Non so praticamente niente di Pasolini.
Avrei desiderio di saperne di piu'.
Ve ne sarò grato se mettete nel 3d tutto quello che vi possibile, a cominciare da un suo articolo che si intitolava "IO SO", se vi riesce di reperirlo ovviamente .
Grazie davvero.
"La Repubblica", MARTEDÌ, 07 DICEMBRE 2010
In molti, e in molti modi, hanno provato di recente a spiegarlo. Innanzitutto attraverso la formula del gemellaggio. Colpiscono infatti un paio di convegni caratterizzati dall´accostamento fra il nostro autore e due fra i nomi più alti e controversi della letteratura novecentesca. Con il titolo Pier Paolo Pasolini ed Ezra Pound. L´utopia che nasce dal passato, il primo incontro si è tenuto il 4 dicembre presso Villa d´Este, a Tivoli. Tra letture in versi, proiezioni e dibattiti, è stata riproposta l´intervista-documentario di Vanni Ronsisvalle Pasolini-Pound. Un´ora con Ezra Pound. In quel memorabile colloquio del 1967, Pasolini si rivolse a Pound con una frase mutuata dallo stesso poeta americano e riferita in origine a Walt Whitman: «Stringo un patto con Te./ Ti detesto ormai da troppo tempo./ Vengo a Te come un fanciullo cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura./ Sono abbastanza grande ora per fare amicizia./ Fosti Tu ad intagliare il legno./ Ora è tempo di abbattere insieme la nuova foresta./ Abbiamo un solo stelo ed una sola radice./ Che i rapporti siano ristabiliti tra noi». La risposta del vecchio Pound fu: «Bene… Amici allora… Pax tibi… Pax mundi».
Condannato per collaborazionismo con il regime fascista, incarcerato, autoesiliatosi, l´autore dei Cantos esercitò una profonda attrazione sul poeta italiano, il quale aveva visto il proprio fratello, partigiano azionista, ucciso dai partigiani comunisti seguaci di Tito. Più singolare il secondo abbinamento, ossia le Giornate Camus/Pasolini: due scrittori impegnati del XX secolo, organizzato dal 15 al 18 novembre scorso dall´Institut Français de Naples, in collaborazione con l´Università Federico II, l´Università Orientale, L´Université Paris III e l´Université d´Amiens. Anche in questo caso, letture, proiezioni, conferenze hanno tentato di mettere a fuoco due grandi figure dell´impegno. Riconosciuti dalle istituzioni culturali e ammirati da un ampio pubblico, Camus e Pasolini furono ostracizzati dai loro pari e violentemente criticati dagli avversari. Inoltre, aspirando a una società egalitaria, ambedue si schierarono, sia pur diversamente, a difesa dei diseredati. Il Cinquantenario della morte di Camus da un lato, la riapertura dell´inchiesta sulla morte di Pasolini dall´altro, hanno fornito lo spunto per queste "vite parallele", dato che entrambi denunciarono le dittature fasciste e il totalitarismo comunista con un´intransigenza morale e un´autonomia di giudizio che costò loro la messa al bando da parte di una certa sinistra da cui pure provenivano. E proprio a una questione del genere si riferisce il primo di tre libri appena usciti, Una lunga incomprensione. Pasolini fra destra e sinistra, di Adalberto Baldoni e Gianni Borgna (Vallecchi). Qui la materia è ripercorsa sin nei minimi particolari, dall´iscrizione al PCI nel 1948 all´espulsione dell´anno successivo per i fatti di Ramuscello (gli incontri omosessuali di Pasolini con alcuni giovani friulani), su su fino alle famose polemiche sul terrorismo, il consumismo, l´aborto. Rispetto a questa lunga e articolata ricostruzione, colpisce la brevità di un volumetto apparso da Avagliano a firma di Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti: L´ultima intervista di Pasolini. A un breve, intenso testo di Ferretti, fa seguito la trascrizione del colloquio fra lo scrittore e Colombo, che si svolse fra le quattro e le sei di pomeriggio di sabato 1° novembre 1975, ossia poche ore prima che avesse luogo l´atroce assassinio. Alla fine dell´incontro, l´intervistatore chiese all´intervistato se intendeva dare un titolo alla conversazione. Ed ecco la sua replica: «Metti questo titolo, se vuoi: Perché siamo tutti in pericolo».
Parole come queste accentuano il carattere sacrificale di una morte da cui l´Italia non riesce a staccarsi. Una morte che ne ricorda un´altra ugualmente inquietante. Lo afferma Marco Belpoliti nel suo Pasolini in salsa piccante, edito da Guanda: «Credo sia venuta l´ora di chiudere con quel decennio di cui Pasolini e Aldo Moro, forse non a caso, sono i due corpi simbolo; e dare loro una degna sepoltura, cosa che nessuna inchiesta giudiziaria riuscirà mai, credo, a fare». Nel film Uccellacci e uccellini, la voce del Corvo proclama una sentenza attribuita al filologo Giorgio Pasquali: «I maestri si mangiano in salsa piccante». Nasce da qui il progetto di Belpoliti, conscio che il pasto non sarà leggero e che la digestione risulterà difficile e lunga. In compenso, commenta, la salsa non verrà certo a mancare, visto che sarà quella offerta dallo stesso Pasolini. Non era lui, del resto, a ricordare la storia del marajà che, impietosito da una tigre affamata, le si dava in pasto?
Strana gastronomia, tanto più se si pensa a un saggio sulla sinistra di pochi mesi fa, che Alfredo Reichlin ha intitolato Il midollo del leone (Laterza), riprendendo la celebre immagine con cui Italo Calvino invitava a nutrirsi di una morale rigorosa. Dunque, Calvino e Pasolini, i due Dioscuri della letteratura italiana, seguivano scuole diverse: il primo preoccupandosi del condimento, l´altro della sostanza, da gustare rompendo il duro osso delle vertebre. Le ricette saranno anche contrapposte, ma a ben vedere il concetto non cambia, poiché l´insegnamento-midollo del maestro-leone rappresenta comunque quel lascito che noi, lettori e eredi, dobbiamo liturgicamente assimilare. Piuttosto, la differenza culinaria riguarda l´oltranza, l´esorbitanza dell´opera pasoliniana. Onnivora e bulimica (per restare nel mondo alimentare), la sua produzione continua a suscitare un fascino illimitato. Il poeta delle Ceneri di Gramsci, il regista di Accattone, il romanziere di Ragazzi di vita, il drammaturgo di Bestia da stile, il corsivista-corsaro del Corriere della Sera, rimane infatti come un esempio unico di artista rinascimentale, nella sua sconcertante poliedricità, e di intellettuale novecentesco, per la sua torturata riflessione. Lo spiega bene lo stesso Belpoliti, affidandosi a tre versi illuminanti: «Lo scandalo del contraddirmi, dell´essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere».
«Qui la materia è ripercorsa sin nei minimi particolari, dall´iscrizione al PCI nel 1948 all´espulsione dell´anno successivo per i fatti di Ramuscello (gli incontri omosessuali di Pasolini con alcuni giovani friulani)»
P.P.Pasolini: grande intelletuale, grande poeta e grande pedofillo.
Pasolini a Casarsa e i fatti di Ramuscello, ovvero Omosessualità e pedofilia non sono affatto la stessa cosa
“In tutta la mia vita non ho mai esercitato un atto di violenza né fisica né morale. Non perché io sia fanaticamente per la non violenza. La quale, se è una forma di auto-costrizione ideologica, è anch’essa violenza. Non ho mai esercitato nella mia vita alcuna violenza né fisica né morale semplicemente perché mi sono affidato alla mia natura, cioè alla mia cultura.”
(Pier Paolo Pasolini)
Sulle vicende riguardanti Pasolini vi è tuttora ampia mancanza di conoscenza dei fatti che hanno attraversato la sua vita, oltreché pregiudizi che purtroppo - come quelli che riguardano tutto quanto sia “diverso” dai molti stereotipi che sono stati inculcati un po’ a ciascuno di noi - rendono tuttora culturalmente arretrati molti di noi e più in generale il nostro paese. Questo post nasce da affermazioni che considero aberranti, farò un resoconto dei fatti che contrasti perlomeno alcune menzogne che mi è accaduto di leggere poco fa.
E’ altresì chiaro che quella che segue è soltanto una sintesi, non è possibile qui fare un trattato, ma esiste una vasta letteratura in proposito, e a mio sommesso giudizio chi prende confidenza con i testi pubblicati – sia quelli di Pasolini sia quelli sull’omosessualità o sulla pedofilia - e magari li legge, non può che trarne giovamento, almeno per chiarirsi le idee, sgombrarsi la mente da pregiudizi ed evitare luoghi comuni che non hanno alcun fondamento. Allo stesso modo in cui sarebbe salutare, più in generale, conoscere la storia per non ricadere negli errori del passato mentre si costruisce il proprio futuro.
Un antefatto. Nel 1945 Pasolini si laureò discutendo una tesi intitolata "Antologia della lirica pascoliana (introduzione e commenti)" e si stabilì poi definitivamente in Friuli, a Casarsa, il paese natale di sua madre. Qui trovò lavoro come insegnante in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine. In quegli anni iniziò la sua militanza politica. Dopo la guerra Pasolini osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate soprattutto nel rapporto tra proprietari terrieri e braccianti e non ebbe dubbi sulla parte con cui schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con gli scritti di Antonio Gramsci. Nel 1947 diede la propria adesione al Partito comunista italiano, iniziando una collaborazione al settimanale del partito "Lotta e lavoro". Pasolini diventò segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non venne visto di buon occhio nel partito, soprattutto dagli intellettuali comunisti friulani. Questi ultimi scrivevano soggetti politici servendosi della lingua del Novecento, mentre Pasolini scriveva nella lingua del popolo [il dialetto friulano] senza privilegiare soggetti politici. Agli occhi di molti tutto ciò pareva inammissibile: in Pasolini molti comunisti sospettavano disinteresse per il realismo socialista e un certo cosmopolitismo. Devo dire che non si sbagliavano...
Le indagini e il processo. Pasolini venne processato per essersi appartato il 30 settembre 1949 nella frazione di Ramuscello con due o tre ragazzi. I genitori dei ragazzi non sporsero denuncia ma i Carabinieri di Cordovado venuti a sapere delle voci che giravano in paese indagarono su una ipotesi di “corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico”. Era un periodo di contrapposizioni molto aspre tra socialisti e comunisti da una parte e Democrazia cristiana dall’altra [ricordo che la Democrazia cristiana governò l’Italia – senza soluzione di continuità – dal primo dopoguerra fino agli anni di Tangentopoli e che nello stesso periodo il Partito comunista italiano non fu mai al governo del paese], eravamo in piena guerra fredda e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale iscritto al Partito comunista in una “regione bianca” rappresentava un bersaglio molto appetibile. I democristiani si accanirono immediatamente a sfruttare lo scandalo. "Poco prima dell'incidente gli hanno fatto delle intimazioni, non direttamente ma in stile mediato e allusivo, il cui senso è: o lui smette di far politica o subirà le conseguenze della sua condotta morale" - è Nico Naldini, il cugino di Pasolini che parla. Per la prima volta nella sua storia gli strilloni di giornali sia provinciali che nazionali invadono Casarsa. Prima di qualsiasi verifica delle accuse, il 26 ottobre 1949, Pasolini viene espulso dal Pci. Ecco quanto riportato dall'"Unità" del 29 ottobre: «La federazione del Pci di Pordenone ha deliberato in data 26 ottobre l'espulsione dal partito del Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale. Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese». Gli venne tolto anche l’incarico di insegnante.
Fu poi celebrato un regolare processo al termine del quale, nel 1952, Pasolini sarà assolto "perché il fatto non costituisce reato e per mancanza di querela". Tutto quanto ho esposto è ampiamente documentato da pubbliche autorità, quali i Carabinieri (verbali, testimonianze) e la Magistratura (verbali, testimonianze, sentenza).
Nel frattempo, Pasolini – ormai disoccupato, ma che intratteneva contatti con alcuni letterati della capitale - decise di trasferirsi a Roma dove era certo che avrebbe trovato lavoro, oltre a continuare a coltivare quella che considerava la propria vocazione: quella dello scrittore. La madre lo seguì. Non aderì in seguito ad alcun partito, e fu spesso avversato duramente, anche a mezzo stampa, dai dirigenti comunisti dell’epoca [anni ’50-’70] per le sue posizioni antidogmatiche ed estremamente critiche anche nei loro confronti.
Si potrebbe iniziare a formarsi un giudizio partendo da queste note, su una persona, Pier Paolo Pasolini, morta da oltre trent’anni, evitando di tirarla in ballo, a proposito e sproposito, in un modo che, francamente, non ha alcunché di apprezzabile e costituisce pura e semplice menzogna. I suoi romanzi, i suoi film, le sue poesie restano, e sono a nostra disposizione per incontrarlo e conoscerlo da vicino. Certo, era omosessuale. E non lo nascose mai. Non lo nascose in un’epoca in cui l’omosessuale o la ragazza-madre suscitavano scandalo e venivano segnati a dito e sbeffeggiati, quando non perseguitati, da destra, da sinistra, dal centro, indifferentemente e con la stessa virulenza. Ed è ancora menzogna sostenere che “nessuno di sinistra non aveva in casa almeno un paio di tomi del Pasolini e nessuno sapeva il resto” [è sgrammaticato, lo so e mi scuso, ma si tratta di citazione di cui si comprende comunque il senso]. Sul paio di tomi: forse li avevano in casa, sinceramente non lo so. Ma sul “resto” tutti lo sapevano, eccome. Era uno degli argomenti principali utilizzati dai suoi detrattori.
