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CASO PROCACCI/RADICALI: L'AVVOCATO DI COTA DA' FORFAIT AL CONVEGNO DEL CORECOM ...
... E L'ASSESSORE MACCANTI CITA LE LEGGI A SUO USO E CONSUMO!
Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani), al termine del sit-in radicale sotto il Consiglio Regionale di questa mattina:
"Abbiamo atteso inutilmente l''arrivo dell'avvocato Luca Procacci, legale di Cota e componente del Corecom. Procacci avrebbe dovuto tenere, come da programma, un intervento sul digitale terrestre al convegno del Corecom. Il fatto che non si sia presentato dimostra che forse sa di non avere tutte le carte in regola, di non potere continuare a stare in un organismo regionale di controllo quando tutti i giorni veste i panni di Azzeccagarbugli per il presidente Cota, lautamente pagato con delibera di giunta regionale.
A proposito di compensi, vorremmo sapere quanto Procacci, e naturalmente gli altri componenti, percepiscono dal Corecom. E vorremmo che queste informazioni fossero inserite sul sito del Corecom, assieme a tutti i dati sul monitoraaggio dell'emittenza regionale.
Avremmo poi un'ultima richiesta da fare all'Assessore Maccanti: quando cita la legge sul Corecom (L. R. 1/2001), non parta da metà, parta dall'inizio. L'art. 3 della legge prevede che i componenti del Corecom devono essere persone di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale. E' basandosi su tale articolo che un anno fa il TAR ha rimosso il presidente del Corecom, Massimo Negarville. Negarville non va bene, Procacci sì?!".
CONVEGNO CORECOM/DOMANI MATTINA SIT-IN RADICALE PER RICHIEDERE SIA DATI ONLINE SIA DIMISSIONI AVV. PROCACCI.
Domani, sabato 3 luglio, i militanti dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta manifesteranno – dalle ore 10:30 alle ore 12:30 - sotto la sede del Consiglio Regionale del Piemonte (Torino, via Alfieri n. 15), in concomitanza di un convegno indetto dal CORECOM (Comitato Regionale per le Comunicazioni del Piemonte).
Saranno presenti al sit-in Nathalie Pisano (segretaria Associazione Aglietta) e Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani), che hanno dichiarato:
La Lista Bonino-Pannella chiuse la campagna elettorale delle scorse regionali di fronte alla sede del Corecom, richiedendo che venissero messi online tutti i dati relativi al monitoraggio dell’emittenza radiotelevisiva piemontese rispetto agli spazi concessi alle forze politiche. Richiesta rimasta lettera morta. E’ sufficiente una veloce comparazione del sito del Corecom con quello dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) per rendersi conto dell’inadeguatezza quantitativa e qualitativa dei dati e delle informazioni presenti nel primo.
Manifesteremo anche per richiedere le dimissioni dal Corecom dell’avvocato Luca Procacci, il legale del Presidente Cota. L’art. 3 della legge istitutiva del Corecom (L. R. n. 1/2001) prescrive che gli otto componenti del Corecom devono essere scelti “tra persone che diano garanzia di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale”. Che indipendenza può sbandierare l’avv. Procacci se addirittura la sua parcella per l’assistenza legale a Cota sui ricorsi elettorali è stata deliberata dalla Giunta Regionale?
Esattamente un anno fa il TAR del Piemonte destituì Massimo Negarville da presidente del Corecom e Luca Volpe da componente perché il primo legato alla politica e il secondo incompetente. Negarville no, Procacci sì ?!
(Interpellare sulle questioni di legalità La Ganga è il massimo!)
"La Repubblica", DOMENICA, 04 LUGLIO 2010
Pagina V - Torino
L´ex esponente Psi e la querelle dei ricorsi: si lascino tranquilli i magistrati
"Rivotare? A una condizione"
La Ganga: alle urne solo se si è falsata la volontà dell´elettore
Hanno sbagliato la Lega e il Pdl a manifestare È bene attendere il giudizio del Tar senza strillare
Esiste un´industria delle firme al servizio del miglior offerente I grandi partiti devono intervenire
VERA SCHIAVAZZI
«Il silenzio del Pd sui ricorsi elettorali? Forse c´è un po´ di imbarazzo, ma lo si può spiegare soprattutto con ciò che resta dell´antica tradizione dei partiti popolari, dei quali siamo in fondo gli ultimi eredi. Ma al voto si può e si deve tornare soltanto se gli elementi in possesso del Tar mostreranno che gli esiti sarebbero stati diversi se le irregolarità di cui si discute non fossero mai state commesse». Giusi La Ganga ha vissuto da politico decine di elezioni, discusso un buon numero di sistemi elettorali e ora che è da poco tornato tra i dirigenti del Pd piemontese commenta così le posizioni del suo partito.
