alloro I tedeschi aggredirono D'Acquisto, Vice Brigadiere in sottordine alla Stazione di Torre in Pietra, cercando di convincerlo ad accusare qualcuno, ma non servì a nulla perché egli, intuendo le inumane intenzioni dei nazisti, decise di sacrificare la propria vita in cambio della salvezza dei 22 innocenti. Morì a soli 23 anni.

Questa mattina a Torre di Palidoro si è celebrata la cerimonia di commemorazione durante la quale è stata deposta una Corona d'alloro ai piedi della "Stele" eretta in memoria del giovane sottufficiale dell'Arma. L'estremo sacrificio dell'eroe, definito "Servo di Dio", è l'esempio più luminoso di altruismo che ancora oggi contraddistingue lo spirito dell'Arma e di ogni carabiniere.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CARABINIERI

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Manovre sospette

 

Ai carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia di Cossato (Biella) avevano giustificato la loro improvvisa manovra sostenendo di aver sbagliato strada. Ma quel repentino dietrofront, effettuato alla vista della vettura targata CC, era apparso subito quanto meno sospetto ai militari guidati dal capitano Daniele Narduzzi, tanto da spingerli a lasciare il loro tranquillo lavoro di controllo della circolazione stradale per inseguire e bloccare l'auto che aveva avuto quello strano comportamento. A bordo, due uomini subito identificati come cittadini torinesi, che si profondevano in improbabili scuse.

I militari, dunque, non ci vedono chiaro. Decidono allora di procedere a una perquisizione d'iniziativa. I sospetti, a questo punto, si aggravano: indosso ai due uomini, infatti, i carabinieri ritrovano diverse armi - una pistola e due revolver con matricola abrasa, uno dei quali carico e modificato per l'inserimento di un silenziatore, un coltello a serramanico e un'altra lama di genere proibito -, oltre a 700 euro in contanti di cui i due uomini non sanno spiegare la provenienza.

Alcuni vestiti di ricambio rinvenuti nel bagagliaio dell'auto completano il quadro, che ai militari appare chiaro: i fermati, probabilmente, si stavano preparando per mettere a segno una rapina. E non è escluso che siano proprio i due torinesi, immediatamente arrestati dai militari, i responsabili delle numerose altre rapine che sono state commesse negli ultimi tempi nel biellese e nelle province limitrofe. L'ipotesi è tuttora al vaglio degli investigatori.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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www.carabinieri.it: ancora primi

Il sito Internet dell'Arma premiato per qualità di servizi e contenuti offerti ai navigatori

Il premio ricevuto La sede di Palazzo Cavalli Franchetti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti di Venezia, ha fatto da cornice alla cerimonia di premiazione di "eContent Award Italy 2007", avvenuta lo scorso 2 ottobre. La manifestazione, organizzata dalla "Fondazione Politecnico di Milano" e da "Medici Framework", ha lo scopo di selezionare contenuti digitali di alta qualità e promuovere la creatività e l'innovazione nel settore dei nuovi media in Italia.

I numerosi partecipanti presenti nella sala del "Portego" hanno assistito alla consegna delle targhe e degli attestati destinati a valorizzare la qualità dei prodotti in gara selezionati dalla giuria internazionale, di cui hanno fatto parte anche il Prof. Peter A. Bruck, Presidente di World Summit Award, e la Prof. Sylviane Toporkoff, Presidentessa di Global Forum.

Otto le categorie premiate: eCulture, eScience, eGovernment, eEntertainment, eHealth, eInclusion, eLearning, ed eBusiness.

Il sito www.carabinieri.it, che già nell'edizione 2006 aveva ricevuto il più alto riconoscimento nella categoria eGovernment, si è nuovamente classificato 1°, "ex aequo" con quello del Comune di Alassio (SV), a conferma della consolidata presenza sul Web e del costante impegno nella realizzazione di servizi "a valore aggiunto" per il cittadino.

In tale ottica, nel corso del 2007, sono stati implementate nuove applicazioni nella "Stazione CC Web": primo fra tutti il "Portale Multimediale", che permette ai cittadini di fruire di contenuti audio e video non solo nella classica modalità on demand, ovverosia a richiesta dell'utente, ma anche nelle innovative formule Web TV e Web Radio, proprio come un tradizionale canale radiotelevisivo, secondo un palinsesto predefinito. E' quindi possibile visualizzare filmati relativi a serie televisive e film con protagonisti i Carabinieri, ascoltare la musica della prestigiosa Banda dell'Arma dei Carabinieri, seguire le imprese degli atleti o i suggestivi video dei più noti Reparti Speciali dell'Arma ed assistere, anche in diretta, ad alcuni dei più importanti momenti della vita dell'Istituzione, quali la Festa dell'Arma.

Un momento della cerimonia E' stato inoltre realizzato il Portale "Mobile", raggiungibile all'indirizzo "http://mobile.carabinieri.it", un sito web ottimizzato per la navigazione con telefoni cellulari di ultima generazione (smart phone) e dispositivi palmari che hanno la possibilità di collegarsi ad Internet. Il progetto si propone, sfruttando le nuove tecnologie on-line, di rendere disponibili al cittadino, in tempo reale, tutti i contenuti informativi già pubblicati sul sito www.carabinieri.it nelle aree "News", "Comunicati Stampa", "Appuntamenti", "Eventi", "Concorsi" e "Gare d'Appalto" configurandosi, quindi, come una soluzione ad alta tecnologia al servizio dei cittadini. Ultimo in ordine di tempo, ma non per utilità, l''"Operatore Virtuale" che, nella seconda versione, offre la vocalizzazione delle risposte ed una più ampia base di conoscenza. Il sistema, infatti, ora è in grado di fornire informazioni su documenti, veicoli, armi, furti e smarrimenti. Inoltre, nei casi previsti, invita automaticamente l'utente a sporgere denuncia utilizzando il servizio "Denuncia Vi@Web", integrato per tale scopo nell'applicativo. Con l'"Operatore Virtuale", che in più occasioni ha suscitato interesse anche da parte di altre forze di polizia, l'Arma dei Carabinieri acquista un nuovo ed efficace strumento di "prossimità" al cittadino.

 
Pier Vittorio Romano e Francesco Morelli
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Logo riservato al vincitore del eContent Award Italy 2007 - Categoria eGovernment. 

 

Ieri e oggi. E domani?

Affrontiamo il discusso tema dell'informazione. Dalle sue prime espressioni ad una attualità che guarda imperiosamente al futuro. Senza dimenticare la lunga e significativa storia della nostra Rivista

La ridente cittadina si stende ai piedi d'un anfiteatro orograficamente definito da cime più o meno alte, primi contrafforti della nota catena montuosa: un centro storico e un'infinità di frazioni, che si allargano a spirale tutto intorno, così come i diversi viali che partono dalla piazza principale. A metà circa di uno di questi - quello puntato a nord, fiero di un'armonica maestosità - apre un caffè piuttosto frequentato. D'epoca, come si suol dire. Qui, nella calura dei giorni estivi, gli ospiti usano sedersi agli artistici tavoli in ferro battuto posti sotto l'ombra di secolari tigli e ippocastani. All'interno, tra vecchie scacchiere e mazzi di carte distrattamente dimenticati, vi è solo un signore di mezza età. Capelli sale e pepe, spalle larghe ma non troppo, occhiali dalla leggera montatura, potrebbe essere un professore di liceo. È intento a leggere un quotidiano nazionale, fermato - come tutti gli altri sparsi sui tavoli interni - nel classico "bastone". Si sosta incantati ad osservarlo e, dopo qualche momento, si crede quasi di poter vedere, lì sul viale, passare un calessino, un tiro a quattro, o magari un "carro giro" che trasporta, al lento ma poderoso passo di due cavalli, pesanti botti di birra. Poi, il trillo d'un cellulare e gli occhi che corrono ad un tavolo di fuori, dove una ragazza risponde allegra alla chiamata d'un amico, mentre la sua compagna d'avventure sta facendo scivolare l'indice sullo schermo di una elaboratissima "tavoletta" elettronica. E il confronto si propone spontaneo: noi e i giornali, ieri e oggi. E domani?Hans Eder - Uomo che legge il giornale

LE NOTIZIE. Noi e i giornali, dunque. Ieri, oggi e domani. O forse sarebbe più corretto dire: noi e l'informazione, ieri, oggi e domani? Discorso complesso. Per le mille sfaccettature che gli sono proprie. «Un giornale è un giornale! Che altro?», viene infatti da pensare di primo acchito. Ma è proprio così?
Partiamo da lontano. Un dato è certo: le notizie sono l'essenza stessa dell'esistere; e il dato è talmente scontato da non apparire discutibile. Altrimenti sarebbe difficile comprendere a che pro quel 12 settembre del 490 a.C. - ma molti propendono per il 12 agosto, e sottolineano che dovesse fare un gran caldo - il generale Milziade avrebbe spedito "di corsa" all'Acropoli di Atene, con il compito di annunciare la vittoria sui Persiani, l'araldo Fidippide (o Filippide che dir si voglia, per quanto sembra che lo sfortunato militare passato alla storia per esser stramazzato al suolo una volta giunto a destinazione, rispondesse al nome di Tersippo o a quello di Eucle). O ancora, per quali oscuri motivi Giulio Cesare avrebbe ritenuto opportuno dare avvio agli Acta Diurna Populi Romani, riportandovi decreti imperiali, note giudiziarie, e nondimeno annunci di matrimoni e battesimi: in altre parole, i fatti degni di nota accaduti a Roma giorno dopo giorno?
Non vi è alcun dubbio, allora: le notizie sono parte stessa dell'esistenza. Ma riprendiamo i due eventi appena ricordati. Per sottolineare come già in essi facciano capolino due diversi - ed ugualmente centrali - aspetti del rapporto tra lettori e giornali (o, come detto, tra noi e l'informazione); come indiscutibilmente vi appaiano due tematiche di fondo: il potere e la velocità. Parole, entrambe, dai mille riferimenti. Potere. Quale "potere"? Quello che la stampa - dunque i giornali, e quindi l'informazione - si sostiene possieda? (Basti ricordare Quarto Potere, leggendaria opera cinematografica scritta, diretta e interpretata da Orson Welles nel 1941; o la storica frase: «…è la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!», pronunciata nel 1952 da Humphrey Bogart nella scena finale de L'ultima minaccia). Oppure quello che da subito ha cercato di sfruttare l'efficacia comunicativa delle diverse "gazzette" (nome dovuto al prezzo d'una moneta d'argento detta gazeta) che iniziano a diffondersi da Venezia a partire dal 1563, fino a creare epigoni del Mercure Galant (prototipo di una certa informazione, e di un certo modo di farla, che apparve a Parigi nel 1672 con l'intento sostanziale di informare la società "elegante" di quanto accadeva nella vita di corte)? A voi la scelta.
E non è affatto detto che riguardo all'argomento velocità si possa essere maggiormente univoci. Pur se, in un confronto come quello suggerito ai tavolini del nostro caffè d'epoca, la velocità si impone senza incertezze. Oggi siamo talmente "viziati" dalla possibilità di vedere "in tempo reale" il primo passo dell'uomo sulla Luna piuttosto che la finale dei Campionati mondiali di calcio da non riuscire quasi ad immaginare come un tempo si potesse avere notizia di avvenimenti epocali solo a distanza di giorni e giorni. Quasi venti, giusto per fare un esempio, per la vittoria delle armate cristiane nel mare di Lepanto il 7 ottobre 1571 (pur se si vuole che papa Pio V, alle 12 di quello stesso 7 ottobre, diede ordine di suonare le campane, e stabilì che ogni chiesa ripetesse il rituale ogni giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, allo scopo di ricordare l'avvenuta vittoria). Viziati al punto da non riuscire a comprendere l'importanza sempre attribuita alla rapidità nella trasmissione delle notizie. Un'importanza che motivò la cura estrema del sistema "telegrafico" (fiaccole come segnali) e di quello "postale" (con staffette a cavallo) messi a punto dagli antichi romani, o che regalò un fascino indiscusso al telegrafo vero e proprio, attraverso il quale, agli albori del secolo scorso, giornalisti di fama (come dimenticare Luigi Barzini senior e le sue cronache da Cina e Giappone per il Corriere della Sera?) hanno potuto render conto di grandi eventi solo a "poche decine di ore" di distanza dal loro accadimento.

I GIORNALI. Ma sono solo questi - potere e velocità - i punti chiave? O non è altrettanto centrale il ruolo rivestito nel sistema informativo dal giornale quotidiano in quanto tale e dai suoi confratelli di varia periodicità? Ci spieghiamo: è certo difficile contestare che da quando, sul finire del XIX secolo, apparvero nelle nostre edicole alcune delle testate che ancora adesso la fanno da padrone (fogliazione di quattro pagine a un costo variabile fra i 5 centesimi del Messaggero di Roma, inizialmente Messaggiero, e de La Stampa di Torino e i 7 del Corriere della Sera, se venduto fuori Milano), il quotidiano sia stato l'architrave su cui si è retta l'informazione. E che questo, negli ultimi centocinquant'anni, sia avvenuto ovunque sul globo terracqueo. Non è certo un caso che Jules Verne, il 2 ottobre 1872, negli ovattati salotti londinesi del Reform Club (realmente esistente), faccia scommettere Phileas Fogg sul poter compiere in 80 giorni il giro del mondo solo dopo aver letto un articolo del Daily Telegraph attorno alle ultime innovazioni tecnologiche e scientifiche.
Del resto, senza andare così a ritroso nel calendario, i molti fra di noi che non sono proprio di verdissima età rammenteranno il rito, soprattutto maschile (sic!), della lettura domenicale del quotidiano al caffè con gli amici. Con i giornali quasi sempre bloccati, proprio come nell'immagine del nostro amico professore, da una doppia stecca in legno o in metallo per evitarne la frantumazione, ma anche… le appropriazioni indebite! Rito che si è ripetuto quasi ovunque fino a pochi anni orsono, e ancora adesso in auge in qualche piccolo centro. Certo, nulla di comparabile con quanto accadeva oltre le Alpi e il mare (in Gran Bretagna o negli Usa, per dire, le edizioni festive raggiungevano il chilo e passa di peso e venivano lette da tutta la famiglia), ma che ha posto anche da noi le fondamenta di quel prestigio ancor oggi goduto dai quotidiani. Che diventa concreto, tangibile, quando si sente il bisogno di saperne di più su una notizia appena ascoltata nei pur seguitissimi giornali-radio e telegiornali. Cosa di meglio che rimandare l'approfondimento al giorno successivo e alla lettura della testata preferita?

