EL. REGIONALI E LEGALITA'/AZIONI POPOLARI OVUNQUE POSSIBILE!

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Oltre ad Agostino Ghiglia in Piemonte, altri quattro deputati sono incompatibili perchè divenuti, dopo le elezioni regionali di aprile, o consiglieri o assessori regionali. Ne parla "Panorama" della scorsa settimana; si tratta di:

Alessandro Cè (Lega Nord) in Lombardia;
Rodolfo Gigli (anche se il sito della Camera riporta solo un Nando Gigli, di Forza Italia) nel Lazio;
Italo Bocchino (AN) in Campania;
Massimo Ostillio (UDEUR) in Puglia.

I compagni delle regioni interessate possono utilmente sfruttare il know how piemontese per replicare le "azioni popolari"; per non riempirci solo la bocca di "legalità"...

CASO GHIGLIA/MANFREDI E VIALE: “PRESENTEREMO SUBITO L’AZIONE POPOLARE PER FARLO DECADERE …E LE DICHARAZIONI DI GIOVINE, PIU’ CHE UNA REPLICA, SONO UN AUTOGOL”

Art. 122, comma 2, della Costituzione:
“ Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento …”

Art. 4, comma 1, della Legge 23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale ….):
“Le cariche di membro di una delle due Camere … (omissis) … sono incompatibili con la carica di consigliere regionale…”

Art. 6, commi 2 e 4, della suddetta Legge 154/81:
“…Le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento della elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle cariche di cui al comma precedente …
…La cessazione dalle funzioni deve avere luogo entro dieci giorni dalla data in cui è venuta a concretizzarsi la causa di ineleggibilità o di incompatibilità”

Agostino Ghiglia è stato proclamato deputato il 30 maggio 2001; è stato proclamato consigliere regionale il 16 maggio 2005; ai sensi di legge, entro il 26 maggio 2005 avrebbe dovuto scegliere quale delle due cariche esercitare e cessare dalle funzioni della carica scartata.

Giulio Manfredi (Comitato Nazionale Radicali Italiani) e Silvio Viale (presidente Associazione Radicale Adelaide Aglietta) hanno dichiarato:

“Ieri avevamo chiesto all’Onorevole Consigliere Ghiglia di dimettersi da una delle due cariche, e ci saremmo attesi una pronta adesione, magari giustificando il ritardo di due mesi con i suoi vari impegni. Invece, Ghiglia risponde definendo “gossip” e “stupidaggini” il nostro richiamo al rispetto della Costituzione e della legge e minacciando querele sulla questione del doppio stipendio per un refuso su un punto esclamativo, per il quale ci siamo pubblicamente scusati e abbiamo prontamente rettificato.
Per noi la questione centrale e rilevante è quella del rispetto della legalità; pertanto, nei prossimi giorni, presenteremo, come cittadini elettori della Regione Piemonte, un’ “azione popolare” davanti al Tribunale di Torino per far decadere Ghiglia dalla carica di consigliere regionale (come già fatto in passato, sempre con successo, rispetto a Nicoletta Albano, Vincenzo Tomatis e Rolando Picchioni); i nostri avvocati sono già al lavoro.

Michele Giovine, invece, è andato a ripescare Cicciolina e Toni Negri e, rispetto alle firme false, se l’è cavata a buon mercato con il solito “Così fan tutti”. Più che una replica ci sembra un autogol!
Il problema vero è che il nostro interlocutore non era Giovine ma quanti (sicuramente le liste e i candidati concorrenti alle scorse elezioni regionali) avrebbero l’interesse e giuridicamente la legittimazione a promuovere un ricorso davanti al giudice amministrativo per verificare le irregolarità e per conseguire la decadenza di Giovine dalla carica di consigliere; da costoro non arrivano né ricorsi né querele né autogol ma solo un triste e complice silenzio.”.

Torino, 29 luglio 2005

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"La Stampa", 25/03/11, cronaca di Torino

 

IL PROCESSO/PARLANO I TESTIMONI

Le firme per la lista di Rabellino? “Pensavamo fossero per il Filadelfia”

Con i commercianti si andava sul sicuro «I fogli? Petizioni contro le strisce blu»

[AL. GA.]

Renzo Rabellino aveva una serie di liste d’appoggio alla sua candidatura a presidente della Regione

Sottoscrissero una delle liste d’appoggio alla candidatura di Renzo Rabellino alla presidenza della Regione Piemonte ma credevano di aver firmato petizioni per l’abolizione delle strisce blu o del canone Rai o per far risorgere lo stadio Filadelfia dalle macerie del tempo.