La Ganga, non le pare una spiegazione un po´ troppo benevola? Contano anche le divisioni, le antipatie verso Mercedes Bresso, l´idea che tutto sommato è più comodo non tornare a votare…
«È bene attendere senza strillare l´esito del giudizio del Tar, su una materia come questa non si devono fare manifestazioni, e anche il centrodestra e la Lega hanno fatto male a farne una. Ma la vera questione è un´altra».
Cioè?
«Chi ha votato ad esempio la lista ‘Pensionati per Cota´ intendeva comunque votare il presidente o. in relazione alle irregolarità anche gravi che paiono essere state commesse dai suoi promotori, è stato fuorviato? Il punto vero è questo, e io credo che i giudici del Tar ci rifletteranno a fondo. Prima del voto nei ricorsi elettorali deve prevalere il formalismo, dopo è la sostanza della volontà degli elettori a dover essere appurata».
Lei pensa che il nome ‘Cota´ fosse ben visibile sulle piccole liste apparentate al candidato e quindi che chi le ha votate si sia espresso con chiarezza?
«Lo diranno i giudici. Certo ciò non toglie nulla alla gravità degli eventuali falsi, né al fatto che debbano essere sanzionati e che le responsabilità, anche sul piano dei costi economici che la collettività dovrà subire per questo, andrebbero caricate ai colpevoli. Ma non tutte le liste oggetto di contestazioni, comunque, erano uguali».
In effetti no. In quella di Scanderebech il nome di Cota non c´era.
«Appunto. Irregolarità che possono apparire meno eclatanti potrebbero rivelarsi più rilevanti sul piano della certezza circa la volontà degli elettori. Diversa ancora mi pare la contestazione relativa ai Verdi Verdi: se c´è confondibilità deve essere contestata subito».
In generale non le pare che questa storia mostri un certo degrado della politica e dei comportamenti elettorali? Indipendentemente dalle sentenze, infatti, a ogni votazione le liste-patacca si moltiplicano.
«È vero, esiste un´industria delle firme al servizio del miglior offerente. L´unica soluzione sarebbe uno scatto d´orgoglio dei grandi partiti che dovrebbero fare un patto tacito o esplicito per tagliarle fuori. E un grave errore è stato anche approvare, nell´ultima legislatura regionale, la leggina che consente ai piccoli partiti già presenti in consiglio di non dover più raccogliere le firme di presentazione».
Diciottomila euro: è la cifra sbloccata dalla giunta regionale per autorizzare Cota a resistere nel giudizio davanti al Tar rappresentato dall’avvocato Procacci. Parola del consigliere Pd Walter Ronzani: «Procacci è uno dei commissari del Corecom, ho scritto al presidente del Consiglio Cattaneo chiedendo di valutare l’incompatibilità tra i due incarichi». Oggi, alle 12,30, i Radicali terranno un sit-in davanti a Palazzo Lascaris per chiedere, tra le altre cose, le dimissioni di Procacci». «L’articolo 4 della legge regionale 1/2001 parla chiaro - replica Maccanti -: nulla vieta a Procacci di ricevere come libero professionista un mandato a rappresentare legalmente l’ente».
L´opposizione solleva l´incompatibilità. L´avvocato: "La mia non è una consulenza"
"Procacci membro del Corecom non può difendere il presidente"
Ronzani: "Percepisce dalla giunta 18mila euro e la legge è chiara non è possibile"
SARAH MARTINENGHI
Dopo le perplessità sollevate per il fatto che l´avvocato della Lega Luca Procacci avesse avuto l´incarico da parte della giunta regionale di difendere il presidente Roberto Cota nel ricorso elettorale, altri dubbi su una sospetta incompatibilità si abbattono su di lui. La decisione della giunta, sarebbe in contrasto con l´incarico, ricoperto dallo stesso Procacci, di commissario del Corecom: in quanto tale il legale non potrebbe prestare servizi per l´ente e riceverne compensi. Ma l´avvocato di Cota non è di questo avviso e difende la regolarità della sua prestazione in quanto «incarico professionale» e non «contratto di consulenza».
La tesi dell´incompatibilità è invece sostenuta a gran voce dal consigliere regionale Wilmer Ronzani, esponente del Pd, che ha posto il problema in una lettera inviata al presidente del consiglio regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo: «I due incarichi sono fra loro incompatibili. La giunta regionale all´unanimità, con tre deliberazioni e una spesa complessiva di 18mila euro ha autorizzato il presidente Cota a resistere nel giudizio avanti al Tar rappresentato dall´avvocato Luca Procacci, a seguito dei ricorsi elettorali pendenti di fronte ai giudici amministrativi. Ma Procacci è uno dei commissari del Corecom, come risulta dalla composizione dell´organismo regionale».
