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Sara Giudice al pm: "Mia firma falsata in listino Formigoni"
MILANO - La firma di Sara Giudice per la presentazione della lista di Roberto Formigoni alle scorse elezioni regionali è stata contraffatta. Lo ha sostenuto la stessa consigliera di zona per il Pdl a Milano precisando di essere stata sentita sulla vicenda ieri mattina, come persona informata dei fatti, dal pubblico ministero Alfredo Robledo. «La mia firma - ha dichiarato - è assolutamente contraffatta, falsa, mai avrei firmato un listino bloccato con il nome di Nicole Minetti».
Articolo di pubblicato su Corriere della Sera – ed. Milano, il 28/02/11
Il Partito democratico chiederà di poter accedere agli atti processuali relativi alla vicenda delle firme a sostegno della candidatura di Roberto Formigoni alle scorse regionali. A dare l'annuncio è il segretario lombardo del Pd, Maurizio Martina, dopo la confessione di Sara Giudice - la consigliera di zona del Pdl diventata famosa per aver organizzato una petizione contro Nicole Minetti - che sabato aveva dichiarato al pm Alfredo Robledo che la sua firma a sostegno del listino di Formigoni era stata falsificata. Attacca anche Filippo Penati, lo sfidante di Formigoni alle scorse regionali: «Qui siamo ben al di là della verifica degli aspetti normativi e del conteggio formale delle firme. C'è un fatto ben più grave: si è carpita la buona fede degli elettori. In gioco c'è la credibilità di un' istituzione. Chiedo che in proposito si faccia al più presto chiarezza per il rispetto degli elettori e per il decoro dell'istituzione Regione Lombardia». La replica è affidata al capogruppo del Pdl al Pirellone, Paolo Valentini: «Un'ennesima prova di subalternità del Pd che sceglie ora di consegnarsi nelle mani dei Radicali. Ricordiamo ai "compagni" Penati e Martina che la magistratura finora si è pronunciata quattro volte sul ricorso dei radicali e ha sempre dato ragione al Pdl. E ricordiamo le gravissime irregolarità nelle firme raccolte dal Pd a sostegno della candidatura di Penati l'anno scorso».
Articolo di pubblicato su il Giornale – ed. Milano, il 28/02/11
«La magistratura finora si è pronunciata quattro volte sul ricorso dei Radicali e ha sempre dato ragione al Pdl». Paolo Valentini, capogruppo del Pdl in Lombardia, replica così al Pd che ieri ha annunciato di voler chiedere l' accesso agli atti sulla vicenda delle firme false alle scorse regionali. L'opposizione è tornata alla carica dopo che la consigliera di zona Sara Giudice ha dichiarato di non aver mai firmato a sostegno del listino di Formigoni. «Ricordiamo ai "compagni" Filippo Penati e Maurizio Martina, se mai se ne fossero dimenticati - incalza Valetini -, le gravissime irregolarità nelle firme raccolte dal Pd a sostegno della candidatura di Penati l'anno scorso» criticando il Partito democratico per la «subalternità. Dopo essersi legato mani e piedi a Di Pietro e a Vendola, il Pd sceglie ora di consegnarsi nelle mani dei radicali, sposandone gli estremismi e le irrazionalità e dando l'ennesima dimostrazione di subalternità politica e di mancanza di elaborazione autonoma».
Proprio i radicali, con il capolista alle comunali Marco Cappato, domani saranno in presidio davanti al Consiglio regionale per chiedere le dimissioni di Formigoni. E Penati a caccia di visibilità prova a seguire la scia. «Siamo ben al di là della verifica degli aspetti normativi e del conteggio formale delle firme - afferma - c'è in gioco la credibilità di un' istituzione quindi chiedo che in proposito si faccia al più presto chiarezza per il rispetto degli elettori e il decoro della Regione Lombardia». Il Pd chiederà l'accesso agli atti e proporrà agli altri partiti dell'opposizione «di dare mandato ad un gruppo di legali per accedere immediatamente agli atti processuali». Superando la polemica, Formigoni si è invece già detto favorevole all'abolizione del listino bloccato per una competizione che si basi per tutti i candidati soltanto sui voti di preferenza.
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Radicali Italiani il 1° marzo al presidio su Firmigoni
Pubblicato il 24/02/2011
STADERINI INVITA A PARTECIPARE I SEGRETARI DI PARTITI, DA VENDOLA A DI PIETRO, BERSANI E FINI
Mario Staderini e Michele De Lucia, Segretario e Tesoriere di Radicali Italiani, il 1 marzo parteciperanno al presidio per chiedere verità e giustizia su Firmigoni e le dimissioni del Presidente abusivo, che si terrà a Milano dalle ore 12 davanti alla sede del Consiglio regionale della Lombardia.
"Non esiste possibilità di alternativa a questo regime se non ci si oppone al fatto che chi viola le leggi è premiato mentre chi le rispetta è fatto fuori", ha dichiarato il Segretario di Radicali Italiani.
"Chi si rifiuta di raccogliere illegalmente le firme è escluso dalla competizione elettorale mentre gli altri – che fanno firme false, raccolte su liste in bianco e senza pubblico ufficiale – governano".
In Italia il processo elettorale e di formazione dell’opinione pubblica è falsato alla radice .
Accade lo stesso per la propaganda politica, dove grazie alle sanatorie per i manifesti abusivi coloro che imbrattano la città e rubano gli spazi degli altri hanno la certezza dell'impunità.
Per non parlare della strutturale violazione delle norme su informazione e comunicazione politica, grazie alla quale gli italiani non hanno potuto conoscere nè giudicare il "Caso Firmigoni".
Invito i Segretari di partito che si dichiarano "opposizione" ad essere presenti anche loro al presidio: lasciare ai Radicali l'esclusiva della lotta per la democrazia e lo Stato di diritto sarebbe un grave errore politico per Vendola come per Di Pietro, per Bersani come per Fini.
LISTA BONINO-PANNELLA: DOPO UN ANNO, VOGLIAMO GIUSTIZIA SU FIRMIGONI
Martedì 1 Marzo presidio nonviolento fuori dal Consiglio regionale della
Lombardia
Comunicato stampa della Lista Bonino Pannella
Milano, 23 Febbraio 2011
A un anno dalla Truffa Firmigoni, tuttora impunita, il presidio "per la
verità e giustizia su Firmigoni e per le dimissioni del Presidente
abusivo" si terrà settimana prossima, martedì 1 marzo dalle ore 12 davanti
alla sede del Consiglio regionale della Lombardia, in concomitanza con la
riunione del Consiglio stesso.
"A un anno dal deposito di documentazione palesemente falsa ad opera di
Lega e Pdl a sostegno di un Presidente incandidabile - ha dichiarato Marco
Cappato (che fu in quelle stesse ore escluso dalla competizione elettorale
come candidato Presidente per la Lista Bonino Pannella per...insufficiente
numero di firme presentate!)- continuiamo a chiedere giustizia, sia in
sede civile che penale, da parte dei tribunali e di quella Procura di
Milano che inizialmente chiese l'archiviazione della nostra denuncia senza
alcuna indagine; continuiamo a chiedere che il responsabile politico di
questa enorme truffa elettorale non solo si scusi con gli elettori della
Lombardia e i cittadini italiani per le menzogne da lui raccontate, ma
anche si dimetta dall'incarico che ricopre abusivamente. Saremo perciò
davanti al Consiglio regionale martedì 1 marzo dalle 12 per manifestare
insieme alle persone che non si siano rassegnate a un potere illegale e
truffaldino, e che ritengano indispensabile per la vita di ogni giorno il
rispetto dei diritti civili e politici di tutti i cittadini. Mi auguro che
le "opposizioni ufficiali" vogliano finalmente interrompere il loro
silenzio e mobilitarsi affinché questa vicenda non finisca insabbiata o
prescritta, come già purtroppo accadde per la corruzione internazionale
dello scandalo "Oil for food" e i rapporti di Firmigoni con il regime di
Saddam Hussein. Quanto sta accadendo in Libia e nel Maghreb dovrebbe
insegnare qualcosa sulle conseguenze devastanti che si provocano quando si
calpesta la legalità istituzionale e i diritti democratici
internazionalmente riconosciuti."
Il 16 febbraio si presenteranno davanti al tribunale di Torino decine di personaggi noti e (poco) credibili. Hanno deciso di uscire allo scoperto, dichiarando che anche loro hanno firmato per la lista di Michele Giovine(nella foto con l'attore Pippo Franco). Tra le prime adesioni si annoverano Betty Boop, alias l’ex presidente della Regione Mercedes Bresso, Topo Gigio, Napoleone, King Kong, l’Ape Maia, Totò, e pare anche Roosevelt. Peter Pan pare ci stia ancora pensando.
Si tratta di un happening goliardico, una performance in stile situazionista, un’azione di protesta estemporanea promossa da Civica, la lista di MarianoTurigliatto e MarcoRiva, dai Pensionati e Invalidi di LuiginaStaunovo, dai Verdi di AngeloBonelli, con il sostegno della Fondazione donciottiana “Benvenuti in Italia” guidata da DavideMattiello.
La lista “Pensionati per Cota”, che appoggiava il candidato del centrodestra RobertoCota, ha raccolto circa 27.000 voti alle scorse elezioni regionali in Piemonte; lo scarto di voti fra Cota e Bresso è stato di circa 9.000 voti. Secondo la Procura torinese le firme di 18 dei 19 candidati sarebbero false e il più delle volte apposte all’insaputa dei candidati stessi.
«In attesa degli esiti giudiziari – dicono gli organizzatori dell’iniziativa - non possiamo non esprimere un grave giudizio politico su questa vicenda, figlia della cultura del “vincere ad ogni costo” e del “noi furbi ce l’abbiamo sempre vinta”. Calpestando il rispetto delle basilari regole democratiche, questo comportamento lede la volontà popolare e mina le fondamenta stesse della rappresentanza democratica della nostra Regione».
Tutti sono invitati a partecipare all’evento: portando con la propria maschera preferita il 16 febbraio davanti al tribunale, oppure, più semplicemente, facendo firmare il proprio avatar l’appello pubblicato su Facebook.
Da Tartaglia a Don Verzé: gli incroci pericolosi della Gip
Articolo di pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 10/02/11
Ordinò la custodia cautelare in carcere per Massimo Tartaglia, l’uomo che colpì con un souvenir del Duomo il premier il 13 dicembre del 2009. Poi ne dispose il trasferimento in una struttura psichiatrica prima di essere assolto, da un altro giudice, per incapacità di intendere e di volere. Non è dunque la prima volta che le strade (giudiziarie) di B. e Cristina Di Censo si incrociano. Nella vicenda Ruby il magistrato non si esprimerà prima di lunedì o martedì. Cristina Di Censo ha 44 anni è nata a Piombino (Livorno), e ha un passato da magistrato a Busto Arsizio (Varese). L’estate scorsa, quando il magistrato già seguiva le indagini su Ruby in funzione di gip, si era verificato un episodio "misterioso": qualcuno era entrato di nascosto nel suo ufficio. Dalla stanza, però, non era stato portato via alcun atto relativo all’inchiesta, perché le carte venissero già custodite con misure speciali di sicurezza. Il gip Di Censo, nel 1999, quando era pretore a Busto Arsizio, aveva assolto don Luigi Verzé dall’accusa di avere effettuato prestazioni sanitarie in assenza di autorizzazione. La Di Censo, inoltre, è il magistrato che ha archiviato gli esposti presentati dai Radicali sulle irregolarità delle firme presentate a sostegno della lista Formigoni.
Firme fasulle per Formigoni: oggi interrogato Podestà
Articolo di Walter Galbiati pubblicato su La Repubblica - ed. Milano, il 04/02/11
Aveva attaccato l’iniziativa dei Radicali di far controllare da un esperto calligrafo le firme sostenitrici della lista Formigoni, bollandola come «il solito polverone della sinistra perdente». Ora sarà lui in persona a dover spiegare le sue ragioni agli inquirenti. È convocato per oggi, presso il nucleo dei carabinieri che svolgono le indagini, Guido Podestà, ex coordinatore regionale del Popolo della Libertà nonché responsabile elettorale in Lombardia della compagine di centrodestra. Il tema dell’interrogatorio sarà proprio quello delle firme false al centro dell’inchiesta della procura di Milano condotta dall’aggiunto Alfredo Robledo.
Podestà, insieme con il vice coordinatore regionale Massimo Corsaro, aveva l’incarico di presentare la lista Formigoni per le passate elezioni, finita non solo al centro delle recenti critiche per la presenza di Nicole Minetti, la consigliera "tuttofare" delle feste di Berlusconi, ma anche nel mirino dell’ufficio elettorale della corte d’Appello prima e poi della magistratura. I giudici di Milano, dopo un controllo formale delle firme (l’unico consentito in quella sede), avevano ritenuto fondate le «doglianze» contenute nel ricorso dei Radicali, considerando non conformi 514 firme sulle 3.935 presentate. Un numero sufficiente per portare il totale dei sottoscrittori della lista al di sotto di quello previsto dalla legge, che impone che le firme necessarie per accedere alle elezioni siano non meno di 3.500 e non più di 5mila. Il Tar successivamente aveva bocciato il provvedimento della corte d’Appello, sostenendo che i giudici, dopo aver accettato la lista Formigoni, non avevano più alcun potere di intervento.
La battaglia ora si è spostata in procura, dove i Radicali hanno annunciato di voler presentare una denuncia per falso contro il presidente Formigoni, sostenendo che le firme raccolte a sostegno della sua lista sono false in numero sufficiente per rendere illegale l’ultima tornata elettorale. «Abbiamo affidato una perizia a un esperto calligrafo riconosciuto dal Tribunale e dalle verifiche svolte finora è emerso che quelle firme sono state tracciate dalle stesse mani a gruppi di tre o di cinque», ha spiegato l’esponente radicale Marco Cappato.
La procura invece non ha chiesto nessuna perizia, ma ha più semplicemente affidato ai carabinieri il compito di ascoltare a una a una le persone ritenute autrici di quelle firme e dai riscontri sarebbe emerso che buona parte dei convocati hanno disconosciuto la paternità dello "scarabocchio". Se, come sembra, il numero dei falsi dovesse essere sufficiente a non far raggiungere il quorum necessario a la presentazione della lista, potrebbe aprirsi un problema politico per Formigoni e uno giudiziario per chi ha dichiarato valide quelle firme. Al momento nessuno è stato iscritto nel registro degli indagati. Ma potrebbe essere solo questione di giorni.
L’ultimo colpo di scena nella vicenda dei ricorsi elettorali di Mercedes Bresso & C. non è passato inosservato. L’Ordine degli avvocati di Torino pare abbia deciso di aprire un procedimento disciplinare nei confronti dei legali di Michele Giovine, il consigliere regionale leader della lista «Pensionati con Cota» contro cui la Bresso e altri esponenti del centrosinistra hanno presentato ricorso chiedendo l’annullamento delle elezioni regionali.
Nell’ultima udienza davanti al Consiglio di Stato si è infatti scoperto che nessuno dei tre legali di Giovine (Walter Fabrizio Casagrande, Monica Maria Negro e Giorgio Strambi) aveva titolo per stare in quella sede. Nessuno è infatti cassazionista. Una questione sollevata dai legali di Bresso (Sabrina Molinar Min, Nicolò Paoletti. Gianluigi Pellegrino ed Enrico Piovano), ma già rilevata d’ufficio dallo stesso Consiglio di Stato. Il risultato è stato, oltre all’ovvio imbarazzo, anche l’improcedibilità dell’appello presentato da Giovine. Un appello che aveva già creato un certo sconcerto, visto che, neanche troppo sottilmente, accusava i colleghi della controparte di aver commesso reati nella loro attività e addirittura sollevava ironiche e irrituali critiche nei confronti della procura di Torino, «rea» di aver indagato con «troppa celerità» nei confronti del loro assistito. Accuse che già hanno ricevuto risposta indignata da parte del capo della procura, Giancarlo Caselli.