L'INFORMAZIONE. Un ruolo però, questo del quotidiano, già in inesorabile seppur lenta trasformazione. In quale direzione? Ecco il punto. Cosa accadrà domani e, soprattutto, dopodomani? Avremo un mondo dell'informazione a più facce? Nel quale convivranno le magiche tavolette computerizzate, impossibili a maneggiarsi per chi oggi abbia superato i vent'anni, con personaggi alla Joss Le Guern, il "banditore di notizie spicciole" che officia a Parigi nei pressi della Gare Montparnasse, uscito dalla brillante penna di Fred Vargas? E in questo contesto comunicazionale, quale ruolo sarà riservato ai nipotini di The Spectator, edito per pochi mesi a Londra fra il 1711 e il 1712, e considerato da molti il primo esempio di giornalismo moderno? O, per restare nei nostri confini, della Gazzetta Veneta, il bisettimanale uscito a Venezia nel 1760, ispirato a Gaspare Gozzi proprio dal quotidiano londinese? Al numero di ottobre - forse - l'ardua risposta...

Minna Conti
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Eventi
 

140 anni di 'Roma Capitale'

Roma,19/09/2010

Reggimento Corazzieri in parata Era il 20 settembre 1870 e le truppe del Generale Cadorna entrarono in Roma attraverso la storica "Breccia di Porta Pia". Pochi giorni dopo, un plebiscito popolare sancì l'annessione di Roma allo Stato Italiano. Nel febbraio successivo si compì il tanto atteso trasferimento della capitale d'Italia da Firenze a Roma e qualche mese dopo Vittorio Emanuele II re d'Italia inaugurò, a Montecitorio, la seconda sessione dell'XI Legislatura pronunciando il discorso che avrebbe dato inizio ad una nuova vita politica e parlamentare del Paese:
"L'opera cui consacrammo la nostra vita - affermò il re - è compiuta. Dopo lunghe prove di espiazione, l'Italia è restituita a se stessa e a Roma. Qui, dove il nostro popolo, dopo la dispersione di molti secoli, si trova per la prima volta raccolto nella maestàReggimento Corazzieri lungo l'itinerario dei suoi rappresentanti, qui dove riconosciamo la Patria dei nostri pensieri, ogni cosa ci parla di grandezza, ma nel tempo stesso ogni cosa ci ricorda i nostri doveri; le gioie di questi giorni non ce li faranno dimenticare… L'avvenire ci si schiude innanzi, ricco di liete promesse; a noi tocca rispondere ai favori della Provvidenza col mostrarci degni di rappresentare fra le grandi nazioni la parte gloriosa d'Italia e di Roma".

In un contesto storico e culturale diverso, ma con gli stessi ideali che identificano Roma "Capitale d'Italia" quest'anno, in occasione del 140° anniversario, saranno aperti al pubblico i Palazzi Istituzionali lungo l'itinerario che, rievocando gli eventi della Presa di Roma, conduce da Piazza di Porta Pia a via XX Settembre.

Dalle 16:00 alle 20:00 rimarranno aperte anche le porte della Caserma intitolata al "Maggiore Negri di SanFront" sede del Reggimento Corazzieri, all'interno della quale sono programmate visite guidate nelle sale storiche del palazzo. All'evento, parteciperà anche la Banda dell'Arma dei Carabinieri. Le celebrazioni in occasione dei 140 anni di Roma Capitale prevedono un programma ricco di eventi, mostre, visite e spettacoli in onore della Città Eterna e del ruolo che ha sempre svolto nella storia del nostro Paese.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Cose turche, anzi false

 

Droga e capi d'abbigliamento contraffatti, rigorosamente firmati. Questi gli "articoli" in cui era specializzata l'organizzazione sventata dai carabinieri del Comando Provinciale di Varese nell'ambito dell'operazione "Murat". Un'attività investigativa complessa, quella avviata dai militari nel settembre 2008 in seguito al fermo di un cittadino albanese trovato in possesso di un chilo e mezzo di cocaina in ovuli e panetti. A partire da quell'arresto, infatti, i carabinieri hanno scoperto non solo un'organizzazione italiana dedita allo spaccio di droga nei territori a cavallo tra le province di Varese e Como, ma anche il legame tra questa - in particolare tra uno degli indagati, che avrebbe coordinato anche lo spaccio di droga - e un fiorente commercio di capi contraffatti che, provenienti dalla Turchia e passando per la Romania e i Balcani, arrivavano sui banchi dei negozi italiani muniti di targhette firmate Gucci e Monclair, Fred Perry e Dolce&Gabbana.

Efficiente e collaudato, il modus operandi della banda: se per lo spaccio di droga i malviventi avrebbero infatti avuto l'accortezza di usare parole in codice - anche se espressioni come "bancali", "tre latte piccoline da 15 litri" e "quella tua tuta bianca" sono ormai fin troppo abusate nel gergo degli spacciatori per poter ingannare i militari dell'Arma - e di ricorrere spesso agli stessi acquirenti per porre in essere l'attività di vendita "al dettaglio", per quanto riguarda il traffico di capi contraffatti avrebbero messo in piedi una vera e propria catena di montaggio, con compiti e ruoli ben definiti.

C'era chi portava in Turchia i capi di abbigliamento (veri) da duplicare o inviava cataloghi e foto da cui trarre "ispirazione", chi pensava alla realizzazione dei falsi, chi al loro trasporto verso l'Italia. Se il prodotto finito soddisfaceva le aspettative dei committenti - cosa che non accadeva sempre -, ne venivano ordinate ingenti quantità, con ordini di decine di migliaia di euro, poi rivenduti a una rete di negozi distribuiti tra la Lombardia e la Svizzera, che a loro volta li mettevano in vendita come capi scontati. Dodici i decreti di perquisizione e sei le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip per gli indagati, a carico dei quali pesano indizi pesanti: come gli oltre 3mila capi contraffatti rinvenuti nell'abitazione di uno di loro, insieme a macchine etichettatrici e a numerose targhette di case di moda nazionali ed estere.

I carabinieri di Varese hanno sequestrato inoltre 10mila euro in contanti, provento delle attività delittuose, e 100 grammi di hashish. Il denaro era in possesso di un trentenne varesino che, oltre che di spaccio di droga, è accusato anche di estorsione: per ottenere il saldo di un debito da un suo cliente acquirente di droga, infatti, l'uomo sarebbe ricorso a minacce fisiche e persino a richieste di favori sessuali da parte di alcune amiche del debitore.

 
 
 
  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Roberto Scaruffi

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Maghi del furto, in Rete e non solo

 

È stato un vero e proprio "pedinamento informatico" quello che ha permesso ai carabinieri della Stazione di Genova-Rivarolo, al comando del maresciallo aiutante sUPS Antonio Muscolino, di incastrare il "mago dei furti online". Con questo nome era ormai noto agli investigatori il ventisettenne cittadino ceco che, secondo la ricostruzione dei militari genovesi, sarebbe riuscito a derubare diversi imprenditori con una tecnica tanto sofisticata quanto redditizia. Da vero e proprio predone informatico, infatti, l'uomo sarebbe riuscito a violare i conti correnti di alcuni titolari d'azienda e ad accenderne altri intestati a se stesso - ovviamente sotto la copertura di sempre diverse identità fittizie -, sui quali avrebbe fatto accreditare bonifici da migliaia di euro. Un denaro che poi lo spregiudicato hacker non avrebbe esitato a mettere a frutto, investendo in computer e altro materiale informatico da rivendere in Rete, naturalmente a prezzo maggiorato.

Non è stato facile, per gli uomini dell'Arma, risalire all'identità del correntista fantasma a partire dalla prima denuncia sporta da un imprenditore genovese lo scorso marzo, quando la vittima si è presentata in caserma per segnalare un bonifico che non ricordava di aver mai emesso. Una traccia telematica che si perdeva in altri conti intestati a persone diverse, a giudicare dai loro nomi, ma che avevano sempre lo stesso volto. E alla fine i carabinieri sono riusciti a battere il presunto rapinatore telematico sul suo stesso terreno, al termine di un inseguimento svoltosi, per una volta, su strade virtuali, anziché su quelle di asfalto. Sentieri di silicio che hanno portato gli investigatori dritti dritti in una via di Sampierdarena, davanti alla porta di un magazzino, dove hanno sorpreso e dichiarato in stato di fermo il sospetto. Quattro computer accesi, tutti collegati a Internet, ritrovati nella sua abitazione durante la successiva perquisizione hanno confermato la convinzione che si trattasse proprio del pirata informatico che, oltre all'imprenditore genovese, ne aveva colpiti almeno altri due, residenti rispettivamente a Milano e a Belgioioso (Pv).

Lunga la lista di reati di cui l'uomo è indiziato, dal furto aggravato alla ricettazione, dalle false attestazioni di identità alla resistenza a pubblico ufficiale, dal momento che, di fronte alle uniformi rossoblu, aveva tentato inutilmente di fuggire. Proseguono, intanto, le indagini dei carabinieri per accertare se l'uomo avesse dei complici in grado di fornirgli i codici di accesso segreti per violare le reti protette delle Banche.

Erano furti decisamente più tradizionali, invece, quelli che avrebbe messo a punto il genovese di ventiquattro anni arrestato dai militari della Stazione di Genova-San Fruttuoso lo scorso maggio. Sull'uomo, fermato dai militari del luogotenente Giovanni Cambareri all'uscita da un supermercato, grava il sospetto non solo di aver commesso due rapine - una delle quali ai danni dello stesso negozio presso il quale è stato sorpreso dai carabinieri - e di aver aggredito e picchiato una coppia di malcapitati passanti che avevano tentato di reagire allo strappo della borsa. Secondo i militari di San Fruttuoso, infatti, si potrebbe trattare dello scippatore seriale che da tempo va seminando inquietudine tra i cittadini della zona per un modus operandi che lo ha portato a colpire preferibilmente donne anziane e sole, inseguendole nei portoni dei palazzi e sottraendo loro borse e oggetti di valore. Tra le vittime di queste brutali aggressioni, infatti - almeno sette - ce ne sono due che, nel vederne la foto segnaletica, lo avrebbero riconosciuto come il responsabile. Saranno necessari ancora diversi accertamenti tecnici, tuttavia, per avere la certezza che una simile accusa possa essere confermata. Un coltello da cucina e un casco ritrovati nell'abitazione dell'uomo, intanto, aggravano i sospetti relativi ad almeno quattro colpi.

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Un padre Coraggioso

Aveva prestato soldi a un giovane cocainomane, l'usuraio arrestato dai carabinieri di Finale Emilia quando, non riuscendo più a contattare la propria vittima, ha tentato di rifarsi sul genitore

Era davvero una gallina dalle uova d'oro, quel ragazzo di 23 anni incapace di rinunciare all'artificiale forma di benessere offerta dalla cocaina, per l'insospettabile muratore di 43 anni che come secondo lavoro aveva scelto quello di usuraio, prestando denaro a tassi d'interesse pari al 300 per cento su base annua. Ed è per questo che quando il giovane, un benzinaio della provincia di Modena, ha deciso di affidarsi a una comunità di recupero per tentare di sottrarsi alla tirannia della polvere bianca, lo strozzino non si è rassegnato all'idea di perdere quella che considerava una sicura fonte di guadagno, e per evitarlo non ha esitato a rivolgersi al padre della vittima.Il luogotenente Luca Cappello

Non conosceva, però, il delinquente, un dettaglio tutt'altro che trascurabile: il genitore della sua vittima aveva un consolidato rapporto di fiducia con i carabinieri del posto. I militari della Stazione di Finale Emilia (Mo), infatti, conoscevano bene il ventenne finito poi nella morsa dell'usura. Lo avevano arrestato per droga due volte - a distanza di qualche anno - e, in quelle occasioni, avevano fatto quadrato assieme al padre del giovane per tentare di farlo uscire dalla spirale della cocaina. Così, appena l'usuraio è andato a battere cassa per le morosità del figlio, l'imprenditore di 56 anni non ci ha pensato due volte prima di rivolgersi agli investigatori dell'Arma, che hanno potuto arrestare il 43enne in flagranza di reato per usura e per detenzione di stupefacenti.

«La riuscita dell'operazione», spiega il Comandante di Stazione, il luogotenente Luca Cappello, «è legata proprio ai buoni rapporti del padre della vittima con i carabinieri. Rapporti che risalgono a sei anni fa, quando arrestammo per la prima volta il ragazzo. Aveva 17 anni e lo trovammo con un quantitativo di droga che faceva presupporre che, dietro alla detenzione per uso personale, ci fosse anche un'attività di spaccio. E in effetti il fermo, per quest'accusa, fu convalidato. Il padre del ragazzo, che si trovava ad affrontare la complicata gestione di un figlio unico che stava vivendo la separazione dei genitori, ci ringraziò per avere interrotto un percorso sbagliato che il giovane stava intraprendendo».

Sembrava proprio, a quel punto, che il giovane modenese fosse uscito da quel giro, tanto che dopo avere terminato gli studi aveva iniziato a lavorare sodo nel distributore di benzina che aveva aperto e sembrava non avesse più quel genere di distrazioni. In seguito, però, è arrivata, inesorabile, la ricaduta.

«Nel febbraio scorso abbiamo di nuovo arrestato il 23enne», prosegue nella ricostruzione il luogotenente Cappello, «sempre per motivi legati agli stupefacenti. Pensavamo che la storia finisse lì, invece tre mesi dopo il padre del ragazzo è venuto in caserma per denunciare di essere stato contattato da un usuraio che aveva prestato 2mila euro al benzinaio e ne pretendeva indietro 2.600 dalla sua famiglia». Nel frattempo, come abbiamo accennato, il ragazzo era andato in una comunità di recupero e il muratore non era più riuscito a mettersi in contatto con lui. Non volendo rinunciare a riscuotere il credito, ha contattato quindi il genitore, che ha saputo gestire abilmente la situazione: prima ha acconsentito a firmare il trasferimento del debito sulle proprie spalle, poi si è rivolto ai carabinieri. «La vittima non voleva che lo strozzino si insospettisse», spiega ancora il Comandante Cappello, «perciò ha finto di stare al gioco. Subito dopo, però, si è rivolto a noi e insieme abbiamo organizzato la trappola. L'imprenditore ci ha fatto sapere il luogo e l'ora fissati per il pagamento dei 2.600 euro, e noi ci siamo appostati nei pressi del posto indicato. Appena è avvenuto lo scambio - denaro in cambio di una "ricevuta" -, siamo intervenuti ammanettando il muratore.