«La legge istitutiva del Corecom, del 2001, individua infatti tra le cause di incompatibilità la titolarità di rapporti di consulenza retribuita con la giunta e il consiglio regionale. Procacci dovrebbe essere dichiarato decaduto dal Corecom», sostiene ancora Ronzani.
«Ma io non sono un consulente né un collaboratore - replica Procacci - sono un libero professionista e questo è un singolo mandato professionale non continuativo. I procedimenti per cui sono stato nominato sono due, ma riguardano entrambi difese del presidente per l´impugnazione e la proclamazione degli eletti. La legge parla solo di consulenze e collaborazioni. Se fosse accertata l´incompatibilità verrebbe compromessa una libera professione, quindi o modificano la legge oppure significa che un avvocato non può più avere ruoli nel Corecom».
(la Carfagna si sarebbe dovuta dimettere a maggio - art. 4 e 6 L. 154/81)
La Carfagna: «Largo ai giovani» E si dimette dal Consiglio campano.
• da Il Venerdì di Repubblica del 2 luglio 2010
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di Riccardo Bianchi
L'avevano avvertita prima delle Regionali, l'avevano criticata dopo lo scrutinio, è pure stata invitata a lasciare la carica di consigliere della Campania dal presidente della Camera Gianfranco Fini. Ora, dopo quasi tre mesi dal voto, il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna si è dimessa, lasciando il doppio incarico (anzi il triplo, visto che è anche deputata). Tutto merito di una vera folgorazione. «Questa decisione mi è servita per avviare una riflessione più ampia sui doppi "incarichi"» scrive sul suo blog. «Su quanto gravano sull'impegno di una persona, ma soprattutto sull'effetto "cappa" che creano sulle tante menti brillanti, giovani perlopiù, che aspirano a spendersi per la politica e trovano quei posti già occupati, magari da un parlamentare come me». Carfagna ha solo dimenticato di dire che essere insieme onorevole e consigliera regionale è vietato dalla legge. Poi, ha affermato che «i doppi incarichi sono un ostacolo al rinnovamento. E sono fiera che, prima di me, l'abbia detto il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi». Il quale, come la collega, deve averlo scoperto sulla propria pelle, visto che è stato per anni deputato e consigliere a Milano.
Clima arroventato intorno alla decisione del Tar sui ricorsi elettorali. Nell’udienza cominciata ieri con tre ore di ritardo, il tribunale ha deciso di rimandare la discussione al 15 luglio. Rinvio tecnico, avvenuto però in un contesto pesante, con un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine in tenuta antisommossa e uno dei tre giudici messo sotto scorta a seguito di una serie di episodi sospetti. Si tratta del giudice relatore, il magistrato che avrà il compito di redigere la sentenza una volta che il collegio avrà preso la sua decisione. Al magistrato qualcuno avrebbe manomesso il quadro elettrico di casa, isolandolo completamente. Inoltre, nella fiaccolata di lunedì scorso di Pdl e Lega, il suo nome è stato fatto un po’ troppo insistentemente per non far drizzare le antenne agli investigatori. Episodi che gettano una luce fosca su quel che si sta muovendo intorno alla partita elettorale. Proprio ieri alcuni deputati piemontesi del Pd (Mario Lovelli, Luigi Bobba, Stefano Esposito, Massimo Fiorio, Mimmo Lucà e Anna Rossomando) hanno presentato un’interrogazione al ministro degli Interni per i cartelli esposti nel corso della famosa fiaccolata. Su alcuni si poteva leggere: «Stasera le fiaccole, domani i fucili». La risposta del deputato del Carroccio, Stefano Allasia: «Il Pd dovrebbe sprecare meno tempo con queste interrogazioni inutili».
Ma intanto il clima politico avvelenato sembra aver coinvolto anche i tecnici visto il nervosismo dei legali durante tutta l’udienza e anche dopo. Il tribunale ha rinviato il ricorso su Verdi Verdi, Scanderebech e Consumatori per acquisire i verbali di ammissione delle liste. Mentre per l’altro ricorso, quello contro la lista di Michele Giovine (ieri «presente» alla causa con il suo legale Giorgio Strambi) il rinvio è stato disposto per consentire agli avvocati del centrodestra di visionare il fascicolo acquisito dalla procura sull’inchiesta penale per le firme false e rispondere. Sulla data del rinvio gli animi si sono accesi: «Non abbiamo materialmente il tempo di visionare oltre 600 pagine di indagine - ha dichiarato l’avvocato Procacci - per questo chiediamo più tempo». Immediata la replica dell’avvocato Luca Di Raimondo per il centrosinistra: «Il tempo è sufficiente, registriamo però un cambio di atteggiamento nella controparte: la scorsa udienza voleva decidere tutto e subito, anche forzando la mano, oggi prende tempo».