Il profilo disciplinare era in pratica l’unico mancante alla tortuosa vicenda. Nonostante sia prevista una procedura celere per le cause elettorali e nonostante l’Italia abbia firmato il Trattato di Lisbona con cui ha fatto proprio l’articolo 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo sulla ragionevole durata dei processi, la questione è tutt’ora aperta. A nove mesi dalle elezioni sono pendenti tre giudizi: penale, amministrativo e civile. La Bresso ha depositato un esposto alla Corte dei conti. E il Consiglio di Stato sembra voler coinvolgere ora anche la Corte Costituzionale per profili di legittimità.
Articolo di Furio Colombo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 26/01/11
Caro Colombo, ma se Formigoni ha truccato le liste e ha fatto eleggere illegalmente la Minetti, come mai nessuno fa una piega?
Fiorenza
Ci sono classici modelli nella storia del "giallo" ovvero del genere poliziesco-giudiziario della narrativa. In uno, il più tradizionale, solo l’autore conosce la trama e il colpevole è in grado di tenere i lettori con il fiato sospeso fino alla fine. L’altro è più moderno, nato con Hitchcock, organizza il gioco in modo che tutti noi, lettori e protagonisti dell’avventura, sappiamo chi è il colpevole, tutti tranne l’investigatore. In questo caso lo tensione consiste nel seguire lo sforzo di chi ancora non è arrivato dove sono già in attesa i lettori. Da poco esiste un tipo nuovo di thriller: c’è il reato, c’è il colpevole, c’è, persino una denuncia accurata, documentata e pubblica, ma non accade niente. Direte che in questo caso non c’è storia. E invece c’è, è un fior di storia e sta svolgendosi tuttora nella attivissima città di Milano, dove non mancano né gli investigatori né i giudici. La storia in questione e stata rivelata al pubblico da Marco Cappato, non per il divertimento insano di privare i lettori dei quotidiani e gli spettatori della televisione del divertimento di scoprire a poco a poco e da soli la fine. No, Cappato, dirigente politico del Partito Radicale, ha visto compiersi una violazione della legge elettorale a Milano, sotto gli occhi di tutti, nelle ultime ore che hanno preceduto le ultime elezioni regionali. E ha pensato bene di farlo sapere subito per evitare un broglio, un falso e il rischio di votazioni nulle. In altre parole, il politico perbene ha prevalso sul narratore avventuroso. La mossa non è stata apprezzata. Forse Milano è popolata di giallisti che non vogliono sapere la fine di della storia prima del tempo. Ma nella narrazione, provata e senza suspense di quel pessimo narratore di Cappato la vicenda si è svolta così. C’e un candidato governatore, certo Formigoni, un uomo pio e religioso tutto d’un pezzo, che è costretto a falsificare un bel po’ di firme nei listini di candidati che lo sostengono. Come se non bastasse, l’uomo di Dio deve anche fermare le macchine per fare entrare nelle liste una certa Minetti, a quanto pare raccomandata dall’alto (quale sarà "l’alto" per un credente come Formigoni?) fuori tempo massimo. Ricapitoliamo. Questa è una storia che sanno tutti. Poiché tutto è avvenuto fuori dalla legge e anzi contro la legge, ti immagini che i partiti che hanno perso quelle elezioni facciano fuoco e fiamme per valersi di quella denuncia. Sarà magari un racconto senza suspense, ma certo è una bella denuncia. Non ci crederete ma non succede niente. Formigoni diventa e resta governatore con tutte le sue liste false o truccate. La Minetti diventa consigliere regionale, a suo modo prominente, tanto è vero che, poco dopo, compare come protagonista in una storia di signore in visita ad Arcore (ripetuta e investigata, questa volta, dalla magistratura, a causa della particolare natura e organizzazione di quelle visite e del ruolo della predetta, Minetti, munita di un ruolo politico che, stando alla legge, non avrebbe dovuto avere). Alla fine noi, il pubblico, ci troviamo con un narratore noioso che non ci lascia neppure un po’ di intrigo, delle autorità distratte che non vedono e non sanno, dei giudici che non raccolgono, dei partiti a cui sembra che vada a pennello la sconfitta che, senza liste illegali e fuori tempo, sarebbe stata una vittoria. Mentre riassumo, mi accorgo che mi sono sbagliato a proposito della storia e del suo insistente narratore. C’è trucco, c’è intrigo e il colpevole resta sul trono. Forse è una vicenda a cui dovrebbe prestare attenzione un bravo editore e farne, magari, un "instant book". Vuoi vedere che entra nella lista dei più venduti?
CONSIGLIO DI STATO/IL LEGALE NON AVEVA I TITOLI PER FARE APPELLO
Un’altra firma inguaia Giovine E’ quella del suo avvocato
La prima sentenza del Tar potrebbe finire alla Corte Costituzionale
RAPHAËL ZANOTTI
Il pasticcio Consigliere regionale e appassionato di scacchi. Per lui nuovi guai all’orizzonte: dei tre avvocati nessuno era cassazionista e poteva presentare l’appello
Un’altra firma ha inguaiato Michele Giovine. Questa volta è addirittura quella del suo avvocato. Il consigliere regionale leader della lista «Pensionati con Cota», accusato dalla procura di Torino di aver falsificato insieme al padre Carlo le firme dei candidati del suo partito, ieri era a Roma. Il Consiglio di Stato sta infatti valutando il ricorso presentato dagli avvocati di Mercedes Bresso e altre liste del centrosinistra che chiedono l’annullamento della lista di Giovine. Una richiesta che, se accolta, metterebbe serio pericolo l’attuale giunta regionale presieduta da Roberto Cota. La differenza di preferenze tra il leader leghista e la Bresso alle ultime elezioni è stata infatti di soli 9000 voti, quando la lista di Giovine (che appoggiava il centrodestra) ne ha raccolti 27.000. Praticamente il triplo.
Giovine, attraverso i suoi legali, aveva presentato al Consiglio di Stato un proprio appello incidentale (un atto che aveva provocato rumore viste le pesanti accuse lanciate nei confronti dei legali del centrosinistra e della stessa procura). Ma quell’appello, ieri, è caduto. Giovine aveva infatti fatto firmare l’atto ai suoi legali Giorgio Strambi, Monica Maria Negro e Fabrizio Walter Casagrande. Peccato che nessuno dei tre sia un cassazionista. Come dire: non avevano titolo per stare davanti al Consiglio di Stato. Sull’atto mancava la firma di un altro avvocato, Stefano Vinti, l’unico a poter produrre atti in quella sede. Una situazione imbarazzate, oltre che paradossale, subito rilevata tanto dal Consiglio di Stato quanto dai legali del centrosinistra. Il consigliere regionale è stato costretto a girare per Roma alla ricerca dell’avvocato Vinti per farsi firmare, perlomeno, una costituzione di parte per evitare di essere buttato fuori dal procedimento.
L’udienza di ieri, però, ha avuto un altro colpo di scena. Il Consiglio ha infatti espresso dubbi sulla costituzionalità della legge che aveva imposto al Tar di chiedere una querela di falso prima di poter decidere se la lista Giovine poteva essere eliminata. È probabile che il Consiglio invii le carte alla Corte Costituzionale. Se la Consulta dovesse rilevare l’incostituzionalità della norma, la querela di falso cadrebbe (oggi è prevista la prima udienza) e il Tar potrebbe decidere subito. Una situazione che accorcerebbe i tempi.
«Per noi bisogna comunque attendere i tre gradi di giudizio» ha dichiarato ieri l’avvocato Luca Procacci del pool di legali del centrodestra. «Staremo a vedere - gli risponde Enrico Piovano, legale del pool di centrosinistra - Intanto i dubbi da noi espressi sono espressi anche dal Consiglio di Stato».
Int. a E. Bonino - "Lo scandalo è la truffa elettorale su cui non è stata fatta giustizia"
Articolo di Andrea Montanari pubblicato su La Repubblica - ed. Milano, il 24/01/11
Senatrice Emma Bonino, Nicole Minetti, nonostante le polemiche, ha già detto che non si dimetterà. Come donna, ancor prima che come parlamentare, che cosa pensa di ciò che sta accadendo?
«Saranno i giudici a stabilire se la Minetti ha commesso reati. A me interessa altro. E non parlo tanto delle vicende che investono il presidente del Consiglio, evidentemente al di sotto di ogni decenza istituzionale, alfiere di pubblici proibizionismi che non condividiamo, come sulla prostituzione, in pieno contrasto con le condotte private. Mi interessa ancor di più il fatto che proprio in Lombardia si siano compiuti reati contro i diritti civili e politici del tutto evidenti, sui quali non si è fatta giustizia e neppure chiarezza».
Il caso Minetti ripropone ancora una volta il tema della degenerazione della politica. Chi la difende, come Formigoni, sostiene che prima bisogna aspettare la conclusione dell’inchiesta. È d’accordo?
«Formigoni non difende Minetti, ma se stesso. Finge di dispiacersi per meglio prendere le distanze, non tanto da Minetti ma da Berlusconi. Quanto al rispetto di Formigoni per i giudici, ma per favore! Adesso chiede di "lasciarli lavorare": quando però altri giudici, quelli dell’ufficio elettorale, avevano constatato l’irregolarità delle sue firme, più che di lasciarli lavorare si preoccupò di avvicinarli via P3 e di mandargli contro gli ispettori di Alfano».
L’elezione della Minetti nel listino di Formigoni ci riporta al tema della denuncia fatta da voi Radicali sulla firme false. Perché dite che lo scalpo della Minetti servirà a coprire il caso?
«Da undici mesi denunciamo la gravissima truffa elettorale compiuta con la falsificazione delle firme e delle autentiche sui moduli della coalizione Lega e Pdl per Formigoni. Abbiamo persino ottenuto le prove materiali delle 600 firme false, delle autentiche fatte quando le liste ancora non esistevano. Abbiamo assistito a un presidente di Regione che ha cambiato versione più volte, accusandoci di aver falsificato noi i suoi moduli e poi scaricando le responsabilità sui suoi sottoposti. Risultato? Nulla di nulla. Il Tar ha addirittura dichiarato il nostro ricorso inammissibile, mentre dalla procura aspettiamo notizie».
Voi parlate di complicità anche da parte «dell’opposizione ufficiale ed editoriale». A che cosavi riferite?
«Il giorno dopo che Cappato e Lipparini pubblicarono le prove dei falsi sulle liste, Formigoni fu ospite da Santoro con Bersani. Non una domanda sulle firme, non una battuta. Da allora il silenzio è stato rigorosamente rispettato in decine e decine di interviste stampa e tivù concesse dal governatore. E non ho sentito ancora un solo leader politico sollevare la questione, non solo del Pd, ma nemmeno Di Pietro o Vendola, o persino Grillo».
II Pd ha criticato Formigoni sostenendo che sul caso Minetti è stato reticente.
«A me importa il caso Formigoni, altro che caso Minetti».
Per quale motivo ci sarebbe tutto questo riguardo nei confronti del governatore?
«Il potere berlusconiano vacilla, e questo è un bene. Per noi Radicali è il momento di battersi per un’alternativa riformatrice, laica, liberale. Formigoni è invece, con Tremonti, candidato prescelto della continuità del regime. Rappresenta il nuovo potere probabile, ancor più illiberale e clericale, al centro di un sistema ramificato ormai anche al Sud, da Comunione e liberazione alla Compagnia delle opere, con rapporti d’affari e spartizioni con le cooperative rosse e il potere leghista, dalla sanità all’Expo agli appalti. Finché il centrosinistra non mostrerà di voler essere alternativo, perderà. E la prossima occasione per provare a cambiare saranno le elezioni comunali di Milano».
FIRME FALSE VERDI, RADICALI E ASSOCIAZIONE INSIEME PER BRESSO ACCOLTE COME PARTI CIVILI
“Centinaia di testimoni solo per allungare i tempi”
Riparte il processo Giovine, l’accusa: manovre dilatorie e inutili
ALBERTO GAINO
A rischio il risultato delle elezioni regionali La lista Pensionati ha raccolto oltre 27.000 voti, tre volte la differenza tra Cota e Bresso Per la procura Michele Giovine e il padre Carlo hanno però falsificato le firme dei candidati
Lo sbarramento della difesa Giovine si è infranto contro l’ordinanza del giudice Alessandro Santangelo: il processo si deve fare a Torino, e non a Verbania, perché qui è stata presentata all’ufficio elettorale la lista «Pensionati per Cota» con le candidature taroccate (firme false o certificazioni irregolari dei «pubblici ufficiali» Michele e Carlo Giovine); il capo di imputazione è chiaro e non indeterminato; i Radicali e i Verdi hanno pieno titolo di costituirsi parte civile, così come il signor Francesco Romanin, legale rappresentante dell’Associazione Insieme per Bresso.
L’altro argine che hanno tentato di costruire gli avvocati dei Giovine, padre e figlio, è sulle testimonianze richieste: quattrocento o giù di lì, considerando che una parte dell’esercito di uomini politici, di primo piano e non della politica piemontese, dovrebbe essere sentita più volte, citata su diverse fonti di prova. Il pm Patrizia Caputo ha risolto il problema alla radice: tranne i consulenti tecnici degli imputati, tutti i testimoni della difesa verrebbero sentiti su circostanze «irrilevanti», o prive di fondamento per questo giudizio.
«La difesa di Michele Giovine vuole che il giudice convochi 117 testimoni - entra nel dettaglio il pm - per riferire sull’uso del cellulare da parte del consigliere regionale, se lo porta sempre con sé e vi risponde personalmente. Avrebbe avuto significato se le testimonianze chieste fossero state riferite ai due giorni in contestazione. La medesima osservazione vale per il telefonino di Carlo Giovine. Ma così è tutto quanto irrilevante». L’avvocato Gian Paolo Zancan, parte civile per Romanin, può permettersi di essere più diretto: «Rilevo la strumentalità dilatoria di queste liste testimoniali».
Michele Giovine, consigliere comunale di Gurro (Verbania), avrebbe autenticato le firme dei propri candidati in quella sede: la tracciatura del suo cellulare dimostra che nella stessa data non si è spostato dal centro di Torino.
La questione di fondo: con i suoi 27 mila voti la lista di Giovine è stata decisiva ai fini del successo del centro-destra alle ultime elezioni regionali e il processo si gioca su un reato elettorale, depenalizzato (in quel contesto Michele Giovine se la cavò una prima volta) e rivalutato dalla Corte Costituzionale. Perché - osserva il giudice nell’ordinanza di ieri - «il bene tutelato dalla norma in contestazione è di rango particolarmente elevato: attiene al principio democratico della rappresentatività popolare, per cui si devono assicurare il regolare svolgimento delle operazioni elettorali ed il libero ed efficace esercizio del diritto di voto».
In buona sostanza, secondo il pm, i Giovine avrebbero barato presentando una lista che non avrebbe avuto i requisiti per essere votata. I difensori degli imputati hanno ribattuto indirettamente citando altre centinaia di testi, fra cui i candidati di intere liste. ««Per cercare di dimostrare che così fan tutti - sottolinea il pm in aula - ma nemmeno questo aspetto è oggetto del processo odierno. Può invece essere utile, come fonte di prova, l’acquisizione della sentenza del maggio 2006 a carico di Michele Giovine su un fatto del tutto analogo, consumatosi per l’elezione del consiglio comunale di Porte di Pinerolo».
Il 16 febbraio i difensori replicheranno, ma in quella sede verranno sentiti i testi d’accusa (i candidati della lista). Il giudice ha fretta. Né si può pensare che un processo per violazioni elettorali possa durare anni.