A quel punto è scattata la perquisizione domiciliare, servita a recuperare il libro mastro dei prestiti e nove assegni bancari per 50mila euro. Da lì abbiamo capito che la doppia attività dell'usuraio era piuttosto florida, tanto che ora stiamo cercando di risalire a tutte le altre vittime, che immaginiamo essere non solo a Finale Emilia, ma anche a Ferrara e Bologna. Nel registro sono riportati solo i nomi di battesimo, ma incrociando quei dati con i tabulati telefonici riusciremo presto a risalire all'identità di quanti sono finiti nella rete dei prestiti di un uomo senza scrupoli. Nella sua abitazione, tra l'altro, abbiamo trovato anche 150 grammi di hashish e un bilancino elettronico di precisione, che gli sono costati una seconda accusa per spaccio di droga».

Roberta Catania
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ieri e oggi. E domani?

Affrontiamo il discusso tema dell'informazione. Dalle sue prime espressioni ad una attualità che guarda imperiosamente al futuro. Senza dimenticare la lunga e significativa storia della nostra Rivista

La ridente cittadina si stende ai piedi d'un anfiteatro orograficamente definito da cime più o meno alte, primi contrafforti della nota catena montuosa: un centro storico e un'infinità di frazioni, che si allargano a spirale tutto intorno, così come i diversi viali che partono dalla piazza principale. A metà circa di uno di questi - quello puntato a nord, fiero di un'armonica maestosità - apre un caffè piuttosto frequentato. D'epoca, come si suol dire. Qui, nella calura dei giorni estivi, gli ospiti usano sedersi agli artistici tavoli in ferro battuto posti sotto l'ombra di secolari tigli e ippocastani. All'interno, tra vecchie scacchiere e mazzi di carte distrattamente dimenticati, vi è solo un signore di mezza età. Capelli sale e pepe, spalle larghe ma non troppo, occhiali dalla leggera montatura, potrebbe essere un professore di liceo. È intento a leggere un quotidiano nazionale, fermato - come tutti gli altri sparsi sui tavoli interni - nel classico "bastone". Si sosta incantati ad osservarlo e, dopo qualche momento, si crede quasi di poter vedere, lì sul viale, passare un calessino, un tiro a quattro, o magari un "carro giro" che trasporta, al lento ma poderoso passo di due cavalli, pesanti botti di birra. Poi, il trillo d'un cellulare e gli occhi che corrono ad un tavolo di fuori, dove una ragazza risponde allegra alla chiamata d'un amico, mentre la sua compagna d'avventure sta facendo scivolare l'indice sullo schermo di una elaboratissima "tavoletta" elettronica. E il confronto si propone spontaneo: noi e i giornali, ieri e oggi. E domani?Hans Eder - Uomo che legge il giornale

LE NOTIZIE. Noi e i giornali, dunque. Ieri, oggi e domani. O forse sarebbe più corretto dire: noi e l'informazione, ieri, oggi e domani? Discorso complesso. Per le mille sfaccettature che gli sono proprie. «Un giornale è un giornale! Che altro?», viene infatti da pensare di primo acchito. Ma è proprio così?
Partiamo da lontano. Un dato è certo: le notizie sono l'essenza stessa dell'esistere; e il dato è talmente scontato da non apparire discutibile. Altrimenti sarebbe difficile comprendere a che pro quel 12 settembre del 490 a.C. - ma molti propendono per il 12 agosto, e sottolineano che dovesse fare un gran caldo - il generale Milziade avrebbe spedito "di corsa" all'Acropoli di Atene, con il compito di annunciare la vittoria sui Persiani, l'araldo Fidippide (o Filippide che dir si voglia, per quanto sembra che lo sfortunato militare passato alla storia per esser stramazzato al suolo una volta giunto a destinazione, rispondesse al nome di Tersippo o a quello di Eucle). O ancora, per quali oscuri motivi Giulio Cesare avrebbe ritenuto opportuno dare avvio agli Acta Diurna Populi Romani, riportandovi decreti imperiali, note giudiziarie, e nondimeno annunci di matrimoni e battesimi: in altre parole, i fatti degni di nota accaduti a Roma giorno dopo giorno?
Non vi è alcun dubbio, allora: le notizie sono parte stessa dell'esistenza. Ma riprendiamo i due eventi appena ricordati. Per sottolineare come già in essi facciano capolino due diversi - ed ugualmente centrali - aspetti del rapporto tra lettori e giornali (o, come detto, tra noi e l'informazione); come indiscutibilmente vi appaiano due tematiche di fondo: il potere e la velocità. Parole, entrambe, dai mille riferimenti. Potere. Quale "potere"? Quello che la stampa - dunque i giornali, e quindi l'informazione - si sostiene possieda? (Basti ricordare Quarto Potere, leggendaria opera cinematografica scritta, diretta e interpretata da Orson Welles nel 1941; o la storica frase: «…è la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!», pronunciata nel 1952 da Humphrey Bogart nella scena finale de L'ultima minaccia). Oppure quello che da subito ha cercato di sfruttare l'efficacia comunicativa delle diverse "gazzette" (nome dovuto al prezzo d'una moneta d'argento detta gazeta) che iniziano a diffondersi da Venezia a partire dal 1563, fino a creare epigoni del Mercure Galant (prototipo di una certa informazione, e di un certo modo di farla, che apparve a Parigi nel 1672 con l'intento sostanziale di informare la società "elegante" di quanto accadeva nella vita di corte)? A voi la scelta.
E non è affatto detto che riguardo all'argomento velocità si possa essere maggiormente univoci. Pur se, in un confronto come quello suggerito ai tavolini del nostro caffè d'epoca, la velocità si impone senza incertezze. Oggi siamo talmente "viziati" dalla possibilità di vedere "in tempo reale" il primo passo dell'uomo sulla Luna piuttosto che la finale dei Campionati mondiali di calcio da non riuscire quasi ad immaginare come un tempo si potesse avere notizia di avvenimenti epocali solo a distanza di giorni e giorni. Quasi venti, giusto per fare un esempio, per la vittoria delle armate cristiane nel mare di Lepanto il 7 ottobre 1571 (pur se si vuole che papa Pio V, alle 12 di quello stesso 7 ottobre, diede ordine di suonare le campane, e stabilì che ogni chiesa ripetesse il rituale ogni giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, allo scopo di ricordare l'avvenuta vittoria). Viziati al punto da non riuscire a comprendere l'importanza sempre attribuita alla rapidità nella trasmissione delle notizie. Un'importanza che motivò la cura estrema del sistema "telegrafico" (fiaccole come segnali) e di quello "postale" (con staffette a cavallo) messi a punto dagli antichi romani, o che regalò un fascino indiscusso al telegrafo vero e proprio, attraverso il quale, agli albori del secolo scorso, giornalisti di fama (come dimenticare Luigi Barzini senior e le sue cronache da Cina e Giappone per il Corriere della Sera?) hanno potuto render conto di grandi eventi solo a "poche decine di ore" di distanza dal loro accadimento.

I GIORNALI. Ma sono solo questi - potere e velocità - i punti chiave? O non è altrettanto centrale il ruolo rivestito nel sistema informativo dal giornale quotidiano in quanto tale e dai suoi confratelli di varia periodicità? Ci spieghiamo: è certo difficile contestare che da quando, sul finire del XIX secolo, apparvero nelle nostre edicole alcune delle testate che ancora adesso la fanno da padrone (fogliazione di quattro pagine a un costo variabile fra i 5 centesimi del Messaggero di Roma, inizialmente Messaggiero, e de La Stampa di Torino e i 7 del Corriere della Sera, se venduto fuori Milano), il quotidiano sia stato l'architrave su cui si è retta l'informazione. E che questo, negli ultimi centocinquant'anni, sia avvenuto ovunque sul globo terracqueo. Non è certo un caso che Jules Verne, il 2 ottobre 1872, negli ovattati salotti londinesi del Reform Club (realmente esistente), faccia scommettere Phileas Fogg sul poter compiere in 80 giorni il giro del mondo solo dopo aver letto un articolo del Daily Telegraph attorno alle ultime innovazioni tecnologiche e scientifiche.
Del resto, senza andare così a ritroso nel calendario, i molti fra di noi che non sono proprio di verdissima età rammenteranno il rito, soprattutto maschile (sic!), della lettura domenicale del quotidiano al caffè con gli amici. Con i giornali quasi sempre bloccati, proprio come nell'immagine del nostro amico professore, da una doppia stecca in legno o in metallo per evitarne la frantumazione, ma anche… le appropriazioni indebite! Rito che si è ripetuto quasi ovunque fino a pochi anni orsono, e ancora adesso in auge in qualche piccolo centro. Certo, nulla di comparabile con quanto accadeva oltre le Alpi e il mare (in Gran Bretagna o negli Usa, per dire, le edizioni festive raggiungevano il chilo e passa di peso e venivano lette da tutta la famiglia), ma che ha posto anche da noi le fondamenta di quel prestigio ancor oggi goduto dai quotidiani. Che diventa concreto, tangibile, quando si sente il bisogno di saperne di più su una notizia appena ascoltata nei pur seguitissimi giornali-radio e telegiornali. Cosa di meglio che rimandare l'approfondimento al giorno successivo e alla lettura della testata preferita?

L'INFORMAZIONE. Un ruolo però, questo del quotidiano, già in inesorabile seppur lenta trasformazione. In quale direzione? Ecco il punto. Cosa accadrà domani e, soprattutto, dopodomani? Avremo un mondo dell'informazione a più facce? Nel quale convivranno le magiche tavolette computerizzate, impossibili a maneggiarsi per chi oggi abbia superato i vent'anni, con personaggi alla Joss Le Guern, il "banditore di notizie spicciole" che officia a Parigi nei pressi della Gare Montparnasse, uscito dalla brillante penna di Fred Vargas? E in questo contesto comunicazionale, quale ruolo sarà riservato ai nipotini di The Spectator, edito per pochi mesi a Londra fra il 1711 e il 1712, e considerato da molti il primo esempio di giornalismo moderno? O, per restare nei nostri confini, della Gazzetta Veneta, il bisettimanale uscito a Venezia nel 1760, ispirato a Gaspare Gozzi proprio dal quotidiano londinese? Al numero di ottobre - forse - l'ardua risposta...

Minna Conti
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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 Una nuova caserma per Catania Librino

 

 

Un momento della cerimonia 
 
Il 2 luglio scorso ha avuto luogo l'inaugurazione solenne della Stazione Carabinieri di Catania Librino, alla presenza del Ministro della Difesa Ignazio La Russa, del Comandante Generale dell'Arma, generale C.A. Leonardo Gallitelli, del Prefetto Vincenzo Santoro, del Sindaco Raffaele Stancanelli e di numerose autorità locali. Per l'Arma erano anche presenti il Comandante Interregionale "Culqualber", generale C.A. Lucio Nobili, e quello della Legione "Sicilia", generale D. Vincenzo Coppola, oltre al Comandante Provinciale, colonnello Giuseppe Governale, e al capitano Massimiliano Galasso, alla guida della Compagnia di Catania Fontanarossa.

Il nuovo reparto, istituito per implementare il dispositivo di contrasto alla criminalità specialmente nelle zone socio-ambientali più sensibili, risponde alle attese dei cittadini e ad un preciso accordo siglato nel 2007 tra Enti territoriali e Ministero dell'Interno. Un impegno che l'Arma ha assunto con l'Amministrazione catanese, proprietaria dello stabile ove la Stazione ha sede: un'antica villa ristrutturata, nota come "Villa Papale", che è stata intitolata all'appuntato Croce d'Onore alla Memoria Horacio Majorana, nato in Venezuela ma siciliano d'origine, caduto nella strage di Nassiriya del 12 novembre 2003.

Librino è un quartiere situato nella parte sudoccidentale del capoluogo etneo, progettato negli anni Sessanta del secolo scorso dall'architetto giapponese Kenzo Tange come modello di città satellite. Nel tempo, però, è divenuto una roccaforte malavitosa soprattutto a causa del traffico di droga; ultimamente gli abitanti, stanchi del degrado, hanno maturato una forte coscienza sociale e, con questa, un'altrettanto forte richiesta di sostegno da parte delle Istituzioni, alla quale la Stazione Carabinieri costituisce una concreta risposta. Il reparto è comandato dal maresciallo aiutante Antonio Torre che nella circostanza, per motivi di salute, è stato sostituito dal maresciallo capo Francesco Politano.

Nel corso della cerimonia è stata scoperta una lapide che ricorda il sacrificio dell'appuntato Majorana, presso la quale il Ministro La Russa ha deposto, unitamente alla madre del Caduto, una corona d'alloro. Nel suo intervento il Ministro, dopo aver ringraziato le autorità convenute, ha sottolineato l'importanza del nuovo presidio dell'Arma, tributando a questa un vivo plauso per l'attività operativa, gravosa ma affrontata con determinazione ed efficacia su tutto il Paese. Quindi ha preso la parola il Comandante Generale, il quale ha evidenziato l'impegno istituzionale specialmente nelle zone ad alta densità criminale; impegno cui anche il Sindaco Stancanelli ha dato riconoscimento, ribadendo inoltre quello della sua Amministrazione, segnatamente con riguardo alle aree periferiche della città. Il colonnello Governale, infine, ha illustrato brevemente l'attività operativa dei Carabinieri di Catania e i brillanti risultati ottenuti nell'anno in corso, che ha visto un aumento degli arresti e una netta diminuzione dei reati predatori.

V. P.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La gang dei rifiuti

 

Il "patto" era particolarmente vantaggioso per entrambe le parti. Per le aziende alle prese con il problema di disfarsi di rifiuti non più riciclabili - che si trattasse di cuoio conciato, scarti, cascami, ritagli o polveri di lucidature contenenti cromo - e per le ditte di trasporto che, a prezzi a dir poco competitivi, si offrivano di trovare una soluzione rapida ed economica. A condizione, ovviamente, di chiudere un occhio sulle modalità di smaltimento del materiale.

