A causa delle difficoltà tecniche riscontrate nelle prime settimane di test del nuovo forum,
diversi utenti non sono riusciti a recuperare il loro vecchio account sul forum o
a unificarlo con gli account aperti su altri siti della galassia radicale.
Ora è possibile farlo effettuando il log in con i vecchi nome utente e password.
TELEKOM SERBIA, RADICALI DA FASSINO PAROLE IMPORTANTI, MA NON BASTA
Comunicato di Benedetto Della Vedova e Gianfranco dell’Alba deputati europei e Giulio Manfredi membro del Comitato Nazionale Radicali Italiani
Le dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera da Piero Fassino cominciano (tardivamente, troppo tardivamente, ma tant’é…) a gettare un fascio di luce sull’operazione Telekom Serbia nel 1997 il Governo italiano, secondo quanto concordato tra UE e USA dopo gli accordi di Dayton, spingeva le imprese ad investire in Serbia per incoraggiare la democratizzazione dei Balcani (allora, prima della cacciata di Milosevic, una chimera, coma Fassino ben sa).
Con queste parole, forse, si comincia a stracciare il velo di ipocrisia e di reticenza che fino ad oggi aveva portato i politici protagonisti della vicenda a negare tutto, compresa l’evidenza dell’impossibilità che un’operazione di tali dimensioni e sensibilità politica potesse passare inosservata.
Del resto, non si trattava di impiantare uno stabilimento della Coca Cola. La Stet era una azienda pubblica – a differenza di quanto sostiene nell’intervista il leader della Quercia la privatizzazione avvenne quasi sei mesi dopo la conclusione dell’affare – e questo rende peculiare la transazione seppur decise dagli amministratori (come ancora sostiene Fassino), le operazioni di cessione/acquisizione incidono patrimonialmente sugli azionisti, in questo caso il Governo italiano, che ha pagato, e quello serbo di Slobodan Milosevic, che ha riscosso.
Noi crediamo, senza dubbio alcuno fino a prova provata del contrario, che Fassino sia estraneo a qualsiasi ipotesi di corruzione.
Ma i radicali hanno denunciato fin dal 25 giugno 1997, con l’interrogazione parlamentare lasciata senza risposta del senatore Milio, la gravità del caso Telekom Serbia. Si chiedeva, tra l’altro “quale rilevanza strategica è sottesa all’operazione? ..tale rilevanza giustifica il rafforzamento del regime di Slobodan Milosevic?”
Nessuno dei Ministri di allora interessati all’operazione in ragione del proprio ufficio, Prodi, Dini, Ciampi e lo stesso Fassino, trovarono mai le parole per rispondere ai radicali.
Oggi, con oltre sei anni di ritardo, Fassino comincia a fare un po’ di chiarezza, rivendicando in qualche modo le buone ragioni politiche che potevano spingere il Governo italiano ad avallare l’operazione.
Ma non è possibile pretendere, come sembra voler fare Fassino, di archiavare la responsabilità politica di aver materialmente sostenuto i preparativi di Milosevic in vista del massacro kossovaro come una “scommessa fallita della comunità internazionale”.
Ciò che è accaduto era prevedibile e previsto – innanzitutto dai radicali-, cavarsela con una battuta non è possibile. Ci aspettiamo che Fassino abbia il coraggio, avendo abbandonato la strategia del silenzio, di andare fino in fondo nella ricerca e/o assunzione della piena responsabilità politica dell’accaduto.
Il legale del premier Ghedini "Querela o azione civile"
Il leader della Quercia "Non ci lasceremo intimidire"
Telekom Serbia, Berlusconi
vie legali contro Fassino
ROMA - Si inasprisce la polemica sulla vicenda Telekom Serbia. Alla dichiarazione di Piero Fassino che ieri ha accusato Silvio Berlusconi di essere "il burattinaio" del teste Igor Marini, il premier risponde annunciando che adirà le vie legali contro il leader della Quercia. E Piero Fassino, aprendo il dibattito alla festa dell'Unità di Modena, replica con un secco "Non ci lasceremo intimidire".
"Il presidente del Consiglio ha dato mandato ai suoi legali di perseguire in giudizio l'onorevole Fassino per le sue gravi e calunniose affermazioni", ha dichiarato in serata il portavoce del premier, il sottosegretario Paolo Bonaiuti. Successivamente l'onorevole Nicolò Ghedini, uno dei legali di Berlusconi, ha precisato che non è ancora stato deciso se si tratterà di una querela o di un'azione civile. "Decideremo se si tratterà di una querela per diffamazione, di un'azione civile o di tutte e due le cose", ha spiegato l'avvocato raggiunto telefonicamente.
"Come minimo la denuncia sarà per diffamazione vediamo se ci sono anche gli estremi per una calunnia" ha aggiunto. Ghedini, che seguirà la causa, dopo aver spiegato che potrebbe configurarsi anche l'offesa al "corpo politico", sostiene che quella del segretario dei Ds "è un'affermazione che non ha nulla di politico. Fassino, invece di andare a difendersi dalle accuse mosse nel processo da parte di Marini, viene a dire che questo testimone sarebbe gestito da Palazzo Chigi. Mi sembra un modo di difendersi straordinario".
Qualche ora dopo, a Modena, Fassino rivolgendosi ai duemila in platea alla Festa dell'Unità ha commentato "Voglio solo dire che c'è un unico Paese, l'Italia, in cui chi viene ingiuriato, aggredito e attaccato per mesi poi viene anche querelato. Chiunque può constatare che in questi mesi sono stati gli uomini più vicini al presidente del Consiglio ad attaccarmi. Chiunque può comperare un quotidiano che si chiama Il Giornale * che conduce da mesi una campagna contro gli esponenti del centrosinistra".
Quindi, alzando la voce, ha proseguito "Sono io che pretendo delle scuse per essere stato vittima di un'aggressione che va avanti da mesi. Non c'è molto altro dire" ha concluso "se non che non ci lasceremo intimidire". Alle sue parole è partito un applauso e molte grida tipo "Vai avanti", "Tira fuori la grinta".
La decisione di adire le vie legali contro il leader della Quercia è cominciata a maturare fin da ieri sera a Porto Rotondo quando, poco dopo le 21, le agenzie hanno battuto la pesante dichiarazione di Fassino che alla Festa dell'Unità di Bologna ha lanciato il suo siluro all'indirizzo del premier. Dietro le accuse di Igor Marini, sull'affare Telekom Serbia, ha detto il leader Ds, c'è un "burattinaio" e costui "si trova a Palazzo Chigi".
Berlusconi aveva appena accolto i suoi ospiti a Villa Certosa per la cena in onore del presidente russo Vladimir Putin. Il presidente del Consiglio ha manifestato subito ai presenti tutta la sua amarezza quando ha letto le agenzie. E con tutta probabilità fin da ieri sera Berlusconi ha preso contatto con i suoi legali per decidere il da farsi. E per tutta la giornata di oggi ha tenuto un filo diretto con i suoi avvocati.
Poi, a 24 ore dalla dichiarazione di guerra di Fassino, dunque, l'annuncio dell'azione legale. Bonaiuti si è presentato all'hotel San Marco dove i cronisti da ore attendevano l'arrivo del premier, convinti che Berlusconi volesse incontrare la stampa per fare un bilancio della visita del presidente russo, ma anche per "esternare" sul caso Fassino. Alla fine, però, è stato deciso di affidare al portavoce lo stringato comunicato.
(31 agosto 2003)
Tony Renis prepara il festival di San Remo «Il Cavaliere è bravissimo però il pianoforte lo controllo io. Silvio però è proprio bravo. Invece quel Mortadella lì dovrà dirci cosa sa di Telekom Serbia». Repubblica, 31 agosto, pagina 4. Per il Dopofestival è prevista la partecipazione di Igor Marini.
[…]«…rispondo alle domande che mi sono state rivolte da Ernesto Galli della Loggia.
Intanto, quella secondo la quale si doveva bloccare l’acquisto di Telekom Serbia per non aiutare Milosevic. Si dimentica che nel 1995, dopo la pace di Dayton, la scelta di Usa e Ue fu di tentare di favorire un’evoluzione democratica nei Balcani. Via le sanzioni, via l’embargo. Le imprese europee e statunitensi furono incoraggiate a investire...».
Insomma, la mano a Milosevic non la deste voi, ma Usa e Ue.
«Gliela diede la comunità internazionale. E non è stata mica la prima volta. Altrimenti si dovrebbero creare commissioni di inchiesta anche sulla Cina per i diritti umani, sugli investimenti della Fiat a Togliattigrad in Urss, o sulle relazioni con l’Iran».
In questo caso, ci si chiede come mai nessuno sembri saperne nulla, come mai nessuno sia intervenuto.
«Ma perché dovevamo intervenire? La trattativa era nota e il governo non ha avuto alcun ruolo perché non doveva averlo, come peraltro in commissione è stato già ampiamente spiegato. Se a livello internazionale la strategia fosse stata quella di isolare Milosevic, allora si sarebbe dovuto intervenire. Ma poiché non era così, il governo non lo fece».
E i dispacci preoccupati del nostro ambasciatore a Belgrado?
«Le parole dell’ambasciatore alla commissione dimostrano la mia assoluta correttezza e la mia totale estraneità alla vicenda» (*) .
Perché Telekom Serbia fu pagata una cifra e rivenduta anni dopo ad un prezzo dimezzato?
«Sono decisioni aziendali, non dell’autorità politica. E’ un’azienda a decidere il prezzo di un acquisto o di una cessione. Perché la decisione doveva spettare al governo? Tanto più che fu conclusa quando Telecom era una società privata e la presenza dello Stato era irrilevante. D’altra parte, le scelte di un’azienda sono prerogativa dei suoi amministratori» .
---- (*) Dalla deposizione dell’ambasciatore in commissione, seduta del 9 ottobre 2002 “Verso gennaio [1997], si diffondono voci, commenti su un interesse italiano ad acquisire il 49 per cento (che era il tetto massimo) di Telekom-Serbia, che andava quindi scorporato dalla PTT serba. A questo punto, come poi è emerso, sono iniziate critiche nei confronti dell'Italia, in quanto si vedeva in questa iniezione di denaro fresco un puntello al regime di Milosevic che stava crollando, dal momento che dal novembre 1996 era in corso un braccio di ferro con l'opposizione, la quale affermava che Milosevic aveva «scippato» le elezioni locali del 17 (se non erro) novembre 1996.
Questo lungo braccio di ferro, che si sostanziava in quotidiane manifestazioni di strada e discorsi dei leader dell'opposizione, in gennaio era ormai arrivato ad una conclusione favorevole all'opposizione, per l'intervento dell'OSCE e della comunità internazionale (Felipe Gonzales). Milosevic aveva dovuto fare marcia indietro e si preparava a vincere le elezioni politiche del settembre successivo. Quindi, in una situazione finanziaria gravissima, fallimentare, la prospettiva di poter incamerare un miliardo di dollari per la vendita del 49 per cento, denaro fresco a sua piena disposizione, veniva vista dall'opposizione come un aiuto politico nei confronti di Milosevic.
Questi sono i messaggi che tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio vennero portati da molti interlocutori, anche i più in vista , come Djindijc, Draskovic o Avramovic, che era il governatore della banca centrale. Nel corso del mese di febbraio io riferii alcune volte su queste vicende.
[…]
Dopo aver telegrafato, alla fine di gennaio e il 7 febbraio al ministero, avendo ricevuto dalla direzione generale competente una risposta abbastanza concisa, per non dire anodina, ed avendo nel frattempo ricevuto altri messaggi da personaggi del settore democratico della Serbia, scrissi, in effetti, al sottosegretario Fassino, il quale era stato una volta, a novembre, a Belgrado, proprio per lanciare il discorso della cooperazione economica, ovviamente su incarico del ministro Dini, e poi era tornato a metà gennaio, sempre su incarico del ministro Dini, per ravvivare il dialogo con l'opposizione e, al tempo stesso, mantenere il dialogo sulla collaborazione economica. In quella occasione, Piero Fassino mi aveva manifestato un forte disagio per questa trattativa, che, come io stesso sottolineavo e come egli percepiva, si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare l'ambasciata ed informando il ministero solo su pressante richiesta del ministero stesso ed in modo piuttosto incompleto. Avendomi egli manifestato queste perplessità e non avendo io un rapporto diretto con il ministro, ritenni - al di là delle comunicazioni che un ambasciatore manda per telegramma a vari indirizzi, quindi a nessun indirizzo in particolare e che spesso possono non raggiungere i vertici del ministero - di attirare l'attenzione del sottosegretario Fassino, il quale era, appunto, stato mio ospite per due volte a Belgrado in tempi recenti.
[…]
Io cercai di sollecitare una risposta, che comunque non era dovuta - dall'estero noi scriviamo sempre, ma il ministero non è tenuto a rispondere -, per sapere se vi fosse un seguito e mi si disse che la cosa era stata portata all'attenzione di chi di dovere. Non ho modo di sapere a chi personalmente sia stata portata. […] Ai miei sondaggi, fatti a voce, per telefono fu risposto più o meno «non ti preoccupare, la cosa è all'attenzione del primo piano» o qualcosa del genere. […]Io non ho più avuto altre informazioni. Dopo febbraio la Telecom si è chiusa in un totale silenzio. La direzione generale degli affari economici non ha dato l'impressione di volerne sapere di più. Come tutti ormai avranno compreso, vi è stata una volontà politica di non interferire in quello che veniva considerato un negoziato aziendale, anche se Telecom a quel tempo era ancora una società non privatizzata. […]Le mie comunicazioni, che attiravano l'attenzione sul carattere un po' speciale di questa operazione ed anche su certi rischi, erano state molteplici, ma c'è sempre un limite oltre il quale un funzionario non va, se ha l'impressione che i suoi superiori siano al corrente e non intendano dare certi seguiti o, se li danno, non intendono informarne l'ambasciata.
[…]
Vorrei aggiungere che il 15 gennaio Tomasi di Vignano fu a Belgrado, senza mettersi in contatto con noi, vide Milosevic, che era presidente della Serbia, Milutinovic che era ministro degli esteri della Federazione, e Marianovic, che era primo ministro. Stranamente questa visita coincise con la seconda visita del sottosegretario Fassino, il quale non fu in alcun modo coinvolto, venne tenuto all'oscuro della cosa e ne fu informato con aria canzonatoria da Milutinovic, come a dire «le questioni importanti le stiamo trattando con il signor Tomasi, che abbiamo visto separatamente». […] Siamo stati informati dal ministro degli esteri Milutinovic che la cosa veniva trattata in altra sede quel giorno stesso ad alto livello e che era molto importante per la parte serba, più importante (fece capire) della visita di Fassino, tanto è vero che gli interlocutori serbi erano più altolocati. Questo fu accolto da me e dal sottosegretario Fassino con visibile disagio, ci siamo scambiati occhiate e considerazioni ovvie e non vi è stato bisogno di lunghi discorsi.
28 agosto 2003
“Il Giornale” intervista l’avv. Giovanni Di Stefano (“Parlai di Telekom con Dini e Fassino – Prodi & C. sapevano tutto, ho le prove”)
“(Avvocato Di Stefano, segue le novità su TS?) Con attenzione … e non riesco a credere a quel che leggo. Non capisco perché il mio amico Dini, Fassino soprattutto, quel Prodi e soprattutto Scalfaro … neghino ostinatamente l’evidenza dei fatti. Come fanno a dire che non sapevano di TS? Sanno bene che io so quanto loro siano a conoscenza del business. Li ho incontrati personalmente a Belgrado più volte…
(Ma nei giorni caldi dell’accordo lei parlò con Dini?) Certo, che domande. Lo vidi in ambasciata, in albergo e in altre sedi, anche istituzionali, come quella volta da Jovanovic al ministero degli Esteri. Chiedeteglielo, non potrà non ricordare quegli incontri…
(Mettiamo il caso che non li ricordi…) Impossibile. Deve rammentare per forza. Ricordo che una volta ci soffermammo sul fitto scambio di corrispondenza tra la Jugoslavia e la società della moglie Donatella…
(…Zingone Dini?) Proprio lei. L’ex ministro degli Esteri dovrebbe ricordarsi dei finanziamenti del governo serbo in Costarica, Paese che, diciamo così, risultava particolarmente elastico nell’interpretazione delle leggi sull’embargo. Nulla di illecito, sia chiaro. Rammento, però, con precisione che il governo di Milosevic investì attraverso il gruppo … Zeta. Si chiama così quello della signora?
(Sì. Di che tipo di investimenti si trattava? Nel campo edilizio.
(Che altro sa di questa storia?) Silenzio.
(Passiamo a Piero Fassino…) Lo incontrai a Belgrado due o tre volte, ci parlai spesso.