Vissuta con atroci conflitti morali accompagnati da tentativi di spiegazioni psicoanalitiche o da ansie di legittimazione, l'omosessualità è presente in molti lavori pasoliniani fino a diventare, anche alla luce degli scritti postumi, come una chiave di lettura. In uno dei suoi ultimi interventi giornalistici, una recensione al libro di M. Daniel e A. Baudry, Gli omosessuali, dopo aver detto bene del libro, ma averne anche individuato i limiti, invita gli autori, e i lettori, a non dimenticare "la più alta risposta ideologica di un omosessuale al pogrom strisciante e feroce dei cosiddetti "normali": si tratta del suicidio del protagonista omosessuale del Libro bianco di Cocteau, che si è tolto la vita perché aveva capito che era intollerabile, per un uomo, essere tollerato".
"In lui...", scrisse nel 1975 lo psicanalista Cesare Musatti, "l'omosessualità non era né costituzionale né vizio, né men che mai mancanza di coscienza morale. Anzi era l'effetto di un'impostazione ipermoralistica. In base alla quale, il gioco dell'amore poteva essere fatto solo fra ragazzi (e Pasolini si sentiva ancora ragazzo) [...] Non per esercitare il potere dell'uomo colto e munito di denaro sui poveri e gli sprovveduti; ma nel desiderio di essere con loro in condizioni di parità."
Omosessualità e pedofilia. Partendo dalla nostra Costituzione Repubblicana (art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”), non è ammissibile che vi siano persone che in nome della libertà di parola e di opinione dicano o scrivano ingiurie. Sostenere poi che l’omosessualità di Pasolini sia pedofilia, non solo dimostra di non conoscere la valenza dei due termini, ma falsa pesantemente la realtà.
In campo scientifico e psichiatrico la pedofilia è considerata un disturbo psicologico del desiderio sessuale, l'omosessualità è considerata una variante naturale del comportamento umano (Organizzazione Mondiale della Sanità). Sentire pulsioni sessuali, attrazione verso individui dello stesso sesso è naturale. L'attrazione non è guidata da scelte o ragionamenti, è istintiva.
I pedofili provano piacere ad avere rapporti sessuali con bambini [dalle attuali norme legislative italiane sono considerati minori i bambini inferiori ai 14 anni] senza curarsi del danno che viene loro provocato. Un rapporto tra un pedofilo e un minore è un rapporto violento, una gravissima depravazione. Nel rapporto omosessuale c'è una reciproca volontà, è un atto tra persone consenzienti.
L’atto di un pedofilo su un minore è ripugnante, mosso com'è da un desiderio deviato; un rapporto omosessuale è mosso dalla volontà reciproca di avere un rapporto amoroso.
Un pedofilo danneggia gravemente qualcuno, cioè un bambino o una bambina innocenti: è un reato gravissimo, e fortunatamente vi sono leggi che lo puniscono. Un omosessuale non danneggia alcuno: fa una scelta personale, che riguarda la sua vita privata sulla quale nessuno ha diritto di interferire. L'omofobia è un'emergenza sociale - irrisolta nel nostro paese - una pesante forma di razzismo che viola i diritti umani.
sabatino di martino
Pasolini era un grande intellettuale.
Un pessimo poeta e non era pedofilo.
Ragazzi di vita. La Presidenza del Consiglio dei ministri promuove un'azione giudiziaria contro il romanzo Ragazzi di Vita.
Pasolini viene citato in giudizio per contenuto osceno del romanzo, Il processo viene rinviato perché i giudici non hanno letto il libro. Il Pubblico Ministero chiede l'assoluzione degli imputati "perché il fatto non costituisce reato". I giudici accolgono la richiesta e dissequestrano il libro.
Querela del comune di Cutro. Il 17 novembre 1957 il ragioniere Vincenzo Mancuso, sindaco del comune di Cutro in provincia di Catanzaro, querela Pasolini per "diffamazione a mezzo stampa". Pasolini in un suo articolo sul Sud del paese aveva scritto "A un distendersi di dune gialle, in una specie d'altopiano, è il luogo che più mi impressiona di tutto il viaggio. E' veramente il paese dei banditi, come si vede in certi western. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano al loro atroce lavoro, c'è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia..."
Il tribunale di Milano pronuncia sentenza di non doversi procedere.
Fatti di Anzio. Due giornalisti hanno dichiarato di aver visto parlare Pasolini con due ragazzi al porto di Anzio, per poi andare al ristorante. Usciti dal ristorante i giornalisti chiedono ai ragazzi che cosa avesse detto loro Pasolini; questi indicando altri ragazzi a bordo di una barca nel porto confessano che il poeta ha chiesto loro "Quanti anni hanno?" Alla risposta "Dodici anni", aveva commentato: "Però avranno dei bei cazzetti". I giornalisti hanno così informato la polizia.
Il procuratore di Velletri, competente per territorio, invia la pratica al procuratore della Repubblica di Roma. Quest'ultimo gliela rimanda non ravvisando il reato di corruzione di minorenne, ma al più, il reato di turpiloquio. Il procuratore generale di Velletri invia, allora, il procedimento alla pretura di Anzio. Interrogati, i minori dichiarano di aver ricevuto cento lire dai due giornalisti per parlare del fatto. La querela viene archiviata perché non si ravvisano ipotesi di reato.
Fatti di via Panico. La notte tra il 29 e il 30 giugno 1960, in via Panico scoppia una furibonda rissa tra due gruppetti di ragazzi. Tra la confusione generale, a una ragazza viene rubato un anello con granati del valore di ventiquattromila lire, mentre un altro ragazzo viene derubato di una catenina e di un orologio d'oro. La refurtiva verrà ritrovata in casa di uno dei partecipanti alla rissa, Luciano Benevello. Interviene Pasolini che, con la sua Giulietta, accompagna Benevello a casa. Pasolini viene accusato di aver voluto deliberatamente agevolare la fuga di Benevello e di aver partecipato, egli stesso, alla rissa. La stampa si accanisce sul caso e criminalizza lo scrittore. Il 16 novembre 1961 il Tribunale di Roma assolve Pasolini per insufficienza di prove.
Fatti del Circeo. Il commesso di un bar a S. Felice Circeo, sostiene che uno sconosciuto, dopo aver bevuto una Coca-Cola e dopo aver fatto molte domande, avrebbe indossato un paio di guanti neri, inserito nella pistola un proiettile d'oro e cercato di rapinarlo dell''incasso della giornata.
Il barista cerca di reagire e colpisce con un coltello la mano del rapinatore, che fugge.Il giorno successivo il barista vede passare per strada una Giulietta, in cui riconosce il suo rapinatore: prende il numero di targa e fa una denuncia ai carabinieri. In quella Giulietta c'è Pier Paolo Pasolini. I carabinieri di Roma perquisiscono l'abitazione e la macchina di Pasolini in cerca della pistola. Pasolini ammette di essere entrato nel bar, di aver bevuto una Coca-Cola, di aver fatto alcune domande, ma di essersi poi diretto a S. Felice Circeo, dove stava lavorando alla sceneggiatura di Mamma Roma. La sua versione non convince e viene rinviato a giudizio.
I giornali della sinistra e quelli moderati difendono Pasolini contro l'assurda accusa, mentre i giornali di destra attaccano, come al solito, senza mezze misure lo scrittore.
Il processo si apre a Latina. L'avvocato difensore di Pasolini, il democristiano Carnelutti, viene sospettato dai giornali di essere l'amante dello scrittore. Pasolini viene condannato a quindici giorni di reclusione, più cinque per porto abusivo di armi da fuoco e diecimila lire per mancata denuncia della pistola, con la condizionale. I difensori presentano immediatamente appello. Il 13 luglio 1963 la corte d'appello di Roma dichiara di non doversi procedere contro Pasolini per estinzione del reato intervenuta per amnistia. L'avvocato di Pasolini, Berlingieri, ricorre in cassazione per ottenere l'assoluzione con formula piena, ma ottiene solo un'assoluzione per mancanza di prove.
Denuncia Antonio Vece. Antonio Vece, un maestro elementare di Avellino sporge denuncia presso la polizia giudiziaria di Roma contro Pasolini. Dichiara di essere stato avvicinato da Pasolini, di essere salito sulla sua Giulietta, di essere stato portato in aperta campagna, minacciato, malmenato e derubato di un capitolo di un suo romanzo. Due giorni dopo, al commissariato di polizia di Centocelle, confessa di aver inventato ogni cosa. Viene denunciato per simulazione di reato, che sarà archiviata in data 2 dicembre 1965.
Causa civile Pagliuca. L'ex deputato democristiano, avvocato Salvatore Pagliuca, cita in giudizio Pasolini e la società Arco film. La denuncia si riferisce al film Accattone, e al fatto che un personaggio di malavita del film, ha lo stesso nome dell'avvocato. Chiede la soppressione del suo nome dal film e il risarcimento per danni morali e materiali.
Pagliuca usa questa vicenda a scopi elettorali per la propria elezione al parlamento. Non viene rieletto e il giudizio si chiude con una sentenza che respinge il risarcimento dei danni morali e con l'obbligo di eliminare il nome del Pagliuca dal film. Obbliga Pasolini e la Arco Film al risarcimento dei soli danni materiali.
Mamma Roma.Il tenente colonnello Giulio Fabi denuncia alla procura della Repubblica di Venezia il film Mamma Roma, proiettato alla XXIII Mostra del cinema di Venezia, per offesa al comune senso della morale e per il contenuto osceno. Soliti attacchi dei giornali della destra italiana, che questa volta si traducono in atti di boicottaggio e di violenza da parte dei gruppi di estrema destra. Il 5 settembre 1962, il magistrato giudica infondata la denuncia e dichiara di non doversi procedere l'azione penale.
Aggressione Di Luia. Serafino Di Luia insieme ad altri giovani neofascisti appartenenti ad associazioni di estrema destra, aggredisce Pasolini durante la proiezione di Mamma Roma, nel cinema Quattro Fontane di Roma. Ne nasce una rissa, cui partecipano, in difesa di Pasolini, Citti e altri amici del regista. A questa seguono una serie di aggressione fasciste a cui Pasolini non farà mai seguire una denuncia. Laura Betti, amica di Pasolini, viene aggredita e picchiata da un giovane che risulterà aderente a "Nuova Italia" e che partecipò alla rissa del cinema Quattro Fontane.
Querela Bernardino De Santis. "Un giorno, un pazzo m'ha accusato di averlo rapinato (con guanti e cappello neri, le pallottole d'oro nella pistola): tale accusa è passata per buona e attendibile, perché a un livello culturale sottosviluppato si tende a far coincidere un autore coi suoi personaggi: chi descrive rapinatore e rapinato" [Pier Paolo Pasolini, articolo apparso su "L'Espresso"]. Per queste parole, Bernardino De Santis, il barista rapinato al Circeo, querela Pasolini per diffamazione. Il 31 gennaio 1967, il Tribunale di Roma "dichiara di non doversi procedere" contro Pasolini, "per essere il reato estinto per intervenuta amnistia".
Processo per il film Teorema. Il sostituto procuratore della Repubblica di Venezia denuncia Pasolini, quale autore del film Teorema, per offesa al comune senso del pudore. Il 13 settembre 1968, la procura della Repubblica di Roma ordina il sequestro del film per oscenità. Il Tribunale di Venezia assolve Pasolini "perché il fatto non costituisce reato". La corte d'appello conferma la sentenza di primo grado.
Incauto affidamento. Nel 1969 Pasolini viene denunciato dalla polizia stradale al pretore di Bologna, per aver affidato la guida della sua automobile, Giulietta TI, a Carmelo Tedesco, sprovvisto di patente di guida. Pasolini in giudizio dichiara di aver dato la macchina a Ninetto Davoli che a sua volta l'ha prestata a un giovane con la patente, che insieme al Tedesco si è fermato a un distributore. Invitato a spostare l'auto mentre il giovane patentato non è presente, Carmelo Tedesco viene fermato dalla polizia stradale. Il pretore di Bologna assolve Pasolini "perché il fatto non sussiste".
Invasione di edificio. Pasolini, insieme a Zavattini, Massobrio, Ferreri, Angeli, Maselli e De Luigi, viene processato per aver turbato l'altrui possesso di cose immobili, trattenendosi oltre l'ora stabilita nei locali del Palazzo del cinema di Venezia. I fatti si riferiscono alla dura contrapposizione per l'autogestione da parte degli autori cinematografici della Mostra del cinema di Venezia. Pasolini e gli altri imputati vengono assolti "perché i fatti ascritti non costituiscono reato"
La morte di cinquanta pecore (Porcile). Giovanni Longo di Nicolosi (Catania), allevatore di ovini, denuncia Pasolini e il produttore Gianvittorio Baldi, in quanto responsabili della morte di cinquanta pecore. Longo asserisce che la notte tra il 24 e 25 novembre 1968, in contrada Serra La Nave di Nicolosi, un branco di cani affamati e infreddoliti, dopo essere stati liberati il giorno precedente al termine delle riprese di Porcile, si sono introdotti nell'ovile ammazzando cinquanta pecore. Il procedimento dura cinque anni. Il 20 novembre 1971, il Tribunale civile di Catania respinge la richiesta di risarcimento danni.
"Lotta Continua". Dal primo marzo 1971 Pasolini risulta ufficialmente direttore responsabile del periodico "Lotta Continua", organo di un gruppo extraparlamentare dell'estrema sinistra. Ciò è dovuto alle leggi italiane che impongono che ogni pubblicazione debba avere un direttore iscritto al ruolo dei giornalisti professionisti. Così gli esponenti di Lotta Continua chiedono agli intellettuali italiani iscritti all'albo dei giornalisti, di assumere a rotazione la carica di direttore del loro periodico. Pasolini accetta, pur non condividendo la linea politica di Sofri e compagni, è quindi direttore di "Lotta Continua" dal 1 marzo al 30 aprile 1971.