Una vera e propria associazione a delinquere dedita al traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi sarebbe insomma quella sgominata lo scorso aprile dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Salerno, nell'ambito di una complessa indagine denominata "Falena". Un'operazione nella quale si sono distinti, in particolare, il capitano Giuseppe Ambrosone, Comandante del Noe, e nove suoi collaboratori: il luogotenente Giuseppe Recchimuzzi, il luogotenente Salvatore Vigliotta, i marescialli capi Gaetano Aliberti, Pasquale D'Arco e Franco Donnarumma, il maresciallo ordinario Antonio Corso, il brigadiere Mariano Ruffolo, l'appuntato scelto Massimo Ciambrone e l'appuntato Angelo Cecchetti. Dieci uomini, dieci investigatori che per mesi si sono messi sulle tracce dei trafficanti di rifiuti, tracciando a poco a poco il quadro di un'articolata e ben collaudata attività, capace di mettere a rischio, sotto il profilo ambientale, estese aree della Campania a causa dell'impatto generato dai continui sversamenti di rifiuti speciali.

Scorie di cemento, mattoni, mattonelle e ceramiche, scarti della separazione meccanica nella produzione di polpa da rifiuti di carta e cartone: questo il materiale che aziende di trasporto senza scrupoli, dotate di pochi mezzi e abituate a sopravvivere con costi minimi grazie alla completa assenza di regole (dipendenti in nero, mancanza di autorizzazioni, automezzi vecchi, eccetera), nascondevano in luoghi più o meno improvvisati, naturalmente con il compiacente assenso dei rispettivi proprietari. E con la piena soddisfazione delle imprese produttrici che, in questo modo, si trovavano ad abbattere una delle più consistenti voci di spesa.

Impressionante il bilancio complessivo dell'operazione messa in atto dai militari del Noe: 49 le persone indagate, di cui 13 colpite da misure cautelari coercitive che vanno dalla custodia in carcere all'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria; 25 sequestri preventivi delle aziende e dei beni strumentali, tra cui diversi autocarri, per un valore complessivo di oltre 100 milioni di euro, nonché dei terreni e delle aree di cava interessate dall'illecito smaltimento dei rifiuti.

Inutile dire che per le aziende è scattata la nomina di amministratori giudiziari, con sottrazione della gestione agli indagati. Per le aree destinate a discarica, invece, è prevista la confisca.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Nel Paese dei castelli di fango

Alla scoperta del Mali, tra antiche città carovaniere e villaggi nomadi, mercati tradizionali e biblioteche ricchissime. Un concentrato di "africanità" che conferma e smentisce ad un tempo tanti luoghi comuni

Da anni giravo intorno ad un viaggio in Mali. Un luogo dove le capanne, le case e persino le altissime moschee sono costruite di fango non può essere che speciale. Un luogo dove non soltanto il legno è raro, ma addirittura le pietre. Un luogo dove l'idea di andare è già parte del viaggio: strade polverose interminabili, traghetti per varcare la porta di accesso di mitiche città, rocce che nascondono villaggi insospettabili. Il Mali è tutto questo. Ma anche un concentrato di quella "africanità" che vaga nel nostro immaginario da sempre. Mercati bellissimi dove si vende di tutto e dove tutto è ordinato in un caotico vociare. Donne che pestano ininterrottamente il miglio nei mortai di legno. La vita lungo le sponde del Niger. I pescatori che gettano le reti e che poi le fanno saltare per recuperare pesci piccolissimi. Pinasse cariche di merci in bilico sul fiume dorato, la sera.Il togu-nà, luogo di ritrovo per gli anziani di Dogon

Basta arrivare a Djennè per averne una conferma. E, se è possibile, arrivarci di lunedì. Per raggiungere la città bisogna traghettare l'auto, il bus, ma anche il cavallo o il carretto trainato dagli asini, sul fiume Bani. Questo passaggio è ininterrotto il lunedì, giorno di mercato. Qui il termine mercato è abbastanza riduttivo: si vende e si compra, ma si va anche a vedere la futura sposa, a mostrare a tutti quanto è grassa la prima moglie - e quindi quanto la si tratti bene -, a scambiare rapporti sociali. Sei in piazza, e subito in un altro secolo. Le mille merci esposte, le donne con i vestiti più belli, i volti di diverse etnie sono ai piedi dell'imponente moschea. Alta, maestosa, intimorisce sapere che è di fango e che la struttura originaria risale all'XI secolo. La più alta costruzione di fango del mondo. Architettura sudanese: fango impastato su dei tralicci di legno le cui estremità sono visibili all'esterno, lasciate per effettuare con più facilità il restauro ogni anno dopo le grandi piogge. Il colore dei castelli di sabbia, ma con una fragilità di fatto solo apparente.

Anche le case di Djennè sono almeno di due piani e, come in molte del Mali, nelle calde notti stellate è piacevole dormire sul tetto tra le erbe e le arachidi messe a seccare. Ma è tra i vicoli gialli di sabbia che si scopre meglio la città. Gli uomini indossano lunghe tuniche bianche o azzurre e parlano appoggiandosi alle porte aperte delle loro case. Le donne sfilano in un andirivieni legato all'acqua da prendere alle fontane. All'imbarcadero si ritrova la più varia umanità al tramonto, quando tutti ritornano ai loro villaggi con i carretti scarichi delle loro merci. Tutti si affrettano: la notte, quando arriva, qui è buia, con i pochi generatori che forniscono energia per qualche fioca luce.

PER LE STRADE DI MOPTI. Un mercato del tutto speciale è a Mopti. Qui è l'odorato ad avere un forte impatto sugli altri sensi. Ovunque ti volti c'è pesce secco pronto per essere comprato e venduto. Intere cataste di pesce, impilate in cartoni altissimi che arriveranno in pinassa fino alle regioni più remote del Paese oppure esportate in Guinea. La chiamano "la Venezia del Mali" ma, con tutto il rispetto, non si coglie il paragone. Qui è il porto il punto cruciale di scambio. Le pinasse si accalcano una stretta all'altra e caricano il pesce appesantendo la barca fino all'inverosimile. Altre scaricano lastre di sale che vengono vendute a forma di mattonella oppure triturate grossolanamente. Ci sono mosche ovunque, ricoprono interi pezzi di carne e ogni superficie ferma per più di due secondi. In questo "girone" infernale c'è chi riesce anche a dormire. Un uomo tra le bilance del pesce dei venditori urlanti. Un bimbo di pochi giorni tra le braccia della mamma che intanto frigge, pesce naturalmente.
Ma eccoci vicino al fiume, nel girone del girone: l'officina delle pinasse. Queste imbarcazioni sono ancora fatte totalmente in maniera artigianale. Dai chiodi, battuti dai fabbri uno ad uno, alle tavole enormi, levigate intere, che le compongono. Difficile concentrare l'attenzione su una sola cosa. Tutto meraviglia e stupisce: le decine di operai allineati che battono sull'incudine il pezzetto di ferro infuocato accanto alla piccola teiera di smalto colorato per il thè, sempre sulla brace; i bambini che vanno da un punto all'altro del capannone aperto a prendere qualcosa agli adulti; i portatori che caricano le imbarcazioni poco più in là, sotto il sole. Punto di osservazione privilegiato di questo microcosmo è il bar Bozo. Tutti lo conoscono: è una piattaforma recintata che si affaccia discretamente su questo mondo. Costruito da un architetto italiano, Fabrizio Carola, è un posto stranissimo, che sembra essere atterrato nel bel mezzo del mercato direttamente da Marte.

VILLAGGI DI PESCATORI. Uscendo in pinassa da Mopti, subito si fa silenzio. I villaggi Bozo si diradano lungo le sponde. I Bozo sono pescatori nomadi: si spostano in piroga alla ricerca di buone zone di pesce e così "trasportano" anche le loro case. Non è raro trovare pinasse con sopra di tutto: un gregge di pecore, due asinelli, qualche bicicletta... I Bozo sono una delle tante etnie del Mali. Dopo qualche giorno basta soffermarsi sui volti e si riesce a distinguerli, ad esempio, dai Dogon. Moltissime anche le lingue locali, ed una comune per tutti, eredità del colonialismo: il francese.
In un villaggio dal quale si accede solo dalle sponde del Niger c'è un gran fermento: stasera ci sarà un matrimonio. La sposa è tutta coperta, seduta in un angolo, consolata per mano da un amico. È tristissima, o almeno così appare. I matrimoni in Mali sono combinati e la prima moglie di solito la sceglie la famiglia dello sposo, alle altre ci penserà il marito stesso. Le spose sono molto giovani e di solito basta offrire un granaio bello pieno, soprattutto tra i Dogon, per ottenerne la mano. Ma anche qui le cose stanno cambiando in direzione consumistica. Le donne "di città" non si accontentano più di un granaio, piuttosto di una macchina e della tivvù. I costumi evolvono, insomma, anche se forse non esattamente nel modo più giusto.

FUORI DAL TEMPO. Timbuctu è un luogo fuori dal tempo, da leggere a ritroso nel tempo. Una donna tuaregh di nome Buctù (che in lingua tamachek vuol dire "madre dal grosso ombelico") organizzò l'insediamento poco dopo l'anno Mille e, da semplice villaggio, Timbuctu divenne una grande città: ponte tra Africa occidentale e Mediterraneo. Oro, avorio e schiavi venivano scambiati con il sale e ancora oggi essa è città di passaggio per le carovane di cammelli che trasportano sale. Le case sono costruite con una pietra calcarea chiamata al horr, talvolta di argilla color ocra-rosso, dura non meno del calcare. Gli spessissimi muri isolano perfettamente dal calore. Le finestre sono piccole per assicurare una ventilazione naturale. Tutte le case di Timbuctu hanno una corte interna e un tetto-terrazza. Anche qui si può dormire all'aperto sotto il cielo stellato.
È bello ritrovare valori appartenenti al passato: il sapere si trasmette di padre in figlio. E anche le case. Ogni famiglia a Timbuctu ha il suo muratore accreditato che costruisce, restaura, tiene in ordine la casa di famiglia. L'esempio per tutti da imitare è lo stile della grande moschea. Bella, color terra, altissima. Un altro tesoro di Timbuctu sono i manoscritti. È incredibile che in un intero Paese che alla prima occhiata definiremmo "povero" ci siano biblioteche ovunque. Ma quella di Timbuctu, "Ahmed Baba", raccoglie manoscritti di valore inestimabile: da quelli di Avicenna ai trattati di astronomia decorati in oro zecchino; testi in lingua araba, belli come disegni, e testi in qualcuna delle lingue locali ancora parlate. Questa arte dello scrivere a Timbuctu è vicina a quella dell'arrotare una lama di ferro, di conciare una pelle. Un gesto naturale dell'uomo, che fa parte della sua persona. Ci sono ancora veri e propri amanuensi, che nel XXI secolo copiano i libri a mano. Uomini i cui occhi sono avvolti da teli blu e azzurro.
Anche a Timbuctu si arriva dopo una strada polverosa, interminabile. Poi un battello che attraversa il Niger. Sembra così che ci sia il tempo di riflettere su dove si sta andando: un luogo surreale.

NASCOSTI DALLA ROCCIA. Allontanandosi da Timbuctu, il paesaggio cambia di nuovo. La terra rossa della strada fa da tappeto a blocchi di granito dall'aspetto dolomitico. La "Mano di Fatima" è uno di questi: domina il villaggio di Hombori. Si ripete una storia già vista in tanti altri paesi: i progetti di sviluppo e solidarietà ci sono e veramente fanno la differenza, finché funzionano, però. Il villaggio è quasi nascosto dietro la roccia, incastonato in un punto invisibile dalla strada. I vicoli di terra sono stretti, quasi labirintici, per evitare l'arrivo di ospiti inaspettati. Ma l'acqua è stata trovata sulla strada, svariati metri più in basso del villaggio, ed il pozzo, finanziato, era fornito di una pompa per portarla fino alla parte alta. Poi la pompa si è rotta ed il pozzo è rimasto lì, in basso. Le donne arrancano con pesi fuori misura su per la montagna, avanti e indietro, per qualche secchio di indispensabile acqua.
Ad Hombori il legno non esiste. Una porta sacra che riesce ad isolare parte del villaggio è stata scambiata per cinque schiavi. Racconti di altri tempi, ma non sembrano poi così lontani, visti da qui.
La roccia prosegue. Tutta la strada di sabbia per arrivare ai Dogon costeggia l'enorme falesia di Bandiagara, alta più di 400 metri, per chilometri e chilometri. I villaggi Dogon azzerano il viaggio: tutto è diverso, nuovo, straordinario. I villaggi si susseguono e inizialmente noto solo quelli visibili dalla strada. Ma poi la vista si aguzza: i villaggi sono ovunque, arrampicati sulla roccia! Anzi, tra una roccia e l'altra, come tante piccole tane di animali. Si mimetizzano perché tutto è ocra, perfettamente integrato nel paesaggio. Hanno tutti la stessa struttura. Partono dal togu-nà, punto di ritrovo per gli uomini anziani. È una struttura aperta, con le colonne portanti fatte di legno intagliato con figure mitiche bellissime. Una sorta di libro aperto con la storia del villaggio esposta. A copertura ci sono le stoppie del miglio, in gran quantità, per isolarlo dal calore. Qui gli anziani stanno tutto il giorno e qui si risolvono le questioni che vanno discusse. Seduti, però: il togu-nà è basso appositamente, così che chiunque perda la pazienza e si alzi all'improvviso batta una sonora testata sulle travi del soffitto!
Dal togu-nà segue tutto il resto del villaggio. Case di fango prive di finestre con vicino i granai. Sollevati da terra per evitare le inondazioni e le termiti, i granai sono salvadanai di miglio, anche per la loro forma. Come copertura hanno strani coni di paglia, che somigliano ai cappelli dei maghi.
E in effetti i villaggi Dogon emanano magia. Forse anche per l'animismo che qui non è riuscito a sparire neanche con l'influenza islamica, per i feticci che vengono nascosti da secoli nei granai più in alto, segretissimi. Per la strada che si deve percorrere a piedi per raggiungerli: non sentieri, ma vere e proprie piste tra le rocce, con qualche scala ricavata da un tronco di albero per i passaggi più difficili. È un paesaggio verticale, e bisogna salire fino alla sommità della falesia per poterlo ammirare. Dall'alto di essa il vento porta i rumori dei villaggi, soprattutto l'incessante battere dei bastoni nel mortaio per pestare il miglio.
Qui nei villaggi i telai di legno sono abilmente azionati dai piedi di uomini che fumano la pipa; le porticine intagliate dei granai sono diventate souvenir per i turisti; il walasi, gioco tradizionale in gran parte dell'Africa nera, con pedine di semi verdi, si gioca all'ombra nelle ore in cui è necessario ripararsi dalla calura.
saluti e cerimoniALI. Ma saprete di essere proprio in un villaggio Dogon dal saluto. È un rito affascinante. Chi arriva pronuncia una formula che corrisponde al nostro: «Ciao, come va?». La risposta è sempre: «Bene». Quindi si chiedono informazioni su tutti: padre, madre, fratelli, cognate; e poi capra, galline, asini… Il rito del saluto può durare vari minuti, in cui la risposta è ancora «Sewo», «Bene», con un botta e risposta incalzante tra i due. E questo per tutte le persone incontrate! Dopo la cerimonia, i fatti: solo ora il nuovo arrivato saprà se nel villaggio c'è stato un lutto o una malattia.
Il viaggio per me finisce qui, nella terra dei Dogon, con la Danza delle Maschere. È stata preparata per noi, i soli tre turisti nel villaggio di Irelly. Forse non è una cerimonia "genuina", ma mi aspettavo giusto qualche figurante in maschera, non certo una danza travolgente con oltre cento personaggi. Gli animali della brousse rappresentati, le paure da esorcizzare con maschere terrificanti o altissime; gli anziani che accompagnano con la voce i movimenti concitati e il battere dei tamburi. Qualcosa di più di uno spettacolo: il saluto più bello che il Mali ci potesse regalare.
Il terrore, tornando a casa, è che tutto questo possa durare ancora per poco. Leggo infatti sull'aereo: "Bamako. Il 2009 è stata un'annata record per i due operatori di telefonia mobile sul mercato del Mali...". Io spero che non sia così, che il "progresso" sia da ricercare in altre realtà. Ma per ora: grazie, Mali, per le tante emozioni.