(In quel periodo, a livello politico-diplomatico, si discuteva di Telekom Serbia?) Ancora? Ma certo. Era un super affare per la Serbia, l’investimento italiano più consistente nel campo della telefonia, nell’Est Europa. Fassino sapeva benissimo quel che accadeva. Se non ricordo male, e i telegrammi resi noti lo dimostrano, era stato informato dall’ambasciata. Eppoi, sia con lui che con Dini, ne parlai io personalmente di Telekom. Qualche domanda, ora, ve la faccio io. Pensate davvero che il governo italiano non sapesse di un affare simile con la Serbia di un certo signor Milosevic? Davvro credete che nessuno, in special modo al ministero del Tesoro, fosse a conoscenza di un saldo da centinaia di milioni in marchi tedeschi? Mi chiedo e vi chiedo come si fa a dare l’ok a un trasferimento così importante in valuta estera e poi dire… non sapevo? Piuttosto…
(Dica, avvocato) Un’altra domanda. Vi siete mai chiesti perché la Grecia, che con l’Italia partecipò all’operazione di acquisizione delle quote, non è stata investita dalle polemiche e dalle inchieste penali?
(Ci dia lei la risposta) Eh no. Mi riservo di spiegarlo nelle sedi opportune…
(In un suo scritto lei ha fatto cenno anche all’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro) Come no. Fu Milosevic in persona a chiedermi di contattarlo, di invitarlo personalmente alla presentazione del business che venne poi reso noto, a pagamento, sul Financial Times e su altri giornali. Non passammo per i filtri dell’ambasciata, come solitamente accadeva, perché Slobo volle farlo personalmente, in via amichevole stimava Scalfaro. E così fu. Mandammo il fax a Roma dall’ufficio del gabinetto del presidente. Una copia dovrebbe essere ancora in giro, chiedete al giudice Del Ponte che ha fatto sequestrare tutto.
(Arrivarono risposte dal Quirinale?) Non lo so. Chiedetelo a Scalfaro.
(Lasciamo stare. Facciamo un salto all’attualità. Ha conosciuto Igor Marini? Mai. Per me, è uno che mente. Tangenti non ve ne furono…
(Zoran Persen, il socio di Marini arrestato, mai sentito nominare?) Mai. Io frequentavo solo i vertici, da Milosevic ad Arkan, al gotha del governo.
(A suo avviso il Sismi, a Belgrado, sapeva di TS?) Forse non ci siamo capitilo sapevano tutti, come tutti lo sapevano a Roma. Con i due agenti dei servizi segreti italiani, di cui per ovvi motivi non posso rivelare i nomi, parlammo a lungo anche di questa faccenda che non presentava alcuna irregolarità. Non avevano motivo di allarmarsi, era tutto regolare e concordato ai massimi livelli politici d’entrambi i Paesi.
(A Belgrado sostengono che lei ha avuto un ruolo centrale anche nell’individuazione della società Natwest, advisor per TS, al cui vertice siedeva Douglas Hurd, ex ministro degli Esteri inglese) Il suggerimento a Milosevic fu effettivamente mio. Hurd era suo amico e lo era anche di Dini. E ora che mi ci fate pensare, anche la stessa moglie del ministro degli Esteri aveva rapporti strettissimi con la Natwest, via Costarica. Ricordo che spedimmo alcune lettere. Devo controllare meglio. Vi farò sapere …”.
28 agosto 2003
“Il Giornale” intervista l’avv. Giovanni Di Stefano (“Parlai di Telekom con Dini e Fassino – Prodi & C. sapevano tutto, ho le prove”)
“(Avvocato Di Stefano, segue le novità su TS?) Con attenzione … e non riesco a credere a quel che leggo. Non capisco perché il mio amico Dini, Fassino soprattutto, quel Prodi e soprattutto Scalfaro … neghino ostinatamente l’evidenza dei fatti. Come fanno a dire che non sapevano di TS? Sanno bene che io so quanto loro siano a conoscenza del business. Li ho incontrati personalmente a Belgrado più volte…
(Ma nei giorni caldi dell’accordo lei parlò con Dini?) Certo, che domande. Lo vidi in ambasciata, in albergo e in altre sedi, anche istituzionali, come quella volta da Jovanovic al ministero degli Esteri. Chiedeteglielo, non potrà non ricordare quegli incontri…
(Mettiamo il caso che non li ricordi…) Impossibile. Deve rammentare per forza. Ricordo che una volta ci soffermammo sul fitto scambio di corrispondenza tra la Jugoslavia e la società della moglie Donatella…
(…Zingone Dini?) Proprio lei. L’ex ministro degli Esteri dovrebbe ricordarsi dei finanziamenti del governo serbo in Costarica, Paese che, diciamo così, risultava particolarmente elastico nell’interpretazione delle leggi sull’embargo. Nulla di illecito, sia chiaro. Rammento, però, con precisione che il governo di Milosevic investì attraverso il gruppo … Zeta. Si chiama così quello della signora?
(Sì. Di che tipo di investimenti si trattava? Nel campo edilizio.
(Che altro sa di questa storia?) Silenzio.
(Passiamo a Piero Fassino…) Lo incontrai a Belgrado due o tre volte, ci parlai spesso.
(In quel periodo, a livello politico-diplomatico, si discuteva di Telekom Serbia?) Ancora? Ma certo. Era un super affare per la Serbia, l’investimento italiano più consistente nel campo della telefonia, nell’Est Europa. Fassino sapeva benissimo quel che accadeva. Se non ricordo male, e i telegrammi resi noti lo dimostrano, era stato informato dall’ambasciata. Eppoi, sia con lui che con Dini, ne parlai io personalmente di Telekom. Qualche domanda, ora, ve la faccio io. Pensate davvero che il governo italiano non sapesse di un affare simile con la Serbia di un certo signor Milosevic? Davvro credete che nessuno, in special modo al ministero del Tesoro, fosse a conoscenza di un saldo da centinaia di milioni in marchi tedeschi? Mi chiedo e vi chiedo come si fa a dare l’ok a un trasferimento così importante in valuta estera e poi dire… non sapevo? Piuttosto…
(Dica, avvocato) Un’altra domanda. Vi siete mai chiesti perché la Grecia, che con l’Italia partecipò all’operazione di acquisizione delle quote, non è stata investita dalle polemiche e dalle inchieste penali?
(Ci dia lei la risposta) Eh no. Mi riservo di spiegarlo nelle sedi opportune…
(In un suo scritto lei ha fatto cenno anche all’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro) Come no. Fu Milosevic in persona a chiedermi di contattarlo, di invitarlo personalmente alla presentazione del business che venne poi reso noto, a pagamento, sul Financial Times e su altri giornali. Non passammo per i filtri dell’ambasciata, come solitamente accadeva, perché Slobo volle farlo personalmente, in via amichevole stimava Scalfaro. E così fu. Mandammo il fax a Roma dall’ufficio del gabinetto del presidente. Una copia dovrebbe essere ancora in giro, chiedete al giudice Del Ponte che ha fatto sequestrare tutto.
(Arrivarono risposte dal Quirinale?) Non lo so. Chiedetelo a Scalfaro.
(Lasciamo stare. Facciamo un salto all’attualità. Ha conosciuto Igor Marini? Mai. Per me, è uno che mente. Tangenti non ve ne furono…
(Zoran Persen, il socio di Marini arrestato, mai sentito nominare?) Mai. Io frequentavo solo i vertici, da Milosevic ad Arkan, al gotha del governo.
(A suo avviso il Sismi, a Belgrado, sapeva di TS?) Forse non ci siamo capitilo sapevano tutti, come tutti lo sapevano a Roma. Con i due agenti dei servizi segreti italiani, di cui per ovvi motivi non posso rivelare i nomi, parlammo a lungo anche di questa faccenda che non presentava alcuna irregolarità. Non avevano motivo di allarmarsi, era tutto regolare e concordato ai massimi livelli politici d’entrambi i Paesi.
(A Belgrado sostengono che lei ha avuto un ruolo centrale anche nell’individuazione della società Natwest, advisor per TS, al cui vertice siedeva Douglas Hurd, ex ministro degli Esteri inglese) Il suggerimento a Milosevic fu effettivamente mio. Hurd era suo amico e lo era anche di Dini. E ora che mi ci fate pensare, anche la stessa moglie del ministro degli Esteri aveva rapporti strettissimi con la Natwest, via Costarica. Ricordo che spedimmo alcune lettere. Devo controllare meglio. Vi farò sapere …”.
Tomaso Tommasi di Vignano e Giuseppe Gerarduzzi (i due dirigenti Telecom inquisiti dalla procura torinese) non sono stati ancora sentiti solamente perché hanno chiesto un rinvio
TELEKOM SERBIA/RADICALI RILEVANTI LE DICHIARAZIONI A PANORAMA DEL MINISTRO SERBO DELLA GIUSTIZIA
MENTRE LAMBERTO DINI DIMOSTRA DI NON CONOSCERE NEMMENO I LAVORI DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA…”.
Dichiarazione degli europarlamentari radicali Benedetto Della Vedova e Gianfranco Dell’Alba e di Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, www.stampalternativa.it (edizioni speciali)
“L’intervista rilasciata dal ministro serbo della Giustizia, Vladan Batic, a Panorama è importante, innanzitutto, perché testimonia la convinta volontà delle autorità serbe di collaborare con quelle italiane (in particolare, con la commissione parlamentare d’inchiesta) per l’accertamento dei fatti; inoltre, perché Batic sottolinea la collaborazione instaurata con il Procuratore capo del Tribunale dell’Aja, Carla Del Ponte, rispetto soprattutto allo scambio di informazioni sui conti segreti di Milosevic a Cipro, la “Svizzera” del regime serbo.
Ricordiamo, a questo proposito, che nel giugno 2002 Giovanni Bianconi e Vittorio Malagutti avevano condotto un’inchiesta sul “Corriere della Sera” (riportata nel libro di Manfredi) che partiva dal contenuto del rapporto sulle “finanze nere” di Milosevic stilato dall’investigatore finanziario Morten Torkildsen per conto del Tribunale dell’Aja. Il “Rapporto Torkildsen” citava, ad esempio, le società di copertura cipriote “Browncourt”, “Hillsay Marketing” e “Vericon Management” , ipotizzando che fossero confluiti sui loro conti bancari 480 milioni di marchi provenienti dall’affaire Telekom Serbia; circostanza confermata in un’inchiesta di Bonini e D’Avanzo de “La Repubblica” del 4 luglio scorso.
Non basta il “Corriere della Sera” indicava come “trasportatore dei fondi neri” il signor Mihalj Kertes, capo delle Dogane di Stato serbe. In passato i radicali avevano segnalato il signor Kertes al Tribunale dell’Aja per il ruolo svolto dallo stesso come “cinghia di trasmissione” del Ministero degli Interni serbo con le bande paramilitari di Arkan e Seselj in Croazia e Bosnia. Rispetto all’affaire Telekom Serbia, inoltre, abbiamo chiesto sia alla procura torinese sia alla commissione parlamentare d’inchiesta di acquisire la testimonianza di Kertes tramite rogatoria internazionale.
In definitiva, le dichiarazioni di Batic fanno ben sperare nell’instaurazione di una sinergia fra Belgrado, Roma e l’Aja, proficua per tutti.
Tornando al cortile di casa, lasciano esterefatti le dichiarazioni di Lamberto Dini, che invita la commissione d’inchiesta a dimenticare Marini e ad ascoltare i vertici Telecom dell’epoca; è proprio quello che ha fatto la commissione in quest’anno di lavoro metà delle cinquanta audizioni sono state dedicate a sentire 24 fra manager e alti funzionari Telecom; Tomaso Tommasi di Vignano e Giuseppe Gerarduzzi (i due dirigenti Telecom inquisiti dalla procura torinese) non sono stati ancora sentiti solamente perché hanno chiesto un rinvio. E dai resoconti stenografici delle audizioni dei manager Telecom emerge chiaramente che quello serbo era un “non-affare” pochi clienti, impianti obsoleti, costo delle telefonate bassissimo, dinaro non convertibile, nessuna due diligence (il check up di Telekom Serbia), tanto che il consulente di Telecom Italia, la svizzera UBS, “precisa di non assumere alcuna responsabilità sui dati utilizzati per la stima, che non sono certificati…”.
Forse Dini era distratto…”.
Non male amche il punto di vista di uno dei residui organi di stampa all'opposizione.
Telekom Serbia, Dini è Berlusconi il regista delle infamie
di Vittorio Locatelli
Telekom Serbia ecco un altro «supertestimone». Appare l’avvocato Giovanni Di Stefano che, guarda caso al Giornale, racconta la sua «verità». Il legale, con vari trascorsi poco chiari, è più in linea con l’ultima versione della Casa delle Libertà «Ma quali tangenti, il problema è politico». E così Di Stefano si stupisce «Non capisco perché il mio amico Dini, Fassino soprattutto, quel Prodi e soprattutto Scalfaro neghino ostinatamente l’evidenza dei fatti. Come fanno a dire che non sapevano di Telekom Serbia?» si chiede, e insiste «Sanno bene che io so quanto loro siano a conoscenza del business. Li ho incontrati personalmente a Belgrado più volte. Pensate davvero che il governo italiano non sapesse niente di un affare simile?». Di Stefano dice che Fassino «non ha preso tangenti ma non poteva non sapere del business» e sapeva tutto anche Scalfaro «Fu Milosevic in persona a chiedermi di invitarlo personalmente alla presentazione del business».
Dopo quest’ultima uscita Lamberto Dini attacca duramente il premier e i suoi organi di informazione. La vicenda Telekom-Serbia si sta «sviluppando a orologeria, secondo una regia ben coordinata, come risulta dai vergognosi, infamanti articoli del Giornale di Silvio Berlusconi e della sua famiglia». Secondo Dini il Giornale «tira fuori nuovi discutibili personaggi quali il signor Di Stefano che dice di conoscermi e che io non ho mai incontrato, né conosciuto». Dini ribadisce di aver «dichiarato anche in passato la disponibilità ad essere ascoltato dalla Commissione». Infine l’ex ministro parla della «moralità nella politica tirata in ballo dall’onorevole Bondi» e lo invita «a guardare le spese di Palazzo Chigi durante il mio governo e confrontarle con quelle faraoniche dell’attuale presidente del Consiglio».
A Di Stefano risponde anche Roberto Cuillo, portavoce del segretario dei Ds Piero Fassino «Fassino non ha mai conosciuto, né incontrato in alcun posto, tantomeno a Belgrado, tal avvocato Giovanni Di Stefano. Quindi le affermazioni in proposito fatte al Giornale dallo stesso Di Stefano sono destituite di ogni fondamento». Per Cuillo è l’ennesimo «bidone di una vicenda che ogni giorno di più si popola di mitomani, millantatori, faccendieri e prestatori di oscure opere, tutti con i conti in sospeso con la giustizia. La vera domanda a cui dare risposta è chi è il burattinaio che tira i fili di queste continue provocazioni».
Dalla Casa delle libertà sono invece arrivati nuovi attacchi. «L’onorevole Dini è chiaramente in preda alle convulsioni di una crisi di nervi. Si calmi, abbia almeno il pudore di non nominare il nome di Berlusconi senza arrossire e vergognarsi» ha detto il portavoce di Forza Italia Sandro Bondi, mentre il vicepresidente leghista del Senato, Roberto Calderoli, chiederà al presidente Trantino «che la Commissione acquisisca i bilanci dei partiti e dei singoli che avrebbero ricevuto fondi di provenienza Telekom per le campagne elettorali» perché «un’indagine approfondita sulle entrate e sulle relative provenienze» potrebbe «chiarire, in via indiretta, se tangenti ci sono state e chi ne abbia beneficiato perlomeno nel settore politico».
Alla Cdl ha risposto Pierluigi Castagnetti, della Margherita «Si è rotto il bambolotto d’oro che, a pressione, raccontava balle. Marini non era credibile prima, ora lo è ancora meno, tanto è vero che stanno spostando l’accusa sul fatto che il centrosinistra avrebbe sostenuto il regime di Milosevic. Ma se non ricordo male il centrosinistra ha tirato bombe su Milosevic, è Bossi che gli ha stretto la mano». Clemente Mastella, invece, a cui Marini dice aver portato una valigetta con 4 miliardi, ha improvvisato uno show alla festa del’Udeur di Telese, presentandosi con una vecchia valigia verde piena di adesivi «i soldi del conte», «i soldi che non ho mai preso», «soldi italo serbi». «Oggi stesso - ha detto Mastella - sporgerò querela contro quel farabutto di Marini. L’unica cosa seria è questa valigia, risale ai tempi della guerra».
Sul fronte giudiziario della vicenda c’è stato un nuovo interrogatorio per Igor Marini, durato otto ore e poi sospeso, forse fino a martedì prossimo. E sono arrivate nuove indiscrezioni, secondo cui l’avvocato Fabrizio Paoletti avrebbe confermato ai magistrati di Torino l'esistenza della lista dei 14 beneficiari della presunta tangente Telekom Serbia. Marini avrebbe parlato anche dell’avvocato Di Stefano che avrebbe gestito 150 milioni di dollari della presunta tangente, circostanza smentita da Di Stefano al Giornale. L’avvocato di Marini, Luciano Randazzo, ha poi annunciato che intende ascoltare proprio Clemente Mastella nell’ambito delle indagini difensive o, in alternativa, chiedendo un incidente probatorio, di fatto un confronto.