Il 18 ottobre 1971, la corte d'assise di Torino processa Pasolini insieme agli altri esponenti di Lotta Continua per aver svolto propaganda antinazionale e per il sovvertimento degli ordinamenti economici e sociali costituiti dello Stato; e di avere, quindi, pubblicato e istigato a commettere delitti. Il 18 ottobre 1971, la Corte d'assise di Torino sospende il processo e rinvia a nuovo ruolo.
Processo per il film Decameron. Il film, ispirato alle novelle del Boccaccio, subisce una persecuzione continua. Fioccano le denuncie da tutte le parti del paese. Il film viene sequestrato. E' il segno più evidente di una serie di paranoici di cui Pasolini è ormai bersaglio privilegiato.
Processo per il film I racconti di Canterbury. Il procuratore della Repubblica di Benevento (dove fu proiettato per la prima volta il film) accusa Pasolini di oscenità. Dopo tre giorni, e su richiesta del Pubblico Ministero, il giudice istruttore archivia la denuncia. Il film viene giudicato quattro volte e quattro volte prosciolto dall'accusa di oscenità.
Altre otto denunce arrivano alle procure di: Mantova, Viterbo, Frosinone, Venezia, Latina. Le disavventure giudiziarie seguite al film I racconti di Canterbury danno un quadro chiaro del clima persecutorio in cui si muoveva Pasolini.
Processo per il film Il fiore delle Mille e una notte. Il film, prima ancora di essere immesso nel circuito cinematografico, viene denunciato da una donna che l'ha visto in anteprima.
Il giudice istruttore del tribunale di Milano decreta di non doversi promuovere azione penale contro il film.
Processo [postumo] per il film Salò o le centoventi giornate di Sodoma. Il film viene censurato e se ne vieta la distribuzione. Il divieto viene annullato nel dicembre del '75; segue una denuncia dell'Associazione nazionale per il buoncostume all'autorità amministrativa. Il produttore del film, Alberto Grimaldi, viene processato dal tribunale di Milano, e imputato presso la procura di Venezia per presunta corruzione di minorenni. Quest'ultima supposizione si rivelerà inammissibile. Il tribunale di Milano condanna Grimaldi a due mesi di reclusione, duecentomila lire di multa, e dispone il sequestro del film. Il ricorso in appello porta all'assoluzione di Grimaldi, e al dissequestro del film solo a condizione di alcuni tagli. Il film viene tagliato per un totale di cinque minuti. Nel giugno del 1977 il pretore di Grottaglie in provincia di Taranto, Evangelista Boccumi, dispone un nuovo sequestro del film. Dodici giorni dopo il sostituto procuratore della Repubblica di Milano stabilisce che il sequestro di Salò è palesemente illegittimo, e ne dispone l'immediato dissequestro.
E i PERSEGUITATI, quelli veri, quelli sconfitti, quelli che hanno avuto il coraggio di non sorridere a questo IMMONDO paese.
sabatino di martino
Sabatino:
venerdì, 8 settembre 2006
Un prete e Pasolini
Ieri sera nei pressi del cimitero Maggiore, qui a Milano, un prete è stato sorpreso, in una macchina, dalla polizia in atteggiamenti inequivocabili con un ragazzo rom minore di 14 anni. Il ragazzo fa parte di un giro di prostituzione che la Questura di Milano sta cercando di combattere da tempo. La sera in cui Pierpaolo Pasolini venne ucciso si trovava nella stessa situazione del prete di cui sopra. Era in atteggiamenti intimi con un ragazzo di borgata, certo Pelosi, che si prostituiva. Il Pelosi, che venne incriminato e poi condannato per l’omicidio anche se le indagini dicevano tutt’altro, ha spiegato più volte - in pubblico - le sue frequentazioni con Pasolini, mettendo l’accento anche su aspetti molto intimi dei loro incontri. Ora, il prete di cui sopra verrà tacciato - giustamente - di essere uno schifoso e un criminale. Pasolini?! Senza mettere in discussione la sua straordinaria figura di intellettuale nell’Italia borghese e conservatrice degli anni ‘60-’70, bisognerebbe cominciare a vedere la sua figura anche sotto altri aspetti, dei quali molti, troppi, adulatori non vogliono parlare.
Scritto venerdì, 8 settembre 2006 alle 13:36 nella categoria Senza categoria. Puoi seguire i commenti a questo post attraverso il feed RSS 2.0. Puoi lasciare un commento. Non è consentito il pinging.
15 commenti a “Un prete e Pasolini”
Premetto che sono un grande stimatore di Pasolini e permettimi di non essere d’accordo con te.Il fatto che Pasolini fosse omosessuale non toglie nulla alla sua grandezza di pensiero. Anzi ritengo che fosse una sua scelta privata che non mettesse affatto in discussione il valore della sua opera artistica e politica. Anche perchè, vedi, non andava affatto in giro a predicare la castità nè prometteva le pene dell’inferno ai sodomiti (hai mai visto i “Racconti di Canterbury” dove il ragazzo passivo viene bruciato in pompa magna sul rogo ed il suo partner attivo, anche perchè ricco commerciante, se la cava alla grande).La Chiesa Cattolica invece lo fa ed il Suo Massimo Esponente era addirittura ricercato per una rogatoria internazionale da Una corte USA accusato di avere sottratto prove alla giustizia che avrebbero messo ancora di più nei guai la già malfamata Diocesi di Boston ( Vedi qua : http://www.razionalmente.net/html/saggi_pedofilia2.html) ma se vuoi una conferma diversa puoi vedere la notizia che ne diede l’Unità il 27/8/05 (http://www.ildialogo.org/Ratzinger/usaprocesso27082005.htm) o questa addirittura dall’autorevole Corriere della Sera del 21/09/05 (http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/09_Settembre/20/papa.shtml
A me la cosa non che interessi più di tanto : io sono come Pasolini non ateo, ma “eretico di tutte le chiese”. E poi non capisco perchè il papa si scagli tanto contro PAC ed omosessualità, ma NON HA MAI DETTO UNA PAROLA SULLA PEDOFILIA IN GENERALE E QUELLA DEI PRETI IN PARTICOLARE ? CODA DI PAGLIA ?
Fose sarebbe ora che i sacerdoti cattolici potessero sposarsi come gli altri pastori ortodossi, protestanti,valdesi,rabbini ed imam. E che il sacerdozio fosse aperto anche alle donne…
Scusa per la lunghezza di questo post.
Postato venerdì, 8 settembre 2006 alle 23:15 da Mephisto
caro mephisto,
la questione che sollevavo io non era relativa alla omosessualità di Pasolini, ma sulla sua presunta tendenza pedofila (nel caso in cui il Pelosi dica la verità)… Pelosi era un minorenne mentre Pasolini era un uomo adulto che andava per i 50… insomma, se non è pedofilia questa?!
per il resto sono pienamente d’accordo con te… sono troppe le reticenze della chiesa riguardo ai preti pedofili.
alla prossima
fab
Postato domenica, 10 settembre 2006 alle 18:53 da autore del blog
non è per avere l’ultima parola a tutti i costi (quello si fa solo con Calderoli purchè stia zitto) però trovo che vi sia una certa differenza fra i preti pedofili e Pasolini “pedofilo”.
1) I preti fanno parte di una struttura che condanna apertamente ogni forma di sessualità che non sia destinata alla procreazione,figurarsi con l’omosessualità e la pedofilia. Non so se lo sai, ma sulle camicie da notte delle donne fino all’inizio del secolo c’era scritto :”Non lo fo per piacere mio , ma per dare figlioli a Dio”. E quindi praticare da parte loro l’omosessualità e la pedofilia è altamente ipocrita oltre che criminale. Pasolini era un laico convinto e sì, pare che quello con il Pelosi fosse proprio un atto di pedofilia. Ma intanto restano dei dubbi aperti ancora oggi: come possa un ragazzino di 16 anni avere la meglio su un uomo robusto ed atletico che praticava sport come Pasolini non si capisce. E poi, perchè passargli sopra con l’auto ? Pelosi aveva dei rapporti con la Banda della Magliana notoriamente legata ai Servizi Segreti ? Se tu hai visto i films di PPP (soprattutto la trilogia della vita e dell’amore: le mille e una notte-Il Decameron- I racconti di Canterbury) scoprirai che raccontava che l’amore ed il sesso (anche “atipico”) non era considerato nè un peccato nè un crimine nelle civiltà antiche (Vedi quella greca e tutti i filosofi che oggi metteremmo tranquillamente in galera per pedofilia). Ma un peccato ed un crimine lo diventò con la cristianizzazione dell’Europa portata avanti col ferro e col fuoco e con milioni di morti da parte della Chiesa Cattolica. Infatti , poco prima di essere ucciso, PPP aveva appena girato il terribile e rivoltante “Salò o le 120 giornate di Sodoma” che doveva essere la prima parte della “trilogia della morte” da contrapporre nettamente alla prima trilogia. Cioè, quando l’amore, il sesso e la sessualità di ventano fonte di sofferenza e non più di piacere e gioia ? Quando viene praticato con la soppraffazione e la violenza : come avviene nei regimi ed istituzioni totalitari e, ancora oggi, nei casi sempre più numerosi di violenza sulle donne e sui minori. Cioè quando l’oggetto del nostro desiderio diventa una “cosa” che ci appartiene e del quale diventiamo i possessori.
Quindi posso ammettere, anche se in circostanze estremamente oscure, quello di Pasolini rimase l’unico atto pedofilo della sua vita che gli si possa ascrivere. Oscuro e fatale. Insomma :”Una storia sbagliata” diceva il grande Faber. Chiudo con una frase di un grande laico e liberale vero del novecento, Gaetano Salvemini : “La Chiesa tratta il peccato come se fosse un crimine ed il crimine come se fosse un peccato”. Mi sono dilungato enormemente in questo post e ho anche sbarellato (andato fuori tema )qualche volta. Te ne chiedo scusa. Se vorrai cancellarlo avrai più di una valida ragione per farlo : te lo riconosco.
Postato domenica, 10 settembre 2006 alle 21:54 da mephisto
Sono di passaggio e ho seguito il tuo consiglio di visitare il tuo blog.
Perdona la mia ignoranza su Pasolini, ma il tuo post lo vedo anche come una filosofia di vita: bisognerebbe sempre espandere le proprie vedute e conoscere entrambi le facce della stessa medaglia.
Auguri per il tuo blog.
Meryblack.
Postato lunedì, 11 settembre 2006 alle 16:16 da meryblack
Un fenomeno quale la pedofilia dei preti, che negli Stati Uniti oramai non fa più notizia, è certamente imbarazzante, ma non deve certo stupire. Infatti credo che questo sia figlio dell’inadeguatezza storica di fondo dei testi sacri dei monoteismi mediorientali. Mi spiego: tanto la Bibbia quanto il Corano sono testi di tipo religioso, ma al loro interno fanno riferimento ad usi e costumi di tipo alimentare e socio-culturale dell’epoca che nulla hanno a che vedere con la religione; essendo però quei testi dichiarati storici e divinamente ispirati dalle religioni che se ne rifanno, questi vengono spesso scambiati per comandamenti universali. L’antistoricità risiede proprio qui: se si pretende dagli uomini del terzo millennio di comportarsi come nel Vicino Oriente di 5766, 2006 o 1426 anni fa, ciò può anche portare (purtroppo) ad atti di pura perversione quali la pedofilia o di fondamentalismo quali la condanna degli anticoncezionali, che sono la prima difesa dalle malattie veneree.
Postato mercoledì, 13 settembre 2006 alle 18:28 da Gigi
gigi, non credo che la causa dei preti pedofili sia ascrivibile all’antistoricità dei testi sacri. no?!
forse è un po’ esagerato attribuire questa responsabilità ai testi sacri, anziché alla dubbia moralità e alle cattive abitudini di certa gente.
fabri
Postato mercoledì, 13 settembre 2006 alle 18:32 da autore del blog
Pasolini non seviziava bambini, aveva rapporti con ragazzi che si prosituivano, con le marchette, perchè nell’Italia degli anni ‘60 e ‘70 un omosessuale in Italia non poteva fare altrimenti. Fosse nato trent’anni dopo, Pasolini ogi avrebbe normali relazioni con ragazzi e probabilmente innamoratissimi fidanzati.