“Mi hanno candidato alle Comunali e neppure lo sapevo”
Ad autenticare la firma l’assessore del Pdl Gian Piero Olivieri
RAPHAËL ZANOTTI
Tommaso Micelotta Il 70enne torinese ha scoperto dopo due anni che lo avevano candidato a sua insaputa alle Comunali di Alessandria Un nuovo caso di firme false
Non sembra avere confini l’affaire firme false per la lista Pensionati. Mentre a Torino va in scena in processo al consigliere regionale Michele Giovine, oggi al tribunale di Alessandria si celebrerà un altro processo. L’imputato è Noccetti Gianluca detto Nocetti, presentatore della lista. Le elezioni sono quelle comunali del 2007 ma per il resto la vicenda è molto simile: firme false per candidati completamente all’oscuro di esserlo.
Il candidato ignaro è Tommaso Micelotta, 70enne di Torino che un giorno del 2009, navigando in internet, scopre il suo nome tra i candidati della lista Pensionati per il Comune di Alessandria. «Mi sono stupito - racconta Micelotta - Io ad Alessandria ci sono passato una volta, forse trent’anni fa. E non ho mai firmato nessuna candidatura per quel Comune».
Micelotta è incerto: possibile che sia lui quel Michelotta Tommaso candidato n. 24 della lista? Per esserne sicuro scrive al Comune e chiede di conoscere i dati anagrafici del candidato. Il Comune gli risponde: sì, è proprio lui.
«A questo punto ho scritto al presidente della commissione elettorale segnalando quell’anomalia».
E’ il febbraio del 2009. Il presidente della commissione elettorale, il giorno dopo, spedisce l’incartamento al procuratore capo di Alessandria che apre un’inchiesta. Si scopre, per esempio, che i dati di Micelotta sono giusti (nome, cognome, data e luogo di nascita), ma il numero della carta d’identità con la quale sarebbe avvenuto il riconoscimento non è quello giusto. Viene indagato Noccetti, colui che ha presentato la lista. Il legale che lo difende, l’avvocato Williams Pipitone, tuttavia non è convinto: «Il mio assistito - dichiara - si è limitato a depositare la lista con i nomi dei candidati. Lista composta da altri e le cui firme sono state autenticate da altri».
Per quanto riguarda Micelotta, la firma risulterebbe autenticata da Gian Piero Olivieri, assessore del Comune di Alessandria con delega a Provveditorato, Manifestazioni, Marketing Territoriale e Affari Generali. «Chiederemo che venga sentito come testimone - annuncia l’avvocato Pipitone - Dovrà venire in aula a spiegare come ha fatto a dire che la firma del signor Micelotta era la sua». Anche perché Micelotta, l’assessore Olivieri, dice di non averlo mai nemmeno incontrato. «Intuisco come è andata - dice ancora il pensionato torinese - Dev’essere stato Onorato Passerelli, segretario dell’Unione Pensionati, partito a cui ero iscritto e poi confluito nella lista Pensionati. Ma io, all’epoca, ero già fuori e non mi sono mai candidato ad Alessandria». La difesa ha intenzione di far sentire anche Passerelli. Oltre, ovviamente, a Michele Giovine. «Sono loro che hanno fatto questo pasticcio. E io non sono il solo - racconta Micelotta - ce ne sono altri come me».
Il processo resta a Torino. Scontro sui 300 testi della difesa, accolte le parti civili
Bresso: sono molto soddisfatta, gli eletti non possono considerarsi aldi sopra delle leggi
SARAH MARTINENGHI
Un´udienza lampo ma fondamentale: continuerà a svolgersi a Torino il processo chiave nella vicenda dei ricorsi elettorali, quello contro Michele Giovine, il consigliere regionale dei Pensionati accusato di aver falsificato le firme dei candidati della sua lista per le scorse elezioni di marzo. La difesa aveva infatti chiesto che la competenza territoriale fosse trasferita a Verbania, provincia più vicina al comune di Gurro in cui sarebbero state sottoscritte le firme, ma il giudice Alessandro Santangelo ha respinto la richiesta dell´avvocato Cesare Zaccone, e anche le altre eccezioni sollevate sul capo d´imputazione. Sono state invece accolte, ieri, le richieste di costituzione di parte civile: Marco Pannella per la lista ‘Bonino e Pannella´, Angelo Bonelli, per la Federazione dei Verdi, la lista ‘Insieme Per Bresso, Mercedes Bresso in proprio quale capolista e Luigina Staunovo in proprio e quale legale rappresentante della lista ‘Pensionati e invalidì. «Sono molto soddisfatta - ha commentato Mercedes Bresso - perché sono state accolte tutte le richieste di parte civile e respinte quelle di Giovine. Commettere reati non è esercizio libero in politica, molti pensano di essere esonerati dal rispetto della legalità per il solo fatto di essere degli eletti. Purtroppo in questo Paese in troppi pensano a una politica al di sopra della legge».
In aula la partita è proseguita sulla lista testi prodotta dalla difesa: oltre 300 persone chiamate a vario titolo a testimoniare, tra cui quasi tutti i nomi politici locali. Alla maggior parte di loro gli avvocati della difesa intendono fare domande sull´uso del telefono da parte dell´imputato (chiamato alla sbarra insieme al padre Carlo), per smentire uno dei cardini dell´accusa: per il pm Patrizia Caputo infatti le celle telefoniche dimostrerebbero che gli imputati non si sono mai smossi da Torino, e non sarebbero dunque potuti andare a Gurro nei giorni delle firme. La difesa punta invece sulla distrazione di Giovine e sulla sua «abitudine» a dimenticare il cellulare a casa o a imprestarlo ad altre persone. La procura si è opposta considerando i testi per lo più «irrilevanti», ad eccezione dei consulenti. «Con questa udienza - ha commentato ancora Mercedes Bresso - sono state rimosse le iniziative della difesa che miravano solo a dilatare i termini attraverso pretesti».
A proposito di «abitudini» dell´imputato, invece, l´avvocato di Bresso, Paolo Davico Bonino ha prodotto in aula la sentenza emessa dal tribunale di Pinerolo il 31 maggio 2006 in cui Giovine chiuse con un´oblazione di 4000 euro un altro procedimento nei suoi confronti, per aver falsificato le firme di tre candidati alle elezioni del Consiglio comunale di Porte.
«Accettiamo le decisioni del giudice, ora valuteremo eventuali considerazioni anche dopo aver letto le sentenze citate», ha sottolineato l´avvocato di Michele Giovine, Fabrizio Casagrande.
I Radicali: firme false per la Minetti nel listino
Articolo di pubblicato su Corriere della Sera, il 20/01/11
C’è anche il nome di Nicole Minetti, consigliera regionale lombarda e protagonista della vicenda Ruby, nella «memoria» presentata ieri alla Procura di Milano dai Radicali, che chiedono di indagare sull’«inserimento illegale» dell’igienista dentale nel listino del presidente Formigoni, inserimento che la portò ai banchi dell’aula consiliare. Secondo Marco Cappato e Lorenzo Lipparini, insomma, la vicenda delle «firme false» per l’autenticazione della lista «Per la Lombardia», su cui i Radicali avevano già presentato un esposto l’anno scorso, ruoterebbe proprio attorno alla candidatura della Minetti, stabilita in extremis durante un vertice tra il candidato del Pdl Roberto Formigoni, Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. «L’operazione - ha spiegato Cappato - non può essere scaricata alla responsabilità politica o giudiziaria di Minetti. Roberto Formigoni, obbedendo a Berlusconi e d’accordo con Bossi, è il titolare politico di liste falsificate, che sono un crimine peggiore di qualsiasi Bunga Bunga».
Radicali: "False le firme per Nicole Minetti candidata"
Articolo di pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 20/01/11
Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Roberto Formigoni si incontrarono ad Arcore per decidere di far correre l’igienista dentale Nicole Minetti per il posto di consigliere regionale. Dopo il vertice la lista del centrodestra venne riaperta a pochi giorni dalla scadenza del termine di presentazione e ci furono irregolarità e falsi nella raccolta delle firme a sostegno. È questo il contenuto di una memoria presentata dai Radicali in Procura a Milano, per chiedere indagini sulle responsabilità penali legate all’inserimento "illegale" della Minetti.
I radicali Marco Cappato e Lorenzo Lipparini, hanno presentato la memoria negli uffici del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che sta già indagando sulle presunte 500 firme false presentate per la lista del governatore Roberto Formigoni, sulla base di un esposto degli stessi Radicali. Il pm ha ipotizzato i reati di falso materiale, falso in atto pubblico e falso ideologico.
Cappato ha chiarito, infatti, che "secondo notizie di stampa" l’igienista dentale è entrata nella lista il 25 febbraio. "Hanno riaperto la lista - ha proseguito - all’ultimo momento utile per farla entrare, visto che il 27 scadevano i termini di presentazione". L’ingresso in lista, ha spiegato ancora, "è stato concordato in due vertici ad Arcore del 23 e 24 febbraio alla presenza anche di Bossi e Formigoni". Dal 13 al 23 febbraio, però, "erano già state raccolte circa 2 mila firme a sostegno della lista sulle quasi 4 mila totali". Dunque, secondo i Radicali, la procura deve indagare sulle responsabilità penali per l’irregolare raccolta delle firme, avvenuta nei giorni compresi tra i vertici di Arcore e la scadenza per la presentazione della lista. "Noi vogliamo - ha concluso Cappato - che si indaghi non solo sugli autenticatori delle firme, ma anche sulla catena di comando che ha gestito la vicenda".
Elezioni, Minetti sotto assedio: un altro esposto
Articolo di Mario Consani pubblicato su Giorno/Resto/Nazione, il 20/01/11
Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Roberto Formigoni si incontrarono ad Arcore per decidere di «far correre» l’igienista dentale Nicole Minetti per il posto di consigliere regionale della Lombardia. Dopo il vertice, la lista del centrodestra venne riaperta a pochi giorni dalla scadenza del termine di presentazione e ci furono irregolarità e falsi nella raccolta delle firme a sostegno. Questo sostengono i Radicali nella loro nuova memoria presentata ieri mattina in procura e nella quale si chiede di indagare sulle responsabilità penali legate all’«inserimento illegale» della Minetti. Gli esponenti radicali Marco Cappato e Lorenzo Lipparini, anche per conto di Marco Pannella, assistiti dall’avvocato Giuseppe Rossodivita, hanno presentato la memoria negli uffici del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che sta già indagando - sempre sulla base di un esposto presentato dagli stessi Radicali - sulla presunta falsità di circa 500 firme presentate a sostegno della lista del governatore lombardo Roberto Formigoni. Il pm ha ipotizzato per quella vicenda i reati di falso materiale, falso in atto pubblico e falso ideologico. «Minetti - sostiene Cappato - è entrata in lista con modalità illegali, e noi l’avevamo già denunciato pubblicamente 10 mesi fa». Cappato chiarisce infatti, che «secondo notizie di stampa» l’igienista dentale è entrata nella lista il 25 febbraio. «Hanno riaperto la lista - prosegue all’ultimo momento utile per farla entrare, visto che il 27 scadevano i termini di presentazione». L’ingresso in lista, spiega ancora, «è stato concordato in due vertici ad Arcore del 23 e 24 febbraio alla presenza anche di Bossi e Formigoni». Dal 13 al 23 febbraio, però, «erano già state raccolte circa 2 mila firme a sostegno della lista sulle quasi 4 mila totali». Dunque, secondo i Radicali, la procura deve indagare sulle responsabilità penali per l’irregolare raccolta delle firme, avvenuta nei giorni compresi tra i vertici di Arcore e la scadenza per la presentazione della lista. «Noi vogliamo - conclude Cappato - che si indaghi non solo sugli autenticatori delle firme, ma anche sulla ‘catena di comando’ che ha gestito la vicenda».
«Sono in consiglio regionale perché ho competenza e lavoro sodo», fa sapere la Minetti. E Romano La Russa, fratello del ministro, consigliere regionale e coordinatore regionale del Pdl replica: «I Radicali se ne facciano una ragione, il centrosinistra in Lombardia ha perso le elezioni. Dopo i continui ‘assalti alla diligenza’ nel tentativo di far cadere Silvio Berlusconi utilizzando l’arma giudiziaria, ora dobbiamo assistere ancora ai velleitari tentativi di ribaltare, utilizzando tribunali e carte bollate, il risultato elettorale nella nostra regione, frutto di democratiche e limpide elezioni».
Radicali: firme false per candidare Nicole Minetti
Articolo di pubblicato su Liberazione, il 20/01/11
Berlusconi, Bossi e Formigoni si incontrarono ad Arcore per decidere di far correre l’igienista dentale Nicole Minetti per il posto di consigliere regionale. Dopo il vertice, la lista dei centrodestra viene riaperta a pochi giorni dalla scadenza del termine di presentazione e ci furono irregolarità e falsi nella raccolta delle firme. È questo, in sostanza, il contenuto di una memoria presentata dai radicali in Procura a Milano. Gli esponenti radicali Marco Cappato e Lorenzo Lipparini, anche per conto di Marco Pannella, assistiti dall’avvocato Giuseppe Rossodivita, hanno presentato la memoria negli uffici del procuratore aggiunto Alfredo Robledo, che sta già indagando sulla falsità di circa 500 firme. Il pm ha ipotizzato i reati di falso materiale, falso in atto pubblico e falso ideologico. Cappato ha chiarito che «secondo notizie di stampa» l’igienista dentale è entrata nella lista il 25 febbraio. «Hanno riaperto la lista all’ultimo momento utile per farla entrare - ha proseguito - visto che il 27 scadevano i termini di presentazione». L’ingresso in lista, ha spiegato ancora, «è stato concordato in due vertici ad Arcore del 23 e 24 febbraio alla presenza anche di Bossi e Formigoni». Dal 13 al 23 febbraio, però, «erano già state raccolte circa 2 mila firme a sostegno della lista sulle quasi 4 mila totali». «Noi vogliamo che si indaghi non solo sugli autenticatori delle firme - ha concluso Cappato - ma anche sulla catena di comando che ha gestito la vicenda».
Boni (Lega): se fossi la Minetti mi dimetterei
Articolo di Annachiara Sacchi pubblicato su Corriere della Sera - ed. Milano, il 20/01/11
La Lega prende le distanze da Nicole Minetti. Lo fa con il presidente del consiglio regionale, Davide Boni. Parole prudenti, ma contenuto chiarissimo: «Le dimissioni? È una decisione che spetta solo a lei. Io, al di là del mio ruolo di presidente del consiglio regionale, sono un uomo di partito, per cui toglierei dall’imbarazzo il mio partito». Lo ha detto ai microfoni di Radio 24, dopo la richiesta di dimissioni da parte del Pd.
I distinguo della Lega. Le richieste reiterate del Pd di dimissioni. E le accuse dei radicali: «Nicole Minetti fu inserita nel listino bloccato di Formigoni con modalità illegali dopo un vertice ad Arcore tra Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e il presidente della regione Lombardia», dice Marco Cappato che ieri ha presentato in Tribunale una memoria. La richiesta è arrivata sul tavolo di Alfredo Robledo: indagare sulle presunte irregolarità della raccolta firme per la presentazione della Minetti, e sulla «catena di comando» che ha gestito la vicenda. «È entrata in lista con modalità illegali», continua Cappato, secondo il quale la Minetti sarebbe entrata nella lista il 25 febbraio «all’ultimo momento, visto che il 27 scadevano i termini». Un ingresso «concordato in due vertici ad Arcore del 23 e 24 febbraio alla presenza di Bossi e Formigoni». Ma circa duemila delle quasi quattromila firme di sostegno «erano state raccolte dal 13 al 23 febbraio». Replica il coordinamento regionale del Pdl: «Come ha dichiarato l’avvocato Luca Giuliante, le date di accettazione dei candidati portano la data del 19 febbraio. A quella data la lista "Perla Lombardia" era da considerarsi già chiusa».
Radicali: firme false per la Minetti
Articolo di pubblicato su Secolo d'Italia, il 20/01/11
Silvio Berlusconi, Umberto Bossi e Roberto Formigoni si incontrarono ad Arcore per decidere di ‘far correre’ l’igienista dentale Nicole Minetti per il posto di consigliere regionale. Dopo il ‘vertice’ la lista del centrodestra venne riaperta a pochi giorni dalla scadenza del termine di presentazione e ci furono irregolarità e falsi nella raccolta delle firme a sostegno. È questo, in sostanza, il contenuto di una memoria presentata stamani dai Radicali in Procura a Milano.