Intanto l’avvocato di Zoran Persen presenta venerdì ai magistrati torinesi la richiesta di confronto tra Persen e Marini. Il legale ha precisato che il suo cliente, detenuto nel carcere di Novara, gli ha «confermato di non sapere nulla della vicenda Telekom Serbia e proprio per questo mi ha pregato di chiedere urgentemente un confronto».
Il premier cambia la Costituzione. «E chi fa polemiche non sarà ricandidato» di Marcella Ciarnelli
Ottimo l’articolo di Antonio Rossitto sul numero odierno di Panorama nel fare il punto della situazione
-----
Per adesso la corruzione resta un'ipotesi e appare poco solida perdipiù. Invece in questa storia una certezza già esiste con i soldi della Stet, all'epoca interamente in mano al Tesoro, gli italiani hanno finanziato un regime criminale ed efferato come quello dell'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic.
[…]
Quei soldi sono una manna. Boris Tadic, oggi ministro della Difesa della Serbia-Montenegro, lo definì "un'iniezione finanziaria al regime". Milosevic può pagare stipendi e pensioni, vincere ancora le elezioni, rifornire i suoi tank e massacrare migliaia di kosovari. Drasko Petrovic, che ai tempi dell'affaire era deputato e membro del comitato delle Comunicazioni, conferma "Quello che so con sicurezza è che del denaro ottenuto nemmeno un marco entrò nelle casse della Telekom e delle Ptt".
Centinaia di miliardi vennero risucchiati dai conti bancari del satrapo. Ma la cifra esatta è ancora difficile da stabilire. Per sapere invece quanto, tangenti a parte, sia stata deleteria l'operazione, non c'è bisogno di attendere il giudizio della storia. Lo scorso dicembre la quota di Telekom è stata riacquistata dalle Poste serbe per 195 milioni di euro, pari a circa 378 miliardi di lire meno della metà degli 878 miliardi sborsati dall'Italia cinque anni prima. In tutta questa vicenda il Palazzo ha lasciato fare.
[…]
l'acquisto fu condotto e portato a termine direttamente dal numero uno della Stet, Tomaso Tommasi di Vignano, voluto da Prodi ed Enrico Micheli, suo sottosegretario alla presidenza, per privatizzare il gruppo. Uno che dice cose singolari, Tommasi. Una giornalista del Piccolo di Trieste gli chiese se, assieme al contratto, avesse firmato anche una clausola di segretezza. Lui bofonchiò "Né lo confermo, né lo smentisco non lo so proprio".
La risposta alla domanda successiva chiarì meglio il suo pensiero "Se c'era, stava in mezzo a un tomo di mille pagine che mi sono trovato davanti e che ho solo sfogliato". Infine aggiunse stizzito "Se c'era, non l'avevamo chiesta noi, che i soldi li davamo, mica li prendevamo".
Ma anche al ministero del Tesoro, all'epoca guidato da Carlo Azeglio Ciampi, sull'argomento hanno preferito glissare. Lucio Izzo, che rappresentava il dicastero nel consiglio di amministrazione Stet, ha ricordato il giorno in cui Tommasi comunica l'acquisizione "Una semplice informativa. Non a caso nelle varie ed eventuali".
E quanto durò la trattazione di questa informativa? "Più o meno sei o sette minuti" ha dichiarato ai commissari. "La faccenda era stata decisa in altra sede". Eppure, il ruolo di Izzo era di vigilanza. Si stava maneggiando denaro di tutti. Pura teoria. Il capitolo Telekom venne trattato come l'acquisto di materiale di cancelleria e discusso giusto il tempo di un caffè. Izzo aggiunge poi di non averne parlato con nessuno "Né prima, né dopo".
[…]
Il Tesoro dice di non essere stato coinvolto. Così come la Farnesina. Ma l'ambasciatore a Belgrado, Francesco Bascone, aveva scritto al ministero degli Esteri 14 volte per avvertirlo del guaio in cui si stava cacciando la Stet.
Il 13 febbraio 1997, per esempio, invia un'allarmata lettera a Fassino "Non c'è alcuna garanzia sulla destinazione dei soldi dell'affare". L'attuale segretario dei Ds, del resto, qualche mese prima, "durante una sua visita a Belgrado, aveva manifestato un forte disagio per questa trattativa, che si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare l'ambasciata e il ministero".
[…]
la Stet non era una società qualsiasi. Era il fiore all'occhiello delle vecchie partecipazioni statali. La più importante azienda pubblica in via di privatizzazione più di 20 mila miliardi di lire in gioco, tutti gli occhi addosso. Ma il presidente del Consiglio, Romano Prodi, della sciagurata operazione non sapeva nulla. Il Tesoro non era stato informato. La Farnesina brancolava nel buio. Possibile?
Una cosa è certa fatti due calcoli, è come se ogni italiano avesse mandato a Slobo 8 euro di contributo alla sua sporca causa. Questo, Igor Marini a parte, è il vero scandalo.
TELEKOM SERBIA/RADICALI “LE RESPONSABILITA’ POLITICHE SONO MOLTO PIU’ GRAVI DELLE EVENTUALI RESPONSABILITA’ PENALI. PRODI NON PUO’ TIRARSI FUORI CON UNA BATTUTA … E I SILENZI DI DINI E CIAMPI SONO ASSORDANTI.”.
Benedetto Della Vedova e Gianfranco Dell’Alba (europarlamentari radicali) e Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani) hanno dichiarato
“Proprio oggi, dopo la pubblicazione dell'importante intervista del Giornale all'avvocato Giovanni Di Stefano, intendiamo ripetere quello che abbiamo detto, da soli e inascoltati, dal 9 giugno 1997 e che il Polo dice (meglio tardi che mai) da un mese a questa parte la responsabilità politica di avere dato a Milosevic quella boccata di ossigeno che gli ha permesso di rimanere al potere e di lanciare la sua terza pulizia etnica in Kosovo (dopo Croazia e Bosnia) è molto più grave delle eventuali responsabilità penali relative al percepimento di tangenti; e tale responsabilità politica ricade sul governo Prodi dell’epoca, punto e basta.
La dichiarazione di totale estraneità fatta da Prodi nella lettera all’Espresso è irricevibile; come possono i cittadini italiani credere che l’ex presidente dell’IRI non sappia nulla di un affare nato in casa IRI negli anni 1993-1994 e giunto alla maturità quando lui diviene capo del governo ed Enrico Micheli (suo braccio destro all’IRI) sottosegretario alla presidenza del consiglio?! Come è possibile che né lui né gli altri ministri interessati alla questione "in ragione del proprio ufficio", cioé Fassino, Dini e Ciampi, non si siano accorti di nulla? Se mai ciò fosse stato, sia chiaro, la mancata vigilanza sulle operazioni di Stet assumerebbe una gravità, dal punto di vista politico e nei confronti dei contribuenti italiani, non meno rilevante della partecipazione alla decisione.
Ci auguriamo che il Presidente Prodi, per la sua prossima audizione in commissione, prepari una linea di difesa più credibile.
Diventa, intanto, ogni ora più assordante il silenzio di Dini … e, diciamolo, del ministro del Tesoro dell'epoca.”.
Enrico ,per completezza , forse quando si cita un giornalista è bene dire anche la testata
(che in questo caso mi pare sia "Il MANIFESTO")
in modo che chi legge capisca quale campana ascolta.
Maurizio
Manfredi, questa e' gente che supera i legittimi impedimenti, e che risponde anche alle domande...
«Ora parliamo noi»
Telekom Serbia, Prodi e Fassino cambiano strategia pronti a testimoniare in parlamento
Il professore si difende «L'acquisto di una quota da parte di Stet non fu mai sottoposto alla mia attenzione». Le prove sulle tangenti non ci sono e Bondi (Fi) esagera l'Ulivo è colpevole di genocidio
MATTEO BARTOCCI
ROMA
Il centrosinistra inizia una conversione a U totale sul caso Telekom Serbia. Dopo aver disertato per gran parte dell'estate i lavori della commissione di inchiesta, i dirigenti dell'Ulivo hanno deciso ieri di iniziare la loro campagna d'autunno contro le fin qui fragilissime accuse del faccendiere-truffatore Igor Marini sulle tangenti a loro versate per l'acquisto della società telefonica serba. Tutti i politici chiamati in causa dall'ex chiromante Marini, Romano Prodi, Piero Fassino, Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Clemente Mastella hanno fatto sapere di essere pienamente disponibili a essere ascoltati dalla commissione parlamentare o dagli stessi magistrati di Torino. I leader del centrosinistra sono pronti a smentire quelle che considerano pure illazioni calunniose e del tutto infondate. Romano Prodi ha già anticipato quanto dirà alla commissione «Mai, da nessuno e in alcuna forma, l'acquisto di una quota di Telekom Serbia da parte di Stet fu sottoposto alla mia attenzione, né come privato cittadino né come presidente del Consiglio; e non vi era alcuna ragione né formale né sostanziale perché ciò dovesse avvenire».
Il presidente della commissione, l'avvocato Enzo Trantino di An, ha subito apprezzato la disponibilità degli esponenti dell'Ulivo e si è detto pronto a modificare il calendario, nonostante la manifesta contrarietà della Lega Nord.
La terra sotto i piedi di Marini comincia davvero a scottare. Il «superteste», rinchiuso nel carcere delle Vallette, ha paura di essere abbandonato al suo destino. E' quanto suggerisce al presidente Trantino il suo legale, Luciano Randazzo, con un disperato appello «Trantino è troppo cauto, dica pubblicamente se Marini è attendibile o no», lamenta l'avvocato, che ieri ha anche smentito il coinvolgimento del senatore Willer Bordon nella vicenda.
Ma Trantino prende subito le distanze. «Con tutto il rispetto per Randazzo, egli non è un nostro interlocutore istituzionale. Solo i riscontri, sui quali stiamo lavorando, confermeranno o meno l'attendibilità del suo assistito». E l'avvocato di An indica poi come «personaggio essenziale» a questo fine il croato Zoran Persen, arrestato in Svizzera martedì. «Da quanto posso dire - ha spiegato Trantino - Persen non è un personaggio minore. Per il racconto di Marini è essenziale e importante. Se sincero potrebbe essere utile per confermare le dichiarazioni di Marini».
Ma il croato inguaia ulteriormente il suo coimputato. Stando alle indiscrezioni sui suoi primi interrogatori, durante i quali ieri è stato colto da un malore, Persen avrebbe espresso molti dubbi sull'affidabilità di Marini e ha detto che produrrà della documentazione che dimostri la sua estraneità a qualsiasi collegamento con Telekom Serbia. Una smentita su tutta la linea delle affermazioni del grande accusatore. «Telekom Serbia? Non so di cosa state parlando», avrebbe detto ai magistrati torinesi che lo hanno raggiunto nel carcere di Novara. Nelle oltre cinque ore del suo interrogatorio, Persen non ha avuto nessuna difficoltà ad ammettere di aver incontrato più volte Marini e di aver intrattenuto rapporti di affari con lui, ma ha specificato che non riguarderebbero affatto la vicenda Telekom.
Di fronte al naufragio dei propri disegni, Forza Italia, tramite il portavoce Sandro Bondi, comincia a pensare a temi diversi da somministrare all'opinione pubblica sulla telenovela Telekom Serbia, come la non congruità economica dell'operazione. Visto che nessuna prova documentale sostiene le tangenti ipotizzate da Marini, Bondi ha accusato l'Ulivo niente meno che di genocidio. «Indipendentemente dall'accertamento delle tangenti a politici italiani, che deve essere ancora dimostrato e verificato - dichiara Bondi -, già ora emerge una pesante responsabilità politica di cui il centrosinistra dovrà rendere conto, per aver contribuito indirettamente a sostenere un regime criminale e finanziare il genocidio di un popolo».
Parole che lasciano allibita l'opposizione. Le livide dichiarazioni di Bondi non riescono a nascondere il fatto che «anche Fi considera Marini un bugiardo», dice l'on. Renzo Lusetti della Margherita. E Michele Lauria, capogruppo in commissione Telekom dello stesso partito, qualifica le parole di Bondi come «un atto di depistaggio». «Scopo della commissione - dice Lauria - è verificare se siano state versate tangenti a esponenti politici italiani, non giudicare l'eticità o la congruità di un'operazione economica, opinabile come tutte le altre».
TELEKOM SERBIA RADICALI, "PRODI E FASSINO MEGLIO TARDI CHE MAI" DINI RESTA AL PALO?
PROCURA E COMMISSIONE NON DIMENTICHINO GIOVANNI DI STEFANO.
Gli europarlamentari radicali Benedetto Della Vedova e Gianfranco Dell’Alba (che, fin dal 1998, denunciarono nelle Assemble degli azionisti Telecom la sciagurata partecipazione serba) hanno dichiarato
“Tanto tuonò che piovve Romano Prodi risponde finalmente a Giampaolo Pansa, che su “L’Espresso” aveva invitato Prodi, Dini e Fassino a presentarsi in commissione parlamentare per dire la loro verità; Prodi contesta “la strana diceria secondo la quale mi opporrei all’essere ascoltato dalla commissione…”. Presidente Prodi, per far tacere le voci malevoli bastava che lei dichiarasse pubblicamente la sua disponibilità a spiegare il suo ruolo attivo o omissivo nell’affaire Telekom Serbia; sono passati due anni e mezzo dall’apertura dell’inchiesta da parte della Procura di Torino e oltre un anno dall’inizio dei lavori della commissione parlamentare; c’è voluta l’imbeccata de “L’Espresso” per farla dichiarare, ma ....meglio tardi che mai. Idem per Piero Fassino, che ha dopo l'uscita del Presidente della Commissione Europea ha dichiarato anche la propria disponibilità ad essere ascoltato.
Ci aspettiamo che nelle prossime ore anche il Ministro Dini si faccia avanti.
Vedremo, a questo punto, se gli esponenti del Governo di allora sapranno convincere magistratura, Commissione Parlamentare e opinione pubblica, non solo e non tanto della loro estraneità all'ipoptesi di corruzione, quanto della loro estraneità rispetto ad una decisione gravissima di un'azienda pubblioca, finora rimasta assurdamente orfana di paternità politica.
La commissione parlamentare dovrà impegnare prossimamente il suo tempo non solo per Prodi, Fassino e magari Dini, ma anche per l’avvocato Giovanni Di Stefano; quanto pubblicato oggi sul “Giornale” conferma le informazioni che i radicali (Giulio Manfredi in particolare) hanno accumulato nel corso del tempo sul conto dell’imprenditore molisano. L’avv. Di Stefano si è sempre dichiarato disponibile ad essere sentito sia dagli inquirenti sia dalla commissione parlamentare; è ora di andare a vedere anche le sue carte.”
L’AVVOCATO ITALIANO DI MILOSEVIC MANDAMMO UN FAX A SCALFARO
Estratto da “Il Giornale” pag.2, 27 agosto 2003
ACCUSE ON LINE
LE RIVELAZIONI DI DI STEFANO , SOCIO IN AFFARI DI ARKAN E AMICO DI SLOBO. IN PROCURA ANCHE UN DOSSIER SU DI LUI.
Il postino misterioso di Telekom Serbia cambia indirizzo. Non più la commissione di inchiesta, ma, tra gli altri, la redazione del Giornale e, soprattutto, lo studio romano dell’avvocato Luciano Randazzo, difensore di Igor Marini. Il contenuto della documentazione anonima che il legale del promotore finanziario ha ricevuto nei giorni scorsi (e rigirato alla Procura di Torino) riguarderebbe un noto imprenditore molisano, avvocato, amico di famiglia di Slobodan Milosevic oltreché socio in affari di Zelijko Raznatovic detto Arkan, comandante del gruppo paramilitare serbo delle “tigri”, ucciso il 15 gennaio 2000. È l’avvocato d’affari Giovanni Di Stefano, stando allo scritto, avrebbe depositato materiale scottante su Telekom e su esponenti politici italiani presso lo studio dell’avvocato Giorgio Gradilone che già lo difese nel processo d’estradizione per un contenzioso a Londra riguardo un reato fiscale commesso in violazione della legge sull’embargo nella ex Jugoslavia.
“L’ho difeso in quella circostanza, è vero. Ma sul resto, sui documenti del signor Di Stefano in mio possesso, eccepisco il segreto professionale. Non confermo e non smentisco”, si limita a dire Gradilone al Giornale. Il suo collega Randazzo si cuce la bocca e non proferisce parola. Di Stefano non parla. In compenso di “Johnny il molisano” e di Telekom Serbia, troviamo tracce in interrogazione dei radicali (Della Vedova, Palma, Milio, Dell’Alba, Manfredi), in carteggi ingialliti, su internet con sue disquisizioni on line. Interessanti letture.
Dirimpettaio di Milosevic al quartiere Dedinje a Belgrado, fra i pochi a bazzicare la famiglia del tiranno (soprattutto il figlio di Slobo, Marko) anche quando il Paese è sotto le bombe e l’embargo, Di Stefano è stato avvocato di Milosevic, è un finanziere, un imprenditore edile e una specie di diplomatico ombra su Belgrado. Entra in mille inchieste ma ne esce sempre pulito (la più recente è quella di Sistemi criminali, a Palermo). Alle ultime europee vuole addirittura fondare un partito con logo di Garibaldi e quattrini serbi gli va male.