Che articolo stupido…
Postato mercoledì, 31 ottobre 2007 alle 17:35 da Anonimo
certo che io sarò anche stupido - non ho mai preteso di essere riconosciuto come un intellettuale - ma tu sei proprio un maleducato… al punto di aver paura di farsi riconoscere. non posso prendere seriamente chi non mostra il viso. Ma ti rispondo lo stesso: nell’italia degli anni ‘60 e ‘70 un omosessuale doveva andare per forza con ragazzini che si prostituivano?! Insomma, vorresti sostenere che negli anni ‘70 non c’erano gay disposti a stare con Pasolini e - perciò - doveva andare per forza coi ragazzini che lo facevano per fame o perché obbligati. ma cosa dici?!
la prostituzione quando è figlia della necessità, come per quei ragazzotti della roma di trent’anni fa, è una cosa obrobriosa e chi va con chi si prostituisce per povertà o per schiavitù è riprovevole. che sia un poeta o un prete. Altra cosa è andare con gente che lo fa per volontà e che non vende il suo corpo per mangiare o per garantire una vita più agiata alla propria famiglia. ma scherziamo?! Ultima cosa: che differenza c’è tra pasolini e un prete che vanno a letto con dei ragazzini poveri, che fanno questo solo per lo stato di necessità in cui si trovano o perché obbligati dalla famiglia? per me, nessuna.
toglietevi dalla testa i miti: servono solo a non ragionare più.
per il resto, fai come vuoi. compreso offendere gli altri. per fortuna le offese mi scivolano addosso.
buona giornata
Postato mercoledì, 31 ottobre 2007 alle 19:42 da Fab Dibe
Se devo essere sincero, non ci vedo niente di male a fare sesso con un ragazzo di 17 anni. Sinceramente non saprei stabilire un’età minima. Dipende dalle persone. E in ogni caso per me il fattore determinante è la non prevaricazione. Questo della prevaricazione può avvenire anche a 40 anni, ed è ugualmente grave. Si può fare sesso ricattando in molti modi. In questo discorso è chiaro che lasciamo fuori la legge con le sue rigide e spesso inutili regole. Quindi avere coinvolto Pasolini, in questo post è del tutto gratuito. Egli non ha mai nascosto le sue inclinazioni ed è sempre stato onesto. Chi lo conosce lo sa bene. Altro discorso per il prete il quale appartiene alla grande schiera di cattolici non credenti o non praticanti o disubbidienti e che dovrebbero cambiare chiesa, non certo credenze. Si può credere in Dio anche da omosessuali e da sessopraticanti. Quindi comunque assolvo anche lui, il prete, povera anima confusa. E’ la chiesa che ha inventato il celibato dei preti ed il comandamento che dice di non commettere atti impuri. Cioè: rubare, uccidere, dire il falso etc. Questi sono atti impuri.
Postato mercoledì, 20 febbraio 2008 alle 01:56 da viandante
no, beh… anche andare con un ragazzo/ragazza che si prostituisce perché schivizzato/schiavizzata è un atto impuro. è questo quel che non sopporto… quali anime confuse?! con tutta la confusione che vuoi non si può sfruttare sessualmente chi sta sulla strada come schiavo. non ne facevo una questione d’età per Pasolini, a differenza che per il prete. giudico male chi va con gli schiavi e le schiave del sesso. non condanno, non ne ho né la voglia né l’altezza morale per farlo. Ccomprendo prima di giudicare, ma non diciamo cose senza senso: quel prete è andato con un bambino obbligato a prostituirsi e tu, viandante, dai la colpa alla chiesa, al celibato… ma non diciamo cazzate. perché non è andato con una di quelle signore che lo fanno per scelta?! ce ne sono tante e non fanno del male a nessuno, anzi. in questo modo neppure lui avrebbe fatto del male a nessuno.
Postato mercoledì, 20 febbraio 2008 alle 21:19 da fabdibe
Avevo perso il collegamento. Quindi rispondo in ritardo. Premetto che non conosco la vicenda e quindi mi limito alle poche informazioni che riporti.
1) ritengo giusta la legge che fissa un limite di età. Tanto per avere un riferimento. Però poi non è che da 17 a 18 ci sia poi quella gran differenza. Quindi ammettiamo di discutere al di fuori della legge e di accettare la regola della non sopraffazione.
2) Non possiamo lasciar fuori la Chiesa da questo discorso. La evidente sessuofobia della chiesa si manifesta anche nel fatto che i preti non si possono sposare. Questo come tutti i divieti contro natura, insieme a molti proibizionismi, non può che generare fenomeni patologici. E’ altrettanto evidente che la carriera ecclesiastica può essere alettante, anche a livello inconscio, per un omosessuale (sono solo uomini) e spesso gli omosessuali sono pederasti (amano i giovani ragazzi). Cosa che in altre epoche era considerata normale. Molti di questi preti, si trovano spesso in contrasto tra le loro aspirazioni religiose (pilotate dalla chiesa in un percorso che giudico innaturale) e i normali e sacrosanti istinti sessuali. Che possano “peccare” prima o poi, anche in modo grave è, in molti casi, inevitabile. Ipocrita pensarla diversamente. E poi, si sa che al mondo della prostituzioe attingono soprattutto coloro che per vari motivi, agiscono clandestinamente o che vanno di fretta: mariti, preti, camionisti, etc. Un prete cosa deve fare, una volta che si è stufato di fare da solo? Andare in discoteca? Ma te lo vedi?
3) Il mondo della prostituzione è molto variegato: vi sono situazioni di costrizione ma anche di scelta. Sono favorevole a ritenere un errore, per molti motivi, l’attingere all’offerta di prostituzione. Ma moltissimi, prima o poi, anche solo per una volta ci finiscono. Non mi sembra il caso di farne dei mostri. Altra cosa è il costringere con ricatti morali un giovane a subire rapporti sessuali. Perché non parli delle note vicende di pedofilia, oggetto di inchieste, all’interno della chiesa? Su quelle non avrei alcun dubbio a condannare.
4) Tu dici: ma non poteva andare con una di quelle signore che lo fanno per scelta? Quali ? Prostitute o cosa? Ma non dicevi di non sfruttare gli schiavi sessuali? E poi, forse, questo prete è omosessuale e non ha interesse ad andare con una prostituta. Insomma, o siamo in un commissariato, ed allora non posso che condannare tutti. Altrimenti, io per giudicare, vorrei sapere tutti i particolari della vicenda, perché non mi basta né l’età, né che sia un prete. Su Pasolini ho già detto che lo assolvo perché lo conosco. L’unico condannato in ogni caso è proprio la chiesa cattolica. Colpevole di diffusione di false dottrine e di avere generato nei secoli ogni sorta di nefandezze facendo leva nell’animo umano con i suoi assurdi divieti e prescrizioni.
Postato giovedì, 28 febbraio 2008 alle 01:07 da roberto
roberto,
se dico “quelle signore che lo fanno per scelta” vuol dire che sono prostitute ma non schiave, non obbligate e per tua stessa ammissione esistono ed esistono anche uomini che fanno quel mestiere senza essere obbligati da nessuno. quindi quel prete, e come lui tanti, ahinoi, aveva moltissime scelte prima di finire in una macchina davanti al cimitero maggiore di milano con un ragazzino di 12 o 13 anni. per il resto… ti rispondi da solo: se non conosci i fatti non puoi né giudicare né assolvere, né tantomeno puoi dare colpe alla chiesa o a chicchessia per atti individuali.
nessuno inoltre condanna le pulsioni sessuali, sia mai, oppure il fatto che l’uomo è essere perfettibile ma mai perfetto e quindi l’errore, lo sbaglio sta nella sua natura.
Pasolini andava con ragazzi poveri che si prostituivano per aiutare le famiglie: Pasolini è stato un grandissimo uomo di cultura, ma questo non mi deve deviare nel mio giudizio dei comportamenti (miei e altrui)… un uomo o donna che va con chi si prostituisce per schiavitù o bisogno fa un atto immorale, chiunque sia a farlo. l’immoralità è normale dell’essere umano, non straordinaria, quindi deve essere accettata, capita, compresa ma mai perseverare nell’errore.
Postato giovedì, 28 febbraio 2008 alle 09:57 da fabdibe
Buomgiorno a tutti;
sono convintamente laico, azi a dirla con Pasolini “eretico di tutte le chiese” ma non posso far a meno di pensare al motto di un ordine di frati (non chiedetemi quale, non lo ricordo):
“se i miei atti non ti dicessero niente le mie parole ti ingannerebbero”.
Postato martedì, 4 marzo 2008 alle 19:26 da medonzo
scusami mephisto ma il Papa (e premetto ke lo ritengo un ottimo teologo,ma nn adatto a fare il pastore di tutti) ha condannato i preti pedofili…in quanto al fatto di sposarsi così i preti non lo farebbero con i ragazzini è na cazzata..infatti il 90 per cento di questi qua ha moglie e in alcuni casi figli (che però non violenta se non in casi rarissimi)…Pasolini è stato un grandissimo uomo di cultura e anche se forse ha moralmente sbagliato non meritava di fare quella fine,così come ogni essere umano che abiti il nostro mondo
Postato lunedì, 26 gennaio 2009 alle 22:36 da irene
Il Pelosi aveva diciassette anni (una certa differenza da un quattordicenne la vedo)…Claudio Villa a quarantasette anni si innamorò di una sedicenne. Per me non si tratta di pedofilia, in entrambi i casi. Però la polemica c’è solo da un lato, chi sa perchè?
Postato giovedì, 19 febbraio 2009 alle 11:30 da g
"La Stampa", 4/12/10, Tuttolibri
Caro figlio mio, via da Casarsa
FERDINANDO CAMON
Ricordi La stirpe dei Colussi: la madre di Pasolini ricostruisce l’albero delle radici
Per onestà, avverto il lettore che la mia lettura di questo libro non può essere imperturbata e serena, perché troppi ricordi mi riportano all’autrice. Di lei so troppe cose, che un lettore normale non sa. L’autrice è la madre di Pier Paolo Pasolini. Quindi l’ho vista più volte, a casa sua all’Eur. Io parlavo con Pier Paolo e lei stava di là, silenziosa, discreta ma incombente. Pier Paolo le aveva dedicato una poesia, bellissima, intitolata A mia madre , in cui con sorprendente lucidità (in lui, che aveva fatto solo 7-8 sedute di analisi con Musatti, poi si ritirò: troppa sofferenza), mostra di capire che la fonte della sua omosessualità stava in sua madre: troppo amata, per poter amare un’altra donna, troppo intoccabile, per poter toccare una donna.
Pasolini è sepolto a Casarsa, a un’ora d’auto da casa mia. Una volta ero lì, alla sua tomba, ed arrivò un ragazzo con un libro e uno sgabello: si sedette accanto a Pier Paolo (che sta insieme con la madre, fianco a fianco, in una «tomba coniugale»), e a mezza voce lesse tutta A mia madre . Ho pensato: un altro omosessuale che spiega alla propria madre l’origine della propria omosessualità.
Girando il film Il Vangelo secondo Matteo , Pier Paolo aveva bisogno di una Madonna che piange ai piedi del figlio crocifisso, e scelse sua madre dicendole: «Piangi come quando hai visto tuo figlio partigiano ucciso». Susanna pianse un pianto incontenibile, sorretta per le braccia, a destra e a sinistra. Qui c’è un coacervo di significati che nessuna critica ha mai tirato fuori: la madre del fratello come la madre di Cristo? Il figlio come Gesù Cristo? Come poteva il figlio Pier Paolo rinnovare un dolore così totale per un film? Io vidi il film a Padova, Franco Fortini lo vide a Firenze, ci telefonammo, e Fortini mi disse che era uscito prima della fine: non aveva retto all’angoscia. Ora, ecco qui un libro, «il» libro della madre, Il film dei miei ricordi . La madre valeva questo amore? Chi è Susanna? È possibile capire che madre, che donna era, vedendo che autrice è?
Vedendo il libro, noi vediamo qualcosa che Pasolini non ha mai visto. Questo libro infatti riunisce 21 quaderni da quinta elementare, scritti a penna (quella col pennino, che s’intingeva nel calamaio), in cui Susanna racconta la stirpe dei Colussi (suo cognome da nubile), per circa un secolo, dal tempo di Napoleone fino alla gioventù sua e dei suoi fratelli. I quaderni sono ora pubblicati a cura di Graziella Chiarcossi, nipote di Pier Paolo, affezionata e scrupolosa custode della sua memoria. Vorrebbero essere storia. Ma Susanna fa storia come Erodoto: tutto quello che viene a sapere è storia. Nella civiltà contadina funziona così, tutto quello che si tramanda a voce è nostro ed è verità, quello che sta scritto è degli altri ed è inganno.
Susanna è una affabulatrice portentosa. Comincia dalla vita di Visèns (Vincenzo), che nel paesetto di Casarsa (centro di tutta l’epopea, a sradicarsene definitivamente sarà Pier Paolo) si sentiva morire: diventa ragazzo, il padre gli regala un cavallo, con quel cavallo si presenta all’esercito di Napoleone, accampato in Lombardia, e viene arruolato come dragone (eran tutti alti, questi Colussi, ma allora da dove vien fuori Pier Paolo?). Parte per la campagna di Russia, 1812. Napoleone è sconfitto. Visèns fa parte della cavalleria sbaragliata, nella fuga si perde, resta solo in un deserto di neve, è ferito, prima di svenire ammazza il cavallo, lo sventra con la spada, e si nasconde nella sua pancia.
È l’apice del mito. Visèns è il personaggio più memorabile rievocato-reinventato da Susanna (che usa i racconti della nonna). Passa di lì una slitta, sopra c’è una ragazza che deve sposarsi entro la settimana, con un uomo ricco che lei non ama, vede il cavallo stramazzato, lei col padre tira fuori Visèns, e insomma facciamola breve: i due si amano, scappano in Italia, nel viaggio si sposano, e da loro discendono altri personaggi successivi.
I protagonisti sono Visèns, Beputi, Cenci, un altro Beputi
(Beppino), Minuti (Domenico), Centin. Le loro storie oscillano fra la distilleria dei Colussi a Casarsa, e le fughe in Piemonte, a Roma, in California. Susanna ama più di tutti l’ultimo, Centin. Che, generoso scialacquatore, facile preda di donne «perdute», sparisce in California e non sappiamo che ne sarà di lui.
Finito il libro avventurosissimo, ti domandi: «E poi?». Non vorresti mai che finisse. Sì, c’è qualche vena retorica, qualche romanticheria, ma se a sentire queste storie tu, lettore qualsiasi, resti legato, come può sentirsi (mettiamoci nei panni di Pier Paolo) un figlio, un figlio piccolo? Incantato. Senza scampo.
fercamon@alice.it
In 21 quaderni da quinta elementare, la storia di un secolo, da Napoleone al Friuli, da Roma alla California Nei meandri della civiltà contadina, dove tutto quello che si tramanda a voce è nostro ed è verità
DOPO 35 ANNI CESSI L’OSTRACISMO DI TORINO A PASOLINI. TORINO GLI DEDICHI UNA VIA.