Beatrice Landucci
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Dalla Giordania a viale Romania

 

Dal 24 al 26 giugno il Direttore Generale della Gendarmeria Giordana, maggior generale Tawfeeq Hamed Al-Tawalbeh, ha effettuato una visita al Comando Generale e ad alcuni reparti dell'Arma. L'alto ufficiale, giunto a Roma nel pomeriggio del 23, era seguito da una delegazione composta dal tenente colonnello Faisal Abdelkarim Omar Alzaidan, ufficiale di Stato Maggiore, e dai capitani Omar Ahmad Abdelkader Al Shehan e Amer Mashhoor A. Al Mohtasib, assistenti del Direttore. Per l'Arma, hanno accompagnato i visitatori il generale B. Giovanni Nistri, Comandante dei Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, il maggiore Andrea Antonazzo dell'Ufficio Cooperazione Internazionale, interprete di lingua inglese, e il luogotenente Eugenio De Biase del Reggimento Corazzieri.

La prima tappa, il giorno 24, è stata a Livorno, ove l'illustre ospite si è recato alla Caserma "Giuseppe Amico", sede della 2a Brigata Mobile; qui è stato ricevuto dal Comandante di quella grande unità, generale B. Silvio Ghiselli, dal Comandante Provinciale, colonnello Saverio Giampiero Eugenio Nuzzi, e da quello del 1° Reggimento Carabinieri paracadutisti "Tuscania", colonnello Paolo Nardone. Dopo un briefing sulle attività della Brigata, con particolare riferimento a quelle del Gruppo d'Intervento Speciale, è seguita la visita vera e propria nella Caserma "Paolo Vannucci" al 1° Reggimento paracadutisti e al Gis.

Il 25, nella Capitale, al mattino è stata la volta del Comando Unità Mobili e Specializzate presso la Caserma "Salvo D'Acquisto", ove ad attendere la delegazione giordana c'era il Comandante, generale C.A. Emilio Borghini e, dopo il briefing sull'organizzazione e le attività della grande unità, con riguardo specifico ai corsi di formazione organizzati dal CoESPU presentati dal Direttore, generale B. Umberto Rocca, ha avuto luogo la visita all'8° Battaglione "Lazio", al Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche e al 4° Reggimento a cavallo. Il generale Al-Tawalbeh e i suoi ufficiali sono stati quindi accolti al Comando Generale dal Capo di Stato Maggiore, generale C.A. Arturo Esposito, e dal Comandante del Reparto Autonomo, generale B. Pasquale Muggeo. Dopo un colloquio nell'ufficio del Comandante Generale, generale C.A. Leonardo Gallitelli - presenti anche il Vice Comandante Generale, generale C.A. Corrado Borruso, il Capo di Stato Maggiore, il Sottocapo di Stato Maggiore, generale B. Ilio Ciceri, il Capo del II Reparto, generale B. Gaetano Maruccia e il già citato generale Nistri -, nella Sala Cinema è stato proiettato un filmato istituzionale e si è tenuto un briefing sulle tematiche d'interesse comune; sono seguiti la Sala Operativa, con un'ulteriore relazione presentata dal Capo Sala, colonnello Massimo Zuccher, e infine il consueto scambio di simbolici doni e la firma sul Registro d'Onore. Nel pomeriggio il Direttore della Gendarmeria giordana si è recato alla Caserma "Ugo De Carolis", prestigiosa sede della Scuola Ufficiali, ove è stato accolto dal Comandante, generale D. Ugo Zottin. Gli sono state prospettate le diverse fasi e le linee guida della formazione degli ufficiali ai vari livelli d'impiego e di comando.

Il 26 successivo, infine, c'è stata la visita al Comando Provinciale di Roma, ove erano presenti il Comandante della Legione "Lazio", generale D. Saverio Cotticelli, e quello Provinciale, generale B. Vittorio Tomasone. All'autorevole visitatore, questa volta, sono stati illustrati i servizi del Nucleo Radiomobile, del Carabiniere di quartiere e delle scorte, nonché l'attività della Centrale Operativa.

V.P.
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Quando il ricordo è una luce

 

Luci dal buio: così s'intitola la mostra fotografica presentata il 9 giugno scorso alla Camera dei Deputati, rimasta aperta sino al 24 successivo presso il Complesso di vicolo Valdina. E ci sembra che nessun nome potesse risultare più indicato. Perché la mostra, organizzata dalla Fondazione Italiana per la Legalità e lo Sviluppo "Generale dei Carabinieri Ignazio Milillo", di luci ne ha accese davvero molte. Ci riferiamo al ricordo delle Vittime di una guerra senza quartiere, combattuta in Sicilia da oltre un secolo a questa parte. La lotta alla piovra, il sistema criminale che dal 1982, anno di entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre, è definito nel codice penale nazionale "di tipo mafioso". Nelle immagini della mostra, i volti di chi si è immolato nell'impegno antimafia. In prima linea come sempre, l'Arma ha pagato un alto tributo di sangue. Fra i Caduti il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, trucidato a Palermo il 3 settembre 1982, e i capitani Emanuele Basile e Mario D'Aleo, già al comando della Compagnia di Monreale, uccisi nel 1980 e nel 1983. La Fondazione promotrice ha un legame diretto con la nostra Istituzione, poiché ricorda la figura del generale Ignazio Milillo, deceduto nel 2004 all'età di novant'anni. L'alto ufficiale, pluridecorato, rimase ferito in un tragico conflitto a fuoco ingaggiato con la famigerata "Banda Giuliano" e fu tra i protagonisti della cattura del mafioso Luciano Liggio.

Ancora in Sicilia. L'anno è il 1963, la città è Palermo. La mafia alza il tiro. In un proditorio agguato che passerà alla storia col nome di Strage di Ciaculli, uccide sette militari, di cui cinque dell'Arma: il tenente Mario Malausa, i marescialli Silvio Corrao e Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli. Per commemorare quest'ultimo, l'omonima Onlus ha promosso il 27 giugno scorso una cerimonia, che si è svolta nel paese d'origine del militare, Cassino (Fr).

Dalla mafia al terrorismo. Molto tempo è passato, ma ci sono cose che non si dimenticano e persone che non possono dimenticare. L'11 maggio, presso la Prefettura di Roma, sono state conferite a sedici rappresentanti delle Forze dell'Ordine altrettante medaglie d'oro della Presidenza della Repubblica, per l'impegno nella lotta al terrorismo. Fra i premiati il generale Gian Carlo Iachetti e i marescialli Giovanni Del Grosso ed Elio Centurioni, tutti in congedo. Il 12 marzo 1977, in Roma, rimasero feriti in uno scontro a fuoco.

 
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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I nostri siluri nell'acqua

Da Guarducci a Sacchi, da Rosolino a Brembilla, fino a Rummolo, molti campioni di nuoto hanno indossato l'uniforme dell'Arma, dando lustro a una Sezione che cura anche i tuffi, il fondo, il nuoto pinnato e il salvamento

Negli ultimi venti anni il nuoto italiano ha ottenuto risultati straordinari, impensabili prima di allora. Un ruolo consistente nella crescita del movimento l'ha svolto sicuramente il Centro Sportivo Carabinieri. Per avvalorare questa tesi è sufficiente ricordare i nomi dei tanti campioni che hanno indossato - per periodi più o meno lunghi - la casacca del Csc: Luca Sacchi, Massimiliano Rosolino, Emiliano Brembilla, Emanuele Merisi, Davide Rummolo, Marco Formentini, Massimiliano Eroli, Gianluca Marconi, Mirko Mazzari.Luca Sacchi

Prima di allora - a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta - un altro grandissimo nuotatore, Marcello Guarducci, aveva dato lustro al medagliere dell'Arma, inserendosi nel gruppo ristretto dei migliori velocisti del mondo, con tempi di straordinario valore tecnico nei 100 e nei 200 metri stile libero. A quell'epoca le piscine erano avarissime di successi per l'Italia. A parte Novella Calligaris - che aveva ottenuto, nella prima metà degli anni Settanta, grandi risultati nelle gare di mezzofondo - i nuotatori italiani erano molto lontani dai podi che contano. Guarducci conquistò dodici medaglie d'oro in competizioni internazionali (Giochi del Mediterraneo, Universiadi e Mondiali Militari), cinque d'argento (Europei, Coppa del Mondo e Giochi del Mediterraneo) e sei di bronzo (Mondiali, Europei, Universiadi e Giochi del Mediterraneo). Era tra i favoriti per le Olimpiadi del 1980 a Mosca, ma la decisione delle Forze Armate di disertare quell'edizione dei Giochi gli impedì di aggiungere al suo palmarès le medaglie olimpiche, le più ambite.

Con un salto di oltre dieci anni troviamo un altro grande nuotatore dei carabinieri, Luca Sacchi, che dette all'Italia la medaglia d'oro nei 400 misti agli Europei di Atene 1991. In quella edizione dei Campionati continentali Luca salì sul podio (medaglia di bronzo) anche nei 200 misti. L'anno successivo, alle Olimpiadi di Barcellona, fu bronzo nei 400 misti dietro l'ungherese Tamas Darnyi e lo statunitense Eric Namesnik.

ADDESTRAMENTO. La Sezione Nuoto del Centro Sportivo dell'Arma, con sede a Napoli, ha iniziato la sua attività nel 1964. Il primo obiettivo fu quello di curare l'addestramento dei militari dell'Arma per le attività di carattere istituzionale. Si dette quindi la precedenza a specialità che hanno scarsa eco agonistica, ma che sono di estrema utilità nello svolgimento delle mansioni di tutela dei cittadini, come - primo fra tutti - il nuoto per salvamento. E si curò la preparazione per il fondo e il gran fondo (che si disputa in mare) e per il nuoto pinnato. Nacque poi anche una sottosezione riservata ai tuffi, che - negli ultimi anni - ha offerto grandi soddisfazioni con i successi di Christopher Sacchin e di Valentina Marocchi, giovane campionessa (ha ventisette anni) arruolata nell'Arma nel 2004.
I successi internazionali di Guarducci (prima) e di Sacchi (poi) hanno contribuito a sviluppare il settore del nuoto agonistico, con la formazione di un gruppo compatto di campioni che ha dominato la scena (non soltanto italiana). Massimiliano Rosolino ha ottenuto i primi importanti risultati con i colori del Centro Sportivo Carabinieri. Nel 1997 Rosolino fu il protagonista assoluto dei Giochi del Mediterraneo, dove salì sul più alto gradino del podio nella staffetta 4 x 100 (con altri due carabinieri, Andrea Jemmi e Alessandro Bacchi; il quarto era Lorenzo Vismara), nella staffetta 4 x 200 (con i carabinieri Paolo Ghiglione ed Emiliano Brembilla, e con Emanuele Idini delle Fiamme Gialle) e nella 4 x 100 mista (con il carabiniere Emanuele Merisi e due atleti delle Fiamme Gialle, Domenico Fioravanti e André Gusperti). Conquistò l'argento nei 100 e 400 stile libero e nei 200 misti. In quella stessa manifestazione, altri carabinieri ottennero risultati di assoluta eccellenza: Emiliano Brembilla, oltre alla staffetta 4 x 200 stile libero, vinse i 400 e i 1.500 sl; Massimiliano Eroli fu secondo nei 200 farfalla; Marco Formentini si aggiudicò l'argento nei 1.500 stile libero. In quello stesso anno, Formentini fu medaglia d'argento alle Universiadi nei 1.500 e bronzo negli 800, e Gianluca Marconi fece parte del quartetto medaglia d'argento nella staffetta 4 x 100 sl. Mirko Mazzari fu finalista olimpico ad Atlanta, settimo nei 200 metri dorso agli Europei del 2000.
Nel 2000, alle Olimpiadi di Sydney, trionfali per il nuoto azzurro, i Carabinieri ottennero eccellenti risultati, anche se qualche medaglia svanì per un soffio. Emiliano Brembilla, nei 400, mancò il bronzo per un centesimo di secondo. Una maledizione che l'aveva già perseguitato: ad Atlanta (nel 1996) si fermò alla "medaglia di legno" sia nei 400 che nei 1.500. Può capitare a un grande campione (ancora sulla breccia) che ha conquistato tre medaglie d'oro e due d'argento agli Europei (1997, 1999, 2000) e una serie infinita di successi in altre importanti manifestazioni internazionali. Ugualmente sfortunato fu Massimiliano Eroli, colpito da una forma influenzale alla vigilia, che ottenne comunque un buon piazzamento nei 400 misti. Prima di allora, ai Giochi del Mediterraneo del 1997, Eroli era salito sul gradino più alto del podio nei 400 misti e sul secondo gradino nei 200 farfalla, e l'anno successivo era stato Campione del Mondo Militare nei 400 misti e medaglia di bronzo nei 200 farfalla. La grande sorpresa di Sydney fu Davide Rummolo, medaglia d'argento nei 200 rana, dietro Domenico Fioravanti.
Le ultime due Olimpiadi (Atene nel 2004, Pechino nel 2008) sono state complessivamente più avare di risultati. A tenere alto il prestigio della Sezione Nuoto hanno provveduto Federico Cappellazzo, medaglia di bronzo nella staffetta 4 x 200 sl ad Atene, e Alessandro Calvi, quarto nella 4 x 100 sl sia ad Atene che a Pechino. Ma altri atleti hanno dimostrato il loro valore. Lo scorso anno Mattia Nalesso ha vinto tre medaglie d'oro (100 farfalla, staffette 4 x 100 sl e 4 x 100 mista) e due d'argento (50 farfalla e 50 stile libero) ai Mondiali Militari di Montréal. Nella stessa competizione Samuel Pizzetti si è aggiudicato una medaglia d'oro (200 stile libero) e due d'argento (400 e 1.500 stile libero). Sebastiano Ranfagni (sempre ai Mondiali Militari) ha collezionato due ori (nelle staffette 4 x 100 stile libero e mista), un argento (200 dorso) e due bronzi (50 e 100 dorso), Luca Pizzini si è classificato terzo nei 100 rana ai Giochi del Mediterraneo. Sono ragazzi giovani, sui quali si può puntare per le prossime Olimpiadi.