Da tre anni a questa parte, su Telekom Serbia fa capire di sapere tanto. Nell’escludere atti di corruzione riconducibili a Milosevic, dopo un’intervista a Radio radicale nella quale tira in ballo “un’esponente di An che faceva il pilota e che ha trasportato la delegazione di Telecom in Serbia”
(circostanza confermata quest’anno dal deputato La Starza alla commissione d’inchiesta) il difensore di Slobo alza il tiro via Internet “ una cosa è sicura –racconta sul sito de Lo Spettro- il presidente Scalfaro era a conoscenza di tutta la faccenda. Dini lo era più degli altri attraverso la nostra ambasciata a Belgrado, ed anche Fassino sapeva.
Milosevic voleva fare una richiesta formale a Scalfaro per un annuncio pubblico dell’operazione. Ricordo che non conoscevamo il numero di fax del Quirinale, poi lo trovammo e spedimmo a Scalfaro un invito ufficiale. Non so cosa sia successo dopo…”.
A dicembre 2002 aggiunge dettagli inquietanti “Ci fu un periodo dove l’economia della Serbia richiedeva un intervento serio. Le riserve di capitale straniero erano meno di 100 milioni di euro e la maggior parte dei conti all’estero erano stati congelati. Nel ’93 il mio socio in affari Radojika Nikceviv (assassinato ad ottobre) utilizzava una società milanese di ricerca di Telecom Italia per una joint venture tra Telekom Serbia e Telecom Italia. Si limitava allora alla sola telefonia mobile. Un dirigente d’azienda di Telecom Italia da Torino rispose positivamente. Tuttavia prima che potessimo andare al sodo, Nikcevic fu ucciso. Si saprà mai se il suo assassinio è da mettere in relazione con le trattative future di Telecom Italia?”.
Promesse che saranno mantenute «Ha in mente le accuse di mafia? Basta che uno parli con un mafioso, tratti un affare con lui e lo incriminano. Uno come può saperlo? Pazzesco. È un reato che andrà eliminato».
TELEKOM SERBIA QUELLO CHE I RADICALI HANNO FATTO NEI CONFRONTI DELL’AVV. GIOVANNI DI STEFANO
CHIEDIAMO CHE DI STEFANO SIA SENTITO AL PIU’ PRESTO DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE E DALLA PROCURA DI TORINO”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, stampalternativa.it (edizioni speciali)
“Oggi il “Giornale” riporta in primo piano la figura dell’avvocato Giovanni Di Stefano, amico e socio d’affari del criminale di guerra serbo Arkan, membro del collegio di difesa, all’Aja, di Slobodan Milosevic, che, nel 1992, gli conferì la cittadinanza serba “per meriti speciali”. Riassumo qui di seguito tutte le iniziative che i radicali, dal 1995, hanno intrapreso affinchè fosse fatta piena luce sull’operato dell’avv. Di Stefano
1) il 4 agosto 1995 i senatori radicali Stanzani e Scopelliti presentano un’interrogazione al Ministro degli Esteri (Susanna Agnelli, capo del governo Lamberto Dini) in cui si chiedeva, tra l’altro “…se il Governo disponga di informazioni che inducano a ritenere che il Di Stefano sostenga finanziariamente le attività criminali di Arkan…”; l’interrogazione non ha mai avuto risposta;
2) il 26 maggio 1999 invio un esposto alle Procure della Repubblica di Torino e Campobasso e al Ministro della Giustizia in cui chiedo “di accertare l’esistenza di eventuali reati conseguenti dall’intreccio evidente e continuato delle attività politiche ed economiche del signor Di Stefano con le attività del signor Zeljko Raznatovic, detto Arkan…e di comunicare il risultato della propria attività istruttoria al Tribunale dell’Aja” (che, pochi giorni prima, aveva reso noto di aver spiccato un mandato di cattura contro Arkan per crimini di guerra commessi dalla sua formazione paramilitare, le “Tigri”); mi risponde solo la Procura torinese, che archivia l’esposto per incompetenza territoriale;
3) nel dicembre 1999 l’avv. Di Stefano viene arrestato in Italia su mandato di cattura della magistratura britannica per reati finanziari risalenti agli anni’ 80; il 15 gennaio 2000 Arkan è ucciso da sicari a Belgrado; in febbraio, l’esposizione di uno striscione filo-Arkan allo stadio Olimpico di Roma mobilita le penne di decine di giornalisti; invece, la presenza in un carcere italiano del socio d’affari di Arkan non produce nemmeno una riga di commento…;
4) il 24 marzo 2000 presento un secondo esposto al Procuratore del Tribunale dell’Aja, alle Procure di Roma e Campobasso, al Ministro della Giustizia, al Direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e all’Ambasciata del Regno Unito a Roma, in cui chiedo di “compiere gli atti opportuni affinché fossero accertate le eventuali responsabilità penali del signor Di Stefano e fosse reso possibile agli investigatori del Tribunale dell’Aja di poter interrogare il suddetto sui rapporti intercorsi in passato con Arkan…”; l’unico riscontro informale che ho proviene dal Tribunale dell’Aja;
5) nel gennaio 2001, nell’unica occasione che ho avuto di poter interloquire pubblicamente con la Dr.ssa Carla Del Ponte, Procuratore Capo del Tribunale dell’Aja (era venuta in Piemonte a ritirare un premio), le ho chiesto se era informata dei miei esposti su Di Stefano. La Dr.ssa Del Ponte ha risposto testualmente “Mi ricordo perfettamente dei suoi esposti ma la competenza in materia non è mia ma dei tribunali nazionali”;
6) il 7 marzo 2001, dopo lo scoppio del caso “Telekom Serbia”, il sottoscritto e altri esponenti radicali (Della Vedova, Dell’Alba, Palma) chiedono di essere sentiti dalla Procura di Torino e chiedono alla Procura di acquisire informazioni sul signor Di Stefano;
7) il 27 novembre 2002, quando, dopo venti mesi, la Procura concede l’audizione ai radicali, deposito un documento in cui chiedo che “sia assunto a sommarie informazioni testimoniali” il Di Stefano “che ha rilasciato recentemente interviste in cui afferma di conoscere molti particolari dell’affaire Telekom Serbia”;
8) il 5 febbraio 2003 sono sentito dalla commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia, assieme ai parlamentari europei radicali Della Vedova e Dell’Alba. Riporto il seguente stralcio del resoconto stenografico dell’audizione
“(Manfredi) Vorrei anche sottolineare che Di Stefano recentemente è intervenuto almeno tre volte sul caso Telekom Serbia; mi riferisco in particolare ad un’intervista rilasciata nel giugno 2002 a Radio Radicale …in cui tra le altre cose ha affermato “Non c’è niente di strano nel caso, ma se c’è qualche dubbio convochino Fassino, Dini e un sacco di altre persone. Anche un deputato di AN era molto vicino a questa faccenda qui, e contribuì alla stipula di un contratto favorevole. Si tratta di un deputato che all’epoca dei fatti era pilota e che ha trasportato la delegazione Telekom Serbia e solo successivamente è stato eletto alla Camera dei Deputati.”
(Presidente Trantino) Per sua informazione, il deputato di AN, come è risultato dalle indagini svolte da noi – prchè spero conveniate che questa Commissione certamente non fa sconti a nessuno – è l’onorevole La Starza, il quale ci ha inviato una lettera in cui afferma di essere a disposizione, ove la commissione ritenesse opportuno sentirlo (l’audizione dell’on La Starza si è svolta il 18 giugno 2003, ndr). Il fatto che mi sorprende molto è che il signor Di Stefano utilizza tutti i mezzi di comunicazione, parla con tutti, ma non si è mai peritato di inviare a noi una richiesta di audizione, così come correttamente avete fatto voi. Noi non possiamo inseguire tutto quanto viene dalla stampa o dalla benemerita Radio Radicale, perché dovremmo raddoppiare i nostri tempi per verificare cose che non sono pertinenti, che invece diventano tali nel momento in cui ognuno responsabilmente offre un proprio contributo…”
Alla luce di quanto è pubblicato oggi sul “Giornale”, chiedo al Presidente Trantino di operare affinchè l’avvocato Di Stefano possa essere sentito al più presto dalla commissione parlamentare d’inchiesta; analoga richiesta la rivolgo alla Procura di Torino.”.
Dal resoconto stenografico dell'audizione dell'avvocato Fabrizio Paoletti in Commissione parlamentare (14 gennaio 2003), reperibile su www.parlamento.it (organismi bicamerali/commissione su Telekom Serbia)
PRESIDENTE. È vero che lei è stato a Belgrado alla fine del 1997?
FABRIZIO PAOLETTI. Mai stato a Belgrado, a parte nel 1954, da studente.
PRESIDENTE. Neppure a Lubiana nel 2001?
FABRIZIO PAOLETTI. Mai.
PRESIDENTE. A Zurigo in settembre-ottobre?
FABRIZIO PAOLETTI. Di quale anno?
PRESIDENTE. Del 2001.
FABRIZIO PAOLETTI. A settembre 2001 sì.
PRESIDENTE. Erano con lei Tom Tomic e Zoran Persen?
FABRIZIO PAOLETTI. Sissignore.
PRESIDENTE. A che titolo questi hanno rapporti con lei?
FABRIZIO PAOLETTI. Rispondo subito i signori Tom Tomic e Zoran Persen erano collegati con il signor Marini e con il notaio Boscaro. Stavano trattando alcuni titoli della Chiesa denominati apostolic of rent house, titoli emessi da un ordine ecclesiastico con sede negli Stati Uniti, garantiti da ipoteca su terreni di tale ordine. Io dovevo assistere il notaio semplicemente per la validità di questa transazione, se fosse andata in porto; in realtà poi non è successo più niente, e il notaio è morto ad agosto dello scorso anno.
PRESIDENTE. Lei ha o aveva dei conti bancari cointestati con Marini Igor alla Credit Suisse di Zurigo e di Lugano?
TELEKOM SERBIA/MANFREDI (RADICALI) “L’ON. RUSSO SPENA DOVREBBE TACERE RIFONDAZIONE ERA SEMPRE IN PRIMA FILA AI CONGRESSI DI MILOSEVIC MENTRE NON RISULTA AGLI ATTI UN SOLO SUO CONTRIBUTO AI LAVORI DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA.”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, stampalternativa.it/edizioni speciali)
“Leggo dichiarazioni dell’on. Russo Spena (RC) che si lamenta perché al caso Telekom Serbia è stato dato “valore eccessivo”; certo, non fa piacere a Russo Spena ricordare tutte le delegazioni rifondarole volate (in buona compagnia) a Belgrado per partecipare ai congressi di Milosevic. Fino all’ultimo il 17 febbraio 2000, nemmeno otto mesi prima che il regime di Belgrado fosse spazzato via dalla sollevazione popolare (5 ottobre 2000), rappresentanti di Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Lega Nord partecipano al quarto congresso del Partito socialista serbo (Sps). “E’ stato lo stesso Milosevic a salutare i delegati esteri, elencandoli per nome, partito e paese gli italiani sono Archimede Bontempi della Lega, Roberto Antonaz di Rifondazione, Riccardo Luccio dei Comunisti Italiani.” (lancio ANSA del 17 febbraio 2000, ore 1146).
Peccato che la stessa passione posta nel partecipare alle adunate di Milosevic, Rifondazione non l’abbia messa nel seguire i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia. L’on. Russo Spena ha sostituito Ramon Mantovani il 19 settembre 2002, praticamente all’inizio dei lavori della commissione; dai resoconti stenografici delle cinquanta audizioni pubbliche (reperibili sul sito del Parlamento) non risulta un solo intervento di Russo Spena per avere informazioni, chiarimenti, delucidazioni, dalle decine di persone sentite dalla commissione (radicali compresi).
Ma forse l’ on. Russo Spena aveva già intuito preventivamente il carattere strumentale della commissione e non ha voluto sprecare inutilmente il suo tempo e la sua intelligenza…”.
(ANSA) - TORINO, 26 AGO - Sarebbe stato arrestato uno dei due latitanti serbi per i quali la magistratura torinese ha spiccato mandato di cattura. La Procura di Torino ritiene essere coinvolto nell' inchiesta sulle truffe internazionali nel quale sono coinvolti anche Igor Marini e l' avvocato Fabrizio Paoletti. Si tratta di Zoran Persen. L' uomo potrebbe essere consegnato alle autorita' italiane. Per il gip Giafrotta ha un ruolo di secondo piano nella vicenda. [2003-08-26 - 142200]
TELEKOM SERBIA/MANFREDI (RADICALI) “PRODI, DINI E FASSINO RISPONDANO ALLE SOLLECITAZIONI DI PANSA E RINALDI (L’ESPRESSO) PRIMA CHE LA PROCURA DI TORINO SI PRONUNCI SULL’ATTENDIBILITA’ DI MARINI”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”)
“Costituirebbe una presa di posizione di grande rilevanza politica la risposta positiva, in queste ore, di Prodi, Dini e Fassino all’invito rivolto loro dalle colonne de “L’Espresso” sia da Gianpaolo Pansa sia da Claudio Rinaldi, con l’annuncio della disponibilità dei tre politici a essere sentiti dalla commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia. Sottolineo “in queste ore”, prima che il Procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena, decida sull’attendibilità del signor Igor Marini; sarebbe l’unico modo per dire chiaramente “Comunque vadano le cose a Torino, non deleghiamo le responsabilità politiche ai nostri avvocati.”.
Il settimanale “L’Espresso” in edicola contiene un pezzo su TS del condirettore Giampaolo Pansa (“Per favore aiutateci a sapere la verità – Prodi, Dini e Fassino vadano alla Commissione e dicano quello che sanno”) e il seguente intervento di Claudio Rinaldi
“Coda di paglia – La commissione parlamentare d’inchiesta su TS? “Il centro-sinistra valuterà a settembre se continuare o no a prendere parte ai lavori”, dice Luciano Violante. Ma l’Aventino sarebbe una scelta tre volte infelice. 1) Si tratterebbe di un no tardivo, dopo un anno di attività. 2) L’Ulivo si esporrebbe alla facile accusa di voler impedire accertamenti su uomini suoi Romano Prodi, Piero Fassino, Lamberto Dini. 3) Le domande vere rimarrebbero aperte. A prescindere dalle assurde tangenti di cui favoleggia il faccendiere Igor Marini, infatti, l’acquisto di una quota di TS durante il governo Prodi fu un grave errore. Finanziario perché Telecom Italia, nel 1997 ancora controllata dallo Stato, pagò un prezzo altissimo; politico perché l’operazione fornì denaro fresco alla bieca tirannia di Slobodan Milosevic.”.
TELEKOM SERBIA/RADICALI “MASTELLA, UN ESEMPIO DA SEGUIRE …”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, stampalternativa.it /edizioni speciali)
“L’on. Mastella, alla notizia di essere stato chiamato in causa dal sig. Marini nella vicenda delle presunte tangenti pagate per Telekom Serbia, si è subito messo a disposizione della procura torinese e della commissione parlamentare d’inchiesta per ribadire in tali sedi la propria estreneità ai fatti.
Il comportamento dell’on. Mastella dovrebbe essere preso ad esempio dagli esponenti politici del governo Prodi che avallarono, con atti o omissioni, l’operazione Telekom Serbia; Prodi, Dini e Fassino accolgano, dunque, l’invito rivolto loro ieri dalla pagine de “L’Espresso” da Gianpaolo Pansa e dichiarino la loro disponibilità a essere sentiti dalla commissione parlamentare e dalla procura torinese, magari in autunno, dopo che gli inquirenti e i commissari avranno avuto modo di esaminare le carte inerenti i casi “Marini” e “Volpe-Romanazzi”.
Sia Pansa sia chi, nel centro-destra (uno per tutti il senatore Consolo), continua giustamente ad additare le responsabilità politiche del governo Prodi nella vicenda, non può fare la tara dell’operato, attivo o passivo, dell’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi; altrimenti, non è credibile rispetto ai milioni di italiani che, grazie al “caso Marini” (è triste ammetterlo ma è così) stanno scoprendo il “caso Ciampi”.
“E’ meglio una contraddizione cosciente che una contraddizione innocente”, diceva Pasolini; io preferireri che quella di Pansa e Consolo fosse una contraddizione inconsapevole…”.
Torino, 23 agosto 2003
P.S. IL comunicato è stato ripreso sabato sera dal TG1 e dal TG5 delle ore 20; domenica dal "Corriere della Sera" (l'unico a citare Ciampi), dal "Giornale" e dal "Sole 24 Ore".
TELEKOM SERBIA, RADICALI DA FASSINO PAROLE IMPORTANTI, MA NON BASTA
Comunicato di Benedetto Della Vedova e Gianfranco dell’Alba deputati europei e Giulio Manfredi membro del Comitato Nazionale Radicali Italiani
Le dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera da Piero Fassino cominciano (tardivamente, troppo tardivamente, ma tant’é…) a gettare un fascio di luce sull’operazione Telekom Serbia nel 1997 il Governo italiano, secondo quanto concordato tra UE e USA dopo gli accordi di Dayton, spingeva le imprese ad investire in Serbia per incoraggiare la democratizzazione dei Balcani (allora, prima della cacciata di Milosevic, una chimera, coma Fassino ben sa).