L’Associazione Radicale Adelaide Aglietta consegnerà lunedì al presidente del Consiglio Comunale una richiesta formale per dedicare un toponimo a Pier Paolo Pasolini.
Annunciando l’iniziativa Silvio Viale, presidente dell'Associazione Radicale Adelaide Aglietta e neo presidente di Radicali italiani, ha cosi commentato:
"A 35 anni dalla morte è l’ora che cessi l’ostracismo di Torino verso Pier Paolo Pasolini e che la Città gli dedichi una via. Quando morì, alla vigilia del suo intervento al XV congresso radicale, Alberto Moravia lo definì semplicemente un poeta. Pasolini è oggi universalmente riconosciuto e celebrato come il prototipo dell’intellettuale scomodo e impegnato, ma sembra che a Torino sia impossibile dedicargli una via. Quando ci provai negli anni ’90 mi scontrai contro l’omofobia della destra, l’ironia dei cattolici clericali e il fastidio della sinistra postcomunista. Credo che la proposta non sia mai decaduta, ma in ogni caso la riproponiamo formalmente sperando che nel frattempo sia finalmente cessato l’ostracismo convergente culturale e politico verso Pier Paolo Pasolini.”
Torino, 6 novembre 2010.
www.associazioneaglietta.it
http://www.youtube.com/watch?v=NdFBzmuzckM
Parlando di...chi ricorda Pasolini
Articolo di pubblicato su L'Unità, il 03/11/10
«II due novembre dei 1975 Pasolini veniva brutalmente assassinato. A 35 anni di distanza
Berlusconi per distrarre dalle sue condotte e dai problemi del paese si rende complice della
violenza omofobica di cui sono vittime tanti italiani, aggrediti e discriminati su base sessuale». Lo ha detto il segretario dei Radicali Italiani, Mario Staderini, al sit-in di protesta sotto palazzo Chigi
«Berlusconi per distrarre dalle sue condotte e dai problemi del paese si rende complice della
violenza omofobica di cui sono vittime tanti italiani, aggrediti e discriminati su base sessuale». Se ti lamenti per l'omofobia che viene sbandierata anche dal Presidente Berlusconi pensa a come ci dobbiamo sentire noi pedofili (come lo era anche Pasolini) nel sentirci attribuire ogni sorta di crimini contro l'infanzia...Mentre i veri crimini contro l'infanzia vengono tranquillamente ignorati! leggiti il mio forum: "Omofobia e pedofobia, fue facce della stessa medaglia".
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/05/04/news/film_pasolini-3817829/?rss
Come nascono i bambini? Li porta la cicogna, da un fiore, li manda il buon dio, o arrivano con lo zio calabrese. Guardate il volto di questi ragazzini, invece: non danno affatto l´impressione di credere a ciò che dicono. Con sorrisi, silenzi, un tono lontano, sguardi che fuggono a destra e sinistra, le risposte a tali domande da adulti possiedono una perfida docilità; affermano il diritto di tenere per sé ciò che si preferisce sussurrare. Dire "la cicogna" è un modo per prendersi gioco dei grandi, per rendergli la loro stessa moneta falsa; è il segno ironico e impaziente del fatto che il problema non avanzerà di un solo passo, che gli adulti sono indiscreti, che non entreranno a far parte del cerchio, e che il bambino continuerà a raccontarsi da solo il "resto". Così comincia il film di Pasolini.
Enquête sur la sexualité (Inchiesta sulla sessualità) è una traduzione assai strana per Comizi d´amore: comizi, riunioni o forse dibattiti d´amore. È il gioco millenario del "banchetto", ma a cielo aperto sulle spiagge e sui ponti, all´angolo delle strade, con bambini che giocano a palla, con ragazzi che gironzolano, con donne che si annoiano al mare, con prostitute che attendono il cliente su un viale, o con operai che escono dalla fabbrica. Molto distanti dal confessionale, molto distanti anche da quelle inchieste in cui, con la garanzia della discrezione, si indagano i segreti più intimi, queste sono delle Interviste di strada sull´amore. Dopo tutto, la strada è la forma più spontanea di convivialità mediterranea.
Al gruppo che passeggia o prende il sole, Pasolini tende il suo microfono come di sfuggita: all´improvviso fa una domanda sull´"amore", su quel terreno incerto in cui si incrociano il sesso, la coppia, il piacere, la famiglia, il fidanzamento con i suoi costumi, la prostituzione con le sue tariffe. Qualcuno si decide, risponde esitando un poco, prende coraggio, parla per gli altri; si avvicinano, approvano o borbottano, le braccia sulle spalle, volto contro volto: le risa, la tenerezza, un po´ di febbre circolano rapidamente tra quei corpi che si ammassano o si sfiorano. Corpi che parlano di loro stessi con tanto maggior ritegno e distanza quanto più vivo e caldo è il contatto: gli adulti parlano sovrapponendosi e discorrono, i giovani parlano rapidamente e si intrecciano. Pasolini l´intervistatore sfuma: Pasolini il regista guarda con le orecchie spalancate.
Non si può apprezzare il documento se ci si interessa di più a ciò che viene detto rispetto al mistero che non viene pronunciato. Dopo il regno così lungo di quella che viene chiamata (troppo rapidamente) morale cristiana, ci si poteva aspettare che nell´Italia di quei primi anni sessanta ci fosse un certo qual ribollimento sessuale. Niente affatto. Ostinatamente, le risposte sono date in termini giuridici: pro o contro il divorzio, pro o contro il ruolo preminente del marito, pro o contro l´obbligo per le ragazze a conservare la verginità, pro o contro la condanna degli omosessuali. Come se la società italiana dell´epoca, tra i segreti della penitenza e le prescrizioni della legge, non avesse ancora trovato voce per raccontare pubblicamente il sesso, come fanno oggi diffusamente i nostri media.
«Non parlano? Hanno paura di farlo», spiega banalmente lo psicanalista Musatti, interrogato ogni tanto da Pasolini, così come Moravia, durante la registrazione dell´inchiesta. Ma è chiaro che Pasolini non ci crede affatto. Credo che ciò che attraversi il film non è l´ossessione per il sesso, ma una specie di timore storico, un´esitazione premonitrice e confusa di fronte a un regime che allora stava nascendo in Italia: quello della tolleranza. È qui che si evidenziano le scissioni, in quella folla che tuttavia si trova d´accordo a parlare del diritto, quando viene interrogata sull´amore. Scissioni tra uomini e donne, contadini e cittadini, ricchi e poveri? Sì, certo, ma soprattutto quelle tra i giovani e gli altri. Questi ultimi temono un regime che rovescerà tutti gli adattamenti, dolorosi e sottili, che avevano assicurato l´ecosistema del sesso (con il divieto del divorzio che considera in modo diseguale l´uomo e la donna, con la casa chiusa che serve da figura complementare alla famiglia, con il prezzo della verginità e il costo del matrimonio). I giovani affrontano questo cambiamento in modo molto diverso: non con grida di gioia, ma con una mescolanza di gravità e di diffidenza perché sanno che esso è legato a trasformazioni economiche che rischiano assai di rinnovare le diseguaglianze dell´età, della fortuna e dello status. In fondo, i mattini grigi della tolleranza non incantano nessuno, e nessuno vede in essi la festa del sesso. Con rassegnazione o furore, i vecchi si preoccupano: che fine farà il diritto? E i "giovani", con ostinazione, rispondono: che fine faranno i diritti, i nostri diritti?
Il film, girato quindici anni fa, può servire da punto di riferimento. Un anno dopo Mamma Roma, Pasolini continua su ciò che diventerà, nei suoi film, la grande saga dei giovani. Di quei giovani nei quali non vedeva affatto degli adolescenti da consegnare a psicologi, ma la forma attuale di quella "gioventù" che le nostre società, dopo il Medioevo, dopo Roma e la Grecia, non hanno mai saputo integrare, che hanno sempre avuto in sospetto o hanno rifiutato, che non sono mai riuscite a sottomettere, se non facendola morire in guerra di tanto in tanto.
E poi il 1963 era il momento in cui l´Italia era entrata da poco e rumorosamente in quel processo di espansione-consumo-tolleranza di cui Pasolini doveva redigere il bilancio, dieci anni dopo, nei suoi Scritti corsari. La violenza del libro dà una risposta all´inquietudine del film.
Il 1963 era anche il momento in cui aveva inizio un po´ ovunque in Europa e negli Stati Uniti quella messa in questione delle forme molteplici del potere, che le persone sagge ci dicono essere "alla moda". E sia pure! Quella "moda" rischia di rimanere in voga ancora per un po´ di tempo, come accade in questi giorni a Bologna.
Traduzione dal francese di Raoul Kirchmayr
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"La Stampa", 11 Aprile 2010, pag. 35
Pasolini, c’è ancora molto da scoprire
“La versione dell’omicidio per una rissa omosessuale non regge. Perché prendersela con chi vuole la verità?”
Polemica
Replica a Belpoliti
Caro direttore,
il 1° aprile, sulla Stampa, Marco Belpoliti ci ha invitati a non parlare più dell’omicidio di Pasolini. È uno strano invito, per me abbastanza inquietante. Sarebbe come se qualcuno sostenesse che è inutile farsi troppe domande sulla morte di John Kennedy, tanto si sa già tutto. In America sarebbe ridicolo. In Italia lo si fa spesso per la morte di Pasolini. Ogni volta che sui giornali se ne torna a parlare, immancabilmente si alza una voce per dire che non c’è nulla più da scoprire. Così fanno da anni Nico Naldini (cugino e biografo di Pasolini), Graziella Chiarcossi (erede di Pasolini e moglie di Vincenzo Cerami) e altri. Ora anche Belpoliti. E proprio nei giorni in cui, in seguito a nuovi fatti, la Procura di Roma ha deciso di riaprire il caso.
Perché lo fanno? Sinceramente non lo capisco. A chi o a che cosa potrebbero nuocere ulteriori indagini? Non sta anche a loro a cuore la verità? Certo, Pasolini era un «poeta». Ma forse che la ricostruzione di un omicidio può essere più approssimativa quando la vittima è un «poeta»? Gli assassini non sono ugualmente assassini? E la verità sulla morte di un poeta non è altrettanto sacra di quella sulla morte di un qualsiasi altro uomo o donna?
Nella replica a Mario Martone, Belpoliti sostiene anche che non c’era alcuna ragione per eliminare Pasolini, e cerca di portarne un «prova» filologica. Scrive che le fonti di Petrolio (il romanzo a cui Pasolini stava lavorando al momento della morte) sono tutte note e quindi Pasolini non sapeva niente di più di ciò che altri sapevano. Pasolini ha infatti ripreso molti materiali da articoli di giornale e dalle fotocopie di Questo è Cefis (uno strano libro, scritto da qualche nemico dell’ex presidente dell’Eni, e poi ritirato dalla circolazione - ora lo si può leggere anche in rete, su ilprimoamore.com), che gli aveva passato Elvio Fachinelli.
È vero. Tutte quelle carte sono visibili all’archivio Vieusseux di Firenze. Però Belpoliti omette di dire che quelle sono le fonti del Petrolio edito. Nessuno sa cosa ci fosse nel capitolo intitolato «Lampi sull’Eni», al cui posto ora non resta che una pagina bianca. E se non se ne sa niente, non si può nemmeno sapere quali ne fossero le «fonti». Come può allora Belpoliti sostenere con tanta perentorietà che Pasolini non avesse ricevuto da qualcuno dei materiali compromettenti sul delitto Mattei o sul suo successore Eugenio Cefis?
Proprio di quelle parti «mancanti» si è tornato a parlare nelle ultime settimane dopo l’annuncio di Dell’Utri. È possibile che Pasolini non le avesse ancora scritte. Ma in molti resta il sospetto che invece siano state sottratte. C’è un indizio dentro al testo stesso: in una pagina successiva di Petrolio Pasolini rimanda il lettore proprio a quegli appunti mancanti, come se li avesse già scritti.
Oltre che studiosa di Pasolini, io sono una delle tante persone che vorrebbero si facesse luce su quell’atroce delitto. Nel 2005 la rivista Il primo amore, che dirigo assieme a altri, lanciò un appello per la riapertura delle indagini. Fu firmato da un migliaio di cittadini italiani e stranieri, tra i quali personalità note della cultura come Andrea Camilleri, Bernard-Henri Lévy, Luca Ronconi e molti altri. Il testo dell’appello non dava alcun adito al complottismo. Semplicemente diceva: «Noi non sappiamo se a far tacere uno degli artisti più fervidi e una delle voci più scomode e tragiche di questo paese sia stata una decisione politica. Quello che però sappiamo - come lo sa chiunque abbia prestato attenzione alla vicenda - è che la versione blindata della rissa omosessuale tra due persone non sta in piedi. Sappiamo che essa è stata solo una copertura servita a sviare le indagini e a coprire un altro tipo di delitto».
Quella versione infatti non regge. Non solo perché il reo confesso l’ha ritrattata, ma perché già non reggeva per il Tribunale di primo grado, che condannò il Pelosi «assieme a ignoti». Naldini, Belpoliti e qualche altro letterato se ne sono invece innamorati. La trovano «poetica». Permette loro di fare molti bei ricami sulla morte sacrificale e sullo «scandalo dell’omosessualità». Un poeta omosessuale ucciso mentre cercava di violentare il suo oggetto di desiderio! Un poeta delle lucciole ucciso da una lucciola mutante... E se non fosse vera? A loro non importa.
Ma se sono così certi che la rissa omosessuale spiega il delitto, perché non ci dicono chi erano gli «ignoti» che presero parte all’omicidio? Non ce lo dicono perché ovviamente non lo sanno. Non lo sanno, però sostengono che si sa già tutto.