La sfilata degli ignari fans del consigliere provinciale alla scalata della Regione è iniziata ieri in tribunale. Nelle indagini preliminari il pm Patrizia Caputo ne aveva convocati trecento - tra cui Luciana Littizzetto -, il numero magico per far scendere il numero legale di firme valide sotto la soglia delle 2000 che consentiva la partecipazione alla corsa elettorale. La maggior parte cadde dalle nuvole: «La firma è mia, ma non so nemmeno chi sia questo Rabellino». Risposte su queste corde.

Aperto il processo contro Rabellino per violazione dell’articolo 90 della legge elettorale - la medesima imputazione di Michele Giovine, uno che invece ce l’ha fatta a diventare consigliere regionale - il giudice Giuseppe Casalbore ha applicato il metodo di sentirne 50. Scelti per metà dall’accusa, per l’altro cinquanta per cento dalla difesa. Poi si vedrà se sarà stato sufficiente.

Sotto con i primi dieci, tutti citati dal pm: commercianti, pensionati, impiegati. Primo flash: i banchetti, privi di alcun simboli inneggiante a Rabellino presidente, venivano allestiti allo stadio Olimpico, quando giocavano i granata, e facevano riferimento alla lista «Forza Toro». Ma sul foglio che i veri fans di Rabellino mettevano sotto il naso ai tifosi si faceva riferimento alla ricostruzione del Filadelfia. Un granata al cento per cento poteva non firmare? Firmava, eccome se firmava.

Rabellino è difeso dall’avvocato Maria Clotilde Ingrassia: «Ad un certo punto mi sono arrabbiata. Dico io: “Prima di firmare uno legge bene, volta anche la pagina, legge pure il retro”. Adesso ci vengono a dire che non sapevano. Insomma, le firme sono comunque autentiche».

Anche al mercato di piazza Madama Cristina le «petizioni» pro Rabellino ebbero un certo e rapido successo. Con i commercianti, poi, si andava sul sicuro a metterli contro i parcheggi a pagamento. Un negoziante di via Po ne fu così entusiasta che si offrì di raccogliere altre firme per la causa. «Chiesi i moduli e li feci girare, ma non vennero a riprenderseli. “Strano”, pensai. Venni a sapere la verità quando fui convocato in procura. E dire che io non avevo mai messo la mia firma su una sola petizione prima di allora. Figuriamoci per una lista elettorale».

Si deve dar atto a Rabellino di essere stato un precursore nel gioco della confusione elettorale. Per le ultime Regionali aveva sfornato una lista «Cota-Pdl», fatta modificare dalla commissione elettorale in lista «Cota-liberali», cancellata definitivamente dal Tar in due circoscrizioni. L’elettore padano avrebbe dovuto controllare il nome di battesimo del capolista: Nadia. Un classico del Rabellinese.

Ma c’erano pure la Lega Padana Piemont, i «Grillo no-euro», il doppio «No nucleare - no Tav». Mix di temi di destra e sinistra. Alle provinciali 2009 il metodo Rabellino aveva raccolto 40 mila voti, il 3,6. Il candidato presidente si vedeva già a Palazzo Lascaris l’anno dopo. Ma a Torino non ha potuto presentarsi con le liste di disturbo e non ha raccolto quasi niente.

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"La Stampa", 16/03/11, cronaca di Torino

 

Processo Giovine Nonne e zie testimoni latitanti

Firme false e candidature “sospette” alle regionali

ALBERTO GAINO

«Non sono cattivo» Michele Giovine con il padre Carlo al processo: «Vogliatemi bene, voi giornalisti. Non sono un cattivone»

Al processo Giovine, padre e figlio, imputati di aver falsificato le firme di 19 dei venti candidati della loro lista «Pensionati per Cota», avrebbe dovuto deporre la testimone più anziana, Clementina Torello, 91 anni. «Non apre la porta», annuncia il pm Patrizia Caputo. «Sono andati due volte i vigili urbani, una volta un ufficiale giudiziario a notificarle la citazione. E’ in casa, ma non apre».

Tocca alla seconda testimone-candidata Rosina Trigila, settantunenne. «Irreperibile. A casa lei non risponde nemmeno al citofono». Vai con la terza, Vera Vaccari: «Ha mandato un certificato medico». E allora passi la quarta, Maria Ferraris di Vercelli. «Deceduta». Restano da sentire i coniugi-candidati Carlo Tirello e Renza Carla Bongiovanni di Nizza Monferrato, fra i dieci indagati di falsa testimonianza al pm. Fuori nel corridoio non ci sono. Assenti ingiustificati: verranno accompagnati dai carabinieri la prossima udienza. Fine rapidissima dell’udienza, processo che prospetta tempi laboriosi. L’avvocato Gian Paolo Zancan, parte civile: «La tattica dilatoria degli imputati si estende ai testimoni».