La data è rimasta quella del 15. «Dobbiamo restare sui binari giudiziari - ha spiegato il presidente Bianchi - E i binari hanno le stazioni: la nostra prossima sarà quella del 15 luglio». Se si dovesse andare più lunghi, la data successiva sarebbe il 7 ottobre.
PIEMONTE/RICORSI ELETTORALI/EMMA BONINO: SENTENZA TAR DI DOMANI PUO’ COSTITUIRE UN ARGINE DI DIRITTO ALLA PIENA DI ILLEGALITA’ AVVENUTA DURANTE LE ELEZIONI REGIONALI.
Dichiarazione di Emma Bonino (vice-presidente del Senato della Repubblica):
Lo scorso febbraio, prima che fossero presentate nei tribunali di tutta Italia le liste dei candidati alle elezioni regionali, intrapresi una dura iniziativa nonviolenta, uno sciopero della sete durato cinque giorni, per denunciare le patenti, continuate violazioni di legge che avevano già contrassegnato la raccolta delle firme in calce alle liste nella maggior parte delle regioni italiane. Ricevetti in cambio alla mia sete i soliti sorrisi ipocriti, la solita indifferenza, la solita censura. Il giorno dopo la fine della mia iniziativa milioni di italiani poterono essere informati su quanto era successo alla presentazione della lista del PDL al Tribunale di Roma e poi sulle evidenti irregolarità, rilevate e denunciate dai radicali lombardi, presenti nella lista di Roberto Formigoni (su cui ancora pende un giudizio di fronte al TAR di Milano).
Negli stessi giorni erano presentate in Piemonte quattro liste (su un totale di nove a sostegno del candidato del centro-destra Roberto Cota) con gravi vizi di forma, per non parlare dei profili penali che la magistratura sta accertando nei confronti della lista “Pensionati con Cota”. Sono sinceramente grata agli esponenti dell’UDC, dei Verdi e dei “Pensionati Invalidi per Bresso” per aver presentato ricorso contro le illegalità suddette, andando fino in fondo.
Domani, il TAR del Piemonte, applicando semplicemente la legge elettorale, ha la possibilità di costituire un argine di diritto alla piena di illegalità che ogni tornata elettorale porta con sé e che ogni volta i radicali denunciano prima, durante e dopo. Questa volta, in Piemonte, non da soli.
Da "Il Corriere della Sera" di martedì 29 giugno 2010
MILANO - «Siamo all`assurdo. Io mai avrei creduto che lo sprezzo per la democrazia sarebbe potuto arrivare a questo.
In un momento del genere, poi...».
Roberto Cota è furibondo e non cerca di nasconderlo. Ieri sera, i sostenitori del governatore piemontese - leghisti ma anche del Pdl - hanno dato vita a Torino alla fiaccolata «per difendere l`esito delle urne». Il fatto è che quei tre ricorsi presentati per presunte irregolarità nelle liste del centrodestra, all`ex capogruppo padano alla Camera sembrano davvero «uno schiaffo agli elettori».
Presidente, la legge i ricorsi li prevede.
E tanto strano che qualcuno li presenti se ritiene che nel processo elettorale ci siano state anomalie? «Più che strano, è scandaloso. Perché qui non è in discussione il risultato delle elezioni. Non ci sono rimostranze sulle operazioni di voto. Non si ritiene che un errore di conteggio abbia assegnato la vittoria in modo falsato. No. Qui vengono tirati fuori cavilli sull`accettazione della candidatura da parte di chi, sulla base di una legge voluta da Mercedes Bresso, non aveva neppure bisogno di presentare le firme».
Il processo elettorale ha regole meticolose.
Perché lei ritiene che il chiederne il rispetto significhi mettere in discussione il voto? «Le faccio un altro esempio. L`ammissibilità delle candidature non la decide la politica. La decide il tribunale. Un soggetto neutro a cui può rivolgersi chiunque abbia qualcosa da ridire sulle liste e la loro presentazione. Si può farlo in modo limpido, prima che vengano stampatele schede elettorali. Io, per esempio, con la massima buona fede, avevo molto da ridire riguardo a certe liste patacca.
Prima delle elezioni, ho presentato ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Nella massima correttezza e trasparenza. Un po` troppo comodo far votare il popolo e dopo dire che il voto non vale. Qui non è in discussione una posizione piuttosto che un`altra. Qui dobbiamo difendere il diritto dei piemontesi a che il loro voto regolarmente espresso sia valido».
Ma lei non aveva stretto un accordo con Mercedes Bresso sui ricorsi? «Sì, ma la sua pervicace non accettazione delle regole della democrazia non conosce limiti. La Bresso aveva fatto ricorso.