Per di più tendono a far apparire coloro che hanno dei dubbi come dietrologi fanatici, innamorati dei complotti, stravolgendo i loro argomenti. Belpoliti lo fa anche nei confronti di un mio articolo uscito sull’Espresso del 31 marzo. Fa persino passare per incontro «notturno» la conversazione che ebbi nel 2003 con il giudice Vincenzo Calia alla Casa delle Letterature di Roma, al termine di un convegno su Pasolini. Perché tanta fretta di mettere in ridicolo chi vorrebbe la verità? Non la vogliono forse anche loro?
SI' ALLE INDAGINI, MA NON E' UN DELITTO POLITICO
Marco Belpoliti
Sono favorevole alla riapertura delle indagini sulla morte di Pasolini, poiché restano ancora diverse cose non chiarite. Ma sul delitto politico dissento. Tutta l’argomentazione di Carla Benedetti per sostenerlo si fonda su un capitolo inedito di Petrolio che, dato che è inedito, e forse non c’è neppure, lei non ha mai letto. Se non è complottismo questo, cos’è? Le fonti ignote di Pasolini sono ignote a tutti, dunque non si può costruire su questo nessuna ipotesi sensata.
Ma poiché non esistono solo ragioni razionali - come sappiamo, ci sono anche le ragioni del cuore, cui Pasolini si appellava contro Calvino - forse sarebbe il caso che chi scrive provasse a dar corpo alle proprie visioni al riguardo, a renderle più vere del vero, come Pasolini stesso ci ha insegnato. Davvero è ora di pensare come Pasolini e non a Pasolini. Il resto lo lasciamo a poliziotti e giudici, che facciano il loro mestiere. Lo chiedo anch’io.
Frode sui diritti tv, per Berlusconi
richiesta di rinvio a giudizio
07:26 CRONACHEMilano, accuse di appropriazione indebita e frode fiscale. Coinvolti pure Confalonieri e Pier Silvio di L.Ferrarella
02/04/2010 ore 17.16
Morte Pasolini, spunta un nuovo testimone
Omicidio Pasolini, spunta un nuovo testimone
Scritto da Emiliano Tarquini Cronaca, Cultura apr 2, 2010
Pierpaolo Pasolini, scrittore, artista e giornalista
Roma, 2 Aprile - Spunta un nuovo testimone sul delitto dello scrittore Pier Paolo Pasolini: la Procura di Roma, con il suo aiuto, sarebbe in grado di aggiungere nuovi elementi per aiutare lo sviluppo delle indagini. “Il testimone, conoscente diretto di Pasolini, potrebbe fare dei nomi nuovi” – annuncia l’avvocato Stefano Maccioni, che questa mattina ha depositato nell’ufficio del PM Francesco Minisci l’istanza di accoglimento per ottenere la possibilità di interrogare, fra gli altri, anche il Senatore del Pdl Marcello dell’Utri ed il cugino dello scrittore, Guido Mazzon. Il nuovo testimone “segreto” scovato dal penalista Maccioni, secondo l’opinione dell’avvocato, potrebbe non essere l’unico a poter dare un ulteriore contributo allo sviluppo delle indagini sulla morte di Pasolini e sull’inchiesta, in sostanza mai chiusa, sulla quale nei giorni scorsi è intervenuto anche l’avvocato della famiglia Pasolini, Guido Calvi.
Emiliano Tarquini
"La Stampa", 08 Aprile 2010, pag. 32
Seppellire Pasolini?
Mario Martone
Una nuova inchiesta potrebbe aiutare tutti a conoscere la verità
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ho letto con rammarico il pezzo che Marco Belpoliti ha dedicato sulla Stampa agli sforzi di quanti stanno cercando di far riaprire il processo per la morte di Pasolini. Rammarico per l'impossibilità che persiste in Italia di trovarsi d'accordo su punti essenziali della vita civile, una frantumazione che rende via via sempre più faticoso il procedere delle idee e dell'agire politico. La posizione di Belpoliti, la sua idea sul perché Pasolini sia stato assassinato è non solo legittima, ma benissimo espressa ed anche profonda: riprende quella, nota da sempre, di Nico Naldini, che da poeta creò uno scenario di grandissima verosimiglianza, immaginando che tutto andasse spiegato esclusivamente all'interno della dinamica omosessuale e del rapporto di Pasolini con i ragazzi. Ma ciò che davvero non si spiega è come Belpoliti possa pensare che la verosimiglianza di questo scenario possa essere sfuggita a persone come Laura Betti o Sergio Citti, che ho conosciuto bene (di Citti ho filmato la testimonianza raccolta dall’avvocato Calvi), e che si rivolterebbero nella tomba a sentirsi accusati di «voler rimuovere la particolare omosessualità di Pasolini». Betti e Citti erano convintissimi che il delitto di Pasolini avesse una matrice politica, e la loro posizione, allo stato dei fatti, resta profonda e verosimile quanto quella di Nico Naldini: è un'ipotesi. Infatti, come scrive Belpoliti, «che nel delitto di Pasolini vi siano molti punti oscuri è senza dubbio vero. Che le indagini non furono condotte in modo scrupolose è altrettanto vero, ed è anche possibile che con gli strumenti scientifici attuali si sarebbero chiariti molti punti oscuri». Ecco tutto. Non c'è da contrapporre nessuna visione, i due scenari sono perfettamente integrabili, ed è proprio la verosimiglianza dello scenario omosessuale che rende verosimile lo scenario politico: chi uccide segretamente lo fa, come è ovvio, tentando di creare scenari verosimili. La cosa che dovrebbe essere a cuore di noi tutti è che la verosimiglianza cessi di essere tale e diventi verità. Ora, per carità, so bene che una verità processuale non è tutta la verità, e che la verità in quanto tale forse nemmeno esiste, e che nella nostra Italia bizantina possiamo scavare molto a fondo nei termini e nei distinguo, ma insomma, se è palese, come pare proprio che sia, che ad assassinare Pasolini siano stati in tanti e non il solo Pelosi, non sarà legittimo desiderare di sapere questi altri chi erano? E non si potrebbe per una volta essere uniti e determinati come società «intellettuale» nel desiderare che la giustizia faccia finalmente il suo corso? Se ad uccidere Pasolini sia stato un branco di ragazzi presi dalla furia o dei picchiatori fascisti o degli agenti segreti, questo lo si vedrà. Intanto ci si potrebbe accontentare di una giustizia che indaghi e che magari faccia affiorare dei nomi e delle responsabilità. Cordiali saluti.
Marco Belpoliti
Caro Martone, non sono contro la riapertura delle indagini sul delitto di Pasolini; mi sono dichiarato scettico riguardo l’ipotesi che il poeta sia stato eliminato perché sapeva qualcosa di più di altri circa il delitto-Mattei e le stragi degli anni Settanta. Le fonti di Petrolio, romanzo incompiuto in cui tutto questo sarebbero svelato, sono ritagli di giornale, servizi de L'Espresso, quindi ampliamente note, e pure riportate in libri che circolavano all’epoca, come Silvia De Laude ha mostrato cinque anni fa. Sul sito web Nazione indiana ne ho parlato in modo diffuso, e lì ti rimando. Quello su cui dissento è invece la tesi complottista per cui esiste sempre un quid che la verità giudiziaria non riesce a chiarire, così com’è accaduto per altri avvenimenti degli anni Settanta, a partire dalla bombe di Piazza Fontana sino ad arrivare al sequestro di Moro. Credo sia venuta l'ora di chiudere con quel decennio di cui Pasolini e Aldo Moro, forse non a caso, sono i due corpi simbolo; e dare loro una degna sepoltura, cosa che nessuna inchiesta giudiziaria riuscirà mai, credo, a fare. La mia è una posizione politica, e non ha nulla a che spartire con le inchieste degli investigatori di polizia - le si faccia se necessario -, ma con il modo di ragionare di molti nella sinistra italiana. È ora di andare oltre un decennio che non finisce di finire nella testa di tanti, il che è un modo per continuare a restare legati al passato, quando invece la discussione, anche a partire da Pasolini, dovrebbe procedere. Ad esempio, sugli anni Ottanta, vero snodo del nostro presente.
La mia modesta proposta è di fare con Pasolini come lui ha fatto con chi l’ha preceduto: mangiarcelo in salsa piccante. Nutrirci di lui e digerirlo. Destino che spetta solo ai veri maestri. E così superare finalmente dal «complesso-Pasolini» che attanaglia molti in Italia, per parlare ancora di Pasolini, naturalmente. La discussione sull’ispirazione estetica e omosessuale della sua visione della mutazione antropologica non è mai stata fatta. Solo Sciascia ci ha provato, ma senza quella libertà di pensiero e di parola che sarebbe necessaria.
Il compito degli scrittori, dei registi, dei saggisti, credo, non sia solo quello di apporre una firma su un appello, quanto piuttosto di produrre delle visioni, così come Pasolini ha fatto con Petrolio, che ci illuminò sulla realtà più ancora delle verità di tribunali o poliziotti. Così è il libro di Nico Naldini: una visione problematica di un delitto sessuale che scava nel profondo di una passione, e ci dice qualcosa su noi stessi, cosa che nessuna sentenza può fare. La passione della verità, in cui Pasolini era versato, è questa, e non tanto e non solo quella di chiedere ad alta voce giustizia, cosa che spetta a tutti. Un intellettuale, un poeta, un regista, si trova in una posizione davvero scomoda, perché non è solo un cittadino come gli altri, con doveri e diritti, ma uno che deve fare uno scatto laterale, individuare più a fondo le cause del bene e del male, e raccontarle in una forma non banale, in forma letteraria, cinematografica, artistica. La ricerca della verità è questa, e a essa sarebbe bene che ci attenessimo noi tutti che facciamo questo mestiere. A ciascuno il suo.
Uscendo così dalla cronaca, anche giudiziaria, per entrare finalmente nella storia.
Walter Veltroni ha indirizzato una lettera al ministro Alfano, per chiedere una nuova istruttoria. Carla Benedetti ha scritto sull’Espresso un articolo per ripetere che il delitto Pasolini è legato a un capitolo scomparso di Petrolio, il suo romanzo postumo, uscito nel 1992, «Lampi sull’Eni». Il poeta avrebbe scoperto il legame tra la morte di Mattei, presidente dell’Eni, e la figura di Eugenio Cefis, capo della Montedison, personaggio oscuro e potente. Un libro, Profondo nero (Chiarelettere), di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, sostiene la medesima tesi. Tutto ruota intorno a un libro scomparso, Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, edito da Ami a Milano nel 1972. Il libro è stato avvistato da Carla Benedetti in una bacheca della Mostra del Libro Antico promossa a Milano dal senatore Marcello Dell’Utri, intimo di Silvio Berlusconi, che qualche settimana prima aveva dichiarato di essere in possesso del capitolo rubato (si dice) dalla casa di Pasolini dopo la sua morte; la medesima sorte subita dal libro su Cefis, scomparso dalla circolazione dopo la pubblicazione. Ieri, di nuovo, Carlo Lucarelli, scrittore di gialli e studioso di delitti oscuri, ha ribadito sulle pagine della Repubblica la tesi del delitto politico, maturato nel clima stragista e di violenza degli anni Settanta, anche se poi, alla fine dell’articolo, affermava di non sapere con certezza come siano andate le cose.
Cosa sapeva davvero Pasolini? Come ha mostrato Silvia De Laude nelle note dell’edizione economica di Petrolio - apparsa nel 2005, ignorata da quasi tutti gli scriventi -, i documenti, gli articoli, i libri a cui si è ispirato Pasolini per scrivere il suo romanzo postumo non sono altro che ritagli di giornale, dell’Espresso in particolare, o provengono dal libro su Cefis, opera di un sedicente Giorgio Steimetz, che gli fu fotocopiato da uno psicoanalista milanese, Elvio Fachinelli, animatore della rivista L’Erba Voglio. Fachinelli aveva fornito vari testi a Pasolini che ora si trovano conservati in una cartellina di lavoro, insieme al dattiloscritto di Petrolio, al Gabinetto Vieusseux di Firenze. Si tratta perciò di materiale già noto, citato anche da altri, pubblicato sui giornali, non di rivelazioni segrete, su cui lo scrittore ha intessuto la sua complessa trama narrativa che, per quanto realistica, sconfina nella particolare visionarietà che possiedono le sue pagine, una visionarietà più vera del vero. Tutto questo sarebbe il materiale che giustifica il delitto del più famoso intellettuale italiano?
La risposta è no. In realtà l’articolo della Benedetti funziona come un sintomo, a sua volta veritiero, di un problema rimosso. Lo dice con evidenza la chiusa stessa del suo pezzo: «Non ci sarà pace finché il mondo resterà così fuori dai suoi cardini, con i colpevoli impuniti e le storie letterarie che raccontano di Pasolini ucciso mentre tentava di violentare un ragazzo». La vera omissione è proprio quella: non accettare il contesto e la situazione in cui Pasolini si è trovato. Non accettare la sua attrazione per i ragazzi eterosessuali. Questo è il vero problema su cui nessuno, o quasi, si misura, questo lo scandalo. L’omosessualità di Pasolini costituisce la radice vera della sua lettura della società italiana, l’elemento estetico, su cui egli ha fondato la critica della società dei consumi. Le lucciole, scomparse per via dell’inquinamento di fiumi e rogge, non sono solo la metafora della modernizzazione senza sviluppo, ma anche della scomparsa dei ragazzi eterosessuali disposti all’incontro sessuale con lui. Le lucciole sono i ragazzi stessi.