Con queste parole, forse, si comincia a stracciare il velo di ipocrisia e di reticenza che fino ad oggi aveva portato i politici protagonisti della vicenda a negare tutto, compresa l’evidenza dell’impossibilità che un’operazione di tali dimensioni e sensibilità politica potesse passare inosservata.
Del resto, non si trattava di impiantare uno stabilimento della Coca Cola. La Stet era una azienda pubblica – a differenza di quanto sostiene nell’intervista il leader della Quercia la privatizzazione avvenne quasi sei mesi dopo la conclusione dell’affare – e questo rende peculiare la transazione seppur decise dagli amministratori (come ancora sostiene Fassino), le operazioni di cessione/acquisizione incidono patrimonialmente sugli azionisti, in questo caso il Governo italiano, che ha pagato, e quello serbo di Slobodan Milosevic, che ha riscosso.
Noi crediamo, senza dubbio alcuno fino a prova provata del contrario, che Fassino sia estraneo a qualsiasi ipotesi di corruzione.
Ma i radicali hanno denunciato fin dal 25 giugno 1997, con l’interrogazione parlamentare lasciata senza risposta del senatore Milio, la gravità del caso Telekom Serbia. Si chiedeva, tra l’altro “quale rilevanza strategica è sottesa all’operazione? ..tale rilevanza giustifica il rafforzamento del regime di Slobodan Milosevic?”
Nessuno dei Ministri di allora interessati all’operazione in ragione del proprio ufficio, Prodi, Dini, Ciampi e lo stesso Fassino, trovarono mai le parole per rispondere ai radicali.
Oggi, con oltre sei anni di ritardo, Fassino comincia a fare un po’ di chiarezza, rivendicando in qualche modo le buone ragioni politiche che potevano spingere il Governo italiano ad avallare l’operazione.
Ma non è possibile pretendere, come sembra voler fare Fassino, di archiavare la responsabilità politica di aver materialmente sostenuto i preparativi di Milosevic in vista del massacro kossovaro come una “scommessa fallita della comunità internazionale”.
Ciò che è accaduto era prevedibile e previsto – innanzitutto dai radicali-, cavarsela con una battuta non è possibile. Ci aspettiamo che Fassino abbia il coraggio, avendo abbandonato la strategia del silenzio, di andare fino in fondo nella ricerca e/o assunzione della piena responsabilità politica dell’accaduto.
Il legale del premier Ghedini "Querela o azione civile"
Il leader della Quercia "Non ci lasceremo intimidire"
Telekom Serbia, Berlusconi
vie legali contro Fassino
ROMA - Si inasprisce la polemica sulla vicenda Telekom Serbia. Alla dichiarazione di Piero Fassino che ieri ha accusato Silvio Berlusconi di essere "il burattinaio" del teste Igor Marini, il premier risponde annunciando che adirà le vie legali contro il leader della Quercia. E Piero Fassino, aprendo il dibattito alla festa dell'Unità di Modena, replica con un secco "Non ci lasceremo intimidire".
"Il presidente del Consiglio ha dato mandato ai suoi legali di perseguire in giudizio l'onorevole Fassino per le sue gravi e calunniose affermazioni", ha dichiarato in serata il portavoce del premier, il sottosegretario Paolo Bonaiuti. Successivamente l'onorevole Nicolò Ghedini, uno dei legali di Berlusconi, ha precisato che non è ancora stato deciso se si tratterà di una querela o di un'azione civile. "Decideremo se si tratterà di una querela per diffamazione, di un'azione civile o di tutte e due le cose", ha spiegato l'avvocato raggiunto telefonicamente.
"Come minimo la denuncia sarà per diffamazione vediamo se ci sono anche gli estremi per una calunnia" ha aggiunto. Ghedini, che seguirà la causa, dopo aver spiegato che potrebbe configurarsi anche l'offesa al "corpo politico", sostiene che quella del segretario dei Ds "è un'affermazione che non ha nulla di politico. Fassino, invece di andare a difendersi dalle accuse mosse nel processo da parte di Marini, viene a dire che questo testimone sarebbe gestito da Palazzo Chigi. Mi sembra un modo di difendersi straordinario".
Qualche ora dopo, a Modena, Fassino rivolgendosi ai duemila in platea alla Festa dell'Unità ha commentato "Voglio solo dire che c'è un unico Paese, l'Italia, in cui chi viene ingiuriato, aggredito e attaccato per mesi poi viene anche querelato. Chiunque può constatare che in questi mesi sono stati gli uomini più vicini al presidente del Consiglio ad attaccarmi. Chiunque può comperare un quotidiano che si chiama Il Giornale * che conduce da mesi una campagna contro gli esponenti del centrosinistra".
Quindi, alzando la voce, ha proseguito "Sono io che pretendo delle scuse per essere stato vittima di un'aggressione che va avanti da mesi. Non c'è molto altro dire" ha concluso "se non che non ci lasceremo intimidire". Alle sue parole è partito un applauso e molte grida tipo "Vai avanti", "Tira fuori la grinta".
La decisione di adire le vie legali contro il leader della Quercia è cominciata a maturare fin da ieri sera a Porto Rotondo quando, poco dopo le 21, le agenzie hanno battuto la pesante dichiarazione di Fassino che alla Festa dell'Unità di Bologna ha lanciato il suo siluro all'indirizzo del premier. Dietro le accuse di Igor Marini, sull'affare Telekom Serbia, ha detto il leader Ds, c'è un "burattinaio" e costui "si trova a Palazzo Chigi".
Berlusconi aveva appena accolto i suoi ospiti a Villa Certosa per la cena in onore del presidente russo Vladimir Putin. Il presidente del Consiglio ha manifestato subito ai presenti tutta la sua amarezza quando ha letto le agenzie. E con tutta probabilità fin da ieri sera Berlusconi ha preso contatto con i suoi legali per decidere il da farsi. E per tutta la giornata di oggi ha tenuto un filo diretto con i suoi avvocati.
Poi, a 24 ore dalla dichiarazione di guerra di Fassino, dunque, l'annuncio dell'azione legale. Bonaiuti si è presentato all'hotel San Marco dove i cronisti da ore attendevano l'arrivo del premier, convinti che Berlusconi volesse incontrare la stampa per fare un bilancio della visita del presidente russo, ma anche per "esternare" sul caso Fassino. Alla fine, però, è stato deciso di affidare al portavoce lo stringato comunicato.
(31 agosto 2003)
(*)
Tony Renis prepara il festival di San Remo «Il Cavaliere è bravissimo però il pianoforte lo controllo io. Silvio però è proprio bravo. Invece quel Mortadella lì dovrà dirci cosa sa di Telekom Serbia». Repubblica, 31 agosto, pagina 4. Per il Dopofestival è prevista la partecipazione di Igor Marini.
Fassino intervistato sul Corriere di oggi
[…]«…rispondo alle domande che mi sono state rivolte da Ernesto Galli della Loggia.
Intanto, quella secondo la quale si doveva bloccare l’acquisto di Telekom Serbia per non aiutare Milosevic. Si dimentica che nel 1995, dopo la pace di Dayton, la scelta di Usa e Ue fu di tentare di favorire un’evoluzione democratica nei Balcani. Via le sanzioni, via l’embargo. Le imprese europee e statunitensi furono incoraggiate a investire...».
Insomma, la mano a Milosevic non la deste voi, ma Usa e Ue.
«Gliela diede la comunità internazionale. E non è stata mica la prima volta. Altrimenti si dovrebbero creare commissioni di inchiesta anche sulla Cina per i diritti umani, sugli investimenti della Fiat a Togliattigrad in Urss, o sulle relazioni con l’Iran».
In questo caso, ci si chiede come mai nessuno sembri saperne nulla, come mai nessuno sia intervenuto.
«Ma perché dovevamo intervenire? La trattativa era nota e il governo non ha avuto alcun ruolo perché non doveva averlo, come peraltro in commissione è stato già ampiamente spiegato. Se a livello internazionale la strategia fosse stata quella di isolare Milosevic, allora si sarebbe dovuto intervenire. Ma poiché non era così, il governo non lo fece».
E i dispacci preoccupati del nostro ambasciatore a Belgrado?
«Le parole dell’ambasciatore alla commissione dimostrano la mia assoluta correttezza e la mia totale estraneità alla vicenda» (*) .
Perché Telekom Serbia fu pagata una cifra e rivenduta anni dopo ad un prezzo dimezzato?
«Sono decisioni aziendali, non dell’autorità politica. E’ un’azienda a decidere il prezzo di un acquisto o di una cessione. Perché la decisione doveva spettare al governo? Tanto più che fu conclusa quando Telecom era una società privata e la presenza dello Stato era irrilevante. D’altra parte, le scelte di un’azienda sono prerogativa dei suoi amministratori» .
----
(*) Dalla deposizione dell’ambasciatore in commissione, seduta del 9 ottobre 2002
“Verso gennaio [1997], si diffondono voci, commenti su un interesse italiano ad acquisire il 49 per cento (che era il tetto massimo) di Telekom-Serbia, che andava quindi scorporato dalla PTT serba. A questo punto, come poi è emerso, sono iniziate critiche nei confronti dell'Italia, in quanto si vedeva in questa iniezione di denaro fresco un puntello al regime di Milosevic che stava crollando, dal momento che dal novembre 1996 era in corso un braccio di ferro con l'opposizione, la quale affermava che Milosevic aveva «scippato» le elezioni locali del 17 (se non erro) novembre 1996.
Questo lungo braccio di ferro, che si sostanziava in quotidiane manifestazioni di strada e discorsi dei leader dell'opposizione, in gennaio era ormai arrivato ad una conclusione favorevole all'opposizione, per l'intervento dell'OSCE e della comunità internazionale (Felipe Gonzales). Milosevic aveva dovuto fare marcia indietro e si preparava a vincere le elezioni politiche del settembre successivo. Quindi, in una situazione finanziaria gravissima, fallimentare, la prospettiva di poter incamerare un miliardo di dollari per la vendita del 49 per cento, denaro fresco a sua piena disposizione, veniva vista dall'opposizione come un aiuto politico nei confronti di Milosevic.
Questi sono i messaggi che tra la fine di gennaio e l'inizio di febbraio vennero portati da molti interlocutori, anche i più in vista , come Djindijc, Draskovic o Avramovic, che era il governatore della banca centrale. Nel corso del mese di febbraio io riferii alcune volte su queste vicende.
[…]
Dopo aver telegrafato, alla fine di gennaio e il 7 febbraio al ministero, avendo ricevuto dalla direzione generale competente una risposta abbastanza concisa, per non dire anodina, ed avendo nel frattempo ricevuto altri messaggi da personaggi del settore democratico della Serbia, scrissi, in effetti, al sottosegretario Fassino, il quale era stato una volta, a novembre, a Belgrado, proprio per lanciare il discorso della cooperazione economica, ovviamente su incarico del ministro Dini, e poi era tornato a metà gennaio, sempre su incarico del ministro Dini, per ravvivare il dialogo con l'opposizione e, al tempo stesso, mantenere il dialogo sulla collaborazione economica. In quella occasione, Piero Fassino mi aveva manifestato un forte disagio per questa trattativa, che, come io stesso sottolineavo e come egli percepiva, si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare l'ambasciata ed informando il ministero solo su pressante richiesta del ministero stesso ed in modo piuttosto incompleto. Avendomi egli manifestato queste perplessità e non avendo io un rapporto diretto con il ministro, ritenni - al di là delle comunicazioni che un ambasciatore manda per telegramma a vari indirizzi, quindi a nessun indirizzo in particolare e che spesso possono non raggiungere i vertici del ministero - di attirare l'attenzione del sottosegretario Fassino, il quale era, appunto, stato mio ospite per due volte a Belgrado in tempi recenti.
[…]
Io cercai di sollecitare una risposta, che comunque non era dovuta - dall'estero noi scriviamo sempre, ma il ministero non è tenuto a rispondere -, per sapere se vi fosse un seguito e mi si disse che la cosa era stata portata all'attenzione di chi di dovere. Non ho modo di sapere a chi personalmente sia stata portata. […] Ai miei sondaggi, fatti a voce, per telefono fu risposto più o meno «non ti preoccupare, la cosa è all'attenzione del primo piano» o qualcosa del genere. […]Io non ho più avuto altre informazioni. Dopo febbraio la Telecom si è chiusa in un totale silenzio. La direzione generale degli affari economici non ha dato l'impressione di volerne sapere di più. Come tutti ormai avranno compreso, vi è stata una volontà politica di non interferire in quello che veniva considerato un negoziato aziendale, anche se Telecom a quel tempo era ancora una società non privatizzata. […]Le mie comunicazioni, che attiravano l'attenzione sul carattere un po' speciale di questa operazione ed anche su certi rischi, erano state molteplici, ma c'è sempre un limite oltre il quale un funzionario non va, se ha l'impressione che i suoi superiori siano al corrente e non intendano dare certi seguiti o, se li danno, non intendono informarne l'ambasciata.
[…]
Vorrei aggiungere che il 15 gennaio Tomasi di Vignano fu a Belgrado, senza mettersi in contatto con noi, vide Milosevic, che era presidente della Serbia, Milutinovic che era ministro degli esteri della Federazione, e Marianovic, che era primo ministro. Stranamente questa visita coincise con la seconda visita del sottosegretario Fassino, il quale non fu in alcun modo coinvolto, venne tenuto all'oscuro della cosa e ne fu informato con aria canzonatoria da Milutinovic, come a dire «le questioni importanti le stiamo trattando con il signor Tomasi, che abbiamo visto separatamente». […] Siamo stati informati dal ministro degli esteri Milutinovic che la cosa veniva trattata in altra sede quel giorno stesso ad alto livello e che era molto importante per la parte serba, più importante (fece capire) della visita di Fassino, tanto è vero che gli interlocutori serbi erano più altolocati. Questo fu accolto da me e dal sottosegretario Fassino con visibile disagio, ci siamo scambiati occhiate e considerazioni ovvie e non vi è stato bisogno di lunghi discorsi.
28 agosto 2003
“Il Giornale” intervista l’avv. Giovanni Di Stefano (“Parlai di Telekom con Dini e Fassino – Prodi & C. sapevano tutto, ho le prove”)
“(Avvocato Di Stefano, segue le novità su TS?) Con attenzione … e non riesco a credere a quel che leggo. Non capisco perché il mio amico Dini, Fassino soprattutto, quel Prodi e soprattutto Scalfaro … neghino ostinatamente l’evidenza dei fatti. Come fanno a dire che non sapevano di TS? Sanno bene che io so quanto loro siano a conoscenza del business. Li ho incontrati personalmente a Belgrado più volte…
(Ma nei giorni caldi dell’accordo lei parlò con Dini?) Certo, che domande. Lo vidi in ambasciata, in albergo e in altre sedi, anche istituzionali, come quella volta da Jovanovic al ministero degli Esteri. Chiedeteglielo, non potrà non ricordare quegli incontri…
(Mettiamo il caso che non li ricordi…) Impossibile. Deve rammentare per forza. Ricordo che una volta ci soffermammo sul fitto scambio di corrispondenza tra la Jugoslavia e la società della moglie Donatella…
(…Zingone Dini?) Proprio lei. L’ex ministro degli Esteri dovrebbe ricordarsi dei finanziamenti del governo serbo in Costarica, Paese che, diciamo così, risultava particolarmente elastico nell’interpretazione delle leggi sull’embargo. Nulla di illecito, sia chiaro. Rammento, però, con precisione che il governo di Milosevic investì attraverso il gruppo … Zeta. Si chiama così quello della signora?
(Sì. Di che tipo di investimenti si trattava? Nel campo edilizio.
(Che altro sa di questa storia?) Silenzio.
(Passiamo a Piero Fassino…) Lo incontrai a Belgrado due o tre volte, ci parlai spesso.
(In quel periodo, a livello politico-diplomatico, si discuteva di Telekom Serbia?) Ancora? Ma certo. Era un super affare per la Serbia, l’investimento italiano più consistente nel campo della telefonia, nell’Est Europa. Fassino sapeva benissimo quel che accadeva. Se non ricordo male, e i telegrammi resi noti lo dimostrano, era stato informato dall’ambasciata. Eppoi, sia con lui che con Dini, ne parlai io personalmente di Telekom. Qualche domanda, ora, ve la faccio io. Pensate davvero che il governo italiano non sapesse di un affare simile con la Serbia di un certo signor Milosevic? Davvro credete che nessuno, in special modo al ministero del Tesoro, fosse a conoscenza di un saldo da centinaia di milioni in marchi tedeschi? Mi chiedo e vi chiedo come si fa a dare l’ok a un trasferimento così importante in valuta estera e poi dire… non sapevo? Piuttosto…
(Dica, avvocato) Un’altra domanda. Vi siete mai chiesti perché la Grecia, che con l’Italia partecipò all’operazione di acquisizione delle quote, non è stata investita dalle polemiche e dalle inchieste penali?