Poi, ha detto che avrebbe rinunciato se avesse ottenuto il posto di Presidente del Comitato delle regioni in Europa. Cosa che è avvenuta. Ma l`irresponsabilità non ha limiti. Prima cerca il cavillo dopo che i piemontesi si sono espressi. Poi, chiede e ottiene il riconoscimento della sua posizione in Europa. Quindi, sconfessa l`accordo che aveva sottoscritto».
Per i Verdi la fiaccolata è un modo per fare pressioni sui magistrati.
«Macché. Stasera in piazza la gente è scesa non per difendere me, ma il voto.
Sa cosa le dico? Io non ho paura delle ur- ne. Sono convinto che l`indignazione della gente contro chi cerca di barare su una cosa come le elezioni, ci farebbe rivincere con un margine più ampio. Ma non può passare il principio che qualche furbetto può modificare l`esito delle urne. E poi, ripeto, tornare al voto sarebbe una cosa da irresponsabili».
In che senso? «Le sembra normale in un momento come questo far spendere ai cittadini altri 25 milioni di euro? Tanto costerebbero nuove elezioni. Ma cosa andiamo a dire alla gente? Ma che segnale si dà sulle istituzioni e sulla democrazia? Io sono senza parole. Noi dobbiamo lavorare. Ho appena presentato un piano per il lavoro da 390 milioni destinati a politiche strutturali per favorire nuovi insediamenti produttivi e occupazione.Io dall`opposizione mi sarei atteso un entrare nel merito delle cose, avrei apprezzato un apporto. E invece stanno nell`ombra a inventarsi cavilli. E demenziale...».
Se qualcuno avesse fatto pasticci con le firme non andrebbe sanzionato? «Certo, chi ha mai detto il contrario? Ma da questo a tornare alle urne, ce ne corre. Solo che qui si cavilla sull`accettazione della candidatura da parte di chi ha preso cinque preferenze. Cinque preferenze, capisce? Di questo stiamo parlando».
Lega e Pdl: no ai ricorsi anti-voto. Chiamparino: si vogliono condizionare i giudici
Migliaia di persone alla manifestazione promossa per sostenere il governatore del Piemonte. Giovedì la sentenza del Tar sulle liste viziate da irregolarità. Gli industriali: serve continuità di governo
DIEGO LONGHIN
SARA STRIPPOLI
TORINO - Uno slogan scandito per tutto il percorso della marcia: «L´ha scelto la gente - Cota presidente». E poi, alla testa del corteo, lo striscione: «Giù le mani dal voto. Il popolo è sovrano». Dietro, cinque-seimila persone, arrivate nel centro di Torino da tutto il Piemonte, per dire no ai ricorsi al Tar del Piemonte che potrebbero annullare l´elezione del leghista Roberto Cota a presidente. Una marcia che trova contrario il sindaco Sergio Chiamparino: «Non apprezzo molto le manifestazioni di piazza contro le istituzioni che non sono elettive. Si può concordare o dissentire ma la magistratura non va influenzata con manifestazioni esterne». E che fa dire a Gianfranco Morgando, segretario regionale del Pd: «Dopo la mobilitazione di stasera sarà tutto più difficile: non è una legittima manifestazione, ma uno strumento di ricatto».
I giudici del Tar giovedì dovranno esaminare quattro ricorsi. Uno quasi sicuramente slitterà a metà mese per consentire di acquisire e valutare gli atti della procura. Sul banco degli imputati il consigliere Michele Giovine dei Pensionati: secondo i pm avrebbe falsificato le firme di accettazione della candidatura delle persone inserite nella lista. Era presente alla fiaccolata, in coda, in disparte. Poi è sparito.
E se ancora ieri uno dei legali di Cota, Luca Procacci, ha presentato una nuova memoria difensiva al Tar per spiegare che «la sovranità popolare dovrebbe prevalere a fronte dei singoli», il governatore ha già iniziato una campagna elettorale preventiva. Il precedente del Molise pesa e il clima in casa Lega è teso. Insomma, sembra quasi che il governatore si prepari al peggio, arrivando a trasformare l´intervento all´assemblea dell´Unione industriali, davanti al presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in un comizio. «Difendo il diritto di milioni di piemontesi a che ci sia un governo e non venga il caos», ha detto Cota. Parole ribadite alla fiaccolata. Comizio che ha preso spunto da un assist del numero uno dell´Unione industriale sotto la Mole, Gianfranco Carbonato: «Non per spirito di parte, ma nell´interesse del Piemonte, auspichiamo continuità nell´azione regionale intrapresa».