In un libro, Breve vita di Pasolini (Guanda), il cugino di Pier Paolo, Nico Naldini, ha raccontato cosa potrebbe essere successo la notte in cui fu ucciso. La trascorse al ristorante con Ninetto e sua moglie; poi incontrò Pino Pelosi che gli rammentava le fisionomie delle sue amicizie borgatare. Questo accese il desiderio: «Se il desiderio è solo libidine, esige un rapido appagamento. Ma se esso si allunga in aspettative voluttuose e se l’immaginazione è colpita dal ritorno del “sopravvissuto”, gli atti che si sono succeduti in quella sera trovano una collocazione». I due siedono al ristorante. Pasolini comincia a far domande. Si sente senza dubbio attratto e questo «gli fa perdere il senso del pericolo proveniente da una generazione che si è smarrita nei confini tra il bene e il male».
Nell’auto avviene il primo scambio sessuale. In quella sera «la disponibilità del ragazzo è fatale per Pasolini»; l’ha sentita probabilmente come un’apertura a un altro genere di complicità, e proprio questo ha spinto l’uomo a compiere un gesto inequivocabile il quale ha indotto nel ragazzo un elemento di terrore, «come una rivelazione implicita o l’atto offensivo di una supposizione», scrive Naldini. Questa è la situazione «in cui si accetta il proprio destino o lo si rifiuta; ma c’è una sospensione tra le due cose, la violenza diventa tanto maggiore». In Pelosi si scatena una violenza inaudita: non solo violenza contro l’incubo dell’altro, ma «pura hybris di fuggire da se stesso».
Una visione, non una certezza processuale. Ma cosa può fare un poeta, uno scrittore, se non muoversi tra le visioni? Questo era il metodo stesso di Pasolini. La sorpresa è dunque scoprire che non solo la sua particolare omosessualità, la predilezione per i giovani etero, venga rimossa dalla sinistra, ma che la sua lezione poetica e intellettuale sia disattesa da seguaci e difensori. Il delitto Pasolini è un delitto politico non perché operato per far tacere uno che «sapeva» la verità su un attentato o una strage, ma perché è stato ucciso un poeta che diceva verità scomode, uno che praticava lo scandalo di contraddirsi, che non scopriva segreti occulti, ma che rivelava tutto quello che era già evidente, e che nessuno voleva davvero vedere: «Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro di te; con te nel cuore, / in luce, contro di te nelle buie viscere».
CARLO LUCARELLI
Se Pier Paolo Pasolini non fosse Pier Paolo Pasolini forse ragionare sulla sua morte non sarebbe così importante. Potremmo concentrarci sulla sua opera e dimenticarci di quel "fattaccio", archiviarlo da qualche parte sottraendolo a quella morbosa "voglia di giallo" che alcuni rimproverano con forza a chi si ostina ad avere dei dubbi.
Ma Pier Paolo Pasolini non è soltanto uno scrittore qualunque, Pasolini è un poeta, uno di quelli che vivono sulla propria pelle il loro essere poeti, e quindi capire come e perché è morto oltre ogni dubbio diventa importante anche per la sua opera. Pasolini è un maestro, di scrittura e di ragionamento e io voglio sapere se l´uomo sul cui "Io so" ho formato gran parte del mio sentire le cose di ieri e di oggi sia un violentatore di ragazzini oppure no.
Perché una verità ufficiale sulla morte di Pier Paolo Pasolini c´è. Il 2 novembre del 1975 Pasolini si apparta nella zona di Ostia con Pino Pelosi assoldato davanti alla stazione per un rapporto sessuale. Pelosi non vuole, Pasolini insiste, Pelosi reagisce e uccide Pasolini.
AUTORE1
Agli atti di una verità processuale (e non solo) ancora monca, non mancherebbe soltanto il capitolo di un libro (Petrolio). Mancano anche trenta minuti di pellicola a "futura memoria" che nell´autunno del 2005 vennero girati in una casa di Fiumicino, accanto al letto di morte in cui si stava lentamente spegnendo Sergio Citti, l´attore e il regista che con Pier Paolo Pasolini aveva condiviso una vita. Dietro la macchina da presa, il regista Mario Martone. A porre le domande, l´avvocato Guido Calvi, legale della famiglia Pasolini. Che oggi ricorda: «Avevo saputo che la prima settimana del novembre ´75, pochi giorni dopo la morte di Pier Paolo, Citti con la sua cinepresa in superotto era andato all´Idroscalo di Ostia per fissare la scena del crimine. Era una pellicola muta e nondimeno un documento eccezionale».
A differenza delle pagine asseritamente scomparse di Petrolio, la testimonianza di Citti sarà presto consegnata da Calvi alla Procura di Roma che ha per la terza volta riaperto l´indagine sull´omicidio. Anche perché in quelle immagini si documenta come, per quanto compromessa, la scena del crimine fosse ancora in grado di "parlare". Di confermare quello che Pino Pelosi avrebbe ammesso solo con il tempo (nel 2005). Che ad uccidere Pasolini, la notte tra l´1 e il 2 novembre del ´75, furono più uomini. Una verità, questa, per altro già testimoniata 35 anni fa dalle tracce biologiche presenti sulla macchina di Pasolini (una macchia di sangue sul lato del passeggero che non apparteneva né al regista né a Pelosi), da ciò che venne ritrovato al suo interno (un maglione e un plantare di scarpa, anche questi di ignoto proprietario), dall´assenza di qualsiasi traccia di colluttazione sul corpo e sugli abiti di Pelosi al momento del suo arresto, poco dopo l´omicidio. E tuttavia mai esplorata fino in fondo. Se non con due indagini riaperte e quindi archiviate in questi ultimi anni dalla Procura di Roma.
Ricorda ancora Calvi: «Citti era convinto, e la sua testimonianza video ne dà conto, che Pasolini venne attirato in una trappola. A suo dire, erano state rubate alcune pizze di Salò e Pelosi fu l´esca che lo convinse quella notte che era possibile recuperarle e che dunque lo spinse a raggiungere Ostia». Gli assassini forse lo seguirono. Forse lo aspettarono all´Idroscalo. È certo che il regista, prima di essere sopraffatto, lottò con i suoi assassini. Il suo sangue, le ciocche dei suoi capelli vennero repertate in un raggio di settanta metri. Una mattanza di cui Pelosi fu testimone, verosimilmente senza mai scendere dalla macchina.
Su un punto, del resto, Calvi è propenso a ritenere più che attendibile la ricostruzione di Citti. «Quell´ultima notte, Pasolini cenò due volte. E per due volte raggiunse la stazione Termini. Soprattutto, percorse 150 chilometri per raggiungere l´Idroscalo di Ostia dal quartiere di san Lorenzo, poco più di 30 chilometri in linea d´aria. Una distanza dunque incompatibile per chi cercava semplicemente un luogo in cui appartarsi per un rapporto sessuale».
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«Perché una verità ufficiale sulla morte di Pier Paolo Pasolini c´è. Il 2 novembre del 1975 Pasolini si apparta nella zona di Ostia con Pino Pelosi assoldato davanti alla stazione per un rapporto sessuale. Pelosi non vuole, Pasolini insiste, Pelosi reagisce e uccide Pasolini.» CARO MANFREDI questa versione sarebbe la verità ufficiale sulla morte di Pasolini, ma come tutti pensano (compreso il sottoscritto) sicuramente Pelosi non era l'unico in compagnia di Pasolini quella sera. Probabilmente c'è stato un agguato e alcuni complici del Pelosi lo hanno ucciso....Il Pelosi da solo non avrebbe mai potuto infliggere simili sevizie su Pasolini. Che Pelosi poi non volesse il rapporto sessuale mi pare inverosimile visto che conosceva già Pasolini e sapeva delle sue inclinazionii....Pelosi, visto che salì in macchina e si diresse con lo scrittore in un luogo appartato, sapeva che cosa Pasolini voleva fare con lui. Potrebbe aver litigato sul compenso, sul tipo di prestazione, ma non che non volesse fare sesso: lui era un ragazzo di vita. Comunque penso che la verità non si saprà mai..
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Il senatore aveva detto di aver letto pagine del capitolo scomparso di «Petrolio»
Dell'Utri sarà ascoltato dai giudici per la morte di Pierpaolo Pasolini
Sotto esame le vicende relative all'Eni dell'epoca e la morte di Enrico Mattei
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Il senatore aveva detto di aver letto pagine del capitolo scomparso di «Petrolio»
Dell'Utri sarà ascoltato dai giudici
per la morte di Pierpaolo Pasolini
Sotto esame le vicende relative all'Eni dell'epoca e la morte di Enrico Mattei
ROMA - Il senatore Marcello Dell'Utri sarà prossimamente ascoltato in Procura a Roma sulla morte dello scrittore Pierpaolo Pasolini avvenuta nella notte tra l'1 e il 2 novembre del 1975 all'idroscalo di Ostia. Dell'Utri sarà in particolare interrogato su un capitolo del libro Petrolio, scritto da Pasolini, capitolo del quale si sono perdute le tracce e che il 12 marzo scorso è stato oggetto di un'intervista di Dell'Utri al Messaggero, nella quale il senatore sosteneva di averne letto delle pagine, annunciando anche che sarebbe poi stato mostrato al pubblico,cosa che invece non è poi mai avvenuta.
A sollecitare l'approfondimento di questi fatti è stato il professor Guido Calvi che rappresenta come parte civile la famiglia di Pasolini e anche, come parte offesa l'ex sindaco di Roma Walter Veltroni, in un procedimento scaturito dalle dichiarazioni pubbliche fatte da Giuseppe Pelosi, condannato per il delitto, su fatti e circostanze nuove sulla morte dello scrittore.
LOSCHI INTRECCI - Nell'intervista Dell'Utri riferendosi alla scomparsa del capitolo ha detto d'aver letto quelle carte e che in queste si faceva riferimento a vicende relative all'Eni dell'epoca, a loschi intrecci, a circostanze relative alla morte di Mattei e ad altri casi irrisolti a cominciare da Mauro De Mauro. Sullo stesso argomento tempo fa un altro penalista, l'avvocato Stefano Maccioni, aveva presentato alla Procura la richiesta di ascoltare Dell'Utri, su circostanze da lui conosciute in base a notizie raccolte presso la Procura della Repubblica di Pavia, che si occupò della morte di Enrico Mattei.
INDAGINE MAI CHIUSA - La richiesta era stata presentata al pubblico ministero Francesco Minisci al quale è stata affidata l'indagine mai chiusa sul caso Pasolini, dopo il trasferimento ad altro ufficio della collega Diana De Martino. Rivolgendosi alla Procura, l'avvocato Calvi chiede di indagare sul capitolo del libro "Petrolio" scomparso che secondo Walter Veltroni sarebbe in possesso di un istituto. In sostanza la Procura dovrebbe reperire il documento che «potrè essere decisivo al fine di comprendere le ragioni dell'omicidio di Pierpaolo Pasolini e individuare finalmente gli ignoti e possibilmente i mandanti di uno dei più terribili eventi vissuti dal nostro Paese».
29 marzo 2010
In questo filmato tratto dalla celebre trasmissione "Comizi d'amore": una inchiesta sulla sessualità degli italiani negli anni 60, Pasolini fa domande sul sesso a dei ragazzini:
www.youtube.com/watch
Bondi ha riferito di aver chiesto lumi allo stesso Dell´Utri. Il quale gli ha confermato d´aver avuto in mano una settantina di fogli di carta velina (una copia, dunque: ma manoscritta o dattiloscritta?). Titolo, "Lampi su Eni", lo stesso che compare su una pagina bianca del dattiloscritto trovato nello studio del poeta dopo la sua morte. «Me lo ha portato una persona che non conosco», racconta ora Dell´Utri, aggiungendo l´inedito dettaglio sull´identità a lui ignota del personaggio. Il quale, scosso dal clamore seguito all´annuncio, sarebbe poi svanito.
Veltroni aveva chiesto di fare chiarezza sulla vicenda, aggiungendo che la famiglia di Pasolini non crede all´esistenza di un capitolo scomparso - e con lei anche Walter Siti, curatore del Meridiano Mondadori con i romanzi dello scrittore. «Se questo capitolo esiste, come è arrivato nelle mani di Dell´Utri?», si domanda Veltroni, «chi lo ha portato via da casa Pasolini, chi lo ha consegnato in mani diverse da quelle della famiglia o dei curatori dell´opera di Pasolini? Ma se questo capitolo non esistesse, di cosa stiamo parlando?».
I carabinieri del nucleo di tutela dei beni culturali avvieranno dunque le indagini. Come primo atto si presume che interrogheranno Dell´Utri (che lamenta «speculazioni più che altro politiche» di Veltroni), al quale chiederanno dettagli per risalire al misterioso possessore del testo. Questi non potrà sottrarsi e dovrà raccontare come ha avuto il documento, di cui in ogni caso occorrerà accertare l´autenticità. E gli unici a poterlo fare sono i filologi che hanno dimestichezza con le carte pasoliniane. Se il testo dovesse venir fuori e si dovesse appurare che fu rubato (ma anche questo particolare è smentito dall´erede di Pasolini, Graziella Chiarcossi, e dal cugino Nico Naldini), potrebbe scattare un procedimento per ricettazione. Sempre che quel testo esista e non sia una bufala.
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La bomba sull'aereo di Enrico Mattei la mettono i carabinieri dei servizi militari su ordine DC-PCI.
Era la precondizione del centro-sinistra DC-"PSI".
"La sCIA, er Kagghebbe', i frascessi, gl'inglessi, immerregani." <== Cazzate solite!!!
!!!!!!!CARABINIERI [dell'Ufficio Operazioni "Speciali" CC, in usuale missione delinquenziale] agli ordini del governo reale.!!!!!!!
L'ENI post-Mattei si deve barcamenare.
Senno', DC-PCI-Carabinieri potevano fare il bis.