(Ci dia lei la risposta) Eh no. Mi riservo di spiegarlo nelle sedi opportune…
(In un suo scritto lei ha fatto cenno anche all’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro) Come no. Fu Milosevic in persona a chiedermi di contattarlo, di invitarlo personalmente alla presentazione del business che venne poi reso noto, a pagamento, sul Financial Times e su altri giornali. Non passammo per i filtri dell’ambasciata, come solitamente accadeva, perché Slobo volle farlo personalmente, in via amichevole stimava Scalfaro. E così fu. Mandammo il fax a Roma dall’ufficio del gabinetto del presidente. Una copia dovrebbe essere ancora in giro, chiedete al giudice Del Ponte che ha fatto sequestrare tutto.
(Arrivarono risposte dal Quirinale?) Non lo so. Chiedetelo a Scalfaro.
(Lasciamo stare. Facciamo un salto all’attualità. Ha conosciuto Igor Marini? Mai. Per me, è uno che mente. Tangenti non ve ne furono…
(Zoran Persen, il socio di Marini arrestato, mai sentito nominare?) Mai. Io frequentavo solo i vertici, da Milosevic ad Arkan, al gotha del governo.
(A suo avviso il Sismi, a Belgrado, sapeva di TS?) Forse non ci siamo capitilo sapevano tutti, come tutti lo sapevano a Roma. Con i due agenti dei servizi segreti italiani, di cui per ovvi motivi non posso rivelare i nomi, parlammo a lungo anche di questa faccenda che non presentava alcuna irregolarità. Non avevano motivo di allarmarsi, era tutto regolare e concordato ai massimi livelli politici d’entrambi i Paesi.
(A Belgrado sostengono che lei ha avuto un ruolo centrale anche nell’individuazione della società Natwest, advisor per TS, al cui vertice siedeva Douglas Hurd, ex ministro degli Esteri inglese) Il suggerimento a Milosevic fu effettivamente mio. Hurd era suo amico e lo era anche di Dini. E ora che mi ci fate pensare, anche la stessa moglie del ministro degli Esteri aveva rapporti strettissimi con la Natwest, via Costarica. Ricordo che spedimmo alcune lettere. Devo controllare meglio. Vi farò sapere …”.
28 agosto 2003
“Il Giornale” intervista l’avv. Giovanni Di Stefano (“Parlai di Telekom con Dini e Fassino – Prodi & C. sapevano tutto, ho le prove”)
“(Avvocato Di Stefano, segue le novità su TS?) Con attenzione … e non riesco a credere a quel che leggo. Non capisco perché il mio amico Dini, Fassino soprattutto, quel Prodi e soprattutto Scalfaro … neghino ostinatamente l’evidenza dei fatti. Come fanno a dire che non sapevano di TS? Sanno bene che io so quanto loro siano a conoscenza del business. Li ho incontrati personalmente a Belgrado più volte…
(Ma nei giorni caldi dell’accordo lei parlò con Dini?) Certo, che domande. Lo vidi in ambasciata, in albergo e in altre sedi, anche istituzionali, come quella volta da Jovanovic al ministero degli Esteri. Chiedeteglielo, non potrà non ricordare quegli incontri…
(Mettiamo il caso che non li ricordi…) Impossibile. Deve rammentare per forza. Ricordo che una volta ci soffermammo sul fitto scambio di corrispondenza tra la Jugoslavia e la società della moglie Donatella…
(…Zingone Dini?) Proprio lei. L’ex ministro degli Esteri dovrebbe ricordarsi dei finanziamenti del governo serbo in Costarica, Paese che, diciamo così, risultava particolarmente elastico nell’interpretazione delle leggi sull’embargo. Nulla di illecito, sia chiaro. Rammento, però, con precisione che il governo di Milosevic investì attraverso il gruppo … Zeta. Si chiama così quello della signora?
(Sì. Di che tipo di investimenti si trattava? Nel campo edilizio.
(Che altro sa di questa storia?) Silenzio.
(Passiamo a Piero Fassino…) Lo incontrai a Belgrado due o tre volte, ci parlai spesso.
(In quel periodo, a livello politico-diplomatico, si discuteva di Telekom Serbia?) Ancora? Ma certo. Era un super affare per la Serbia, l’investimento italiano più consistente nel campo della telefonia, nell’Est Europa. Fassino sapeva benissimo quel che accadeva. Se non ricordo male, e i telegrammi resi noti lo dimostrano, era stato informato dall’ambasciata. Eppoi, sia con lui che con Dini, ne parlai io personalmente di Telekom. Qualche domanda, ora, ve la faccio io. Pensate davvero che il governo italiano non sapesse di un affare simile con la Serbia di un certo signor Milosevic? Davvro credete che nessuno, in special modo al ministero del Tesoro, fosse a conoscenza di un saldo da centinaia di milioni in marchi tedeschi? Mi chiedo e vi chiedo come si fa a dare l’ok a un trasferimento così importante in valuta estera e poi dire… non sapevo? Piuttosto…
(Dica, avvocato) Un’altra domanda. Vi siete mai chiesti perché la Grecia, che con l’Italia partecipò all’operazione di acquisizione delle quote, non è stata investita dalle polemiche e dalle inchieste penali?
(Ci dia lei la risposta) Eh no. Mi riservo di spiegarlo nelle sedi opportune…
(In un suo scritto lei ha fatto cenno anche all’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro) Come no. Fu Milosevic in persona a chiedermi di contattarlo, di invitarlo personalmente alla presentazione del business che venne poi reso noto, a pagamento, sul Financial Times e su altri giornali. Non passammo per i filtri dell’ambasciata, come solitamente accadeva, perché Slobo volle farlo personalmente, in via amichevole stimava Scalfaro. E così fu. Mandammo il fax a Roma dall’ufficio del gabinetto del presidente. Una copia dovrebbe essere ancora in giro, chiedete al giudice Del Ponte che ha fatto sequestrare tutto.
(Arrivarono risposte dal Quirinale?) Non lo so. Chiedetelo a Scalfaro.
(Lasciamo stare. Facciamo un salto all’attualità. Ha conosciuto Igor Marini? Mai. Per me, è uno che mente. Tangenti non ve ne furono…
(Zoran Persen, il socio di Marini arrestato, mai sentito nominare?) Mai. Io frequentavo solo i vertici, da Milosevic ad Arkan, al gotha del governo.
(A suo avviso il Sismi, a Belgrado, sapeva di TS?) Forse non ci siamo capitilo sapevano tutti, come tutti lo sapevano a Roma. Con i due agenti dei servizi segreti italiani, di cui per ovvi motivi non posso rivelare i nomi, parlammo a lungo anche di questa faccenda che non presentava alcuna irregolarità. Non avevano motivo di allarmarsi, era tutto regolare e concordato ai massimi livelli politici d’entrambi i Paesi.
(A Belgrado sostengono che lei ha avuto un ruolo centrale anche nell’individuazione della società Natwest, advisor per TS, al cui vertice siedeva Douglas Hurd, ex ministro degli Esteri inglese) Il suggerimento a Milosevic fu effettivamente mio. Hurd era suo amico e lo era anche di Dini. E ora che mi ci fate pensare, anche la stessa moglie del ministro degli Esteri aveva rapporti strettissimi con la Natwest, via Costarica. Ricordo che spedimmo alcune lettere. Devo controllare meglio. Vi farò sapere …”.
Tomaso Tommasi di Vignano e Giuseppe Gerarduzzi (i due dirigenti Telecom inquisiti dalla procura torinese) non sono stati ancora sentiti solamente perché hanno chiesto un rinvio
TELEKOM SERBIA/RADICALI RILEVANTI LE DICHIARAZIONI A PANORAMA DEL MINISTRO SERBO DELLA GIUSTIZIA
MENTRE LAMBERTO DINI DIMOSTRA DI NON CONOSCERE NEMMENO I LAVORI DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA…”.
Dichiarazione degli europarlamentari radicali Benedetto Della Vedova e Gianfranco Dell’Alba e di Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, www.stampalternativa.it (edizioni speciali)
“L’intervista rilasciata dal ministro serbo della Giustizia, Vladan Batic, a Panorama è importante, innanzitutto, perché testimonia la convinta volontà delle autorità serbe di collaborare con quelle italiane (in particolare, con la commissione parlamentare d’inchiesta) per l’accertamento dei fatti; inoltre, perché Batic sottolinea la collaborazione instaurata con il Procuratore capo del Tribunale dell’Aja, Carla Del Ponte, rispetto soprattutto allo scambio di informazioni sui conti segreti di Milosevic a Cipro, la “Svizzera” del regime serbo.
Ricordiamo, a questo proposito, che nel giugno 2002 Giovanni Bianconi e Vittorio Malagutti avevano condotto un’inchiesta sul “Corriere della Sera” (riportata nel libro di Manfredi) che partiva dal contenuto del rapporto sulle “finanze nere” di Milosevic stilato dall’investigatore finanziario Morten Torkildsen per conto del Tribunale dell’Aja. Il “Rapporto Torkildsen” citava, ad esempio, le società di copertura cipriote “Browncourt”, “Hillsay Marketing” e “Vericon Management” , ipotizzando che fossero confluiti sui loro conti bancari 480 milioni di marchi provenienti dall’affaire Telekom Serbia; circostanza confermata in un’inchiesta di Bonini e D’Avanzo de “La Repubblica” del 4 luglio scorso.
Non basta il “Corriere della Sera” indicava come “trasportatore dei fondi neri” il signor Mihalj Kertes, capo delle Dogane di Stato serbe. In passato i radicali avevano segnalato il signor Kertes al Tribunale dell’Aja per il ruolo svolto dallo stesso come “cinghia di trasmissione” del Ministero degli Interni serbo con le bande paramilitari di Arkan e Seselj in Croazia e Bosnia. Rispetto all’affaire Telekom Serbia, inoltre, abbiamo chiesto sia alla procura torinese sia alla commissione parlamentare d’inchiesta di acquisire la testimonianza di Kertes tramite rogatoria internazionale.
In definitiva, le dichiarazioni di Batic fanno ben sperare nell’instaurazione di una sinergia fra Belgrado, Roma e l’Aja, proficua per tutti.
Tornando al cortile di casa, lasciano esterefatti le dichiarazioni di Lamberto Dini, che invita la commissione d’inchiesta a dimenticare Marini e ad ascoltare i vertici Telecom dell’epoca; è proprio quello che ha fatto la commissione in quest’anno di lavoro metà delle cinquanta audizioni sono state dedicate a sentire 24 fra manager e alti funzionari Telecom; Tomaso Tommasi di Vignano e Giuseppe Gerarduzzi (i due dirigenti Telecom inquisiti dalla procura torinese) non sono stati ancora sentiti solamente perché hanno chiesto un rinvio. E dai resoconti stenografici delle audizioni dei manager Telecom emerge chiaramente che quello serbo era un “non-affare” pochi clienti, impianti obsoleti, costo delle telefonate bassissimo, dinaro non convertibile, nessuna due diligence (il check up di Telekom Serbia), tanto che il consulente di Telecom Italia, la svizzera UBS, “precisa di non assumere alcuna responsabilità sui dati utilizzati per la stima, che non sono certificati…”.
Forse Dini era distratto…”.
Bruxelles, Torino, 29 agosto 2003
Non male amche il punto di vista di uno dei residui organi di stampa all'opposizione.
Telekom Serbia, Dini è Berlusconi il regista delle infamie
di Vittorio Locatelli
Telekom Serbia ecco un altro «supertestimone». Appare l’avvocato Giovanni Di Stefano che, guarda caso al Giornale, racconta la sua «verità». Il legale, con vari trascorsi poco chiari, è più in linea con l’ultima versione della Casa delle Libertà «Ma quali tangenti, il problema è politico». E così Di Stefano si stupisce «Non capisco perché il mio amico Dini, Fassino soprattutto, quel Prodi e soprattutto Scalfaro neghino ostinatamente l’evidenza dei fatti. Come fanno a dire che non sapevano di Telekom Serbia?» si chiede, e insiste «Sanno bene che io so quanto loro siano a conoscenza del business. Li ho incontrati personalmente a Belgrado più volte. Pensate davvero che il governo italiano non sapesse niente di un affare simile?». Di Stefano dice che Fassino «non ha preso tangenti ma non poteva non sapere del business» e sapeva tutto anche Scalfaro «Fu Milosevic in persona a chiedermi di invitarlo personalmente alla presentazione del business».
Dopo quest’ultima uscita Lamberto Dini attacca duramente il premier e i suoi organi di informazione. La vicenda Telekom-Serbia si sta «sviluppando a orologeria, secondo una regia ben coordinata, come risulta dai vergognosi, infamanti articoli del Giornale di Silvio Berlusconi e della sua famiglia». Secondo Dini il Giornale «tira fuori nuovi discutibili personaggi quali il signor Di Stefano che dice di conoscermi e che io non ho mai incontrato, né conosciuto». Dini ribadisce di aver «dichiarato anche in passato la disponibilità ad essere ascoltato dalla Commissione». Infine l’ex ministro parla della «moralità nella politica tirata in ballo dall’onorevole Bondi» e lo invita «a guardare le spese di Palazzo Chigi durante il mio governo e confrontarle con quelle faraoniche dell’attuale presidente del Consiglio».
A Di Stefano risponde anche Roberto Cuillo, portavoce del segretario dei Ds Piero Fassino «Fassino non ha mai conosciuto, né incontrato in alcun posto, tantomeno a Belgrado, tal avvocato Giovanni Di Stefano. Quindi le affermazioni in proposito fatte al Giornale dallo stesso Di Stefano sono destituite di ogni fondamento». Per Cuillo è l’ennesimo «bidone di una vicenda che ogni giorno di più si popola di mitomani, millantatori, faccendieri e prestatori di oscure opere, tutti con i conti in sospeso con la giustizia. La vera domanda a cui dare risposta è chi è il burattinaio che tira i fili di queste continue provocazioni».
Dalla Casa delle libertà sono invece arrivati nuovi attacchi. «L’onorevole Dini è chiaramente in preda alle convulsioni di una crisi di nervi. Si calmi, abbia almeno il pudore di non nominare il nome di Berlusconi senza arrossire e vergognarsi» ha detto il portavoce di Forza Italia Sandro Bondi, mentre il vicepresidente leghista del Senato, Roberto Calderoli, chiederà al presidente Trantino «che la Commissione acquisisca i bilanci dei partiti e dei singoli che avrebbero ricevuto fondi di provenienza Telekom per le campagne elettorali» perché «un’indagine approfondita sulle entrate e sulle relative provenienze» potrebbe «chiarire, in via indiretta, se tangenti ci sono state e chi ne abbia beneficiato perlomeno nel settore politico».
Alla Cdl ha risposto Pierluigi Castagnetti, della Margherita «Si è rotto il bambolotto d’oro che, a pressione, raccontava balle. Marini non era credibile prima, ora lo è ancora meno, tanto è vero che stanno spostando l’accusa sul fatto che il centrosinistra avrebbe sostenuto il regime di Milosevic. Ma se non ricordo male il centrosinistra ha tirato bombe su Milosevic, è Bossi che gli ha stretto la mano». Clemente Mastella, invece, a cui Marini dice aver portato una valigetta con 4 miliardi, ha improvvisato uno show alla festa del’Udeur di Telese, presentandosi con una vecchia valigia verde piena di adesivi «i soldi del conte», «i soldi che non ho mai preso», «soldi italo serbi». «Oggi stesso - ha detto Mastella - sporgerò querela contro quel farabutto di Marini. L’unica cosa seria è questa valigia, risale ai tempi della guerra».
Sul fronte giudiziario della vicenda c’è stato un nuovo interrogatorio per Igor Marini, durato otto ore e poi sospeso, forse fino a martedì prossimo. E sono arrivate nuove indiscrezioni, secondo cui l’avvocato Fabrizio Paoletti avrebbe confermato ai magistrati di Torino l'esistenza della lista dei 14 beneficiari della presunta tangente Telekom Serbia. Marini avrebbe parlato anche dell’avvocato Di Stefano che avrebbe gestito 150 milioni di dollari della presunta tangente, circostanza smentita da Di Stefano al Giornale. L’avvocato di Marini, Luciano Randazzo, ha poi annunciato che intende ascoltare proprio Clemente Mastella nell’ambito delle indagini difensive o, in alternativa, chiedendo un incidente probatorio, di fatto un confronto.
Intanto l’avvocato di Zoran Persen presenta venerdì ai magistrati torinesi la richiesta di confronto tra Persen e Marini. Il legale ha precisato che il suo cliente, detenuto nel carcere di Novara, gli ha «confermato di non sapere nulla della vicenda Telekom Serbia e proprio per questo mi ha pregato di chiedere urgentemente un confronto».
Il premier cambia la Costituzione. «E chi fa polemiche non sarà ricandidato» di Marcella Ciarnelli
Ottimo l’articolo di Antonio Rossitto sul numero odierno di Panorama nel fare il punto della situazione
-----
Per adesso la corruzione resta un'ipotesi e appare poco solida perdipiù. Invece in questa storia una certezza già esiste con i soldi della Stet, all'epoca interamente in mano al Tesoro, gli italiani hanno finanziato un regime criminale ed efferato come quello dell'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic.