Questa mattina il Tribunale di Torino ha accolto la costituzione di parte civile avanzata da Marco Pannella (in rappresentanza della lista Bonino-Pannella) nel processo che vede imputati il consigliere regionale Michele Giovine e suo padre del reato di falsificazione delle firme di alcuni candidati della Lista “Pensionati per Cota”. E' stata accolta anche la costituzione di parte civile di Angelo Bonelli per la Federazione dei Verdi e di altri esponenti della coalizione di Mercedes Bresso. Sono state respinte le eccezioni di nullità del decreto di citazione a giudizio e di incompetenza territoriale formulate dai difensori degli imputati, per cui il processo proseguirà davanti al Giudice dott. Santangelo del Tribunale di Torino; la prossima udienza è fissata per il 16 febbraio.
La Lista “Pensionati per Cota”, che appoggiava il candidato del centro-destra Roberto Cota, ha raccolto circa 27.000 voti alle scorse elezioni regionali in Piemonte; lo scarto di voti fra Roberto Cota e Mercedes Bresso è stato di circa 9.000 voti. Il 26 gennaio il Consiglio di Stato si riunirà per vagliare il “caso Giovine”.
Giulio Manfredi (vice-presidente Comitato nazionale Radicali Italiani) e Alberto Ventrini (avvocato radicale che segue la causa per conto di Marco Pannella, giunta segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta) hanno dichiarato:
“Si tratta di un primo passo sulla lunga e impervia strada della legalità. I radicali in questi anni hanno denunciato da soli il caso di Michele Giovine, che, ricordiamolo, è recidivo, essendo già stato processato in passato per aver raccolto migliaia di firme irregolari a sostegno della sua lista per le elezioni regionali del 2005.
Roberto Cota sapeva con chi si alleava e, quindi, ora deve pagare tutte le conseguenze della sua scelta.
Ricordiamo che “La Stampa” del 10 luglio 2010 ha pubblicato un raffronto fra le firme di alcuni candidati della lista di Giovine, quelle che appaiono sul modulo delle candidature e quelle che appaiono sul verbale di polizia, al termine degli interrogatori degli stessi candidati. Centinaia di migliaia di cittadini piemontesi hanno potuto verificare la netta discordanza fra le due firme; speriamo che altre centinaia di migliaia di cittadini possano verificare con i loro occhi, andando sul sito www.associazioneaglietta.it, dove rimarrà no stop la suddetta pagina de “La Stampa” con le firme contestate.”
Cappato: non è Minetti a doversi dimettere, ma Formigoni. la falsificazione delle elezioni è crimine peggio del bunga bunga
Pubblicato il 19/01/2011
Certamente le inchieste che riempiono in questi giorni le pagine dei giornali riguardano ipotesi di reato gravi. Ma non si può non notare come i fatti che noi Radicali denunciamo da mesi e per i quali ci siamo di nuovo stamani recati in tribunale riguardano ipotesi di reato ancora più gravi, relativi alla massiccia falsificazione del voto regionale in Lombardia. E le due vicende non sono scollegate.
Da 11 mesi denunciamo il fatto che le liste di Formigoni siano state modificate a tre giorni dalla consegna. Inizialmente lo stesso Sostituto Procuratore, oggi Procuratore capo, Bruti Liberati chiese l'archiviazione. Il Tribunale amministrativo regionale, con il giudice Leo, ha dichiarato i nostri ricorsi addirittura inammissibili. I vertici nazionali e lombardi delle cosiddette "opposizioni" non hanno mai speso una parola chiara di denuncia dell'accaduto, nonostante le prove siano pubblicate da mesi.
Oggi, improvvisamente, assistiamo a un massiccio impiego di mezzi investigativi (che speriamo possano essere in parte "distratti" sulla questione della legalità delle elezioni) e a parola durissime delle "opposizioni" PD e altri per chiedere le dimissioni di... Nicole Minetti? Come abbiamo documentato in tribunale, l'ingresso di Nicole Minetti nelle liste di Formigoni e la conseguente falsità sia delle 2.000 firme già raccolte (su quali liste, se Minetti non era ancora candidata?) che di buona parte di quelle successive, falsificate dopo in tutta fretta sulle nuove liste, non è un'operazione che può essere scaricata alla responsabilità politica o giudiziaria di Minetti o di qualche poveraccio di autenticatore.
Roberto Formigoni, obbedendo a Berlusconi e d'accordo con Bossi, è il titolare politico di Liste falsificate, che rappresentano una vergogna e un crimine contro i diritti civili e politici dei cittadini ben peggiore di qualsiasi bunga bunga. Non è Nicole Minetti, ma Roberto Formigoni a doversi dimettere dal suo mandato, già abusivamente protratto oltre i limiti imposti dalla legge.
Il diktat del premier nella notte: “Fate spazio a Nicole e Giorgio”
Articolo di Andrea Montanari pubblicato su La Repubblica - ed. Milano, il 19/01/11
Sono le due di notte di venerdì 27 febbraio 2010. In viale Monza, sede storica prima di Forza Italia e ora del Pdl, le linee telefoniche sono roventi. L’ultimo vertice tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi ha appena sbloccato la composizione del listino Per la Lombardia che appoggia la ricandidatura per la quarta volta di Roberto Formigoni. Appena in tempo per consegnare l’elenco dei magnifici sedici, con in testa il governatore, la mattina dopo all’ufficio elettorale presso la Corte d’Appello. Ma le firme a sostegno del listino devono essere tutte raccolte di nuovo. Bisogna contattare tutti i militanti, farsi consegnare i dati o obbligarli a firmare anche nel cuore della notte. Si tratta delle stesse firme contestate come false dai radicali che oggi depositeranno in Procura una nuova memoria sul caso Minetti, Formigoni, Bossi e Berlusconi. La composizione del listino, infatti, quella notte era cambiata ancora una volta. E soprattutto l’ordine dei candidati, visto che solo i primi otto avevano la garanzia di essere eletti. Ma il premier era stato irremovibile: la Minetti e Puricelli dovevano diventare consiglieri regionali.
L’ultimo a farne le spese era stato Paolo Cagnoni, uomo di fiducia di Sandro Bondi, uno dei coordinatori nazionali del partito nonché ministro della Cultura, depennato in extremis. Per far posto a Doriano Riparbelli, finito al terzo posto dopo lo stesso Formigoni e il capogruppo del Pdl in Regione Paolo Valentini Puccetelli, e soprattutto alla Minetti, laureata in igiene dentale al San Raffaele dopo qualche comparsata nel programma Mediaset Colorado Cafè, e a Giorgio Puricelli, fisioterapista del Milan e del Cavaliere. Tanto da far slittare in fondo perfino il leghista Andrea Gibelli, candidato da Bossi a diventare il vice governatore della Lombardia. Per non parlare degli altri leghisti, Monica Rizzi, Giulio De Capitani, Luciano Bresciani e Mario Cavallin, scivolati addirittura nei secondi otto posti "non garantiti". E che infatti non sono stati eletti, ma ricompensati quasi tutti con alcuni assessorati.
«La Lega aveva garantito cinquecento firme a sostegno del listino - ammetterà poi in un’intervista a Repubblica il ministro della Difesa Ignazio La Russa – ma si è presentata alla due di notte solo con trenta firme autenticate. Qualcuno si è fidato troppo e ha sbagliato. Mi avevano detto che era stato nominato un responsabile del tesseramento, che evidentemente non ha fatto quello che doveva. Io costringevo sempre tutti a impegnarsi fino all’ultimo minuto. Controllavo i certificati elettorali e alla fine tutte le firme erano regolari. Ma hanno detto che ero troppo ingombrante e questa volta non me ne sono occupato. A furia di non voler invadere il campo degli altri si finisce con il non risolvere i problemi».
Cappato: domani depositiamo in Procura memoria su Minetti, Formigoni, Bossi e Berlusconi. Ore 11, incontro con i giornalisti, Palazzo di giustizia di Milano, ingresso via Freguglia
Pubblicato il 18/01/2011
Dichiarazione di Marco Cappato, Lista Bonino-Pannella
Domani, mercoledì 19 gennaio, insieme a Lorenzo Lipparini ci recheremo presso la Segreteria del Procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo, al quale il Procuratore Edmondo Bruti Liberati ha affidato l'inchiesta relativa alla falsificazione delle firme per le elezioni regionali del marzo 2010 in Lombardia, dopo che lo stesso Bruti Liberati aveva inizialmente proposto un'archiviazione senza indagini sul primo esposto radicale.
Depositeremo presso l'Ufficio di Robledo una "Memoria di persone offese" -sottoscritta dal nostro avvocato Giuseppe Rossodivita, Consigliere regionale della Lista Bonino-Pannella nel Lazio, oltre che da Lipparini e me- volta a chiarire ed integrare gli elementi indiziari e probatori relativi alla falsificazione massiccia delle elezioni regionali in Lombardia. In particolare nella Memoria approfondiremo la tempistica degli appuntamenti e incontri di preparazione delle liste elettorali tenuti alla presenza tra gli altri di Berlusconi, Bossi e Formigoni, anche alla luce degli elementi d'indagine emersi in questi giorni su eventuali illeciti commessi da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi, della Consigliera regionale Minetti e di altri.
Alle ore 11 illustreremo il contenuto della Memoria ai giornalisti interessati, presso l'ingresso del Tribunale dei Milano in via Freguglia 25.
Firmigoni: Cappato "Le motivazioni del TAR Lombardia andranno studiate all'università per spiegare la peste che colpisce le nostre istituzioni"
Pubblicato il 21/12/2010
Secondo il TAR della Lombardia, nel ricorso presentato dopo le elezioni regionali riguardanti le irregolarità formali (assenza di timbri, ecc.), non avevamo allegato "alcun principio di prova" o "elemento indiziario riferito a precisi fatti concreti". E' irrilevante, per il TAR, il fatto che noi, non disponendo di copie dei moduli, potevamo solo riferirci a ciò che avevamo visto con i nostri occhi e che anche l'Ufficio elettorale stesso confermò quando furono costretti a rifare i controlli. Addirittura il TAR arriva a definire "privo di rilevanza" anche il conteggio che rifece l'Ufficio elettorale, e che rappresenta la certificazione da parte di un giudice della fondatezza del nostro ricorso. Il risultato è che quelle irregolarità sono certe e evidenti, ma che ci si è impedito di contestarle sia prima delle elezioni che dopo le elezioni.
Per quanto riguarda le firme false, secondo il TAR Lombardia il fatto di aver avuto finalmente l'accesso ai moduli non costituirebbe un fatto nuovo, meritevole di accogliere "motivi aggiunti" rispetto al ricorso iniziale, dal momento che già a febbraio avevamo potuto procedere, per nostra stessa "ammissione", "a un esame dettagliato dei moduli". Il TAR sceglie così di ignorare la differenza tra il fatto di poter esaminare migliaia di moduli (di tutte le liste) per sole tre ore da parte di quattro militanti radicali e invece il fatto di ottenere una copia da far esaminare per giorni da parte di un perito. Secondo il TAR infatti, dal primo esame che avevano potuto fare nella sede del tribunale, Cappato e Lipparini "avevano anche tratto alcune circostanziate illazioni che non pare possano considerarsi come semplicemente desumibili ictu oculi".
Insomma il TAR non può "considerare" che sia accaduto ciò che è esattamente accaduto, cioè che Lipparini e io abbiamo visto subito ("icto oculi") che quei moduli erano una porcheria, ma naturalmente non potevamo sapere (perché nell'ufficio elettorale non disponevamo di altro che dell'"icto oculi", e non si capisce di cos'altro avremmo potuto disporre) che vi fossero addirittura oltre 500 firme false prima di aver avuto la consegna di una copia dei moduli, alla quale è seguita immediatamente la nostra contestazione al TAR. Il risultato è che il TAR si è rifiutato di aprire quei moduli, sapendo che lì dentro avrebbe trovato della monnezza lombarda made in Firmigoni più tossica di quella campana.
Le Motivazioni rese sotto la firma del Presidente estensore Adriano Leo rappresentano un testo che andrà studiato nelle università. Se e quando l'Italia diverrà uno Stato di diritto e democratico, sarà necessario studiare la peste che aveva colpito le nostre istituzioni, nel silenzio dei potenti del regime tanto della maggioranza quanto di quella che continua senza vergogna a chiamarsi opposizione, in questo caso in particolare quel Partito democratico che "le prove" contro Firmigoni, a noi inaccessibili, richieste dal TAR, le custodisce nei propri cassetti da 9 mesi.
Dichiarazione di Marco Cappato, Radicali italiani / Lista Bonino-Pannella
RADICALI: DA OGGI SUL SITO WWW.ASSOCIAZIONEAGLIETTA.IT VISIBILI A TUTTI LE FIRME CONTESTATE A MICHELE GIOVINE
Da oggi sulla home page del sito dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta i cittadini possono osservare le firme contestate dei candidati della lista di Michele Giovine e confrontarle con le firme vere (tratte dal quotidiano La Stampa).
Dichiarazione di Nathalie Pisano (Segretaria Associazione radicale Adelaide Aglietta) e Igor Boni (Coordinatore provinciale torinese dell’Associazione Aglietta)
“Abbiamo scelto la strada di mostrare ai cittadini le firme contestate proprio mentre si apre il processo per dare luce all’ennesima vicenda oscura che incombe sul processo elettorale. E’ evidente che la strategia dei Giovine è quella di guadagnare tempo con la lista di 300 testimoni fornita; tempo che potrebbe fargli nuovamente guadagnare l’impunità, come accaduto nella scorsa legislatura. Compito della magistratura è quello di giungere presto alla fine del processo e alla sentenza. La nostra azione vede ora, con la costituzione di parte civile, un nuovo tassello dopo 6 anni di denunce che, a destra come a sinistra, purtroppo non hanno avuto ascolto. In questo Paese dobbiamo innanzitutto riconquistare il rispetto delle regole che fondano ogni democrazia e quelle elettorali sono certamente le più importanti. Oggi - occorre rendersene conto pienamente - la violazione delle leggi pare essere divenuta la regola, come ci insegnano questa vicenda e il caso Formigoni”.
ELEZIONI REGIONALI/ALLA PRIMA UDIENZA CINQUE RICHIESTE DI COSTITUIRSI PARTE CIVILE. ASSENTE LA REGIONE.
Processo per le firme false Giovine: “Così fan tutti”
Citati oltre trecento testimoni: politici locali, nazionali e giornalisti
ALBERTO GAINO
«Non sono tutti stinchi di santo» Il commento di uno degli avvocati di Michele Giovine, Giovanni Nigra La replica del legale di Bresso, Gian Paolo Zancan: «Vogliono solo trascinarla per le lunghe»
Vuole difendersi dall’accusa di aver falsificato le firme di diciotto dei suoi candidati - tutte tranne la sua - citando in aula tutta la politica piemontese? Michele Giovine, giubbotto da volontario olimpico 2006, risponde con un’alzata di spalle. Poi si decide: «Facciamo i processi per vincerli, non certo per raccontare ai giornalisti le nostre strategie». E Ghigo testimone? «Non so se c’è».
C’è, eccome, nella lista dei 300 testimoni (alcuni ripetuti ad adiuvandum) che Giovine, consigliere regionale dei «Pensionati per Cota», e i suoi difensori vorrebbero far deporre. L’avvocato Gian Paolo Zancan, che ieri in apertura del processo ha chiesto di costituirsi parte civile per conto della lista «Insieme per Bresso», non ha dubbi: «Li ho contati uno per uno, assessori, consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, big e politici di provincia. Si vuole far durare il dibattimento il più a lungo possibile».