Fuori, il consigliere regionale Michele Giovine sembra di ottimo umore e sta al gioco. La zia di suo padre non apre la porta, cosa le avete consigliato? «Per carità, non sta troppo bene». Un avvocato al suo fianco prova ad ironizzare: «Mi raccomando, il pranzo di Pasqua fatelo separati dai parenti». Giovine allarga la braccia a mo’ di imputato dalle mani pulite, un angelo: «Vogliatemi bene, voi giornalisti. Non sono un cattivone».

Alza lo sguardo al cielo schiacciato sul plexiglass di una tettoia e osserva: «Mi bastano 9 candidati validi». Così può finire la seconda consiliatura e garantirsi una pensione ben diversa da quella Inps di vecchiaia.

«Questa volta non finiamo la legislatura». Prevede che i giudici annullino le elezioni regionali 2010 e si torni a votare in Piemonte? La risposta era chiara, ma è sempre meglio avere qualche dettaglio in più. E qui il pensatore si desta: «Volevo dire “la finiamo qui”, nel senso che Bresso non vincerà il processo. Non mi faccia dire cose per cui Cota poi mi ammazza».

Dica la verità: Cota la sta tenendo a distanza come un reietto? «Non è vero». Nel senso che le è riconoscente? Lei si è sacrificato: con un patteggiamentino si sarebbe evitato tutto questo imbarazzo dovuto alla pubblicità non positiva del processo. «Ma io sono innocente». Lo sguardo vira sull’ironico. Poi l’uomo politico emerge: «Per me il voto ha sempre ragione». Quello già espresso.

COME UN FILM Candidata di 91 anni «Sono in casa, ma non apro la porta»

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"La Stampa", 5/03/11, cronaca di Torino

 

“Giudici troppo prudenti sui ricorsi elettorali”

Il presidente del Tar: dopo la Consulta la causa potrebbe ripartire

RAPHAËL ZANOTTI

L’autocritica di Bianchi Il Tar aveva congelato la questione Giovine sostenendo di non avere poteri istruttori Ora la Consulta potrebbe sostenere il contrario e far segnare un punto alla Bresso

Forse abbiamo peccato di eccessiva prudenza». Nel giorno dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente del Tar Franco Bianchi non poteva non fare un accenno al caso più eclatante del 2010: i ricorsi elettorali presentati da Mercedes Bresso e altri per annullare le elezioni vinte dal leghista Roberto Cota. Una causa che ha impegnato per mesi i giudici amministrativi e che si è chiusa con due decisioni: da una parte l’annullamento di due liste legate al centrodestra e l’organizzazione di un contestatissimo quanto lunghissimo riconteggio; dall’altra il congelamento della questione riguardante i Pensionati con Cota di Michele Giovine: il Tar non se l’è sentita di esprimersi sulla falsità delle firme della lista obbligando Mercedes Bresso e Luigina Staunovo a passare prima da un giudice civile, con una querela di falso, per accertare i fatti.

Il rammarico del presidente è comprensibile. La prima sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato con vittoria di Cota e del centrodestra. E ora anche la seconda decisione potrebbe essere annullata: su appello di Mercedes Bresso e Luigina Staunovo il Consiglio di Stato ha deciso di inviare le carte alla Consulta. La norma adottata dal Tar secondo cui ai giudici amministrativi sarebbe precluso l’accertamento della falsità delle firme potrebbe essere in contrasto con sette articoli della Costituzione. Il nuovo codice amministrativo prevede infatti che il Tar abbia poteri istruttori e possa quindi accertare da solo se le firme sono false (attraverso una perizia) senza aspettare una sentenza del giudice civile. In questo modo verrebbe tutelato l’interesse della Bresso e della Staunovo a un processo rapido evitando paradossi già avvenuti come quello di elezioni giudicate irregolari quando ormai si erano già svolte quelle successive.

«Abbiamo discusso anche noi in camera di consiglio se fosse il caso di sollevare una questione davanti alla Consulta - spiega Bianchi - Alla fine abbiamo preso un’altra decisione. Ma se la Consulta dovesse stabilire una disomogeneità della legge, il Consiglio di Stato annullerebbe la nostra decisione e tutto ricomincerebbe da capo a Torino».