[…]
Quei soldi sono una manna. Boris Tadic, oggi ministro della Difesa della Serbia-Montenegro, lo definì "un'iniezione finanziaria al regime". Milosevic può pagare stipendi e pensioni, vincere ancora le elezioni, rifornire i suoi tank e massacrare migliaia di kosovari. Drasko Petrovic, che ai tempi dell'affaire era deputato e membro del comitato delle Comunicazioni, conferma "Quello che so con sicurezza è che del denaro ottenuto nemmeno un marco entrò nelle casse della Telekom e delle Ptt".
Centinaia di miliardi vennero risucchiati dai conti bancari del satrapo. Ma la cifra esatta è ancora difficile da stabilire. Per sapere invece quanto, tangenti a parte, sia stata deleteria l'operazione, non c'è bisogno di attendere il giudizio della storia. Lo scorso dicembre la quota di Telekom è stata riacquistata dalle Poste serbe per 195 milioni di euro, pari a circa 378 miliardi di lire meno della metà degli 878 miliardi sborsati dall'Italia cinque anni prima. In tutta questa vicenda il Palazzo ha lasciato fare.
[…]
l'acquisto fu condotto e portato a termine direttamente dal numero uno della Stet, Tomaso Tommasi di Vignano, voluto da Prodi ed Enrico Micheli, suo sottosegretario alla presidenza, per privatizzare il gruppo. Uno che dice cose singolari, Tommasi. Una giornalista del Piccolo di Trieste gli chiese se, assieme al contratto, avesse firmato anche una clausola di segretezza. Lui bofonchiò "Né lo confermo, né lo smentisco non lo so proprio".
La risposta alla domanda successiva chiarì meglio il suo pensiero "Se c'era, stava in mezzo a un tomo di mille pagine che mi sono trovato davanti e che ho solo sfogliato". Infine aggiunse stizzito "Se c'era, non l'avevamo chiesta noi, che i soldi li davamo, mica li prendevamo".
Ma anche al ministero del Tesoro, all'epoca guidato da Carlo Azeglio Ciampi, sull'argomento hanno preferito glissare. Lucio Izzo, che rappresentava il dicastero nel consiglio di amministrazione Stet, ha ricordato il giorno in cui Tommasi comunica l'acquisizione "Una semplice informativa. Non a caso nelle varie ed eventuali".
E quanto durò la trattazione di questa informativa? "Più o meno sei o sette minuti" ha dichiarato ai commissari. "La faccenda era stata decisa in altra sede". Eppure, il ruolo di Izzo era di vigilanza. Si stava maneggiando denaro di tutti. Pura teoria. Il capitolo Telekom venne trattato come l'acquisto di materiale di cancelleria e discusso giusto il tempo di un caffè. Izzo aggiunge poi di non averne parlato con nessuno "Né prima, né dopo".
[…]
Il Tesoro dice di non essere stato coinvolto. Così come la Farnesina. Ma l'ambasciatore a Belgrado, Francesco Bascone, aveva scritto al ministero degli Esteri 14 volte per avvertirlo del guaio in cui si stava cacciando la Stet.
Il 13 febbraio 1997, per esempio, invia un'allarmata lettera a Fassino "Non c'è alcuna garanzia sulla destinazione dei soldi dell'affare". L'attuale segretario dei Ds, del resto, qualche mese prima, "durante una sua visita a Belgrado, aveva manifestato un forte disagio per questa trattativa, che si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare l'ambasciata e il ministero".
[…]
la Stet non era una società qualsiasi. Era il fiore all'occhiello delle vecchie partecipazioni statali. La più importante azienda pubblica in via di privatizzazione più di 20 mila miliardi di lire in gioco, tutti gli occhi addosso. Ma il presidente del Consiglio, Romano Prodi, della sciagurata operazione non sapeva nulla. Il Tesoro non era stato informato. La Farnesina brancolava nel buio. Possibile?
Una cosa è certa fatti due calcoli, è come se ogni italiano avesse mandato a Slobo 8 euro di contributo alla sua sporca causa. Questo, Igor Marini a parte, è il vero scandalo.
TELEKOM SERBIA/RADICALI “LE RESPONSABILITA’ POLITICHE SONO MOLTO PIU’ GRAVI DELLE EVENTUALI RESPONSABILITA’ PENALI. PRODI NON PUO’ TIRARSI FUORI CON UNA BATTUTA … E I SILENZI DI DINI E CIAMPI SONO ASSORDANTI.”.
Benedetto Della Vedova e Gianfranco Dell’Alba (europarlamentari radicali) e Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani) hanno dichiarato
“Proprio oggi, dopo la pubblicazione dell'importante intervista del Giornale all'avvocato Giovanni Di Stefano, intendiamo ripetere quello che abbiamo detto, da soli e inascoltati, dal 9 giugno 1997 e che il Polo dice (meglio tardi che mai) da un mese a questa parte la responsabilità politica di avere dato a Milosevic quella boccata di ossigeno che gli ha permesso di rimanere al potere e di lanciare la sua terza pulizia etnica in Kosovo (dopo Croazia e Bosnia) è molto più grave delle eventuali responsabilità penali relative al percepimento di tangenti; e tale responsabilità politica ricade sul governo Prodi dell’epoca, punto e basta.
La dichiarazione di totale estraneità fatta da Prodi nella lettera all’Espresso è irricevibile; come possono i cittadini italiani credere che l’ex presidente dell’IRI non sappia nulla di un affare nato in casa IRI negli anni 1993-1994 e giunto alla maturità quando lui diviene capo del governo ed Enrico Micheli (suo braccio destro all’IRI) sottosegretario alla presidenza del consiglio?! Come è possibile che né lui né gli altri ministri interessati alla questione "in ragione del proprio ufficio", cioé Fassino, Dini e Ciampi, non si siano accorti di nulla? Se mai ciò fosse stato, sia chiaro, la mancata vigilanza sulle operazioni di Stet assumerebbe una gravità, dal punto di vista politico e nei confronti dei contribuenti italiani, non meno rilevante della partecipazione alla decisione.
Ci auguriamo che il Presidente Prodi, per la sua prossima audizione in commissione, prepari una linea di difesa più credibile.
Diventa, intanto, ogni ora più assordante il silenzio di Dini … e, diciamolo, del ministro del Tesoro dell'epoca.”.
Bruxelles, Torino, 28 agosto 2003
maddai... era manifesto...
Enrico ,per completezza , forse quando si cita un giornalista è bene dire anche la testata
(che in questo caso mi pare sia "Il MANIFESTO")
in modo che chi legge capisca quale campana ascolta.
Maurizio
Manfredi, questa e' gente che supera i legittimi impedimenti, e che risponde anche alle domande...

«Ora parliamo noi»
Telekom Serbia, Prodi e Fassino cambiano strategia pronti a testimoniare in parlamento
Il professore si difende «L'acquisto di una quota da parte di Stet non fu mai sottoposto alla mia attenzione». Le prove sulle tangenti non ci sono e Bondi (Fi) esagera l'Ulivo è colpevole di genocidio
MATTEO BARTOCCI
ROMA
Il centrosinistra inizia una conversione a U totale sul caso Telekom Serbia. Dopo aver disertato per gran parte dell'estate i lavori della commissione di inchiesta, i dirigenti dell'Ulivo hanno deciso ieri di iniziare la loro campagna d'autunno contro le fin qui fragilissime accuse del faccendiere-truffatore Igor Marini sulle tangenti a loro versate per l'acquisto della società telefonica serba. Tutti i politici chiamati in causa dall'ex chiromante Marini, Romano Prodi, Piero Fassino, Walter Veltroni, Francesco Rutelli e Clemente Mastella hanno fatto sapere di essere pienamente disponibili a essere ascoltati dalla commissione parlamentare o dagli stessi magistrati di Torino. I leader del centrosinistra sono pronti a smentire quelle che considerano pure illazioni calunniose e del tutto infondate. Romano Prodi ha già anticipato quanto dirà alla commissione «Mai, da nessuno e in alcuna forma, l'acquisto di una quota di Telekom Serbia da parte di Stet fu sottoposto alla mia attenzione, né come privato cittadino né come presidente del Consiglio; e non vi era alcuna ragione né formale né sostanziale perché ciò dovesse avvenire».
Il presidente della commissione, l'avvocato Enzo Trantino di An, ha subito apprezzato la disponibilità degli esponenti dell'Ulivo e si è detto pronto a modificare il calendario, nonostante la manifesta contrarietà della Lega Nord.
La terra sotto i piedi di Marini comincia davvero a scottare. Il «superteste», rinchiuso nel carcere delle Vallette, ha paura di essere abbandonato al suo destino. E' quanto suggerisce al presidente Trantino il suo legale, Luciano Randazzo, con un disperato appello «Trantino è troppo cauto, dica pubblicamente se Marini è attendibile o no», lamenta l'avvocato, che ieri ha anche smentito il coinvolgimento del senatore Willer Bordon nella vicenda.
Ma Trantino prende subito le distanze. «Con tutto il rispetto per Randazzo, egli non è un nostro interlocutore istituzionale. Solo i riscontri, sui quali stiamo lavorando, confermeranno o meno l'attendibilità del suo assistito». E l'avvocato di An indica poi come «personaggio essenziale» a questo fine il croato Zoran Persen, arrestato in Svizzera martedì. «Da quanto posso dire - ha spiegato Trantino - Persen non è un personaggio minore. Per il racconto di Marini è essenziale e importante. Se sincero potrebbe essere utile per confermare le dichiarazioni di Marini».
Ma il croato inguaia ulteriormente il suo coimputato. Stando alle indiscrezioni sui suoi primi interrogatori, durante i quali ieri è stato colto da un malore, Persen avrebbe espresso molti dubbi sull'affidabilità di Marini e ha detto che produrrà della documentazione che dimostri la sua estraneità a qualsiasi collegamento con Telekom Serbia. Una smentita su tutta la linea delle affermazioni del grande accusatore. «Telekom Serbia? Non so di cosa state parlando», avrebbe detto ai magistrati torinesi che lo hanno raggiunto nel carcere di Novara. Nelle oltre cinque ore del suo interrogatorio, Persen non ha avuto nessuna difficoltà ad ammettere di aver incontrato più volte Marini e di aver intrattenuto rapporti di affari con lui, ma ha specificato che non riguarderebbero affatto la vicenda Telekom.
Di fronte al naufragio dei propri disegni, Forza Italia, tramite il portavoce Sandro Bondi, comincia a pensare a temi diversi da somministrare all'opinione pubblica sulla telenovela Telekom Serbia, come la non congruità economica dell'operazione. Visto che nessuna prova documentale sostiene le tangenti ipotizzate da Marini, Bondi ha accusato l'Ulivo niente meno che di genocidio. «Indipendentemente dall'accertamento delle tangenti a politici italiani, che deve essere ancora dimostrato e verificato - dichiara Bondi -, già ora emerge una pesante responsabilità politica di cui il centrosinistra dovrà rendere conto, per aver contribuito indirettamente a sostenere un regime criminale e finanziare il genocidio di un popolo».
Parole che lasciano allibita l'opposizione. Le livide dichiarazioni di Bondi non riescono a nascondere il fatto che «anche Fi considera Marini un bugiardo», dice l'on. Renzo Lusetti della Margherita. E Michele Lauria, capogruppo in commissione Telekom dello stesso partito, qualifica le parole di Bondi come «un atto di depistaggio». «Scopo della commissione - dice Lauria - è verificare se siano state versate tangenti a esponenti politici italiani, non giudicare l'eticità o la congruità di un'operazione economica, opinabile come tutte le altre».
TELEKOM SERBIA RADICALI, "PRODI E FASSINO MEGLIO TARDI CHE MAI" DINI RESTA AL PALO?
PROCURA E COMMISSIONE NON DIMENTICHINO GIOVANNI DI STEFANO.
Gli europarlamentari radicali Benedetto Della Vedova e Gianfranco Dell’Alba (che, fin dal 1998, denunciarono nelle Assemble degli azionisti Telecom la sciagurata partecipazione serba) hanno dichiarato
“Tanto tuonò che piovve Romano Prodi risponde finalmente a Giampaolo Pansa, che su “L’Espresso” aveva invitato Prodi, Dini e Fassino a presentarsi in commissione parlamentare per dire la loro verità; Prodi contesta “la strana diceria secondo la quale mi opporrei all’essere ascoltato dalla commissione…”. Presidente Prodi, per far tacere le voci malevoli bastava che lei dichiarasse pubblicamente la sua disponibilità a spiegare il suo ruolo attivo o omissivo nell’affaire Telekom Serbia; sono passati due anni e mezzo dall’apertura dell’inchiesta da parte della Procura di Torino e oltre un anno dall’inizio dei lavori della commissione parlamentare; c’è voluta l’imbeccata de “L’Espresso” per farla dichiarare, ma ....meglio tardi che mai. Idem per Piero Fassino, che ha dopo l'uscita del Presidente della Commissione Europea ha dichiarato anche la propria disponibilità ad essere ascoltato.
Ci aspettiamo che nelle prossime ore anche il Ministro Dini si faccia avanti.
Vedremo, a questo punto, se gli esponenti del Governo di allora sapranno convincere magistratura, Commissione Parlamentare e opinione pubblica, non solo e non tanto della loro estraneità all'ipoptesi di corruzione, quanto della loro estraneità rispetto ad una decisione gravissima di un'azienda pubblioca, finora rimasta assurdamente orfana di paternità politica.
La commissione parlamentare dovrà impegnare prossimamente il suo tempo non solo per Prodi, Fassino e magari Dini, ma anche per l’avvocato Giovanni Di Stefano; quanto pubblicato oggi sul “Giornale” conferma le informazioni che i radicali (Giulio Manfredi in particolare) hanno accumulato nel corso del tempo sul conto dell’imprenditore molisano. L’avv. Di Stefano si è sempre dichiarato disponibile ad essere sentito sia dagli inquirenti sia dalla commissione parlamentare; è ora di andare a vedere anche le sue carte.”
Bruxelles, 27 agosto 2003
L’AVVOCATO ITALIANO DI MILOSEVIC MANDAMMO UN FAX A SCALFARO
Estratto da “Il Giornale” pag.2, 27 agosto 2003
ACCUSE ON LINE
LE RIVELAZIONI DI DI STEFANO , SOCIO IN AFFARI DI ARKAN E AMICO DI SLOBO. IN PROCURA ANCHE UN DOSSIER SU DI LUI.
Il postino misterioso di Telekom Serbia cambia indirizzo. Non più la commissione di inchiesta, ma, tra gli altri, la redazione del Giornale e, soprattutto, lo studio romano dell’avvocato Luciano Randazzo, difensore di Igor Marini. Il contenuto della documentazione anonima che il legale del promotore finanziario ha ricevuto nei giorni scorsi (e rigirato alla Procura di Torino) riguarderebbe un noto imprenditore molisano, avvocato, amico di famiglia di Slobodan Milosevic oltreché socio in affari di Zelijko Raznatovic detto Arkan, comandante del gruppo paramilitare serbo delle “tigri”, ucciso il 15 gennaio 2000. È l’avvocato d’affari Giovanni Di Stefano, stando allo scritto, avrebbe depositato materiale scottante su Telekom e su esponenti politici italiani presso lo studio dell’avvocato Giorgio Gradilone che già lo difese nel processo d’estradizione per un contenzioso a Londra riguardo un reato fiscale commesso in violazione della legge sull’embargo nella ex Jugoslavia.
“L’ho difeso in quella circostanza, è vero. Ma sul resto, sui documenti del signor Di Stefano in mio possesso, eccepisco il segreto professionale. Non confermo e non smentisco”, si limita a dire Gradilone al Giornale. Il suo collega Randazzo si cuce la bocca e non proferisce parola. Di Stefano non parla. In compenso di “Johnny il molisano” e di Telekom Serbia, troviamo tracce in interrogazione dei radicali (Della Vedova, Palma, Milio, Dell’Alba, Manfredi), in carteggi ingialliti, su internet con sue disquisizioni on line. Interessanti letture.
Dirimpettaio di Milosevic al quartiere Dedinje a Belgrado, fra i pochi a bazzicare la famiglia del tiranno (soprattutto il figlio di Slobo, Marko) anche quando il Paese è sotto le bombe e l’embargo, Di Stefano è stato avvocato di Milosevic, è un finanziere, un imprenditore edile e una specie di diplomatico ombra su Belgrado. Entra in mille inchieste ma ne esce sempre pulito (la più recente è quella di Sistemi criminali, a Palermo). Alle ultime europee vuole addirittura fondare un partito con logo di Garibaldi e quattrini serbi gli va male.