LE ALTRE SPECIALITÀ. Alla Sezione Nuoto fanno capo anche i tuffi, il fondo, il nuoto pinnato e il nuoto per salvamento.
Dopo il ritiro di Donald Miranda, olimpionico a Sydney e medaglia d'oro agli Europei del 1999 nel sincronizzato (in coppia con Nicola Marconi), e i lontani successi di Davide Lorenzini (bronzo agli Europei del 1991), i due tuffatori di punta del Centro Sportivo Carabinieri sono oggi Christopher Sacchin (terzo ai Mondiali del 2007 nel trampolino da un metro e terzo nella stessa specialità agli Europei dell'anno successivo) e Valentina Marocchi.
Nel nuoto di fondo, gli emuli di Giulio Travaglio, il carabiniere che vinse per tre anni consecutivi - 1968, 1969, 1970 - la mitica Capri-Napoli (che valeva allora come Campionato del Mondo, sulla distanza di 30 km), sono Marco Formentini e Nicola Bolzanello (il più giovane del gruppo: ha appena 23 anni). Formentini ha alternato le gare in piscina (primo ai Mondiali Militari del 1995 e del 2003 nei 1.500 stile libero) alle prove di gran fondo (terzo classificato ai Mondiali del 2001 nella 5 km, secondo ai Mondiali del 2007 nel gran fondo 25 km).
Nel nuoto pinnato l'Arma può contare su due veterani: Loris Luca Garnaschelli e Paolo Vandini. Vandini è sulla breccia da quarant'anni (da trentadue anni tesserato con il Centro Sportivo Carabinieri). Ha vinto un numero incalcolabile di titoli italiani, tre titoli mondiali, 12 europei. Due anni fa è salito ancora sul terzo gradino del podio agli Europei. Inossidabile e intramontabile, nel vero senso della parola.

Guglielmo Sanvito
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Prove tecniche di futuro

Tra segnali di ripresa e nuovi modelli di sviluppo, il mondo sembra avviarsi verso un domani finalmente più roseo, all'insegna del progresso scientifico, della Green Economy e della comunicazione globale

Dopo il G20 di Pittsburgh l'economia globale sembra essersi finalmente lasciata dietro le spalle la lunga recessione. I danni provocati dallo tsunami dei cosiddetti "derivati finanziari", tuttavia, stanno ad indicare, non solo sul fronte delle imprese ma anche su quello dello stesso mercato del lavoro, che il "vulcano" non è ancora completamente spento e che, per una ripresa a pieno ritmo del sistema, c'è ancora da lavorare. Nonostante le economie occidentali siano riuscite, infatti, a riemergere e la Banca Centrale Europea abbia annunciato che è stata «evitata la depressione», il Presidente della Bce Trichet ha ammonito che «rischi di una ripresa con disoccupazione» restano elevati.

 

 Wall Street - sede della Borsa newyorchese



dopo la tempesta. Anche se non basta a consolarci, il problema riguarda ormai tutto il Pianeta. Il mito di un "turbocapitalismo" privo di freni o di adeguati controlli, in grado di riversare le sue messi abbondanti sul Pianeta, ha subìto una sonora sconfitta. Anche i numeri che ritraggono il mutato equilibrio tra clima ed ambiente, oggetto dell'Accordo di Kyoto come anche dei vari G2 o G7, stanno ad indicare che occorre cambiare marcia. Perfino una locomotiva mondiale come la Cina, nonostante la forte ripresa economica (con una crescita del Pil del 7,1%), ha visto milioni di lavoratori costretti a far ritorno da Pechino e dalle altre megalopoli alle campagne, con effetti non ancora esattamente quantificabili. A leccarsi tuttavia le ferite sono soprattutto i Paesi benestanti che, anche se hanno il privilegio di non godere di un lavoro a bassissimo costo o dell'assenza totale di scioperi, come in Cina (Paese concorrente su tutti i fronti produttivi), si ritrovano ad avere ben il 10% della forza lavoro disoccupata. L'arida freddezza delle cifre (se gli Stati Uniti hanno perso, in meno di tre anni, 7,3 milioni di posti di lavoro, l'Euroarea, cioè i 16 Paesi che ne fanno parte, oltre 4), non basta tuttavia a spiegare tutte le questioni che, all'alba del XXI secolo, sembrano già proiettarsi sugli scenari dei prossimi anni.

I fattori geopolitici. Se gli effetti della tempesta finanziaria sembrano destinati, secondo gli esperti, a farci compagnia ancora nel 2010, è altrettanto certo che a dominare gli scenari futuri del Pianeta nei prossimi anni saranno, insieme ai fattori economici, anche quelli geopolitici. Fattori sui quali sono accesi tutti i giorni i riflettori dei media e che, solo per restare nell'ambito dell'economia internazionale, vedono emergere ancora una volta il conflitto sempre più forte per le materie prime, accompagnato dall'emergenza energetica per il gas-petrolio, che riguarda non solo l'Occidente, ma anche Paesi emergenti "affamati" di energia come Cina e India. Basti pensare che dagli anni Settanta ad oggi il consumo mondiale di energia è raddoppiato da 6 a 12 miliardi equivalenti di petrolio; con l'oro nero che rappresenta la principale fonte energetica globale (anche se scesa al 30% dal 46,1 del '73), il consumo del gas che ha subìto un'impennata del 157%, quello del carbone aumentato del 112% mentre le fonti rinnovabili (energia idrica, eolica, solare, geotermica e biomasse), sulle quali sono ancora accese le speranze del futuro, rappresentano un contributo notevolmente inferiore rispetto alle fonti tradizionali (12,5% nel '73, 12,7% nel 2007).
Alla guerra in corso per le risorse energetiche si aggiunge quella, non meno fondamentale, per i beni alimentari. Una battaglia combattuta non solo alla Borsa di Chicago per l'acquisto massiccio di materie agricole, ma estesa oggi anche all'acquisizione di intere aree geografiche dai Paesi economicamente più deboli dell'Africa o del Sud America e destinate alla produzione di colture intensive. Senza parlare, per restare ai fattori geoeconomici, della ripresa della corsa all'oro dopo il crollo delle Borse mondiali, di quella per il titanio (vedi nucleare), per gli approvvigionamenti idrici (leggi: acqua), e così via.
Al "rally" per le materie prime devono aggiungersi poi i fattori geopolitici primari, riguardo ai quali non è esagerato affermare che appaiono destinati ad entrare nella Storia del prossimo decennio: dai contrasti interetnici o religiosi alle battaglie silenziose ma non meno "strategiche" sui fattori demografici in Medio Oriente o nella stessa Cina, fino al capitolo relativo al terrorismo internazionale.

segnali di speranza. C'è anche del "rosa", però, nel futuro dell'economia mondiale.
A far da contraltare alle sfide che attendono il Pianeta, sono infatti i traguardi eccezionali raggiunti dalla ricerca scientifica (basti pensare solo al Nobel assegnato ai tre genetisti americani Jack Szastak, leader incontrastato delle genetica, Elisabeth Blackburn e Carol Greider per aver scoperto l'enzima dell'immortalità nel dna umano), da quella tecnologica con lo sviluppo delle telecomunicazioni, dalla medicina con il progressivo allungamento della vita. Un vivere più a lungo che si tramuta sempre più spesso in un voler vivere meglio, in un riscoprire la cura di sé (leggi: fitness/wellness), in un porre maggiore attenzione ai bisogni del corpo e dello spirito, ritrovando anche la voglia di divertirsi e di viaggiare, grazie alla diffusione dei low-cost.
Per non parlare dei benefici dell'innovazione tecnologica promessi dalla Green Economy al posto della superata New Economy. Una "rivoluzione", quest'ultima, destinata a combattere la povertà anche nei Paesi più sfortunati dell'Africa. Il passaggio epocale dall'economia di finanza (o "di fumo"), che ha finito con il mettere in crisi l'intero Pianeta, alla Green Economy o ad un sistema che recuperi i valori fondamentali della società, potrebbe davvero rivelarsi in grado di aprire nuove frontiere all'Umanità. Non è un caso che, dopo il crack della Lehman Brothers (che ha finito col mettere sotto accusa le teorie più estreme della Scuola di Chicago), sia stata scelta infatti Pittsburgh come sede del G20.
La città della Pennsylvania, data per spacciata dopo l'esodo delle industrie sconfitte dalla globalizzazione degli anni Ottanta, è riuscita a risorgere infatti grazie all'high-tech, alle biotecnologie, all'energia rinnovabile. E una delle più grandi sfide del XXI secolo, come è testimoniato dai cambiamenti straordinari in atto nel settore dell'industria automobilistica, si giocherà proprio sull'energia pulita. «Un settore tecnologicamente avanzato», rilevano concordi tutti gli istituti di ricerca, dall'Enea al Cnr, dall'Eurispes al Censis, «ma soprattutto lucroso, dal quale dipenderà il benessere dell'economia mondiale e degli stessi abitanti della Terra».

Il mondo nella rete. Un'altra sfida fondamentale per il nostro mondo, tuttavia, è la rivoluzione in atto nelle telecomunicazioni. Un esempio clamoroso della posta in gioco sul piano delle relazioni internazionali è nel fatto che Paesi come Stati Uniti e Cina hanno posto quale argomento centrale al summit di Copenaghen non il capitolo relativo ai diritti umani o alle controversie commerciali, ma proprio quello delle telecomunicazioni, insieme a quello dei cambiamenti climatici. Un tema decisivo, se è vero che grazie allo sviluppo delle telecomunicazioni sarà possibile realizzare quella rivoluzione copernicana annunciata dal Premio Pulitzer Thomas Friedman nel best-seller The world is flat, nel quale il famoso editorialista del New York Times ha individuato i princìpi che hanno favorito, nel XX secolo, l'emancipazione degli esseri umani e il loro grado di interconnessione.
Tra i fattori determinanti questa rivoluzione (iniziata dal nostro più grande scienziato, Guglielmo Marconi, di cui ricorre quest'anno il centenario), Friedman individuava proprio la nascita di Internet e lo sviluppo dei tools, strumenti di comunicazione in Rete. «Dalla nascita di Myspace e Facebook allo sviluppo di YouTube e Flickr», sottolinea l'Eurispes nella sua ultima ricerca, «la multimedialità è diventata parte integrante dell'azione sociale e per alcuni ne è il motore primario». Le cifre di Facebook parlano chiaro: il primo social network ha toccato 350 milioni di utenti nel 2009 (di cui 13,5 milioni in Italia), con una quota di mercato del 58,6% ed una crescita del 194% nei soli Stati Uniti. Il futuro dell'informazione, perciò, è già iniziato: tra critici che stigmatizzano la fine della privacy chiedendo la liberazione dai social networks e dalle patologie del sistema (per esempio pornografia e fenomeni eversivi legati al terrorismo) e apologeti del libero scambio di informazioni e dell'amicizia on-line.
Come per tutti gli "strumenti", insomma, ci sarà molto da discutere. Quello che appare certo è che nel 2030 tutti, eccetto i più poveri, saranno connessi, in qualsiasi luogo del mondo, a tutte le reti di informazione attraverso infrastrutture ad alta velocità, mobili e fisse. «Internet», avverte ancora il Rapporto Eurispes, «sarà dunque il luogo della solitudine fisica ma non sociale, la piattaforma di una nuova socialità mutevole, dinamica, pronta a costruire e ad abbattere, a creare e a distruggere».