Giovanni Nigra, difensore di Giovine padre, porge l’interpretazione autentica: «Non sono tutti stinchi di santo, i politici piemontesi. Vogliamo che vengano a dirci come hanno regolarizzato le candidature delle loro liste». Strategia d’attacco che sembra mettere sotto tiro l’Italia dei Valori con in testa il suo capofila Andrea Buquicchio, i Radicali (anche loro parte civile), i pensionati versione centrosinistra, i «verdi-civici», liste collegate alla Bresso. Si valorizza l’esperienza maturata in anni di gavetta da parte della famiglia Lupi, Renzo Rabellino (imputato in altro processo) e altri.
C’è un plotone trasversale di politici citati «per riferire del contesto politico, sulle alleanze e sulle modalità dello svolgimento delle elezioni regionali piemontesi, per comprendere se è stato turbato il regolare e leale svolgimento delle operazioni elettorali di fronte a tutti i cittadini e per valutare se la sconfitta elettorale del centrosinistra sia frutto di una manovra fraudolenta come la signora Bresso afferma nella sua costituzione di parte civile». Tema per Rocchino Muliere, Riccardo Nicotra, Giuliano Manolino, Claudio Dutto e, fra i tanti, Deodato Scanderebech. Che fu determinante, come Giovine, per il successo di Cota.
Il battaglione più folto comprende Ghigo, Morgando, Gariglio, Placido, Botta, Mastrullo, ancora Buquicchio, un’autorevole rappresentanza leghista (l’assessore regionale Maccanti, Alasia, Rossi), Ghiglia, Spagnuolo, Di Benedetto, Pedrale, Galasso. Tutti, è la motivazione, «potranno riferire sull’uso del cellulare da parte del consigliere Giovine e in particolare se lo porti sempre con sé e risponda alla chiamate di persona».
Apparentemente è chiaro: il pm Patrizia Caputo contesta a Giovine di non essersi recato ad autenticare le firme dei suoi candidati a Gurro (Val Canobina) dov’era consigliere comunale perché il suo cellulare quel giorno si «trovava» a Torino. I tabulati registrano chiamate in entrata ed uscita dal centro città. Ma, sotto sotto, c’è chi vi legge il tentativo di far emergere una consuetudine di politici importanti di tutte le aree a mantenere stretti contatti con il «reietto» Giovine.
Il giudice Alessandro Santangelo ha rinviato al 19 gennaio per decidere sull’ammissione delle parti civili (ieri hanno presentato istanza, oltre a Bresso e Marco Pannella per i Radicali, anche Luigina Staunovo dei Pensionati e Invalidi, il presidente dei Verdi Angelo Bonelli e Francesco Romanin, storico collaboratore della Bresso, nelle vesti di elettore). Da decidere anche sulle eccezioni difensive di nullità del capo di imputazione e competenza territoriale. Per la lista testi eventualmente da sfrondare c’è tempo.
LA PASIONARIA DELL’ESPOSTO
«Voglio fermare queste persone. Fanno solo i loro interessi»
Luigina Staunovo
«La gente stia molto attenta alle elezioni. Perché queste persone chiedono il loro voto e poi che fanno? I loro interessi, ecco cosa fanno. È anche per questo che oggi sono qui». Non ha mancato un giorno al riconteggio predisposto dal Tar e non poteva mancare nemmeno ieri. Se i due Giovine, padre e figlio, sono a processo lo si deve soprattutto a lei, Luigina Staunovo, la pasionaria della lista Pensionati e Invalidi che, vestiti i panni dell’investigatrice, ha svelato gli altarini della lista-famiglia di Michele Giovine, presentando poi un esposto in procura. «Io non mi fermo, vado avanti e ci saranno sorprese» promette la Staunovo che ha chiesto di costituirsi parte civile.
Il leader dei Pensionati per Cota cita una lista sterminata di testimoni
Giovine vuol trasferire il processo: "Mi giudichi il tribunale di Verbania"
vera schiavazzi
Secondo i difensori di Michele Giovine, contro il quale si è aperto ieri il processo per falso, dovrebbe essere il Tribunale di Verbania a decidere sulla colpevolezza o meno del consigliere regionale. E´ lì, infatti, nel piccolo Comune di Gurro, che l´intraprendente leader della lista Pensionati per Cota avrebbe dovuto raccogliere le firme, nella sua veste di consigliere comunale. Il giudice torinese, Alessandro Santangelo, si è riservato di decidere sulla richiesta e si pronuncerà il 19 gennaio, nella stessa data in cui dirà anche se le richieste di diventare parte civile sono da accogliere o meno (oltre a Mercedes Bresso e a Luigina Staunovo, lo hanno chiesto i Verdi, l´associazione "Insieme per Bresso" e i radicali con Marco Pannella). Quel giorno, il Tribunale si pronuncerà anche sulla sterminata lista di testimoni che Giovine vorrebbe citare, perlopiù a riprova della sua distrazione: le celle telefoniche infatti dicono che il suo cellulare e quello del padre, coimputato, non si sono mai mossi da Torino (e dunque non lo hanno accompagnato nel viaggio a Gurro per autenticare le firme dei candidati), lui sostiene di averlo semplicemente dimenticato come gli capita spesso. Ieri Michele Giovine era in aula, e, come ha fatto fin dall´inizio di questa vicenda, ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Contemporaneamente, in Tribunale si è aperto anche il processo per altre irregolarità elettorali relative alle ultime regionali delle quali è imputato l´autonomista Renzo Rabellino. Il 25 gennaio il caso Giovine tornerà anche in Consiglio di Stato, dove, con ogni probabilità, gli avvocati di Bresso chiederanno che si attenda la sentenza del processo penale. Se i tempi saranno celeri, come tutto lascia prevedere, e se il giudice diminuirà drasticamente l´elenco dei testi richiesti dagli imputati, la decisione potrebbe arrivare già in primavera.
I Giovine si presentano al processo con 400 testimoni
[AL. GA.]
Michele Giovine
Michele Giovine ha presentato una lista di 300 testimoni, il padre Carlo si accontenta di un centinaio (in parte si sovrappongono). L’avvocato Giovanni Nigra: «Citiamo numerosi esponenti di altre liste per farci dire come hanno regolarizzato le loro candidature». Tra questi c’è pure Deodato Scanderebech, determinante per il successo del centrodestra.
Di fronte a uno scenario di continuo pendolarismo, da parte dei Giovine rispetto alla scelta se patteggiare o no, questa è la prospettiva processuale che padre e figlio (consigliere regionale di «Pensionati per Cota» e ago della bilancia elettorale) consegnano all’inizio del dibattimento, previsto per stamane.
I due sono accusati di aver falsificato 18 delle 19 firme dei candidati della lista familiare. C’è da tenere conto, ai fini della prescrizione del reato, dell’altalenante giurisprudenza della Cassazione: secondo alcune sue sentenze i reati «elettorali» si estinguono entro i 2 anni dall’ultimo verbale delle elezioni (in questo caso primavera 2010). Secondo altre, entro i due anni gli elettori che si ritenessero danneggiati hanno diritto di costituirsi parte civile, in quel caso la prescrizione rimarrebbe «lunga», 6 anni. Di fronte all’incertezza giurisprudenziale la procura avrebbe interesse ad accettare proposte di riti alternativi. C’è una questione che pesa: Giovine è un aspirante recidivo, già salvato dopo le precedenti elezioni da una leggina poi cassata per incostituzionalità. Ammesso che il giudice Alessandro Santangelo ne ammetta solo una parte, con un certo numero di testimoni si andrebbe avanti a lungo.
Il leader dei Pensionati orientato a farsi processare
OGGI GIOVINE IN TRIBUNALE: LONTANO IL PATTEGGIAMENTO
Punta a smontare la prova sui suoi spostamenti creata con i tabulati del telefonino
VERA SCHIAVAZZI
Nessun patteggiamento. Il processo contro Carlo e Michele e Giovine, padre e figlio, si farà – a partire da oggi – col rito ordinario. Il consigliere regionale è accusato di aver falsificato almeno una parte delle firme autenticate dei candidati della lista che lo ha eletto, «Pensionati per Cota», facendosi aiutare dal padre. Rischia una pena elevata (fino a cinque anni), ma, secondo le indiscrezioni della vigilia, preferisce giocare fino in fondo le sue carte e soprattutto poter contare su tempi più lunghi, inclusi quelli del secondo e del terzo grado del giudizio. «E´ una scelta del tutto personale, che naturalmente non mi sento di sindacare», è l´asciutto commento di Cesare Zaccone, il più celebre e esperto tra i legali di Giovine.
Come a dire che sul piano strettamente processuale, a fronte di un rinvio a giudizio immediato chiesto e ottenuto già nel giugno scorso dalla Procura (la legge lo prevede quando le prove appaiono chiare) una richiesta di patteggiamento avrebbe potuto essere tecnicamente più prudente, ma che l´avvocato non vuole e non può entrare in motivazioni di altra natura. Per esempio quella di mantenere il più a lungo possibile la carica di consigliere, insieme ai benefici che derivano dall´essere alla guida di un gruppo consiliare (personale, indennità, uffici) o di conservare altrettanto a lungo un possibile strumento nei confronti di una maggioranza, quella Pdl-Lega guidata da Roberto Cota, che giudica ormai molto imbarazzante la presenza del consigliere-pensionato, ma non per questo ne disdegna il voto in aula.
Ora tutto, o quasi, si gioca sulle testimonianze dei candidati. Soltanto alcuni, tra i quali l´ex fidanzata di Michele Giovine che ora vive a Milano, hanno ammesso già durante le indagini di essere all´oscuro perfino della propria presenza in lista. La maggior parte è stata vaga sia sulle circostanze sia sul luogo dove la firma sarebbe stata apposta: «Sono andata a Miasino? Sì, mi pare… Il lago? Non ricordo. Il viaggio? Non troppo lungo…». Ora, in aula, le stesse persone dovranno scegliere se continuare a condividere la linea difensiva dei Giovine, secondo i quali le firme sono state regolarmente autenticate nei Comuni di Gurro e Miasino dove i due sono consiglieri comunali, o se incorrere, eventualmente, nel rischio di un´accusa per falsa testimonianza. I due imputati hanno indicato alcuni testi che dovrebbero far cadere la "prova" dei tabulati telefonici: secondo Michele e Carlo Giovine, infatti, la gita per la raccolta e l´autentificazione delle firme a Gurro e Miasino avvenne in circostanze nelle quali entrambi avevano dimenticato a Torino il proprio cellulare, ed è questa la ragione per la quale le registrazioni delle compagnie telefoniche dicono che quei telefonini non lasciarono mai la città.
CASO GIOVINE/MARCO PANNELLA SI COSTITUISCE PARTE CIVILE. RADICALI DISTRIBUISCONO ALLA STAMPA FOTOCOPIE QUOTIDIANO DEL 10 LUGLIO CON LE FIRME PRESENTI SUI MODULI E QUELLE AUTENTICHE.
PD, ITALIA DEI VALORI, GRILLINI, DOVE SIETE?
Nel corso della conferenza stampa tenutasi questa mattina nella sede dell'Associazione Radicale Adelaide Aglietta sono state distribuite alla stampa fotocopie del quotidiano “La Stampa” del 10 luglio 2010, riportanti le firme presenti sui moduli confrontate con quelle autentiche di alcuni candidati della Lista “Pensionati per Cota” di Michele Giovine. Accanto, dichiarazioni degli stessi candidati, alcune contradditorie, altre categoriche: “Non ho mai firmato per Giovine”.
Erano presenti gli esponenti radicali Giulio Manfredi, Igor Boni, Silvio Viale, Antonio Polito e Alberto Ventrini. Quest'ultimo, avvocato, presenterà domani mattina in tribunale, all'inizio della prima udienza del processo contro Michele Giovine e il padre Carlo, la richiesta di costituzione di parte civile di Marco Pannella, in quanto rappresentante della Lista Bonino-Pannella, che ha partecipato alle scorse elezioni regionali ed è stato lesa, come peraltro tutte le altre liste, dai comportamenti fraudolenti di Michele Giovine.
I radicali hanno denunciato l'ipocrisia del Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, e del Presidente del Consiglio Regionale, Valerio Cattaneo, che solo una settimana fa hanno presentato la “Carta Etica della Regione Piemonte”. Cota sapeva benissimo chi era Michele Giovine, poiché Giovine, nel 2005, aveva promosso la Lista “Consumatori con Ghigo”, sempre nel centro-destra, raccogliendo fra l'80 e il 90% di firme false; grazie al fatto che allora il reato era depenalizzato e grazie ai tempi biblici della giustizia italiana, Giovine non pagò neppure un'ammenda. Ora ci riprova …
Il Presidente Cattaneo ha gentilmente fatto pervenire all'Associazione Aglietta una memoria dell'avvocato Giovanna Scollo (Direzione Affari Istituzionali ed Avvocatura) secondo la quale la posizione dell'avvocato Luca Procacci, legale di Cota e contemporaneamente membro del Corecom, è assolutamente legittima. L'avvocato radicale Polito ha fatto notare che la sua collega ha fatto riferimento a una sentenza del TAR Piemonte dove si parla di “apprezzabile” indipendenza dei membri del Corecom; peccato che la legge regionale istitutiva del Corecom parli di “assoluta” indipendenza. Si vede che in regione, per far posto alla “Carta Etica”, hanno eliminato i vocabolari!
Infine, i radicali hanno denunciato il comportamento delle forze politiche di opposizione; nessuna, tranne la Lista Bresso e i Verdi, si è costituita parte civile; partiti come l'Italia dei Valori o i grillini, che non perdono occasione per gridare alla legalità violata, quando è ora di passare dalle parole ai fatti preferiscono rimanere nel calduccio dei gruppi consiliari?
Torino, 14 dicembre 2010
N. B. Il dossier radicale sul “caso Giovine” lo trovi qui:
"La Repubblica", DOMENICA, 27 FEBBRAIO 2011
Pd: firme false per Formigoni. Vogliamo gli atti.
Articolo di pubblicato su Corriere della Sera – ed. Milano, il 28/02/11
«Firme false, il Pd scimmiotta i radicali»
Articolo di pubblicato su il Giornale – ed. Milano, il 28/02/11
Proprio i radicali, con il capolista alle comunali Marco Cappato, domani saranno in presidio davanti al Consiglio regionale per chiedere le dimissioni di Formigoni. E Penati a caccia di visibilità prova a seguire la scia. «Siamo ben al di là della verifica degli aspetti normativi e del conteggio formale delle firme - afferma - c'è in gioco la credibilità di un' istituzione quindi chiedo che in proposito si faccia al più presto chiarezza per il rispetto degli elettori e il decoro della Regione Lombardia». Il Pd chiederà l'accesso agli atti e proporrà agli altri partiti dell'opposizione «di dare mandato ad un gruppo di legali per accedere immediatamente agli atti processuali». Superando la polemica, Formigoni si è invece già detto favorevole all'abolizione del listino bloccato per una competizione che si basi per tutti i candidati soltanto sui voti di preferenza.
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http://www.radicali.it/comunicati/20110224/radicali-italiani-1-marzo-al-presidio-su-firmigoni
Radicali Italiani il 1° marzo al presidio su Firmigoni
Pubblicato il 24/02/2011
STADERINI INVITA A PARTECIPARE I SEGRETARI DI PARTITI, DA VENDOLA A DI PIETRO, BERSANI E FINI
LISTA BONINO-PANNELLA: DOPO UN ANNO, VOGLIAMO GIUSTIZIA SU FIRMIGONI
Martedì 1 Marzo presidio nonviolento fuori dal Consiglio regionale della
Lombardia
Comunicato stampa della Lista Bonino Pannella
Milano, 23 Febbraio 2011
A un anno dalla Truffa Firmigoni, tuttora impunita, il presidio "per la
verità e giustizia su Firmigoni e per le dimissioni del Presidente
abusivo" si terrà settimana prossima, martedì 1 marzo dalle ore 12 davanti
alla sede del Consiglio regionale della Lombardia, in concomitanza con la
riunione del Consiglio stesso.