Da tre anni a questa parte, su Telekom Serbia fa capire di sapere tanto. Nell’escludere atti di corruzione riconducibili a Milosevic, dopo un’intervista a Radio radicale nella quale tira in ballo “un’esponente di An che faceva il pilota e che ha trasportato la delegazione di Telecom in Serbia”
(circostanza confermata quest’anno dal deputato La Starza alla commissione d’inchiesta) il difensore di Slobo alza il tiro via Internet “ una cosa è sicura –racconta sul sito de Lo Spettro- il presidente Scalfaro era a conoscenza di tutta la faccenda. Dini lo era più degli altri attraverso la nostra ambasciata a Belgrado, ed anche Fassino sapeva.
Milosevic voleva fare una richiesta formale a Scalfaro per un annuncio pubblico dell’operazione. Ricordo che non conoscevamo il numero di fax del Quirinale, poi lo trovammo e spedimmo a Scalfaro un invito ufficiale. Non so cosa sia successo dopo…”.
A dicembre 2002 aggiunge dettagli inquietanti “Ci fu un periodo dove l’economia della Serbia richiedeva un intervento serio. Le riserve di capitale straniero erano meno di 100 milioni di euro e la maggior parte dei conti all’estero erano stati congelati. Nel ’93 il mio socio in affari Radojika Nikceviv (assassinato ad ottobre) utilizzava una società milanese di ricerca di Telecom Italia per una joint venture tra Telekom Serbia e Telecom Italia. Si limitava allora alla sola telefonia mobile. Un dirigente d’azienda di Telecom Italia da Torino rispose positivamente. Tuttavia prima che potessimo andare al sodo, Nikcevic fu ucciso. Si saprà mai se il suo assassinio è da mettere in relazione con le trattative future di Telecom Italia?”.
Link
Link
Promesse che saranno mantenute «Ha in mente le accuse di mafia? Basta che uno parli con un mafioso, tratti un affare con lui e lo incriminano. Uno come può saperlo? Pazzesco. È un reato che andrà eliminato».
S. Berlusconi, Libero 24 agosto
TELEKOM SERBIA QUELLO CHE I RADICALI HANNO FATTO NEI CONFRONTI DELL’AVV. GIOVANNI DI STEFANO
CHIEDIAMO CHE DI STEFANO SIA SENTITO AL PIU’ PRESTO DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE E DALLA PROCURA DI TORINO”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, stampalternativa.it (edizioni speciali)
“Oggi il “Giornale” riporta in primo piano la figura dell’avvocato Giovanni Di Stefano, amico e socio d’affari del criminale di guerra serbo Arkan, membro del collegio di difesa, all’Aja, di Slobodan Milosevic, che, nel 1992, gli conferì la cittadinanza serba “per meriti speciali”. Riassumo qui di seguito tutte le iniziative che i radicali, dal 1995, hanno intrapreso affinchè fosse fatta piena luce sull’operato dell’avv. Di Stefano
1) il 4 agosto 1995 i senatori radicali Stanzani e Scopelliti presentano un’interrogazione al Ministro degli Esteri (Susanna Agnelli, capo del governo Lamberto Dini) in cui si chiedeva, tra l’altro “…se il Governo disponga di informazioni che inducano a ritenere che il Di Stefano sostenga finanziariamente le attività criminali di Arkan…”; l’interrogazione non ha mai avuto risposta;
2) il 26 maggio 1999 invio un esposto alle Procure della Repubblica di Torino e Campobasso e al Ministro della Giustizia in cui chiedo “di accertare l’esistenza di eventuali reati conseguenti dall’intreccio evidente e continuato delle attività politiche ed economiche del signor Di Stefano con le attività del signor Zeljko Raznatovic, detto Arkan…e di comunicare il risultato della propria attività istruttoria al Tribunale dell’Aja” (che, pochi giorni prima, aveva reso noto di aver spiccato un mandato di cattura contro Arkan per crimini di guerra commessi dalla sua formazione paramilitare, le “Tigri”); mi risponde solo la Procura torinese, che archivia l’esposto per incompetenza territoriale;
3) nel dicembre 1999 l’avv. Di Stefano viene arrestato in Italia su mandato di cattura della magistratura britannica per reati finanziari risalenti agli anni’ 80; il 15 gennaio 2000 Arkan è ucciso da sicari a Belgrado; in febbraio, l’esposizione di uno striscione filo-Arkan allo stadio Olimpico di Roma mobilita le penne di decine di giornalisti; invece, la presenza in un carcere italiano del socio d’affari di Arkan non produce nemmeno una riga di commento…;
4) il 24 marzo 2000 presento un secondo esposto al Procuratore del Tribunale dell’Aja, alle Procure di Roma e Campobasso, al Ministro della Giustizia, al Direttore del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e all’Ambasciata del Regno Unito a Roma, in cui chiedo di “compiere gli atti opportuni affinché fossero accertate le eventuali responsabilità penali del signor Di Stefano e fosse reso possibile agli investigatori del Tribunale dell’Aja di poter interrogare il suddetto sui rapporti intercorsi in passato con Arkan…”; l’unico riscontro informale che ho proviene dal Tribunale dell’Aja;
5) nel gennaio 2001, nell’unica occasione che ho avuto di poter interloquire pubblicamente con la Dr.ssa Carla Del Ponte, Procuratore Capo del Tribunale dell’Aja (era venuta in Piemonte a ritirare un premio), le ho chiesto se era informata dei miei esposti su Di Stefano. La Dr.ssa Del Ponte ha risposto testualmente “Mi ricordo perfettamente dei suoi esposti ma la competenza in materia non è mia ma dei tribunali nazionali”;
6) il 7 marzo 2001, dopo lo scoppio del caso “Telekom Serbia”, il sottoscritto e altri esponenti radicali (Della Vedova, Dell’Alba, Palma) chiedono di essere sentiti dalla Procura di Torino e chiedono alla Procura di acquisire informazioni sul signor Di Stefano;
7) il 27 novembre 2002, quando, dopo venti mesi, la Procura concede l’audizione ai radicali, deposito un documento in cui chiedo che “sia assunto a sommarie informazioni testimoniali” il Di Stefano “che ha rilasciato recentemente interviste in cui afferma di conoscere molti particolari dell’affaire Telekom Serbia”;
8) il 5 febbraio 2003 sono sentito dalla commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia, assieme ai parlamentari europei radicali Della Vedova e Dell’Alba. Riporto il seguente stralcio del resoconto stenografico dell’audizione
“(Manfredi) Vorrei anche sottolineare che Di Stefano recentemente è intervenuto almeno tre volte sul caso Telekom Serbia; mi riferisco in particolare ad un’intervista rilasciata nel giugno 2002 a Radio Radicale …in cui tra le altre cose ha affermato “Non c’è niente di strano nel caso, ma se c’è qualche dubbio convochino Fassino, Dini e un sacco di altre persone. Anche un deputato di AN era molto vicino a questa faccenda qui, e contribuì alla stipula di un contratto favorevole. Si tratta di un deputato che all’epoca dei fatti era pilota e che ha trasportato la delegazione Telekom Serbia e solo successivamente è stato eletto alla Camera dei Deputati.”
(Presidente Trantino) Per sua informazione, il deputato di AN, come è risultato dalle indagini svolte da noi – prchè spero conveniate che questa Commissione certamente non fa sconti a nessuno – è l’onorevole La Starza, il quale ci ha inviato una lettera in cui afferma di essere a disposizione, ove la commissione ritenesse opportuno sentirlo (l’audizione dell’on La Starza si è svolta il 18 giugno 2003, ndr). Il fatto che mi sorprende molto è che il signor Di Stefano utilizza tutti i mezzi di comunicazione, parla con tutti, ma non si è mai peritato di inviare a noi una richiesta di audizione, così come correttamente avete fatto voi. Noi non possiamo inseguire tutto quanto viene dalla stampa o dalla benemerita Radio Radicale, perché dovremmo raddoppiare i nostri tempi per verificare cose che non sono pertinenti, che invece diventano tali nel momento in cui ognuno responsabilmente offre un proprio contributo…”
Alla luce di quanto è pubblicato oggi sul “Giornale”, chiedo al Presidente Trantino di operare affinchè l’avvocato Di Stefano possa essere sentito al più presto dalla commissione parlamentare d’inchiesta; analoga richiesta la rivolgo alla Procura di Torino.”.
Torino, 27 agosto 2003
Link
Dal resoconto stenografico dell'audizione dell'avvocato Fabrizio Paoletti in Commissione parlamentare (14 gennaio 2003), reperibile su www.parlamento.it (organismi bicamerali/commissione su Telekom Serbia)
PRESIDENTE. È vero che lei è stato a Belgrado alla fine del 1997?
FABRIZIO PAOLETTI. Mai stato a Belgrado, a parte nel 1954, da studente.
PRESIDENTE. Neppure a Lubiana nel 2001?
FABRIZIO PAOLETTI. Mai.
PRESIDENTE. A Zurigo in settembre-ottobre?
FABRIZIO PAOLETTI. Di quale anno?
PRESIDENTE. Del 2001.
FABRIZIO PAOLETTI. A settembre 2001 sì.
PRESIDENTE. Erano con lei Tom Tomic e Zoran Persen?
FABRIZIO PAOLETTI. Sissignore.
PRESIDENTE. A che titolo questi hanno rapporti con lei?
FABRIZIO PAOLETTI. Rispondo subito i signori Tom Tomic e Zoran Persen erano collegati con il signor Marini e con il notaio Boscaro. Stavano trattando alcuni titoli della Chiesa denominati apostolic of rent house, titoli emessi da un ordine ecclesiastico con sede negli Stati Uniti, garantiti da ipoteca su terreni di tale ordine. Io dovevo assistere il notaio semplicemente per la validità di questa transazione, se fosse andata in porto; in realtà poi non è successo più niente, e il notaio è morto ad agosto dello scorso anno.
PRESIDENTE. Lei ha o aveva dei conti bancari cointestati con Marini Igor alla Credit Suisse di Zurigo e di Lugano?
FABRIZIO PAOLETTI. Mai.
PRESIDENTE. Alla Banca del Sempione?
FABRIZIO PAOLETTI. No.
PRESIDENTE. All'UBS di Zurigo?
FABRIZIO PAOLETTI. No.
PRESIDENTE. Alla Comerbank?
FABRIZIO PAOLETTI. No.
TELEKOM SERBIA/MANFREDI (RADICALI) “L’ON. RUSSO SPENA DOVREBBE TACERE RIFONDAZIONE ERA SEMPRE IN PRIMA FILA AI CONGRESSI DI MILOSEVIC MENTRE NON RISULTA AGLI ATTI UN SOLO SUO CONTRIBUTO AI LAVORI DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA.”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, stampalternativa.it/edizioni speciali)
“Leggo dichiarazioni dell’on. Russo Spena (RC) che si lamenta perché al caso Telekom Serbia è stato dato “valore eccessivo”; certo, non fa piacere a Russo Spena ricordare tutte le delegazioni rifondarole volate (in buona compagnia) a Belgrado per partecipare ai congressi di Milosevic. Fino all’ultimo il 17 febbraio 2000, nemmeno otto mesi prima che il regime di Belgrado fosse spazzato via dalla sollevazione popolare (5 ottobre 2000), rappresentanti di Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Lega Nord partecipano al quarto congresso del Partito socialista serbo (Sps). “E’ stato lo stesso Milosevic a salutare i delegati esteri, elencandoli per nome, partito e paese gli italiani sono Archimede Bontempi della Lega, Roberto Antonaz di Rifondazione, Riccardo Luccio dei Comunisti Italiani.” (lancio ANSA del 17 febbraio 2000, ore 1146).
Peccato che la stessa passione posta nel partecipare alle adunate di Milosevic, Rifondazione non l’abbia messa nel seguire i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia. L’on. Russo Spena ha sostituito Ramon Mantovani il 19 settembre 2002, praticamente all’inizio dei lavori della commissione; dai resoconti stenografici delle cinquanta audizioni pubbliche (reperibili sul sito del Parlamento) non risulta un solo intervento di Russo Spena per avere informazioni, chiarimenti, delucidazioni, dalle decine di persone sentite dalla commissione (radicali compresi).
Ma forse l’ on. Russo Spena aveva già intuito preventivamente il carattere strumentale della commissione e non ha voluto sprecare inutilmente il suo tempo e la sua intelligenza…”.
Torino, 26 agosto 2003
(ANSA) - TORINO, 26 AGO - Sarebbe stato arrestato uno dei due latitanti serbi per i quali la magistratura torinese ha spiccato mandato di cattura. La Procura di Torino ritiene essere coinvolto nell' inchiesta sulle truffe internazionali nel quale sono coinvolti anche Igor Marini e l' avvocato Fabrizio Paoletti. Si tratta di Zoran Persen. L' uomo potrebbe essere consegnato alle autorita' italiane. Per il gip Giafrotta ha un ruolo di secondo piano nella vicenda. [2003-08-26 - 142200]
TELEKOM SERBIA/MANFREDI (RADICALI) “PRODI, DINI E FASSINO RISPONDANO ALLE SOLLECITAZIONI DI PANSA E RINALDI (L’ESPRESSO) PRIMA CHE LA PROCURA DI TORINO SI PRONUNCI SULL’ATTENDIBILITA’ DI MARINI”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”)
“Costituirebbe una presa di posizione di grande rilevanza politica la risposta positiva, in queste ore, di Prodi, Dini e Fassino all’invito rivolto loro dalle colonne de “L’Espresso” sia da Gianpaolo Pansa sia da Claudio Rinaldi, con l’annuncio della disponibilità dei tre politici a essere sentiti dalla commissione parlamentare d’inchiesta su Telekom Serbia. Sottolineo “in queste ore”, prima che il Procuratore capo di Torino, Marcello Maddalena, decida sull’attendibilità del signor Igor Marini; sarebbe l’unico modo per dire chiaramente “Comunque vadano le cose a Torino, non deleghiamo le responsabilità politiche ai nostri avvocati.”.
Torino, 25 agosto 2003
Il settimanale “L’Espresso” in edicola contiene un pezzo su TS del condirettore Giampaolo Pansa (“Per favore aiutateci a sapere la verità – Prodi, Dini e Fassino vadano alla Commissione e dicano quello che sanno”) e il seguente intervento di Claudio Rinaldi
“Coda di paglia – La commissione parlamentare d’inchiesta su TS? “Il centro-sinistra valuterà a settembre se continuare o no a prendere parte ai lavori”, dice Luciano Violante. Ma l’Aventino sarebbe una scelta tre volte infelice. 1) Si tratterebbe di un no tardivo, dopo un anno di attività. 2) L’Ulivo si esporrebbe alla facile accusa di voler impedire accertamenti su uomini suoi Romano Prodi, Piero Fassino, Lamberto Dini. 3) Le domande vere rimarrebbero aperte. A prescindere dalle assurde tangenti di cui favoleggia il faccendiere Igor Marini, infatti, l’acquisto di una quota di TS durante il governo Prodi fu un grave errore. Finanziario perché Telecom Italia, nel 1997 ancora controllata dallo Stato, pagò un prezzo altissimo; politico perché l’operazione fornì denaro fresco alla bieca tirannia di Slobodan Milosevic.”.
-------> Link
TELEKOM SERBIA/RADICALI “MASTELLA, UN ESEMPIO DA SEGUIRE …”.
Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani, autore del libro “Telekom Serbia – Presidente Ciampi, nulla da dichiarare?”, stampalternativa.it /edizioni speciali)
“L’on. Mastella, alla notizia di essere stato chiamato in causa dal sig. Marini nella vicenda delle presunte tangenti pagate per Telekom Serbia, si è subito messo a disposizione della procura torinese e della commissione parlamentare d’inchiesta per ribadire in tali sedi la propria estreneità ai fatti.
Il comportamento dell’on. Mastella dovrebbe essere preso ad esempio dagli esponenti politici del governo Prodi che avallarono, con atti o omissioni, l’operazione Telekom Serbia; Prodi, Dini e Fassino accolgano, dunque, l’invito rivolto loro ieri dalla pagine de “L’Espresso” da Gianpaolo Pansa e dichiarino la loro disponibilità a essere sentiti dalla commissione parlamentare e dalla procura torinese, magari in autunno, dopo che gli inquirenti e i commissari avranno avuto modo di esaminare le carte inerenti i casi “Marini” e “Volpe-Romanazzi”.
Sia Pansa sia chi, nel centro-destra (uno per tutti il senatore Consolo), continua giustamente ad additare le responsabilità politiche del governo Prodi nella vicenda, non può fare la tara dell’operato, attivo o passivo, dell’allora ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi; altrimenti, non è credibile rispetto ai milioni di italiani che, grazie al “caso Marini” (è triste ammetterlo ma è così) stanno scoprendo il “caso Ciampi”.
“E’ meglio una contraddizione cosciente che una contraddizione innocente”, diceva Pasolini; io preferireri che quella di Pansa e Consolo fosse una contraddizione inconsapevole…”.
Torino, 23 agosto 2003
P.S. IL comunicato è stato ripreso sabato sera dal TG1 e dal TG5 delle ore 20; domenica dal "Corriere della Sera" (l'unico a citare Ciampi), dal "Giornale" e dal "Sole 24 Ore".
(Mozzarella di)Bufala, Scipione, Gioventù bruciata
E adesso pure Mastella, Veltroni e Rutelli.
Turko