Guglielmo Quagliarotti
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Henry e Florence, la vita al servizio del prossimo

Cent'anni fa morirono - a poche settimane di distanza l'uno dall'altra - Dunant e la Nightingale, il fondatore della Croce Rossa e la prima infermiera "professionale". Per merito loro i feriti in guerra, così come le vittime delle calamità naturali, ricevono da allora un'assistenza molto più efficace

Il racconto reca la firma illustre dello storico Luigi Firpo. «La sera di quel tragico 24 giugno giunse a Castiglione delle Stiviere una carrozza privata, che trasportava un curioso personaggio: un finanziere svizzero trentenne, impeccabilmente vestito di bianco per difendersi dalla calura. Per tutto il giorno l'intrepido viaggiatore aveva sentito il cannone rombare in lontananza, ma aveva continuato a spingersi ad Oriente, come se nulla fosse, attraverso le caotiche retrovie di un'armata in movimento, diretto con bella ostinazione alla sua meta, che era il quartier generale di Napoleone III. All'Imperatore dei Francesi, guerra o non guerra, Henry Dunant era venuto a parlare d'affari».Robert Gibb - La batteglia del fiume Alma (Glasgow, Art Gallery)

Il 24 giugno 1859 era stata una giornata di battaglia - tra Solferino e San Martino (in provincia di Mantova) -, che si era risolta in un'orrenda carneficina. Francesi e piemontesi alleati contro gli austriaci, nella Seconda Guerra d'Indipendenza. La sola III Divisione sarda vide cadere 13 ufficiali e 171 soldati, ebbe 1.080 feriti e 377 dispersi; la V denunciò perdite anche maggiori; l'Armata contò 42 ufficiali e 561 soldati uccisi, 2.918 feriti, 1.139 dispersi. Un francese superstite (il futuro generale Jean Bourelly) descrisse «una pianura deserta, inanimata, senza echi. Fucili, armi spezzate, brandelli di equipaggiamento, cadaveri di cavalli che appestano l'aria, il tutto sparso fra macchie d'alberi straziati e campi devastati come da un uragano». Qualche anno dopo il futuro maresciallo Helmuth Karl Bernhard von Moltke condusse per conto dello Stato maggiore prussiano una sistematica analisi dell'intera campagna del 1859, giungendo alla conclusione che gli austriaci persero 4 generali, 630 ufficiali, 19.311 soldati; i piemontesi 216 ufficiali e 6.305 soldati; i francesi 720 ufficiali e oltre 12mila soldati.

Dunant non incontrò l'Imperatore, dimenticando i propri affari. «Visse quell'alba di orrore e ne serbò un ricordo indelebile», scrive Firpo. «Novemila feriti transitano per Castiglione: francesi e tedeschi alla rinfusa, arabi e slavi; nelle cunette della via principale scorre il sangue. Cinquecento ne vede ammucchiati nella Chiesa Maggiore per consumarvi un'agonia senza speranza, con le piaghe coperte di mosche e di vermi, tra il fetore delle deiezioni e delle purulenze, gonfi di cancrena o squassati dalle convulsioni tetaniche, senza letti né biancheria né bende né medicine, pazzi di dolore e di disperazione. Il 27 Dunant scrive con infinita pietà: «Da tre giorni, ogni quarto d'ora, vedo spirare un uomo».

Inesperto di medicina, solo mosso da un inorridito senso di umanità, egli si prodiga allora con tutte le sue forze ad assistere e confortare quei miseri, incoraggia la popolazione a dar soccorso, anima donne e tenere giovinette a dissetare, a umettare le piaghe, a dire parole di conforto; manda la sua carrozza a Brescia e ne riporta bende e medicine, limoni, tabacco, barlumi di speranza. «A Napoleone III non parlò, restò con i suoi morenti, scrisse per loro le ultime lettere ai parenti lontani, ne raccolse le parole estreme di rassegnazione o di accusa. Quella visione straziante si impresse nell'animo suo con una crudezza indimenticabile e tutta la sua vita ne sortì mutata nel profondo».

L'ARRIVO DELL'INFERMIERA INGLESE. Pochi anni prima, un'altra guerra, in Crimea. Una donna inglese che aveva da poco superato i trent'anni, Florence Nightingale, si conquistò la stima e la riconoscenza dei soldati al fronte. Fino ad allora, l'assistenza negli ospedali era assicurata - secondo la testimonianza di un eminente clinico londinese - «da prostitute alcolizzate, alle quali si offriva la scelta fra il carcere e il servizio ospedaliero». Florence aveva studiato anatomia (contro il parere della sua famiglia, che immaginava per lei un matrimonio aristocratico e un avvenire scandito dai ricevimenti e dai salotti) e aveva maturato idee molto chiare sull'organizzazione dell'attività infermieristica. Il Ministro inglese della Guerra, Sidney Herbert, la spedì in Crimea con l'incarico ufficiale di provvedere alla cura dei feriti. Quando lei giunse sul posto, si era già combattuta la prima battaglia sulle rive del fiume Alma. L'euforia della vittoria si accompagnò sui giornali inglesi all'amarezza per le condizioni disastrose nelle quali venivano ricoverati e curati i feriti: «Non soltanto scarseggiano i chirurghi, non soltanto scarseggiano le infermiere e i piantoni, ma non c'è nemmeno tela per fare bende». Florence arrivò in Crimea pochi giorni più tardi.
«Sir Alexander Moore», racconta Mary Raymond Shipman Andrews, biografa della Nightingale, «giaceva ferito nell'Ospedale Militare di Scutari, sulla riva del Bosforo. C'era stata la battaglia di Balaklava, con la carica della cavalleria inglese, e i feriti trasportati per nave attraverso il Mar Nero erano stati appena sbarcati. Moore aveva la branda presso una finestra, e di là vedeva il cortile centrale dell'ospedale: una vista che non avrebbe mai più dimenticato per tutta la vita. La sala operatoria era di fronte, e da quella finestra volavano nel cortile gambe e braccia amputate che andavano a ingrossare il mucchio già alto sul lastricato. L'ufficiale della branda accanto lo chiamò: "Moore, credo che sia arrivata quell'infermiera inglese". Sir Alexander si sollevò e guardò fuori. Un carretto dell'esercito tirato da un mulo stava portando via quella massa lasciata fino allora ad imputridire. L'infermiera inglese era arrivata davvero! Florence Nightingale era sbarcata il pomeriggio precedente con 38 infermiere, senza chiasso e senza cerimonie: ma già la sua capacità organizzativa cominciava a farsi sentire». Eccome.
Prima del suo arrivo, scrisse un soldato in una lettera alla famiglia, «non si sentivano altro che imprecazioni e bestemmie, ma dopo questo ci fu una pace che pareva d'essere in chiesa». In una decina di giorni, Florence organizzò tre cucine per le diete speciali, che preparavano e servivano pietanze leggere e digeribili ai malati così gravi da non sopportare il cibo comune. Istruì i portantini, creò un magazzino dal quale i chirurghi potevano ottenere il necessario. I feriti indossavano le uniformi insanguinate, mentre tre balle con la dicitura "Biancheria d'ospedale" erano ferme in città, in attesa di ordini. Florence saltò le procedure, abolì le formalità, e divenne per tutti "l'angelo con la lanterna", che continuava a ispezionare le corsie per tutta la notte, infaticabile, e sempre pronta a dare aiuto. E a dare l'esempio alle sue sottoposte.

VITE PARALLELE. Henry Dunant era nato a Ginevra nel 1928, Florence Nightingale - di otto anni più vecchia - era nata a Firenze (e per questo ebbe quel nome: la sorella minore, più sfortunata dal punto di vista anagrafico, essendo nata a Napoli, fu chiamata Parthenope), ma aveva vissuto soprattutto nel Buckinghamshire. Le loro furono vite parallele. Maggiore fama per lei (venerata in Inghilterra come una santa laica); maggiori riconoscimenti ufficiali per lui, che - nel 1901 - fu il primo uomo insignito del Nobel per la Pace. Destino volle che morissero a poche settimane di distanza l'una dall'altro. Lei il 13 agosto 1910, lui il 30 ottobre. Cent'anni fa, tutti e due.
Le donne svolsero un ruolo importante anche nella vicenda di Dunant, colpito dal comportamento delle abitanti di Castiglione delle Stiviere (un paese vicinissimo a Solferino) che - dopo la battaglia - prestarono soccorso ai feriti, senza fare distinzioni fra i soldati piemontesi e francesi e quelli austriaci, fra amici e nemici.
Quell'esperienza fece maturare nell'animo di Dunant un'idea che riuscì a realizzare qualche anno più tardi, con la creazione della Croce Rossa Internazionale, e che gli fruttò quaranta anni più tardi (nel 1901), come dicevamo, il Nobel per la Pace, alla sua prima edizione. La sua organizzazione si è aggiudicata tre volte lo stesso riconoscimento: nel 1917 e nel 1944 (nel pieno dei due conflitti mondiali) e nel 1963, centenario della sua ideazione.
Nel 1862 Henry Dunant pubblicò, a proprie spese, Un souvenir de Solferino, un libro nel quale denunciava «la disumana tragedia dei feriti» quale gli era apparsa tre anni prima nella più cruenta delle battaglie della Seconda Guerra d'Indipendenza. Il libro fu inviato a sovrani, statisti, personaggi eminenti di vari Paesi, e fu accolto con unanime commozione. I fratelli Goncourt osservarono: «Si lascia questo libro maledicendo la guerra». Le donne di Castiglione, raccontava Dunant, «ripetevano commosse: "Tutti fratelli"». E aggiungeva: «Onore a queste creature caritatevoli, onore alle donne di Castiglione! Niente le ha fatte arretrare, niente le ha stancate o scoraggiate, e la loro dedizione modesta non ha tenuto conto alcuno né di fatiche, né di fastidi, né di sacrifici».
Alla fine dello stesso anno, Dunant convocò a Ginevra una conferenza internazionale allo scopo di impegnare i governi a patrocinare Comitati Nazionali di soccorso ai feriti, riconoscendo la neutralità del personale medico militare e di tutti i soccorritori volontari. Nel 1864 nacque ufficialmente - sempre a Ginevra - la Croce Rossa: l'atto costitutivo fu firmato dai governi di nove Paesi, fra i quali l'Italia. Dunant scelse personalmente la bandiera dell'istituzione (la croce rossa in campo bianco, che è il negativo della bandiera elvetica) e il motto "Tutti fratelli", che gli risuonava nelle orecchie da quando aveva sentito ripetere questa frase dalle donne di Castiglione.
Oggi ci sono nel mondo società di Croce Rossa (o Mezzaluna Rossa, nei Paesi musulmani) in quasi duecento Stati diversi. La Croce Rossa ha ovunque esteso le proprie competenze all'assistenza delle vittime di calamità naturali e ai servizi di pronto soccorso.

RIENTRO IN INCOGNITO. Florence Nightingale - raccontarono i corrispondenti di guerra dalla Crimea - era capace di coprire turni di venti ore consecutive, dirigendo il lavoro, assistendo agli interventi chirurgici, confortando i feriti. «Più un caso è raccapricciante», si legge in un rapporto ministeriale, «più si può essere sicuri di vedere la sua esile figura curva sull'agonizzante, senza staccarsi dal capezzale fino a quando non sopraggiunge la morte». Dopo la firma del Trattato di pace che pose fine alla guerra, tutta l'Inghilterra attese con entusiasmo il rientro in patria "dell'angelo con la lanterna". Il Governo mise a disposizione una corazzata, ma Florence rifiutò. Un giorno, ai primi di agosto del 1856, la "signorina Smith" giunse a Londra nel più stretto incognito, «sottraendosi alla banda, agli archi di trionfo e ai discorsi che erano stati preparati in suo onore: era esausta. Ma la sua salute era minata da qualcosa di più grave della stanchezza», racconta Mary Shipman. Una grave malattia la condannò presto all'immobilità.
Nel 1859 (lo stesso anno della battaglia di Solferino), grazie a una raccolta di fondi che fruttò la cospicua somma di 40mila sterline, Florence inaugurò, nell'ospedale St. Thomas, la prima scuola per infermiere professionali. Due anni dopo ne uscirono le prime dieci diplomate. Alla Camera dei Lord ci fu chi sottolineò come la Nightingale avesse contribuito all'emancipazione delle donne, «sconfiggendo pregiudizi e tradizioni», affrancando i malati dall'assistenza delle infermiere ubriacone e di dubbia moralità. In un Paese in cui le donne erano considerate meno di niente, lei fu chiamata ad esprimere la propria opinione su questioni di grande importanza.
Il suo prestigio si diffuse oltre confine: fu consultata in materia di amministrazione ospedaliera negli Stati Uniti, durante la Guerra Civile, e in Francia mentre infuriava quella con la Prussia.

LA BANCAROTTA. Dunant fu vittima della propria grande idea. Dedicò tutte le proprie energie agli ideali, e trascurò gli affari, avviandosi al dissesto finanziario. Colto dal panico, tentò alcune speculazioni arrischiate per coprire i buchi. Nel 1867, racconta Luigi Firpo, «il Credito Ginevrino, di cui era amministratore, venne dichiarato fallito e l'anno dopo il tribunale sentenziò che egli eveva "scientemente ingannato" i suoi soci». Bancarotta fraudolenta, per un milione di franchi svizzeri. Dunant - che si trovava allora a Parigi, come relatore alla prima Conferenza Internazionale della Croce Rossa sui soccorsi ai feriti di guerra - non tornò mai più nella sua città natale. Presentò le proprie dimissioni dalla Commissione di cui era segretario.
Il presidente Gustave Moynier, nella pubblicazione dedicata ai primi dieci anni dell'istituzione, non menzionò il nome di Dunant, che era divenuto simbolo di vergogna e di scandalo. Umiliato e ridotto in miseria, Henry continuò a coltivare i suoi sogni. Nel 1872 diede vita a un'Alleanza universale dell'ordine e della civiltà che, tre anni dopo, indisse un congresso per l'abolizione della tratta dei negri e del commercio degli schiavi; contemporaneamente propose di fissare alcune norme per garantire il trattamento umanitario dei prigionieri di guerra (un obiettivo che fu raggiunto nella Convenzione di Ginevra del 1929).
Nel corso di una conferenza internazionale, in Inghilterra, cadde a terra svenuto. Fu costretto a confessare che non mangiava da alcuni giorni, per mancanza di denaro. Si ridusse a dormire sulle panchine o sotto i ponti, vivendo di carità, come un vagabondo. Nel 1887 rientrò in Svizzera, e si rifugiò in un villaggio sopra il lago di Costanza. Trascorse gli ultimi diciott'anni di vita in una stanzetta d'ospedale. Un giovane giornalista scoprì il suo rifugio e raccontò la sua storia, che produsse una straordinaria emozione in tutto il mondo. Quando nel 1901 gli fu conferito il Nobel, Dunant destinò tutta la somma del premio a opere umanitarie.

Marco Martelli
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Carabinieri, patrimonio delle comunità

Nell'ambito delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia, una mostra itinerante ripercorre l'intero excursus storico dell'Arma

Avvicinare i giovani ad un'istituzione che, incarnando da sempre il concetto di effettiva "prossimità" alla gente, ha fatto la storia del nostro Paese, affinché le nuove leve possano coglierne quei valori e principi ispiratori che, costantemente attuali, non solo non passano mai di moda, ma dovrebbero anzi essere presi a modello come basi su cui costruire la propria esistenza.