"A un anno dal deposito di documentazione palesemente falsa ad opera di
Lega e Pdl a sostegno di un Presidente incandidabile - ha dichiarato Marco
Cappato (che fu in quelle stesse ore escluso dalla competizione elettorale
come candidato Presidente per la Lista Bonino Pannella per...insufficiente
numero di firme presentate!)- continuiamo a chiedere giustizia, sia in
sede civile che penale, da parte dei tribunali e di quella Procura di
Milano che inizialmente chiese l'archiviazione della nostra denuncia senza
alcuna indagine; continuiamo a chiedere che il responsabile politico di
questa enorme truffa elettorale non solo si scusi con gli elettori della
Lombardia e i cittadini italiani per le menzogne da lui raccontate, ma
anche si dimetta dall'incarico che ricopre abusivamente. Saremo perciò
davanti al Consiglio regionale martedì 1 marzo dalle 12 per manifestare
insieme alle persone che non si siano rassegnate a un potere illegale e
truffaldino, e che ritengano indispensabile per la vita di ogni giorno il
rispetto dei diritti civili e politici di tutti i cittadini. Mi auguro che
le "opposizioni ufficiali" vogliano finalmente interrompere il loro
silenzio e mobilitarsi affinché questa vicenda non finisca insabbiata o
prescritta, come già purtroppo accadde per la corruzione internazionale
dello scandalo "Oil for food" e i rapporti di Firmigoni con il regime di
Saddam Hussein. Quanto sta accadendo in Libia e nel Maghreb dovrebbe
insegnare qualcosa sulle conseguenze devastanti che si provocano quando si
calpesta la legalità istituzionale e i diritti democratici
internazionalmente riconosciuti."
Da Lo Spiffero.com
Anche Marylin ha firmato per Giovine
Happening dadaista all’udienza per le presunte irregolarità nella presentazione della lista Pensionati per Cota. Davanti al tribunale, complice il periodo carnevalesco, grande raduno di personaggi dei fumetti, dall’Ape Maia a Bresso sotto le mentite spoglie di Betty Boop
Si tratta di un happening goliardico, una performance in stile situazionista, un’azione di protesta estemporanea promossa da Civica, la lista di Mariano Turigliatto e Marco Riva, dai Pensionati e Invalidi di Luigina Staunovo, dai Verdi di Angelo Bonelli, con il sostegno della Fondazione donciottiana “Benvenuti in Italia” guidata da Davide Mattiello.
La lista “Pensionati per Cota”, che appoggiava il candidato del centrodestra Roberto Cota, ha raccolto circa 27.000 voti alle scorse elezioni regionali in Piemonte; lo scarto di voti fra Cota e Bresso è stato di circa 9.000 voti. Secondo la Procura torinese le firme di 18 dei 19 candidati sarebbero false e il più delle volte apposte all’insaputa dei candidati stessi.
«In attesa degli esiti giudiziari – dicono gli organizzatori dell’iniziativa - non possiamo non esprimere un grave giudizio politico su questa vicenda, figlia della cultura del “vincere ad ogni costo” e del “noi furbi ce l’abbiamo sempre vinta”. Calpestando il rispetto delle basilari regole democratiche, questo comportamento lede la volontà popolare e mina le fondamenta stesse della rappresentanza democratica della nostra Regione».
Tutti sono invitati a partecipare all’evento: portando con la propria maschera preferita il 16 febbraio davanti al tribunale, oppure, più semplicemente, facendo firmare il proprio avatar l’appello pubblicato su Facebook.
Da Tartaglia a Don Verzé: gli incroci pericolosi della Gip
Articolo di pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 10/02/11
Firme fasulle per Formigoni: oggi interrogato Podestà
Articolo di Walter Galbiati pubblicato su La Repubblica - ed. Milano, il 04/02/11
"La Stampa", 31/01/11, cronaca di Torino
RICORSI ELETTORALI
L’Ordine apre un’indagine sui legali di Giovine
[R. ZAN.]
L’ultimo colpo di scena nella vicenda dei ricorsi elettorali di Mercedes Bresso & C. non è passato inosservato. L’Ordine degli avvocati di Torino pare abbia deciso di aprire un procedimento disciplinare nei confronti dei legali di Michele Giovine, il consigliere regionale leader della lista «Pensionati con Cota» contro cui la Bresso e altri esponenti del centrosinistra hanno presentato ricorso chiedendo l’annullamento delle elezioni regionali.
Nell’ultima udienza davanti al Consiglio di Stato si è infatti scoperto che nessuno dei tre legali di Giovine (Walter Fabrizio Casagrande, Monica Maria Negro e Giorgio Strambi) aveva titolo per stare in quella sede. Nessuno è infatti cassazionista. Una questione sollevata dai legali di Bresso (Sabrina Molinar Min, Nicolò Paoletti. Gianluigi Pellegrino ed Enrico Piovano), ma già rilevata d’ufficio dallo stesso Consiglio di Stato. Il risultato è stato, oltre all’ovvio imbarazzo, anche l’improcedibilità dell’appello presentato da Giovine. Un appello che aveva già creato un certo sconcerto, visto che, neanche troppo sottilmente, accusava i colleghi della controparte di aver commesso reati nella loro attività e addirittura sollevava ironiche e irrituali critiche nei confronti della procura di Torino, «rea» di aver indagato con «troppa celerità» nei confronti del loro assistito. Accuse che già hanno ricevuto risposta indignata da parte del capo della procura, Giancarlo Caselli.
Il profilo disciplinare era in pratica l’unico mancante alla tortuosa vicenda. Nonostante sia prevista una procedura celere per le cause elettorali e nonostante l’Italia abbia firmato il Trattato di Lisbona con cui ha fatto proprio l’articolo 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo sulla ragionevole durata dei processi, la questione è tutt’ora aperta. A nove mesi dalle elezioni sono pendenti tre giudizi: penale, amministrativo e civile. La Bresso ha depositato un esposto alla Corte dei conti. E il Consiglio di Stato sembra voler coinvolgere ora anche la Corte Costituzionale per profili di legittimità.
Lettera - Il caso Formigoni
Articolo di Furio Colombo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 26/01/11
"La Stampa", 26/01/11, cronaca di Torino
CONSIGLIO DI STATO/IL LEGALE NON AVEVA I TITOLI PER FARE APPELLO
Un’altra firma inguaia Giovine E’ quella del suo avvocato
La prima sentenza del Tar potrebbe finire alla Corte Costituzionale
RAPHAËL ZANOTTI
Il pasticcio Consigliere regionale e appassionato di scacchi. Per lui nuovi guai all’orizzonte: dei tre avvocati nessuno era cassazionista e poteva presentare l’appelloUn’altra firma ha inguaiato Michele Giovine. Questa volta è addirittura quella del suo avvocato. Il consigliere regionale leader della lista «Pensionati con Cota», accusato dalla procura di Torino di aver falsificato insieme al padre Carlo le firme dei candidati del suo partito, ieri era a Roma. Il Consiglio di Stato sta infatti valutando il ricorso presentato dagli avvocati di Mercedes Bresso e altre liste del centrosinistra che chiedono l’annullamento della lista di Giovine. Una richiesta che, se accolta, metterebbe serio pericolo l’attuale giunta regionale presieduta da Roberto Cota. La differenza di preferenze tra il leader leghista e la Bresso alle ultime elezioni è stata infatti di soli 9000 voti, quando la lista di Giovine (che appoggiava il centrodestra) ne ha raccolti 27.000. Praticamente il triplo.
Giovine, attraverso i suoi legali, aveva presentato al Consiglio di Stato un proprio appello incidentale (un atto che aveva provocato rumore viste le pesanti accuse lanciate nei confronti dei legali del centrosinistra e della stessa procura). Ma quell’appello, ieri, è caduto. Giovine aveva infatti fatto firmare l’atto ai suoi legali Giorgio Strambi, Monica Maria Negro e Fabrizio Walter Casagrande. Peccato che nessuno dei tre sia un cassazionista. Come dire: non avevano titolo per stare davanti al Consiglio di Stato. Sull’atto mancava la firma di un altro avvocato, Stefano Vinti, l’unico a poter produrre atti in quella sede. Una situazione imbarazzate, oltre che paradossale, subito rilevata tanto dal Consiglio di Stato quanto dai legali del centrosinistra. Il consigliere regionale è stato costretto a girare per Roma alla ricerca dell’avvocato Vinti per farsi firmare, perlomeno, una costituzione di parte per evitare di essere buttato fuori dal procedimento.
L’udienza di ieri, però, ha avuto un altro colpo di scena. Il Consiglio ha infatti espresso dubbi sulla costituzionalità della legge che aveva imposto al Tar di chiedere una querela di falso prima di poter decidere se la lista Giovine poteva essere eliminata. È probabile che il Consiglio invii le carte alla Corte Costituzionale. Se la Consulta dovesse rilevare l’incostituzionalità della norma, la querela di falso cadrebbe (oggi è prevista la prima udienza) e il Tar potrebbe decidere subito. Una situazione che accorcerebbe i tempi.
«Per noi bisogna comunque attendere i tre gradi di giudizio» ha dichiarato ieri l’avvocato Luca Procacci del pool di legali del centrodestra. «Staremo a vedere - gli risponde Enrico Piovano, legale del pool di centrosinistra - Intanto i dubbi da noi espressi sono espressi anche dal Consiglio di Stato».
Int. a E. Bonino - "Lo scandalo è la truffa elettorale su cui non è stata fatta giustizia"
Articolo di Andrea Montanari pubblicato su La Repubblica - ed. Milano, il 24/01/11
Voi parlate di complicità anche da parte «dell’opposizione ufficiale ed editoriale». A che cosavi riferite?
«Il giorno dopo che Cappato e Lipparini pubblicarono le prove dei falsi sulle liste, Formigoni fu ospite da Santoro con Bersani. Non una domanda sulle firme, non una battuta. Da allora il silenzio è stato rigorosamente rispettato in decine e decine di interviste stampa e tivù concesse dal governatore. E non ho sentito ancora un solo leader politico sollevare la questione, non solo del Pd, ma nemmeno Di Pietro o Vendola, o persino Grillo».
«A me importa il caso Formigoni, altro che caso Minetti».
«Il potere berlusconiano vacilla, e questo è un bene. Per noi Radicali è il momento di battersi per un’alternativa riformatrice, laica, liberale. Formigoni è invece, con Tremonti, candidato prescelto della continuità del regime. Rappresenta il nuovo potere probabile, ancor più illiberale e clericale, al centro di un sistema ramificato ormai anche al Sud, da Comunione e liberazione alla Compagnia delle opere, con rapporti d’affari e spartizioni con le cooperative rosse e il potere leghista, dalla sanità all’Expo agli appalti. Finché il centrosinistra non mostrerà di voler essere alternativo, perderà. E la prossima occasione per provare a cambiare saranno le elezioni comunali di Milano».
"La Stampa", 20/01/11, cronaca di Torino
FIRME FALSE VERDI, RADICALI E ASSOCIAZIONE INSIEME PER BRESSO ACCOLTE COME PARTI CIVILI
“Centinaia di testimoni solo per allungare i tempi”
Riparte il processo Giovine, l’accusa: manovre dilatorie e inutili
ALBERTO GAINO
A rischio il risultato delle elezioni regionali La lista Pensionati ha raccolto oltre 27.000 voti, tre volte la differenza tra Cota e Bresso Per la procura Michele Giovine e il padre Carlo hanno però falsificato le firme dei candidatiLo sbarramento della difesa Giovine si è infranto contro l’ordinanza del giudice Alessandro Santangelo: il processo si deve fare a Torino, e non a Verbania, perché qui è stata presentata all’ufficio elettorale la lista «Pensionati per Cota» con le candidature taroccate (firme false o certificazioni irregolari dei «pubblici ufficiali» Michele e Carlo Giovine); il capo di imputazione è chiaro e non indeterminato; i Radicali e i Verdi hanno pieno titolo di costituirsi parte civile, così come il signor Francesco Romanin, legale rappresentante dell’Associazione Insieme per Bresso.
L’altro argine che hanno tentato di costruire gli avvocati dei Giovine, padre e figlio, è sulle testimonianze richieste: quattrocento o giù di lì, considerando che una parte dell’esercito di uomini politici, di primo piano e non della politica piemontese, dovrebbe essere sentita più volte, citata su diverse fonti di prova. Il pm Patrizia Caputo ha risolto il problema alla radice: tranne i consulenti tecnici degli imputati, tutti i testimoni della difesa verrebbero sentiti su circostanze «irrilevanti», o prive di fondamento per questo giudizio.
«La difesa di Michele Giovine vuole che il giudice convochi 117 testimoni - entra nel dettaglio il pm - per riferire sull’uso del cellulare da parte del consigliere regionale, se lo porta sempre con sé e vi risponde personalmente. Avrebbe avuto significato se le testimonianze chieste fossero state riferite ai due giorni in contestazione. La medesima osservazione vale per il telefonino di Carlo Giovine. Ma così è tutto quanto irrilevante». L’avvocato Gian Paolo Zancan, parte civile per Romanin, può permettersi di essere più diretto: «Rilevo la strumentalità dilatoria di queste liste testimoniali».
Michele Giovine, consigliere comunale di Gurro (Verbania), avrebbe autenticato le firme dei propri candidati in quella sede: la tracciatura del suo cellulare dimostra che nella stessa data non si è spostato dal centro di Torino.
La questione di fondo: con i suoi 27 mila voti la lista di Giovine è stata decisiva ai fini del successo del centro-destra alle ultime elezioni regionali e il processo si gioca su un reato elettorale, depenalizzato (in quel contesto Michele Giovine se la cavò una prima volta) e rivalutato dalla Corte Costituzionale. Perché - osserva il giudice nell’ordinanza di ieri - «il bene tutelato dalla norma in contestazione è di rango particolarmente elevato: attiene al principio democratico della rappresentatività popolare, per cui si devono assicurare il regolare svolgimento delle operazioni elettorali ed il libero ed efficace esercizio del diritto di voto».
In buona sostanza, secondo il pm, i Giovine avrebbero barato presentando una lista che non avrebbe avuto i requisiti per essere votata. I difensori degli imputati hanno ribattuto indirettamente citando altre centinaia di testi, fra cui i candidati di intere liste. ««Per cercare di dimostrare che così fan tutti - sottolinea il pm in aula - ma nemmeno questo aspetto è oggetto del processo odierno. Può invece essere utile, come fonte di prova, l’acquisizione della sentenza del maggio 2006 a carico di Michele Giovine su un fatto del tutto analogo, consumatosi per l’elezione del consiglio comunale di Porte di Pinerolo».
Il 16 febbraio i difensori replicheranno, ma in quella sede verranno sentiti i testi d’accusa (i candidati della lista). Il giudice ha fretta. Né si può pensare che un processo per violazioni elettorali possa durare anni.
"La Stampa", 20/01/11, cronaca di Torino
AD ALESSANDRIA SPUNTA UN ALTRO PROCESSO
“Mi hanno candidato alle Comunali e neppure lo sapevo”
Ad autenticare la firma l’assessore del Pdl Gian Piero Olivieri
RAPHAËL ZANOTTI
Tommaso Micelotta Il 70enne torinese ha scoperto dopo due anni che lo avevano candidato a sua insaputa alle Comunali di Alessandria Un nuovo caso di firme falseNon sembra avere confini l’affaire firme false per la lista Pensionati. Mentre a Torino va in scena in processo al consigliere regionale Michele Giovine, oggi al tribunale di Alessandria si celebrerà un altro processo. L’imputato è Noccetti Gianluca detto Nocetti, presentatore della lista. Le elezioni sono quelle comunali del 2007 ma per il resto la vicenda è molto simile: firme false per candidati completamente all’oscuro di esserlo.