Il governatore del Carroccio, in caso di una sentenza sfavorevole, sarebbe pronto a dimettersi. Meglio non stare sulla graticola in attesa della sentenza d´appello del Consiglio di Stato, meglio non buttare via il lavoro fatto, giocando sull´effetto protesta («La volontà dei piemontesi annullata dai giudici su richiesta del centrosinistra») e sulla luna di miele dei primi cento giorni. «I ricorsi si ritorceranno come un boomerang contro chi li ha promossi», urlava dal palco della marcia. Il presidente non vuole perdere tempo e giocarsi al più presto questi due assi, soprattutto se lo sfidante non sarà più Bresso ma Chiamparino. Il primo cittadino di Torino è l´unico vero candidato anti-Cota. E non ha più alibi per scendere in campo: ormai il suo mandato si è quasi concluso.
Sulla carta Chiamparino si presenta come un concorrente più difficile per Cota: il 66 per cento di consensi che il sindaco ha raccolto in città quattro anni fa sono un viatico di peso. Non solo. Il sindaco può sparigliare, attirando verso di sé i consensi che la Bresso non è riuscita più a conquistare quattro mesi fa, soprattutto nell´elettorato più vicino al centrodestra. Cota lo sa bene e per lui Chiamparino è diventato uno "spauracchio". L´unico modo per limitare gli effetti sarebbe non tergiversare. Fantapolitica? Può darsi, ma sul fronte centrodestra si racconta di sondaggi fatti fare dal governatore per verificare tra lui e il sindaco chi la spunterebbe, mentre dall´altra parte si narra di incontri, anche con il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, per prepararsi ad un repertino ritorno alle urne.
«State tranquilli che non mollo! Affronto i miei avversari a viso aperto io, non li accoltello alle spalle!». Piazza Castello, ore 21,30 di un’afosa sera di fine giugno. Roberto Cota, affiancato da Enzo Ghigo e Agostino Ghiglia, si sgola dal palco montato davanti al palazzo della Regione sovrastando striscioni e bandiere. Sembra che le lancette dell’orologio siano tornate ad un’altra sera, quella del 29 marzo, quando i militanti di Lega e Pdl si riversarono in questa stessa piazza per alzare i primi calici alla clamorosa vittoria contro Mercedes Bresso.
Invece le parole di Cota, stravolto dal caldo ma fedele al blazer blu scuro con la pochette verde, raccontano un’altra storia: una storia di firme false per una delle liste che lo ha sostenuto e di ricorsi pendenti che rischiano di far tornare i piemontesi alle urne. «Non vogliamo esercitare pressioni sui giudici - precisa Cota -, ma i ricorsi saranno un boomerang». Ovazione e applausi.
Ieri sera, con la fiaccolata organizzata nel centro di Torino - oltre 10 mila persone per gli organizzatori, la metà secondo la Questura - , Lega e Pdl hanno lanciato un altolà preventivo a qualsiasi ipotesi di «scippo elettorale». E’ la stessa città dove il Consiglio comunale, mentre sfilava il corteo, approvava a tambur battente la delibera sul riconoscimento delle unioni civili: 24 voti favorevoli, 3 contrari, 4 astenuti.
Due Torino diverse e incomunicabili, espressione di mondi e valori antitetici. Quella che si riconosce nella Lega e nel Pdl ha scelto la strada. Esibizione muscolare, accompagnata fino all’ultimo da voci, infondate, sull’arrivo di Bossi. In compenso, erano presenti la giunta regionale al completo, consiglieri e amministratori ai vari livelli, parlamentari come Osvaldo Napoli e Vito Bonsignore, senatori come Andrea Fluttero e Maria Rizzotti: più o meno convinti ma decisi a non mancare un’occasione-clou per contarsi. In prima fila Cota, Ghigo, Ghiglia e Carossa, con le fiaccole in mano, anticipati dal un mega-striscione: «Giù le mani dal voto, il popolo è sovrano». Alle loro spalle, tutto il mondo del centrodestra torinese e piemontese, unito dallo slogan «Lo vuole la gente, Cota presidente». Ci sono tutti: da Luca Procacci, il braccio legale del Carroccio, a Claudio Zanon, consulente di Cota per la Sanità, da Augusta Montaruli all’inossidabile Mario Borghezio, che dal palco ha scaldato la folla prima dell’intervento del governatore: «Ricordo ancora quando la sinistra ci ha scippato la vittoria per il sindaco. Patrioti piemontesi, forza e coraggio!». Tra la folla, praticamente in incognito, c’è anche Michele Giovine, il leader della lista «Pensionati per Cota», finito in una bufera elettoral-giudiziaria più grande di lui e ora trattato come un paria dai vertici del centrodestra: «Sono qui per solidarietà verso Cota. No, non ci vado in prima fila. Non è una manifestazione elettorale». Sarà. I militanti, con una netta prevalenza dei leghisti nel farsi sentire, non gli badano. Invocano Cota - baciato, abbracciato e applaudito come una star - e ne dicono di tutti i colori all’indirizzo di Bresso e Chiamparino. Di tanto in tanto sembra di essere nel pratone di Pontida. La polizia circonda il gazebo dell’Italia dei valori montato in piazza Castello ma non ce n’è bisogno. La fiumana, in arrivo da piazza Arbarello, gli sfila accanto, ignorandolo. Tutti gli occhi sono per Cota.