La partita, insomma, non è chiusa. Lo sa bene Enrico Piovano, coordinatore del pool dei legali di Bresso: «È quello che diciamo dall’inizio: il Tar può accertare incidentalmente la falsità delle firme. D’altra parte nel dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, sottoscritto dall’Italia, che rende immediatamente applicabile negli ordinamenti nazionali europei l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo relativo alla ragionevole durata dei processi. Aspettare la conclusione della querela di falso o anche il processo penale in corso contro Giovine a Torino viola questo articolo e ci mette fuori dall’Europa».

La Consulta, di solito, affronta le questioni nel giro di un anno, ma la tutela della rapidità nei ricorsi elettorali potrebbe accelerare i tempi. Forse la prudenza, questa volta, non sarà eccessiva.

LA SITUAZIONE La Consulta potrebbe riaprire le carte sul caso Giovine

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"La Repubblica", GIOVEDÌ, 03 MARZO 2011

Pagina VIII - Torino
 
Firme false
Rinviata a settembre la causa contro Giovine
 
Un lungo "stop": è quello che è stato deciso ieri mattina per il processo civile contro la lista "Pensionati per Cota" di Michele Giovine. La causa è stata rinviata al 28 settembre. Il giudice ha infatti accolto la richiesta degli avvocati di Mercedes Bresso di aspettare la pronuncia della Corte Costituzionale (che potrebbe anche invalidare la causa civile) sulla decisione adottata dai colleghi del Tar il 15 luglio scorso: per decidere sulla querelle elettorale e sulle presunte irregolarità nelle candidature della lista di Giovine, i magistrati amministrativi avevano infatti sostenuto la necessità di ottenere prima la pronuncia del tribunale civile in merito a un procedimento per "querela di falso" presentata da Mercedes Bresso e Luigina Staunovo Polacco (leader del partito Pensionati e Invalidi). E proprio sull´opportunità di aprire questo procedimento civile era stato presentato appello al Consiglio di Stato che a sua volta, nei giorni scorsi, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale sull´autonomia di decisione del Tar.
(s.mart)
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CAPPATO: FIRMIGONI SU FACEBOOK SI INVENTA 4 INCHIESTE MAI APERTE. E INTANTO ABITA IN RAI SENZA CONTRADDITTORIO

Milano, 3 marzo 2011

Dichiarazione di Marco Cappato, Lista Bonino-Pannella

"Dalla pagina Facebook di Roberto Firmigoni leggo la seguente dichiarazione dell'uomo che da 16 anni è Presidente della Regione Lombardia:

"Cappato ha già ricevuto 4 tram in faccia dalla giustizia che gli hanno detto che le sue osservazioni sono completamente false. Quattro inchieste si sono già concluse e hanno determinato la sua sconfitta: sta cercando (poveretto, non ne ha minimamente la forza) di sovvertire il voto popolare che ha dato una vittoria nettissima alla mia coalizione (23 punti di distacco al secondo arrivato) con dei sofismi che sono già stati respinti. Eppure continua a berciare."

Importa poco qui soffermarsi sull'alta sensibilità istituzionale che una dichiarazione del genere lascia trapelare.

Importa invece dare una precisazione: le "quattro inchieste già concluse" citate da Firmigoni in realtà esistono solo nella sua fantasia. L'unica inchiesta che si è aperta, è quella ancora in corso presso la Procura di Milano. Non esistono dunque inchieste concluse: non solo non ne esistono quattro, ma non ne esiste nemmeno una. Faccio anche notare che l'unico giudice che finora ha riaperto i moduli di Firmigoni dopo la consegna delle firme fu quello che dell'ufficio elettorale che un anno fa ricontò le firme e che sospese Formigoni dalle elezioni. Poi il TAR annullò il conteggio asserendo che non avevamo diritto di fare ricorso prima delle elezioni. Nemmeno il TAR poté però sostenere che le nostre "osservazioni" fossero "false": si limitò semplicemente a impedire il controllo delle firme.

Nel frattempo c'è da notare che da due giorni Firmigoni ha ricominciato ad abitare sui canali nazionali della TV pubblica, come sempre senza contraddittorio e senza domande scomode sulla sua truffa elettorale. Questo aiuto da parte del potere RAI-SET, inaugurato mesi fa da Santoro, è indispensabile a Formigoni per nascondere agli italiani la verità sulla truffa elettorale lombarda.