Il candidato ignaro è Tommaso Micelotta, 70enne di Torino che un giorno del 2009, navigando in internet, scopre il suo nome tra i candidati della lista Pensionati per il Comune di Alessandria. «Mi sono stupito - racconta Micelotta - Io ad Alessandria ci sono passato una volta, forse trent’anni fa. E non ho mai firmato nessuna candidatura per quel Comune».
Micelotta è incerto: possibile che sia lui quel Michelotta Tommaso candidato n. 24 della lista? Per esserne sicuro scrive al Comune e chiede di conoscere i dati anagrafici del candidato. Il Comune gli risponde: sì, è proprio lui.
«A questo punto ho scritto al presidente della commissione elettorale segnalando quell’anomalia».
E’ il febbraio del 2009. Il presidente della commissione elettorale, il giorno dopo, spedisce l’incartamento al procuratore capo di Alessandria che apre un’inchiesta. Si scopre, per esempio, che i dati di Micelotta sono giusti (nome, cognome, data e luogo di nascita), ma il numero della carta d’identità con la quale sarebbe avvenuto il riconoscimento non è quello giusto. Viene indagato Noccetti, colui che ha presentato la lista. Il legale che lo difende, l’avvocato Williams Pipitone, tuttavia non è convinto: «Il mio assistito - dichiara - si è limitato a depositare la lista con i nomi dei candidati. Lista composta da altri e le cui firme sono state autenticate da altri».
Per quanto riguarda Micelotta, la firma risulterebbe autenticata da Gian Piero Olivieri, assessore del Comune di Alessandria con delega a Provveditorato, Manifestazioni, Marketing Territoriale e Affari Generali. «Chiederemo che venga sentito come testimone - annuncia l’avvocato Pipitone - Dovrà venire in aula a spiegare come ha fatto a dire che la firma del signor Micelotta era la sua». Anche perché Micelotta, l’assessore Olivieri, dice di non averlo mai nemmeno incontrato. «Intuisco come è andata - dice ancora il pensionato torinese - Dev’essere stato Onorato Passerelli, segretario dell’Unione Pensionati, partito a cui ero iscritto e poi confluito nella lista Pensionati. Ma io, all’epoca, ero già fuori e non mi sono mai candidato ad Alessandria». La difesa ha intenzione di far sentire anche Passerelli. Oltre, ovviamente, a Michele Giovine. «Sono loro che hanno fatto questo pasticcio. E io non sono il solo - racconta Micelotta - ce ne sono altri come me».
"La Repubblica", GIOVEDÌ, 20 GENNAIO 2011
In aula la partita è proseguita sulla lista testi prodotta dalla difesa: oltre 300 persone chiamate a vario titolo a testimoniare, tra cui quasi tutti i nomi politici locali. Alla maggior parte di loro gli avvocati della difesa intendono fare domande sull´uso del telefono da parte dell´imputato (chiamato alla sbarra insieme al padre Carlo), per smentire uno dei cardini dell´accusa: per il pm Patrizia Caputo infatti le celle telefoniche dimostrerebbero che gli imputati non si sono mai smossi da Torino, e non sarebbero dunque potuti andare a Gurro nei giorni delle firme. La difesa punta invece sulla distrazione di Giovine e sulla sua «abitudine» a dimenticare il cellulare a casa o a imprestarlo ad altre persone. La procura si è opposta considerando i testi per lo più «irrilevanti», ad eccezione dei consulenti. «Con questa udienza - ha commentato ancora Mercedes Bresso - sono state rimosse le iniziative della difesa che miravano solo a dilatare i termini attraverso pretesti».
A proposito di «abitudini» dell´imputato, invece, l´avvocato di Bresso, Paolo Davico Bonino ha prodotto in aula la sentenza emessa dal tribunale di Pinerolo il 31 maggio 2006 in cui Giovine chiuse con un´oblazione di 4000 euro un altro procedimento nei suoi confronti, per aver falsificato le firme di tre candidati alle elezioni del Consiglio comunale di Porte.
«Accettiamo le decisioni del giudice, ora valuteremo eventuali considerazioni anche dopo aver letto le sentenze citate», ha sottolineato l´avvocato di Michele Giovine, Fabrizio Casagrande.
I Radicali: firme false per la Minetti nel listino
Articolo di pubblicato su Corriere della Sera, il 20/01/11
Radicali: "False le firme per Nicole Minetti candidata"
Articolo di pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 20/01/11
Cappato ha chiarito, infatti, che "secondo notizie di stampa" l’igienista dentale è entrata nella lista il 25 febbraio. "Hanno riaperto la lista - ha proseguito - all’ultimo momento utile per farla entrare, visto che il 27 scadevano i termini di presentazione". L’ingresso in lista, ha spiegato ancora, "è stato concordato in due vertici ad Arcore del 23 e 24 febbraio alla presenza anche di Bossi e Formigoni". Dal 13 al 23 febbraio, però, "erano già state raccolte circa 2 mila firme a sostegno della lista sulle quasi 4 mila totali". Dunque, secondo i Radicali, la procura deve indagare sulle responsabilità penali per l’irregolare raccolta delle firme, avvenuta nei giorni compresi tra i vertici di Arcore e la scadenza per la presentazione della lista. "Noi vogliamo - ha concluso Cappato - che si indaghi non solo sugli autenticatori delle firme, ma anche sulla catena di comando che ha gestito la vicenda".
Elezioni, Minetti sotto assedio: un altro esposto
Articolo di Mario Consani pubblicato su Giorno/Resto/Nazione, il 20/01/11
Radicali: firme false per candidare Nicole Minetti
Articolo di pubblicato su Liberazione, il 20/01/11
Boni (Lega): se fossi la Minetti mi dimetterei
Articolo di Annachiara Sacchi pubblicato su Corriere della Sera - ed. Milano, il 20/01/11
Radicali: firme false per la Minetti
Articolo di pubblicato su Secolo d'Italia, il 20/01/11
FIRME FALSE DI MICHELE GIOVINE/TRIBUNALE TORINO ACCOGLIE LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DI MARCO PANNELLA (E ALTRI).
MANFREDI E VENTRINI: UN PRIMO PASSO SULLA STRADA DELLA LEGALITA'.
LE FIRME DEI CANDIDATI DI GIOVINE NO-STOP SU www.associazioneaglietta.it
Questa mattina il Tribunale di Torino ha accolto la costituzione di parte civile avanzata da Marco Pannella (in rappresentanza della lista Bonino-Pannella) nel processo che vede imputati il consigliere regionale Michele Giovine e suo padre del reato di falsificazione delle firme di alcuni candidati della Lista “Pensionati per Cota”. E' stata accolta anche la costituzione di parte civile di Angelo Bonelli per la Federazione dei Verdi e di altri esponenti della coalizione di Mercedes Bresso. Sono state respinte le eccezioni di nullità del decreto di citazione a giudizio e di incompetenza territoriale formulate dai difensori degli imputati, per cui il processo proseguirà davanti al Giudice dott. Santangelo del Tribunale di Torino; la prossima udienza è fissata per il 16 febbraio.
La Lista “Pensionati per Cota”, che appoggiava il candidato del centro-destra Roberto Cota, ha raccolto circa 27.000 voti alle scorse elezioni regionali in Piemonte; lo scarto di voti fra Roberto Cota e Mercedes Bresso è stato di circa 9.000 voti. Il 26 gennaio il Consiglio di Stato si riunirà per vagliare il “caso Giovine”.
Giulio Manfredi (vice-presidente Comitato nazionale Radicali Italiani) e Alberto Ventrini (avvocato radicale che segue la causa per conto di Marco Pannella, giunta segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta) hanno dichiarato:
“Si tratta di un primo passo sulla lunga e impervia strada della legalità. I radicali in questi anni hanno denunciato da soli il caso di Michele Giovine, che, ricordiamolo, è recidivo, essendo già stato processato in passato per aver raccolto migliaia di firme irregolari a sostegno della sua lista per le elezioni regionali del 2005.
Roberto Cota sapeva con chi si alleava e, quindi, ora deve pagare tutte le conseguenze della sua scelta.
Ricordiamo che “La Stampa” del 10 luglio 2010 ha pubblicato un raffronto fra le firme di alcuni candidati della lista di Giovine, quelle che appaiono sul modulo delle candidature e quelle che appaiono sul verbale di polizia, al termine degli interrogatori degli stessi candidati. Centinaia di migliaia di cittadini piemontesi hanno potuto verificare la netta discordanza fra le due firme; speriamo che altre centinaia di migliaia di cittadini possano verificare con i loro occhi, andando sul sito www.associazioneaglietta.it, dove rimarrà no stop la suddetta pagina de “La Stampa” con le firme contestate.”
Torino, 19 gennaio 2011
www.associazioneaglietta.it
Cappato: non è Minetti a doversi dimettere, ma Formigoni. la falsificazione delle elezioni è crimine peggio del bunga bunga
Pubblicato il 19/01/2011
Da 11 mesi denunciamo il fatto che le liste di Formigoni siano state modificate a tre giorni dalla consegna. Inizialmente lo stesso Sostituto Procuratore, oggi Procuratore capo, Bruti Liberati chiese l'archiviazione. Il Tribunale amministrativo regionale, con il giudice Leo, ha dichiarato i nostri ricorsi addirittura inammissibili. I vertici nazionali e lombardi delle cosiddette "opposizioni" non hanno mai speso una parola chiara di denuncia dell'accaduto, nonostante le prove siano pubblicate da mesi.
Oggi, improvvisamente, assistiamo a un massiccio impiego di mezzi investigativi (che speriamo possano essere in parte "distratti" sulla questione della legalità delle elezioni) e a parola durissime delle "opposizioni" PD e altri per chiedere le dimissioni di... Nicole Minetti? Come abbiamo documentato in tribunale, l'ingresso di Nicole Minetti nelle liste di Formigoni e la conseguente falsità sia delle 2.000 firme già raccolte (su quali liste, se Minetti non era ancora candidata?) che di buona parte di quelle successive, falsificate dopo in tutta fretta sulle nuove liste, non è un'operazione che può essere scaricata alla responsabilità politica o giudiziaria di Minetti o di qualche poveraccio di autenticatore.
Roberto Formigoni, obbedendo a Berlusconi e d'accordo con Bossi, è il titolare politico di Liste falsificate, che rappresentano una vergogna e un crimine contro i diritti civili e politici dei cittadini ben peggiore di qualsiasi bunga bunga. Non è Nicole Minetti, ma Roberto Formigoni a doversi dimettere dal suo mandato, già abusivamente protratto oltre i limiti imposti dalla legge.
Il diktat del premier nella notte: “Fate spazio a Nicole e Giorgio”
Articolo di Andrea Montanari pubblicato su La Repubblica - ed. Milano, il 19/01/11
Cappato: domani depositiamo in Procura memoria su Minetti, Formigoni, Bossi e Berlusconi. Ore 11, incontro con i giornalisti, Palazzo di giustizia di Milano, ingresso via Freguglia
Pubblicato il 18/01/2011
Dichiarazione di Marco Cappato, Lista Bonino-Pannella
Domani, mercoledì 19 gennaio, insieme a Lorenzo Lipparini ci recheremo presso la Segreteria del Procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo, al quale il Procuratore Edmondo Bruti Liberati ha affidato l'inchiesta relativa alla falsificazione delle firme per le elezioni regionali del marzo 2010 in Lombardia, dopo che lo stesso Bruti Liberati aveva inizialmente proposto un'archiviazione senza indagini sul primo esposto radicale.
Depositeremo presso l'Ufficio di Robledo una "Memoria di persone offese" -sottoscritta dal nostro avvocato Giuseppe Rossodivita, Consigliere regionale della Lista Bonino-Pannella nel Lazio, oltre che da Lipparini e me- volta a chiarire ed integrare gli elementi indiziari e probatori relativi alla falsificazione massiccia delle elezioni regionali in Lombardia. In particolare nella Memoria approfondiremo la tempistica degli appuntamenti e incontri di preparazione delle liste elettorali tenuti alla presenza tra gli altri di Berlusconi, Bossi e Formigoni, anche alla luce degli elementi d'indagine emersi in questi giorni su eventuali illeciti commessi da parte del Presidente del Consiglio Berlusconi, della Consigliera regionale Minetti e di altri.
Alle ore 11 illustreremo il contenuto della Memoria ai giornalisti interessati, presso l'ingresso del Tribunale dei Milano in via Freguglia 25.
Firmigoni: Cappato "Le motivazioni del TAR Lombardia andranno studiate all'università per spiegare la peste che colpisce le nostre istituzioni"
Pubblicato il 21/12/2010
Secondo il TAR della Lombardia, nel ricorso presentato dopo le elezioni regionali riguardanti le irregolarità formali (assenza di timbri, ecc.), non avevamo allegato "alcun principio di prova" o "elemento indiziario riferito a precisi fatti concreti". E' irrilevante, per il TAR, il fatto che noi, non disponendo di copie dei moduli, potevamo solo riferirci a ciò che avevamo visto con i nostri occhi e che anche l'Ufficio elettorale stesso confermò quando furono costretti a rifare i controlli. Addirittura il TAR arriva a definire "privo di rilevanza" anche il conteggio che rifece l'Ufficio elettorale, e che rappresenta la certificazione da parte di un giudice della fondatezza del nostro ricorso. Il risultato è che quelle irregolarità sono certe e evidenti, ma che ci si è impedito di contestarle sia prima delle elezioni che dopo le elezioni.
Per quanto riguarda le firme false, secondo il TAR Lombardia il fatto di aver avuto finalmente l'accesso ai moduli non costituirebbe un fatto nuovo, meritevole di accogliere "motivi aggiunti" rispetto al ricorso iniziale, dal momento che già a febbraio avevamo potuto procedere, per nostra stessa "ammissione", "a un esame dettagliato dei moduli". Il TAR sceglie così di ignorare la differenza tra il fatto di poter esaminare migliaia di moduli (di tutte le liste) per sole tre ore da parte di quattro militanti radicali e invece il fatto di ottenere una copia da far esaminare per giorni da parte di un perito. Secondo il TAR infatti, dal primo esame che avevano potuto fare nella sede del tribunale, Cappato e Lipparini "avevano anche tratto alcune circostanziate illazioni che non pare possano considerarsi come semplicemente desumibili ictu oculi".
Insomma il TAR non può "considerare" che sia accaduto ciò che è esattamente accaduto, cioè che Lipparini e io abbiamo visto subito ("icto oculi") che quei moduli erano una porcheria, ma naturalmente non potevamo sapere (perché nell'ufficio elettorale non disponevamo di altro che dell'"icto oculi", e non si capisce di cos'altro avremmo potuto disporre) che vi fossero addirittura oltre 500 firme false prima di aver avuto la consegna di una copia dei moduli, alla quale è seguita immediatamente la nostra contestazione al TAR. Il risultato è che il TAR si è rifiutato di aprire quei moduli, sapendo che lì dentro avrebbe trovato della monnezza lombarda made in Firmigoni più tossica di quella campana.
Le Motivazioni rese sotto la firma del Presidente estensore Adriano Leo rappresentano un testo che andrà studiato nelle università. Se e quando l'Italia diverrà uno Stato di diritto e democratico, sarà necessario studiare la peste che aveva colpito le nostre istituzioni, nel silenzio dei potenti del regime tanto della maggioranza quanto di quella che continua senza vergogna a chiamarsi opposizione, in questo caso in particolare quel Partito democratico che "le prove" contro Firmigoni, a noi inaccessibili, richieste dal TAR, le custodisce nei propri cassetti da 9 mesi.
Dichiarazione di Marco Cappato, Radicali italiani / Lista Bonino-Pannella
RADICALI: DA OGGI SUL SITO WWW.ASSOCIAZIONEAGLIETTA.IT VISIBILI A TUTTI LE FIRME CONTESTATE A MICHELE GIOVINE
Da oggi sulla home page del sito dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta i cittadini possono osservare le firme contestate dei candidati della lista di Michele Giovine e confrontarle con le firme vere (tratte dal quotidiano La Stampa).