“MARCIA SU TORINO”/RADICALI: GHIGO SI ARRAMPICA SUI VETRI PER GIUSTICARE UNA MANIFESTAZIONE INAMMISSIBILE E LA RELAZIONE PERICOLOSA CON GIOVINE … MA NON SI SPOSA DUE VOLTE UNA PERSONA SE LA SI CONSIDERA INAFFIDABILE!
Dichiarazione di Nathalie Pisano (segretaria Associazione Radicale Adelaide Aglietta) e di Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani):
Mette tristezza leggere l’intervista del senatore Enzo Ghigo, che testimonia il livello di subalternità del PDL alla Lega Nord. Ghigo si arrampica sugli specchi nel vano tentativo di negare che la “Marcia su Torino” di questa sera sia una grave ed indebita pressione sul TAR, che giovedì deciderà sui ricorsi elettorali. Diciamolo: quello di questa sera è l’ennesimo atto di un’operazione di strumentalizzazione gestita con grande spregiudicatezza dal Presidente Cota, che non ha risparmiato nemmeno la più alta carica dello Stato, il Presidente Napolitano (incontrato da Cota venerdì scorso), che è proseguita sabato nei mercati di Torino (dove Cota ha arringato gli ambulanti ed ha avuto anche la faccia tosta di dichiarare di essere vittima di Giovine) e che riserverà altri colpi ad effetto fino a giovedì.
Penosa è poi la giustificazione di Ghigo rispetto all’alleanza con Michele Giovine: “Quando si fanno i matrimoni si spera che vada bene e che funzioni”. Il problema è che il centrodestra ha sposato Giovine due volte; la prima nel 2005, quando Giovine appoggiava lo stesso Ghigo, quando Giovine raccolse fra l’80 e il 90% di firme false ma nessuno, tantomeno Ghigo, ebbe nulla da eccepire … tranne quei soliti rompicoglioni dei radicali!
Solamente quattro mesi fa il centrodestra ha detto nuovamente “SI’” a Giovine, pur conoscendo perfettamente l’opera sistematica di ricatto messa in atto dallo stesso in questi cinque anni di Consiglio Regionale. Giovine è stato decisivo per la vittoria di Cota e tutto andava bene, madama la marchesa …. Ora Cota e Ghigo gridano al tradimento!
Ma è possibile che non esista nel centrodestra qualcuno che protesti contro questa continua sceneggiata ipocrita, che calpesta legge, diritto e buon senso?
Torino, 28 giugno 2010
N. B.
QUESTA SERA, ORE 21 :00, RIUNIONE PUBBLICA c/o Associazione Radicale Adelaide Aglietta (Torino) via Botero n. 11/f:
“10 ANNI DI LOTTE RADICALI PER LA LEGALITA’ IN CONSIGLIO REGIONALE”
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L’inchiesta sui Giovine, padre e figlio, non si è conclusa con il decreto di fissazione di giudizio immediato, possibile solo quando il gip incaricato abbia ritenuto evidenti le prove raccolte dalla procura. C’è almeno uno sviluppo giudiziario: l’iscrizione nel registro degli indagati, per falsa testimonianza, di numerosi candidati della lista «Pensionati per Cota». Quelli che, risentiti dal pm Patrizia Caputo, hanno continuato a dichiarare di aver firmato l’accettazione della candidatura secondo le regole elettorali: a Miasino o Gurro, paesi dell’alto Piemonte in cui Carlo e Michele Giovine sono rispettivamente consiglieri comunali e pubblici ufficiali.
L’indagine-bis è ovviamente coperta dal segreto istruttorio, ma, essendo stati i verbali degli ex testimoni messi a disposizione degli avvocati, sia dei Giovine, sia dei ricorrenti contro di loro al Tar Piemonte, la notizia è trapelata nella maniera più semplice. Per esempio, il 27 maggio scorso, il pm ha interrotto la deposizione di Carlo Giovanni Tirello, cugino di primo grado della madre del consigliere regionale, dando atto nel verbale che avrebbe potuto riprendere solo con la presenza di un difensore. Aveva ravvisato gli estremi per indagare Tirello di falsa testimonianza.