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Formigoni a rischio «Non aveva le firme»

 

«Il listino bloccato Formigoni non aveva il quorum di firme necessario per partecipare alle elezioni regionali». La procura di Milano sta per chiudere le indagini sulle liste elettorali delle regionali 2010. Questione di giorni, un paio di settimane e l'inchiesta sarà chiusa con la richiesta di rinvio a giudizio per chi - è dato acquisito per l'accusa - ha falsificato le firme. Tra gli indagati per falsità materiale (art.477 cp, pena prevista la reclusione dai sei mesi ai tre anni) non ci sarà il governatore Roberto Formigoni il quale magari poteva essere informato che qualcosa non andava nella compilazione di quelle liste ma certo non ha materialmente preso parte al falso. L'inchiesta quindi riguarda i volontari del Pdl e del listino Formigoni che, in qualità di pubblici ufficiali, hanno raccolto quelle firme che risultano essere dei clamorosi falsi.
Il pm Alfredo Robledo, che si è mosso sulla base dell'esposto denuncia dei Radicali, ha ascoltato da settembre a oggi un migliaio di persone e più di seicento hanno negato la firma che gli è stata mostrata. Un metodo di indagine empirico, senza perizie lunghe e costose: i cittadini firmatari (per legge le liste elettorali devono essere richieste, cioè firmate, da almeno 3.500 persone) sono stati interrogati uno ad uno. Nei giorni scorsi è toccato a Sara Giudice, dissidente del Pdl milanese e capofila della raccolta di firme per le dimissioni di Nicole Minetti, ed è stata lei stessa a rivelare di aver spiegato perché quella firma sul listino bloccato Formigoni non è la sua.
La giunta e di conseguenza il consiglio regionale potrebbero essere presto dichiarati illegittimi.
La sorte politica dell'assemblea non dipende dall'inchiesta penale ma da quella amministrativa che ora pende davanti al Consiglio di Stato. I Radicali, guidati da Marco Cappato ed esclusi dalle Regionali perché non riuscirono a raggiungere la soglia delle 3.500 firme, presentano esposti e denunce dal 2 marzo 2010. Quello al Tar è stato bocciato e ora pende l'appello davanti al Consiglio di Stato sulla cui decisione non è escluso che possa avere un qualche peso la conclusione dell'indagine penale.
Il polpo Rob
Il polpo Rob e il caso Firmigoni (in entrambi i casi si tratta sempre di caricature del governatore) sono stati ieri mattina, anniversario di quel primo marzo 2010 in cui lo scandalo firme cominciò a prendere forma, protagonisti di un vero e proprio show prima sui marciapiedi del Pirellone poi direttamente all'interno dell'aula del Consiglio regionale. Nicole Minetti, la venticinquenne igienista dentale ora indagata per sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione anche di minori (cioè Ruby), è assente. «Ha preso una settimana di vacanza» spiega l'avvocato Daria Pesce. Una settimana negli Emirati Arabi con la sorella per evitare il clamore delle udienze del premier e, più di tutto, quello per la chiusura indagini del troncone principale dell'inchiesta (dove è indagata).
Marco Cappato, il segretario dei Radicali Mario Staderini, il consigliere del Pd Pippo Civati e dell'Idv Francesco Panicuzzi e un gruppetto di militanti radicali hanno "occupato" l'ingresso del Pirellone con il polpo Rob, una testa di polpo raffigurante Formigoni dal cui collo uscivano lunghi e avvolgenti tentacoli di stoffa azzurra che stringevano gigantesche penne con su scritto "Firmigoni". Un anno fa scadeva il termine per la presentazione delle liste in Lombardia. Da quel giorno, racconta Cappato, «per noi è stata chiara la truffa».
La P3 e il giudice Marra
A luglio 2010 quello che i Radicali andavano denunciando diventa un capitolo chiave dell'inchiesta della procura di Roma sulla presunta associazione segreta P3. Uno dei tentativi di inquinare le istituzioni da parte di Carbone, Lombardi e Martino riguardava infatti le pressioni sull'allora presidente della Corte d'Appello di Milano Alfonso "Fofò" Marra dal cui ufficio dipendeva la riammissione delle listino bloccato di Formigoni (che dopo una prima esclusione da parte della Corte d'Appello fu poi riammesso dal Tar). In quel listino, aggiornato all'improvviso tre giorni prima della chiusura delle liste, comparve Nicole Minetti «ma anche altri amici stretti del premier tra cui un ragioniere e un medico» puntualizza Cappato. Come dice Corrado Guzzanti, «anche Michael Jackson ha firmato quel listino».
Il governatore inveisce. «Ma chi sono i Radicali? Un gruppo di privati cittadini che berciano alla luna». L'inchiesta della procura, però, sta dando ragione a chi "bercia alla luna".
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