Dichiarazione di Nathalie Pisano (Segretaria Associazione radicale Adelaide Aglietta) e Igor Boni (Coordinatore provinciale torinese dell’Associazione Aglietta)
“Abbiamo scelto la strada di mostrare ai cittadini le firme contestate proprio mentre si apre il processo per dare luce all’ennesima vicenda oscura che incombe sul processo elettorale. E’ evidente che la strategia dei Giovine è quella di guadagnare tempo con la lista di 300 testimoni fornita; tempo che potrebbe fargli nuovamente guadagnare l’impunità, come accaduto nella scorsa legislatura. Compito della magistratura è quello di giungere presto alla fine del processo e alla sentenza. La nostra azione vede ora, con la costituzione di parte civile, un nuovo tassello dopo 6 anni di denunce che, a destra come a sinistra, purtroppo non hanno avuto ascolto. In questo Paese dobbiamo innanzitutto riconquistare il rispetto delle regole che fondano ogni democrazia e quelle elettorali sono certamente le più importanti. Oggi - occorre rendersene conto pienamente - la violazione delle leggi pare essere divenuta la regola, come ci insegnano questa vicenda e il caso Formigoni”.
Torino, 16 dicembre 2010
"La Stampa", 16/12/10, cronaca di Torino
ELEZIONI REGIONALI/ALLA PRIMA UDIENZA CINQUE RICHIESTE DI COSTITUIRSI PARTE CIVILE. ASSENTE LA REGIONE.
Processo per le firme false Giovine: “Così fan tutti”
Citati oltre trecento testimoni: politici locali, nazionali e giornalisti
ALBERTO GAINO
Vuole difendersi dall’accusa di aver falsificato le firme di diciotto dei suoi candidati - tutte tranne la sua - citando in aula tutta la politica piemontese? Michele Giovine, giubbotto da volontario olimpico 2006, risponde con un’alzata di spalle. Poi si decide: «Facciamo i processi per vincerli, non certo per raccontare ai giornalisti le nostre strategie». E Ghigo testimone? «Non so se c’è».
C’è, eccome, nella lista dei 300 testimoni (alcuni ripetuti ad adiuvandum) che Giovine, consigliere regionale dei «Pensionati per Cota», e i suoi difensori vorrebbero far deporre. L’avvocato Gian Paolo Zancan, che ieri in apertura del processo ha chiesto di costituirsi parte civile per conto della lista «Insieme per Bresso», non ha dubbi: «Li ho contati uno per uno, assessori, consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, big e politici di provincia. Si vuole far durare il dibattimento il più a lungo possibile».
Giovanni Nigra, difensore di Giovine padre, porge l’interpretazione autentica: «Non sono tutti stinchi di santo, i politici piemontesi. Vogliamo che vengano a dirci come hanno regolarizzato le candidature delle loro liste». Strategia d’attacco che sembra mettere sotto tiro l’Italia dei Valori con in testa il suo capofila Andrea Buquicchio, i Radicali (anche loro parte civile), i pensionati versione centrosinistra, i «verdi-civici», liste collegate alla Bresso. Si valorizza l’esperienza maturata in anni di gavetta da parte della famiglia Lupi, Renzo Rabellino (imputato in altro processo) e altri.
C’è un plotone trasversale di politici citati «per riferire del contesto politico, sulle alleanze e sulle modalità dello svolgimento delle elezioni regionali piemontesi, per comprendere se è stato turbato il regolare e leale svolgimento delle operazioni elettorali di fronte a tutti i cittadini e per valutare se la sconfitta elettorale del centrosinistra sia frutto di una manovra fraudolenta come la signora Bresso afferma nella sua costituzione di parte civile». Tema per Rocchino Muliere, Riccardo Nicotra, Giuliano Manolino, Claudio Dutto e, fra i tanti, Deodato Scanderebech. Che fu determinante, come Giovine, per il successo di Cota.
Il battaglione più folto comprende Ghigo, Morgando, Gariglio, Placido, Botta, Mastrullo, ancora Buquicchio, un’autorevole rappresentanza leghista (l’assessore regionale Maccanti, Alasia, Rossi), Ghiglia, Spagnuolo, Di Benedetto, Pedrale, Galasso. Tutti, è la motivazione, «potranno riferire sull’uso del cellulare da parte del consigliere Giovine e in particolare se lo porti sempre con sé e risponda alla chiamate di persona».
Apparentemente è chiaro: il pm Patrizia Caputo contesta a Giovine di non essersi recato ad autenticare le firme dei suoi candidati a Gurro (Val Canobina) dov’era consigliere comunale perché il suo cellulare quel giorno si «trovava» a Torino. I tabulati registrano chiamate in entrata ed uscita dal centro città. Ma, sotto sotto, c’è chi vi legge il tentativo di far emergere una consuetudine di politici importanti di tutte le aree a mantenere stretti contatti con il «reietto» Giovine.
Il giudice Alessandro Santangelo ha rinviato al 19 gennaio per decidere sull’ammissione delle parti civili (ieri hanno presentato istanza, oltre a Bresso e Marco Pannella per i Radicali, anche Luigina Staunovo dei Pensionati e Invalidi, il presidente dei Verdi Angelo Bonelli e Francesco Romanin, storico collaboratore della Bresso, nelle vesti di elettore). Da decidere anche sulle eccezioni difensive di nullità del capo di imputazione e competenza territoriale. Per la lista testi eventualmente da sfrondare c’è tempo.
LA PASIONARIA DELL’ESPOSTO
«Voglio fermare queste persone. Fanno solo i loro interessi»
«La gente stia molto attenta alle elezioni. Perché queste persone chiedono il loro voto e poi che fanno? I loro interessi, ecco cosa fanno. È anche per questo che oggi sono qui». Non ha mancato un giorno al riconteggio predisposto dal Tar e non poteva mancare nemmeno ieri. Se i due Giovine, padre e figlio, sono a processo lo si deve soprattutto a lei, Luigina Staunovo, la pasionaria della lista Pensionati e Invalidi che, vestiti i panni dell’investigatrice, ha svelato gli altarini della lista-famiglia di Michele Giovine, presentando poi un esposto in procura. «Io non mi fermo, vado avanti e ci saranno sorprese» promette la Staunovo che ha chiesto di costituirsi parte civile.
http://www.radicali.it/firme-false-di-michele-giovine
http://www.associazioneaglietta.it/2010/12/15/le-firme-false-di-michele-...
http://www.radioradicale.it/scheda/317373/ricorsi-elettorali-marco-panne...
http://www.radioradicale.it/scheda/317484/intervista-a-giulio-manfredi-s...
vera schiavazzi
Secondo i difensori di Michele Giovine, contro il quale si è aperto ieri il processo per falso, dovrebbe essere il Tribunale di Verbania a decidere sulla colpevolezza o meno del consigliere regionale. E´ lì, infatti, nel piccolo Comune di Gurro, che l´intraprendente leader della lista Pensionati per Cota avrebbe dovuto raccogliere le firme, nella sua veste di consigliere comunale. Il giudice torinese, Alessandro Santangelo, si è riservato di decidere sulla richiesta e si pronuncerà il 19 gennaio, nella stessa data in cui dirà anche se le richieste di diventare parte civile sono da accogliere o meno (oltre a Mercedes Bresso e a Luigina Staunovo, lo hanno chiesto i Verdi, l´associazione "Insieme per Bresso" e i radicali con Marco Pannella). Quel giorno, il Tribunale si pronuncerà anche sulla sterminata lista di testimoni che Giovine vorrebbe citare, perlopiù a riprova della sua distrazione: le celle telefoniche infatti dicono che il suo cellulare e quello del padre, coimputato, non si sono mai mossi da Torino (e dunque non lo hanno accompagnato nel viaggio a Gurro per autenticare le firme dei candidati), lui sostiene di averlo semplicemente dimenticato come gli capita spesso. Ieri Michele Giovine era in aula, e, come ha fatto fin dall´inizio di questa vicenda, ha preferito non rilasciare dichiarazioni. Contemporaneamente, in Tribunale si è aperto anche il processo per altre irregolarità elettorali relative alle ultime regionali delle quali è imputato l´autonomista Renzo Rabellino. Il 25 gennaio il caso Giovine tornerà anche in Consiglio di Stato, dove, con ogni probabilità, gli avvocati di Bresso chiederanno che si attenda la sentenza del processo penale. Se i tempi saranno celeri, come tutto lascia prevedere, e se il giudice diminuirà drasticamente l´elenco dei testi richiesti dagli imputati, la decisione potrebbe arrivare già in primavera.
"La Stampa", 15/12/10, cronaca di Torino
FIRME FALSE DEI PENSIONATI PER COTA
I Giovine si presentano al processo con 400 testimoni
[AL. GA.]
Michele Giovine ha presentato una lista di 300 testimoni, il padre Carlo si accontenta di un centinaio (in parte si sovrappongono). L’avvocato Giovanni Nigra: «Citiamo numerosi esponenti di altre liste per farci dire come hanno regolarizzato le loro candidature». Tra questi c’è pure Deodato Scanderebech, determinante per il successo del centrodestra.
Di fronte a uno scenario di continuo pendolarismo, da parte dei Giovine rispetto alla scelta se patteggiare o no, questa è la prospettiva processuale che padre e figlio (consigliere regionale di «Pensionati per Cota» e ago della bilancia elettorale) consegnano all’inizio del dibattimento, previsto per stamane.
I due sono accusati di aver falsificato 18 delle 19 firme dei candidati della lista familiare. C’è da tenere conto, ai fini della prescrizione del reato, dell’altalenante giurisprudenza della Cassazione: secondo alcune sue sentenze i reati «elettorali» si estinguono entro i 2 anni dall’ultimo verbale delle elezioni (in questo caso primavera 2010). Secondo altre, entro i due anni gli elettori che si ritenessero danneggiati hanno diritto di costituirsi parte civile, in quel caso la prescrizione rimarrebbe «lunga», 6 anni. Di fronte all’incertezza giurisprudenziale la procura avrebbe interesse ad accettare proposte di riti alternativi. C’è una questione che pesa: Giovine è un aspirante recidivo, già salvato dopo le precedenti elezioni da una leggina poi cassata per incostituzionalità. Ammesso che il giudice Alessandro Santangelo ne ammetta solo una parte, con un certo numero di testimoni si andrebbe avanti a lungo.
"La Repubblica", MERCOLEDÌ, 15 DICEMBRE 2010
Come a dire che sul piano strettamente processuale, a fronte di un rinvio a giudizio immediato chiesto e ottenuto già nel giugno scorso dalla Procura (la legge lo prevede quando le prove appaiono chiare) una richiesta di patteggiamento avrebbe potuto essere tecnicamente più prudente, ma che l´avvocato non vuole e non può entrare in motivazioni di altra natura. Per esempio quella di mantenere il più a lungo possibile la carica di consigliere, insieme ai benefici che derivano dall´essere alla guida di un gruppo consiliare (personale, indennità, uffici) o di conservare altrettanto a lungo un possibile strumento nei confronti di una maggioranza, quella Pdl-Lega guidata da Roberto Cota, che giudica ormai molto imbarazzante la presenza del consigliere-pensionato, ma non per questo ne disdegna il voto in aula.
Ora tutto, o quasi, si gioca sulle testimonianze dei candidati. Soltanto alcuni, tra i quali l´ex fidanzata di Michele Giovine che ora vive a Milano, hanno ammesso già durante le indagini di essere all´oscuro perfino della propria presenza in lista. La maggior parte è stata vaga sia sulle circostanze sia sul luogo dove la firma sarebbe stata apposta: «Sono andata a Miasino? Sì, mi pare… Il lago? Non ricordo. Il viaggio? Non troppo lungo…». Ora, in aula, le stesse persone dovranno scegliere se continuare a condividere la linea difensiva dei Giovine, secondo i quali le firme sono state regolarmente autenticate nei Comuni di Gurro e Miasino dove i due sono consiglieri comunali, o se incorrere, eventualmente, nel rischio di un´accusa per falsa testimonianza. I due imputati hanno indicato alcuni testi che dovrebbero far cadere la "prova" dei tabulati telefonici: secondo Michele e Carlo Giovine, infatti, la gita per la raccolta e l´autentificazione delle firme a Gurro e Miasino avvenne in circostanze nelle quali entrambi avevano dimenticato a Torino il proprio cellulare, ed è questa la ragione per la quale le registrazioni delle compagnie telefoniche dicono che quei telefonini non lasciarono mai la città.
CASO GIOVINE/MARCO PANNELLA SI COSTITUISCE PARTE CIVILE. RADICALI DISTRIBUISCONO ALLA STAMPA FOTOCOPIE QUOTIDIANO DEL 10 LUGLIO CON LE FIRME PRESENTI SUI MODULI E QUELLE AUTENTICHE.
PD, ITALIA DEI VALORI, GRILLINI, DOVE SIETE?
Nel corso della conferenza stampa tenutasi questa mattina nella sede dell'Associazione Radicale Adelaide Aglietta sono state distribuite alla stampa fotocopie del quotidiano “La Stampa” del 10 luglio 2010, riportanti le firme presenti sui moduli confrontate con quelle autentiche di alcuni candidati della Lista “Pensionati per Cota” di Michele Giovine. Accanto, dichiarazioni degli stessi candidati, alcune contradditorie, altre categoriche: “Non ho mai firmato per Giovine”.
Le firme saranno inserite anche in bella evidenza su www.associazioneaglietta.it
Erano presenti gli esponenti radicali Giulio Manfredi, Igor Boni, Silvio Viale, Antonio Polito e Alberto Ventrini. Quest'ultimo, avvocato, presenterà domani mattina in tribunale, all'inizio della prima udienza del processo contro Michele Giovine e il padre Carlo, la richiesta di costituzione di parte civile di Marco Pannella, in quanto rappresentante della Lista Bonino-Pannella, che ha partecipato alle scorse elezioni regionali ed è stato lesa, come peraltro tutte le altre liste, dai comportamenti fraudolenti di Michele Giovine.
I radicali hanno denunciato l'ipocrisia del Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, e del Presidente del Consiglio Regionale, Valerio Cattaneo, che solo una settimana fa hanno presentato la “Carta Etica della Regione Piemonte”. Cota sapeva benissimo chi era Michele Giovine, poiché Giovine, nel 2005, aveva promosso la Lista “Consumatori con Ghigo”, sempre nel centro-destra, raccogliendo fra l'80 e il 90% di firme false; grazie al fatto che allora il reato era depenalizzato e grazie ai tempi biblici della giustizia italiana, Giovine non pagò neppure un'ammenda. Ora ci riprova …
Il Presidente Cattaneo ha gentilmente fatto pervenire all'Associazione Aglietta una memoria dell'avvocato Giovanna Scollo (Direzione Affari Istituzionali ed Avvocatura) secondo la quale la posizione dell'avvocato Luca Procacci, legale di Cota e contemporaneamente membro del Corecom, è assolutamente legittima. L'avvocato radicale Polito ha fatto notare che la sua collega ha fatto riferimento a una sentenza del TAR Piemonte dove si parla di “apprezzabile” indipendenza dei membri del Corecom; peccato che la legge regionale istitutiva del Corecom parli di “assoluta” indipendenza. Si vede che in regione, per far posto alla “Carta Etica”, hanno eliminato i vocabolari!
Infine, i radicali hanno denunciato il comportamento delle forze politiche di opposizione; nessuna, tranne la Lista Bresso e i Verdi, si è costituita parte civile; partiti come l'Italia dei Valori o i grillini, che non perdono occasione per gridare alla legalità violata, quando è ora di passare dalle parole ai fatti preferiscono rimanere nel calduccio dei gruppi consiliari?
Torino, 14 dicembre 2010
N. B. Il dossier radicale sul “caso Giovine” lo trovi qui:
http://www.associazioneaglietta.it/2010/07/25/dossier-radicale-sul-caso-giovine/