Foto ricordo del Comandante Generale con ufficiali, marescialli e carabinieri 

Questo, in sintesi, l'obiettivo dell'interessante mostra denominata Carabinieri, patrimonio delle comunità, promossa dal Centro Studi Salvo D'Acquisto (Cesd) a Salemi, in provincia di Trapani, dall'11 al 23 maggio scorso, nel quadro delle manifestazioni organizzate dalla locale municipalità per celebrare i 150 anni dell'Unità d'Italia. Un'iniziativa alla quale ha dato lustro anche la visita del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha incontrato le massime autorità civili, militari e religiose della Provincia e della Regione.

Il nutrito ciclo di eventi ha compreso, fra l'altro, concerti di musica leggera, classica, folk, jazz, uno spettacolo di teatro-danza, la sfilata dei cavalieri lungo la "Via dei Mille", un torneo calcistico, convegni, numerose altre rassegne d'arte e fotografia - fra cui quella curata dal Fai, Fondo per l'Ambiente Italiano, avente come tema il paesaggio -, nonché la creazione dei Musei permanenti della Mafia e del Risorgimento.

Partita da Monreale il 30 aprile scorso, il 4 maggio la mostra dedicata all'Istituzione era stata visitata dal Comandante Generale, generale C.A. Leonardo Gallitelli, allora in Sicilia per partecipare alla cerimonia di commemorazione del capitano Emanuele Basile, ucciso in un agguato mafioso giusto trent'anni fa nella cittadina del palermitano.

A inaugurare l'esposizione di Salemi, invece - che ha avuto come cornice la sala adiacente il sagrato dell'ex Chiesa Madre, in piazza Alicia, eretta nel 1615 secondo il progetto dell'architetto palermitano Mariano Smeriglio sul sito di un'antica struttura medievale - sono stati la Giunta Comunale al gran completo, il generale D. Vincenzo Coppola, Comandante della Legione Carabinieri "Sicilia", il luogotenente Giovanni Teri, "regista" dell'avvenimento nella sua qualità di Comandante della Stazione Carabinieri di Salemi e il Sindaco della cittadina, il professor Vittorio Sgarbi, la cui madre ha proceduto al rituale taglio del nastro.

«Questa mostra», ha detto il Sindaco Sgarbi, «è abbastanza sorprendente, perché vasta, molto documentata e realizzata in spazi disadorni, che sono stati resi godibili al meglio. Vi si riscontra, infatti, il coraggio degli uomini dell'Arma, che testimoniano la presenza capillare dello Stato sul territorio, rappresentato anche attraverso episodi di vita quotidiana e sacrifici compiuti a favore della popolazione. Per quanto mi riguarda, da circa trent'anni collaboro con la Benemerita, avendo lavorato, in particolare, con il Nucleo Tutela Patrimonio Culturale al recupero sia di quadri sia di oggetti rubati e, recentemente, anche di dipinti impressionisti ed affreschi del Duecento ritrovati in alcune grotte».

Dopo la benedizione impartita dall'Arciprete, don Salvatore Ciprì, gli astanti hanno potuto fruire della lodevole iniziativa, lasciando pure un commento sul registro posto all'ingresso, in cui il professor Sgarbi ha scritto testualmente: "I Carabinieri sono la mia patria". Da quel momento un flusso ininterrotto di persone, fra cui parecchi turisti e scolaresche - favoriti anche dall'apertura 24 ore su 24, in adesione alla "Notte Bianca Salemitana" promossa dall'Associazione Pro Loco del Centro Storico -, ha potuto ammirare i preziosi cimeli, le divise, le immagini, le stampe e gli articoli di vario genere, di proprietà in parte del Comando Generale dell'Arma ed in parte dello stesso Cesd, che ha una sua collezione privata.

«Il percorso espositivo», ha affermato il Presidente Antonino Rizzo, «si articola in modo da rispecchiare fedelmente le tappe che hanno costellato le gloriose tradizioni della Benemerita, partendo dai Cavalleggeri di Sardegna, nati nel 1800 per volontà di Vittorio Emanuele I e ritenuti gli antesignani dei Carabinieri, nei cui ranghi sono poi confluiti nel 1814, fino ad arrivare ai giorni nostri, con la Msu, vale a dire la Multinational Specialized Unit, l'ultimo, modernissimo reparto d'élite chiamato a concorrere alla ricostruzione dei Balcani, al servizio della Nato e dell'Unione Europea, e concludendo con l'uniforme femminile, in omaggio all'entrata delle donne nelle Forze Armate, resa possibile da una legge del Duemila. Oltre a pregevoli serie di libri e calendari dell'Arma, dal 1940 ai tempi odierni, abbiamo pure ricreato una Stazione Carabinieri tipo, datata 1970, per rievocare i circa cinquemila omologhi presidi dislocati in tutta Italia, visti come riferimenti di garanzia dalla collettività».

La mostra, che ha carattere itinerante, sarà a Lipari (Me) ad agosto, a Campofelice di Roccella (Pa) a settembre, per ricordare l'eccidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ad Agrigento in ottobre, a Giarratana (Rg) a novembre, e infine ad Enna in dicembre.

Giusi Parisi
 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande

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Eventi

 

Operazione "Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane". Al via gli stages per i giovani presso le Forze Armate

Territorio Nazionale,05/08/2010

Sopralluogo Il Ministero della Difesa ha dato il via libera al progetto "Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane" con l'obiettivo di realizzare stages di preparazione atletica, culturale e militare per i ragazzi che desiderano accostarsi alle Forze Armate, ai loro valori, come la cultura della pace e della solidarietà internazionale, contribuendone così alla diffusione tra le giovani generazioni.

Saranno, pertanto, organizzati corsi di formazione a carattere tecnico-pratico della durata massima di tre settimane, durante i quali verranno anche fornite le conoscenze di base sul «dovere costituzionale della difesa della Patria» e sull'attività delle Forze Armate. Tra le caratteristiche per poter chiedere di partecipare si indica tra l'altro l'«essere cittadini italiani, senza distinzione di sesso, in possesso dei seguenti requisiti: età non inferiore a diciotto anni e non superiore a trenta anni compiuti; godimento dei diritti civili e politici; idoneità all'attività sportiva agonistica; esito negativo agli accertamenti diagnostici per l'abuso di alcool, per l'uso (anche saltuario od occasionale) di sostanze stupefacenti, nonché per l'utilizzo di sostanze psicotrope a scopo non terapeutico», oltre che l'assenza totale di condanne e/o procedimenti penali in corso.

I giovani ammessi ai corsi assumeranno lo status di «militare» e durante tale periodo fruiranno gratuitamente degli alloggi di servizio collettivi e della mensa. Finito il corso, sarà rilasciato un attestato che consentirà ai giovani di iscriversi all'associazione d'arma. L'attestato non avrà, però, nessun valore nei concorsi per il reclutamento del personale delle forze armate.

I laboratori del RIS

Se in possesso dei citati requisiti, il discrimine per poter avere l'opportunità di fare questa esperienza, (per molti giovani entusiasmante e a lungo desiderata) sarà l'ordine cronologico con cui verrà presentata la domanda, salvo l'unico titolo preferenziale della parentela o affinità, entro il secondo grado, con personale delle Forze Armate "vittima del dovere". I Reparti dell'Arma prescelti per ospitare i giovani "stagisti" sono le Scuole Allievi di ROMA, TORINO e REGGIO CALABRIA, funzionalmente idonee per questo tipo di esperienza.

Alla scelta delle tematiche da trattare in questo periodo, poi, si è prestata particolare attenzione, affinché fossero non solo accattivanti per dei giovani ma idonee anche a sviluppare in essi la "simpatia" per quei valori etici e morali che la professione militare comporta.

Tra le tante attività, i ragazzi svolgeranno esercitazioni pratiche con sistemi di tiro simulato, cosiddetto FATS (fire arms training system). Il simulatore propone al discente una serie di scenari mentre le operazioni sono garantite da un sistema ad aria compressa che riproduce il rinculo ed il comportamento dell'arma reale al momento dello sparo. Inoltre, i partecipanti verranno sensibilizzati anche sulla parte etica e giuridica dell'intervento armato, accrescendo la convinzione di operare sempre in un contestoFATS - Poligono virtuale di aderenza alla Legge, allo scopo di sviluppare l'essenziale concetto di opportunità e gradualità che consente di evitare il coinvolgimento di estranei o innocenti.

In uno scenario in cui un ruolo determinante è ormai riconosciuto alle tecniche di investigazione scientifica e al personale specializzato che si dedica al sopralluogo sulla "scena del crimine" (definizione resa familiare da tanta produzione televisiva e letteraria di successo), verranno dedicati alcuni periodi all'attività di sopralluogo e alla successiva analisi delle tracce del reato. Potranno rendersi conto di persona di come le indagini svolte per assicurare alla giustizia gli autori di crimini talvolta efferati sono basate su procedure rigorose che garantiscono l'obiettività dei risultati. Esse spaziano dall'individuazione e comparazione delle impronte digitali, delle tracce biologiche e del DNA, agli esami balistici e degli esplosivi, all'analisi di materiali informatici per la ricerca di file e dati apparentemente eliminati. Queste delicate fasi sono di competenza del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche (Ra.C.I.S.), presso la cui sede, al termine della fase teorico-pratica, sarà prevista anche una visita.

L'occasione sarà anche un momento per riflettere sul tema della sicurezza sulle strade, quanto mai attuale e riguardante tutti i cittadini. Verrà spiegato ai ragazzi come fra le cause principali degli incidenti stradali vi siano l'eccesso di velocità e la guida in stato di ebbrezza da alcool. Al riguardo verificheranno come la capacità di guida, soprattutto in termini di attenzione e concentrazione, è influenzata negativamente dall'assunzione di alcool e/o sostanze stupefacenti, cimentandosi anche nell'utilizzo dell'etilometro e degli autovelox, principali strumenti di prevenzione per impedire che il Il Sistema E.V.A. numero delle vittime della strada possa continuare a crescere.

Da ultimo ma non meno importante, i ragazzi potranno constatare come l'Arma dei Carabinieri abbia sempre inteso favorire la diffusione della cultura dell'innovazione nel campo della sicurezza e della salvaguardia del territorio attraverso l'uso delle più innovative tecnologie informatiche. Infatti agli stessi sarà data la possibilità di utilizzare praticamente questi sistemi sviluppati dall'Arma, tra i quali l' E.V.A. (Enhanced Vehicle Automation), progettato e sviluppato per impieghi espressamente automotive, in grado di consentire l'accesso a gran parte delle sue funzioni tramite comandi a riconoscimento vocale, con indubbi vantaggi dal punto di vista della tempestività di utilizzo e con ottime ricadute sotto il profilo sicurezza dell'operatore di polizia.

Per ulteriori informazioni ci si potrà rivolgere all'Ufficio Relazioni con il Pubblico dell'Arma dei Carabinieri ai seguenti contatti:

Tel: 39 06 8098.2935;
Fax: 39 06 8098.2934;
E-mail: carabinieri@carabinieri.it;
Posta Elettronica Certificata: carabinieri@pec.carabinieri.it.

 
 

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Eventi

 

Cerimonia di commemorazione del 28° anniversario dell'uccisione del Generale C.A. M.A.V.M. Carlo Alberto DALLA CHIESA.

Palermo,03/09/2010

Resa degli onori alle Autorità intervenute 
 
Il 3 settembre del 1982 "Cosa Nostra" eliminò uno dei suoi più temibili nemici, Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo e già generale dell'Arma dei Carabinieri. L'agguato si consumò in via Carini, quando i killer non esitarono a colpire, oltre al generale e all'agente di scorta Domenico Russo, anche la moglie del prefetto, Emanuela Setti Carraro.

Oggi ricorre il 28° anniversario di quel tragico assassinio. In mattinata, nella stessa via Isidoro Carini, luogo dell'agguato mafioso, è stata deposta una corona d'alloro. Presenti alla commemorazione anche il Ministro dell'Interno Roberto Maroni e Il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Leonardo Gallitelli.

La celebrazione è proseguita con una messa presso la chiesa San Giacomo dei Militari, all'interno della Caserma "Carlo Alberto Dalla Chiesa", sede del Comando Legione Carabinieri "Sicilia".

Tra le altre autorità presenti, il Capo della Polizia Antonio Manganelli, il Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso, il Procuratore di Palermo Francesco Messineo, il Prefetto Giuseppe Caruso e il Sindaco di Palermo Diego Cammarata.

Il 3 settembre del 1982 la guerra che la mafia aveva dichiarato allo Stato segnò uno dei momenti più tragici. Sotto una pioggia di piombo cadde un simbolo delle istituzioni. Erano passati poco più di 3 mesi dal suo insediamento a Palermo, durante i quali cercò di rispondere allo strapotere delle cosche e di spezzare il legame tra mafia e politica.

"Il ricordo del sacrificio del generale Dalla Chiesa - ha sottolineato il Presidente Napolitano in un messaggio inviato al Prefetto di Palermo - è perciò ancora oggi preziosa occasione per rafforzare, specialmente nei giovani, la cultura della legalità e il senso della democrazia, e per rinnovare un convergente e deciso sostegno delle istituzioni repubblicane e della società civile all'attività di contrasto delle organizzazioni criminali svolta dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, al fine di contenerne la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nella economia, nazionale e internazionale.

 
 
Un momento della cerimonia religiosa

"Contro la mafia non servono leggi speciali, ma l'attività quotidiana di tutte le istituzioni. Il prefetto Dalla Chiesa non chiese leggi speciali, eppure ne avrebbe avuto titolo in quel momento di emergenza. Aveva capito che la mafia si sconfigge con la quotidianità - ha detto il Ministro Maroni nel suo intervento, aggiungendo - il Governo è vicino a coloro che sono in prima linea. E' quello che mancò al generale Dalla Chiesa rendendolo bersaglio facile".

"L'esempio che ci viene dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa - ha detto il Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Leonardo Gallitelli, ricordando le vittime dell'eccidio - è un esempio che viviamo ogni giorno in modo palpitante. Soltanto la fiducia può liberare il singolo e il più debole dal timore delle intimidazioni. Una fiducia che dobbiamo trasmettere ai giovani che quotidianamente ci chiedono di alimentare la loro speranza. Un popolo che vuole essere libero deve lottare ogni giorno per la libertà".

 
 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi il Grande