Lo fanno, in parte, col golpe "DiPetro".
Pasolini che si barcamena, cheffa', aveva notizie riservate? Ma figuremooooooooooooooooooooooooooosce!!! Quando sembra pisciare troppo fuori dall'orto picci, "il governo" lo fa far fuori dai CC [usano miliziani "fascisti" o comuni].
"La Stampa", 10 Marzo 2010, pag. 42
Dell’Utri non ha più Petrolio
MARIO BAUDINO
Il misterioso capitolo di Petrolio dove Pasolini avrebbe circostanziato il suo atto d’accusa contro il malaffare italiano, e soprattutto contro Eugenio Cefis e la sua politica come presidente dell’Eni, il capitolo perduto o forse rubato di cui il senatore Marcello Dell’Utri aveva annunciato il clamoroso ritrovamento, ebbene, è di nuovo scomparso nel nulla. Era atteso alla Mostra del libro antico che si inaugura giovedì a Milano, e rappresentava il pezzo pregiato almeno dal punto di vista della comunicazione, viste le polemiche che ha suscitato in questi giorni. Ora però il senatore bibliofilo, e organizzatore della rassegna, raffredda le attese: «credo che non faremo a tempo», dichiara al Messaggero.
Marcello Dell’Utri ammette di non averlo in mano. Gli era stato sì mostrato (nei giorni scorsi aveva anche spiegato di averne letto una «sintesi») ma ora «chi glielo aveva proposto», forse impaurito o infastidito dal gran parlare che se n’è fatto, è scomparso col suo tesoro, o presunto tale: perché di questo capitolo si è parlato a lungo, negli anni, ma molti dubitano che sia mai esistito. Fra questi una fonte indubbiamente autorevole come Graziella Chiarcossi, nipote dello scrittore, che aveva curato con Aurelio Roncaglia l’edizione postuma di Petrolio per Einaudi. Se non esisteva, non poteva essere rubato. E in ogni caso ha sempre smentito che ci fosse stato un furto in casa dopo la morte di Pasolini, come invece sostengono quanti credono alla tesi secondo cui il poeta sarebbe stato ucciso sul litorale di Ostia per motivi politici, e anzi proprio per i segreti che andava raccogliendo nelle ricerche su Petrolio.
Il mistero, così, rimane intatto, anzi si colora di nuove sfumature, come accade in genere per i «misteri italiani», inossidabili a qualsiasi chiarimento. Ma quanto si è consumato sulla scena mediatica - in fondo, fin’ora è stato solo un balletto di annunci - potrebbe essere benissimo un altro capitolo del libro pasoliniano, o magari un sarcastico romanzo di Sciascia. In ogni caso, è sempre possibile rifrescarsi la memoria, proprio a Torino: lo Stabile mette in scena da una settimana Il signore del cane nero (con Laura Curino e regia di Gabriele Vacis), uno spettacolo sull’Eni di Enrico Mattei che ha come punto di riferimento proprio Petrolio.
"La Stampa", 10 Marzo 2010, pag. 42
Pasolini/le ceneri di Ostia
All’Idroscalo un’ordinanza del sindaco abbatte con le ruspe
la borgata ricca di memorie dove fu ucciso lo scrittore
La prima volta che visitai quest’ultima borgata di Roma mi venne in mente il detto di Cézanne, rilanciato in anni recenti da Wim Wenders: «Bisogna fare presto se vogliamo ancora vedere qualcosa, tutto sta per scomparire». L'Idroscalo di Ostia, quartiere del XIII municipio di Roma, sorta di favela messicana alla foce del Tevere - cosi chiamata per gli idrovolanti che nel ventennio fascista partivano da qui (Fiumicino sarebbe nata molto più tardi) sta effettivamente per sparire.
Ci si arriva lasciandosi alle spalle i palazzoni edificati dal sindaco Petroselli negli Anni 80, si costeggiano i cantieri navali del Porto Turistico coi lussuosi yachts ancorati, e l’oasi della Lipu con il monumento a Pier Paolo Pasolini (nel luogo in cui fu ammazzato), oltre la quale a volte volteggiano fenicotteri bianchi e rosa. Sulla destra, dietro una fabbrica di materassi in un terrain vague cespuglioso, l’ottagonale torre di avvistamento progettata da Michelangelo (detta anche «Torre di San Michele»), abbandonata da anni a non essere vista né ad avvistare più nulla. Finché finisce la strada, in prossimità della foce, tra il mare e il nulla, un nulla non privo di dolcezza, dai colori pastello.
Era un mondo sopravvissuto, testimonianza del proprio difficoltoso sopravvivere, fatto di estremamente poveri e precari, case e baracche fatte con materiali di risulta a ospitare centinaia di persone e di famiglie, italiane e non. Gente che lavora, altri che entrano ed escono di prigione. Nella miseria, statuine di Padre Pio, vasi di fiori, decorazioni sulle porte. Prolungamento del mondo cui aderiva oltre trent’anni fa Pier Paolo Pasolini, molti dei suoi abitatori mi ricordarono in realtà i film di David Lynch, uomini e donne coperti di tatuaggi che vidi emergere in estive sere festose alla luce rubata dai pali elettrici, animate dal karaoke, dai balli, da un vociare povero e sgargiante. E, come ogni anno, nella devozione quasi pagana, forse per questo ancora più religiosa, della festa dell’Assunta il 15 agosto, detta anche Festa del Mare: quando il barcone con la statua lignea della Madonna, i lunghi capelli sciolti come nella canzone di De André, prende il largo, e i sottoproletari precari (chiamiamoli così) festeggiano in compagnia di preti, carabinieri e guardie di finanza. Una solennità iperreale e sballata, come i fuochi d'artificio fuori sincrono. Momento catartico di condivisione di una comunità disaggregata.
L’Ordinanza del Sindaco n. 43 del 17 febbraio 2010 si è attuata all’improvviso la settimana scorsa: centinaia di poliziotti, scavatrici e ruspe sono giunti per compiere gli «interventi urgenti necessari a fronteggiare l’emergenza» in riferimento ai «fenomeni metereologici intensi e generalizzati», come «le ondate di maltempo e le mareggiate che si sono abbattute sul litorale di Ostia». Queste le ragioni dello «sgombero forzato e immediato (...) di ogni abitazione locale, struttura ed edificio insistente in zona "Idroscalo" di Ostia, esposti a rischio di allagamento e di isolamento (...)». È vero, vivere qui, dimenticati da tutti, era faticoso e rischioso, eppure è stato per anni un luogo abitato, non un non-luogo, i cui viottoli hanno nomi come via delle Carlinghe, via dei Mercantili. E tutti sanno, lo dicono da tempo a voce alta, che il degrado era nell’interesse degli affaristi, che il Porto Turistico, corposa operazione immobiliare sorta in terreno demaniale, che ha già mangiato pezzi dell'oasi naturale gestita dalla Lipu, mira ad espandersi. Quelle miserabili catapecchie a un passo dal fiume e dal mare, trasformate in alberghi e ville geometrili, potrebbero diventare facilmente legali.
Nella grande piazza circolare da far west, capolinea di un autobus azzurro come negli anni Cinquanta, dove l’estate scorsa c’era il karaoke e avveniva l’elezione di Miss Idroscalo, ora giocano tra le macerie alcuni ragazzi con una palla gialla, inseguita da un cane. Altri bambini giocano tra le case senza porta sopravvissute, come a Gaza dopo un bombardamento. Tra le macerie spianate e gli scogli neri emergono detriti colorati, pezzi di mattonelle, lembi di abiti. Anche la dignitosissima casetta con giardino di un pensionato coi capelli bianchi, che durante lo sgombero gridava con voce straziante a un ufficiale che si trattava di «una deportazione», è stata demolita. Il lessico ricorrente nello sgombero era perturbante: una «bonifica», come se i poveri fossero ratti o erbe maligne.
Un video documentario dell’operazione, trasmesso da www.c6.tv, tra bimbi che piangono e donne che gridano, si chiude sulle lapidi bianche che a pochi passi, in via dell'Idroscalo, dove Pasolini fu ucciso, riportano celebri frammenti di sue poesie tratti da Una disperata vitalità e soprattutto, profetica già nel titolo, da Il pianto della scavatrice (1956). Incontro qui l’amico poeta Sergio Zuccaro e la fotografa Maria Andreozzi: abitano nei pressi, sono stati qui per ore ad osservare.
Mi aggiornano: anche una casa di loro amici è stata abbattuta; il sindaco Alemanno e suoi collaboratori, stivali di gomma firmati e planimetrie incomprensibili da esibire, hanno promesso a tutti case popolari; gli animi si sono placati all'offerta, ma colpiva la mancanza di coesione tra la gente: chi è disperato, chi rassegnato dalle promesse, chi spera che venga abbattuta anche la propria casa per poterne avere una nuova. Nessuna forza politica e culturale che potrà difenderli anche da loro stessi. Mentre parlavano col prete, enormi scavatrici sbriciolavano gli ultimi poveri materiali con cui erano fatte le baracche, e sembrava che si lamentassero o piangessero come nei versi di Pasolini.
«Solo, o quasi, sul vecchio litorale / tra ruderi di antiche civiltà, / Ravenna / Ostia o Bombay - è uguale - / con Dei che si scrostano problemi vecchi / - quali la lotta di classe - / che / si dissolvono...». Alzo gli occhi, e vedo l’immancabile profilo reale di nuove gru, nuovi pasoliniani palazzoni e cantieri edili all'orizzonte.
William ha scritto:
L'articolo della "Stampa" dice che i ragazzi in questione avevano uno 15 e gli altri 16 anni: non mi sembra corretto parlare di pedofilia. Naturalmente questo non vuol dire che non si possa criticare questi comportamenti.
In un altro thread William ha scritto:
E io preferisco che tu e specialmente gli "altri pedofili" veniate puniti dalla legge se mettete in atto queste vostre preferenze.
Caro LICHERI: è vero che Pasolini preferiva ragazzi di 15-16 anni (ma gradiva anche ragazzini di 12-13 anni) e la definizione pedofilo nel suo caso è forzata ma, come tu saprai, all'epoca di Pasolini esistevano i "pederasti" che avevano le stesse preferenze di Pasolini, poi questo termine -non si sa perchè- è stato aboilito e si è preferito far rientrare il tutto nella parola pedofilo. Io preferisco ragazzi più giovani e quando dico preferisco, non significa necessariamente che io voglia andarci a letto (tutti pensano erroneamente che i pedofili siano degli assatanati maniaci sessuali...) ma indico che preferisco la loro compagnia. Per ciò che riguarda la legge sarebbe un capitolo lungo....Già Pasolini ha avuto problemi con la giustizia per "violenze su minori". E' stato espulso dal partito per le sue preferenze sessuali, ha fatto scandalo il suo libro: "Ragazzi di vita" etc. Certo, la morale di quei tempi era diversa, ma anche quella attuale non è certo più permissiva....Sembra più permissiva ma se si gratta un po' sotto la superficie della "tolleranza" se ne scoprono delle belle.
La scoperta del dattiloscritto di Pasolini «è tutta da verificare», dice ora l´ex manager di Pubblitalia, braccio destro del Cavaliere. Ma intanto ne ha dato l´annuncio come se quel testo fosse già al sicuro nella cassaforte del suo studio. Raggiunto ieri sera al telefono aggiunge: «Questa scoperta mi è stata annunciata da una persona che è sulle tracce del testo. Spero si faccia in tempo per la mostra del libro antico». Ma lei è sicuro dell´attendibilità di chi le ha dato l´informazione? «Sì. Certo se poi il testo non dovesse materializzarsi, l´attendibilità verrebbe meno. Anch´io sono molto curioso di capire di che si tratta e spero non sia soltanto un annuncio». Altro dettaglio: il testo Dell´Utri non lo possiede materialmente, ma neanche l´ha letto. Ne ha visto "una sintesi".
L´annuncio dato martedì mattina, a margine della conferenza stampa di presentazione della rassegna per bibliofili, aveva destato clamore. Sul presunto capitolo mancante di Petrolio si è a lungo discusso. Intanto per motivi letterari: ripristinare l´integrità di un romanzo pasoliniano non sarebbe affare da poco. Ma anche per altro. Il quel capitolo Pasolini farebbe riferimento a misteriose vicende legate al mercato del petrolio, al conflitto fra Eugeno Cefis ed Enrico Mattei, alla morte di quest´ultimo. Queste vicende e anche il presunto capitolo scomparso sono al centro di un lavoro teatrale che va in scena proprio in questi giorni a Torino: si intitola Il signore del cane nero, di Laura Curino e Gabriele Vacis.
Ma Walter Siti, che ha curato le opere di Pasolini per i Meridiani Mondadori, è scettico: «La stessa idea di un capitolo mancante contrasta con la struttura di Petrolio. Il testo lasciato da Pasolini è talmente lacunoso per cui parlare di un´unica parte scomparsa ha poco senso. Quel dattiloscritto lo vide Enzo Siciliano. Poi la famiglia di Pasolini restò a lungo in dubbio se pubblicarlo o meno. Alla fine il testo venne affidato a un grande filologo come Aurelio Roncaglia, che ne fece l´edizione nel 1992». Scettico Siti è anche sul furto: «Se ne è spesso parlato, ma io non ne ho notizia. Si disse anche che sarebbero state rubate delle pizze del film Salò...». Di fatto, aggiunge Siti, bisogna vedere il testo al quale fa riferimento Dell´Utri. Sempre che ci sia. Ma Pasolini poteva aver raccolto informazioni in qualche modo riservate e in grado di far luce, giudiziariamente e non come consapevolezza storica e culturale, sulla morte di Enrico Mattei o su altri misteri italiani? «A me sembra improbabile», è la risposta di Siti.
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