Tirello avrebbe mentito per tutta la sua deposizione, con un’unica eccezione. Quando, rispondendo alla domanda del pm - «in quale circostanza ha visto per l’ultima volta suo cugino?» - ha risposto: «Ora, Carlo mi ha accompagnato in procura». Poi ha reagito aggiungendo «che male c’è? Non siamo mica delinquenti».
Il suo commento è stato solo apparentemente sdegnato: oltre che mettere nei guai se stesso, l’ex testimone ha rafforzato il sospetto del magistrato di aver concordato con il cugino la versione da fornire in procura sulle modalità dell’accettazione della candidatura. Un sospetto che si è tradotto in certezza, da parte dei pm, dopo aver ascoltato altri testimoni riferire di essere stati appena contattati da Michele Giovine e invitati da lui a non smentirlo. «Inquinamento delle prove» definisce il codice penale un tale comportamento.
Tuttavia, nella montagna di frottole raccontate da molti candidati dei «Pensionati per Cota» - 27 mila voti ottenuti alle Regionali decisivi ai fini della vittoria del centrodestra - la procura deve aver giustamente distinto i casi umanamente particolari. Come quello di Clementina Torello, con i suoi 91 la più anziana concorrente alle elezioni di fine marzo. Michele Giovine è suo pronipote. L’ha difeso con i poliziotti che, recatisi a casa sua, le hanno cortesemente chiesto di sottoscrivere le proprie affermazioni. Agitata com’era, non ha voluto firmare il verbale.\
Seimila persone, stando agli auspici degli organizzatori. Parte raggiungeranno Torino su 12 pullman in arrivo da sei province piemontesi: 2 da Novara, dove Roberto Cota ha le sue radici; 2 da Alessandria; 2 da Vercelli; altri 2 da Verbania; 3 da Cuneo. Un altro partirà da Biella. Molta altra gente si sposterà in auto.
Forti di questa mobilitazione, e delle 20 mila firme pro-Cota raccolte tra sabato e domenica nei 170 gazebo padani, questa sera Lega e Pdl impugneranno le fiaccole per lanciare ancora una volta il guanto di sfida contro chi - dal loro punto di vista - punta al ribaltone elettorale. Appuntamento in piazza Arbarello alle ore 20, partenza alle 21 alla volta di piazza Castello. Di rigore la presenza del governatore, con Enzo Ghigo e Agostino Ghiglia.
Meno scontata la presenza di Michele Giovine, leader della lista «Pensionati per Cota» e da settimane al centro della «querelle» elettorale-giudiziaria. Una presenza di cui la Lega e il Pdl, pur senza dirlo apertamente, farebbero volentieri a meno. Tanto più che, si fa presente, qualche militante potrebbe non gradire. Della serie: faccia come crede, ma se non si fa vedere nessuno si straccerà le vesti. Una freddezza che fa il paio con l’incomunicabilità tra lui e Cota e soprattutto con la dichiarazione, piuttosto sbrigativa, rilasciata sabato dal governatore durante la visita nei mercati rionali. «Giovine? - ha risposto alla domanda dei cronisti - Se ha commesso irregolarità va punito, il primo a essere danneggiato sono io, ma non per questo devono pagare i piemontesi».
Un benservito che l’interessato non ha gradito, per usare un eufemismo, e che ieri lo ha spinto a rompere gli indugi. «Non avendo nulla di cui vergognarmi, e per cui nascondermi, sarò presente alla fiaccolata», annuncia seccamente Giovine. Restano «la delusione e l’amarezza» per le parole di Cota: parole che bruciano. «Non so se si è trattato di illazioni giornalistiche - premette, pur sapendo che a quella frase non è seguita alcuna smentita -. In caso contrario, ricordo che l’ultima parola sui ricorsi non è ancora stata scritta e che a fronte dei 28 mila voti portati dalla mia lista, fondamentali per la vittoria, il governatore dovrebbe osservare maggiore prudenza». Sono gli stessi voti che, se la lista dei «Pensionati per Cota» dovesse essere invalidata, rischiano di riportare i piemontesi alle urne: questo è il punto.
Oggi tutti gli sforzi della Lega, e del Pdl, sono concentrati sulla fiaccolata nel centro di Torino. «Nessuna intimidazione verso la magistratura - precisa Ghigo replicando alle accuse dell’opposizione -. Sarà una manifestazione di popolo per difendere il libero voto dei piemontesi». Insieme al «popolo sovrano», per usare un’espressione usata recentemente da Cota, sfileranno parlamentari, amministratori e dirigenti del centrodestra.
I radicali rispondono a modo loro. Questa sera, alle 21, in via Botero 11 - presso la sede dell’associazione Adelaide Aglietta - si terrà una riunione pubblica. Obiettivo: «Ripercorrere dieci anni di lotte per l’affermazione della legalità in Consiglio regionale attraverso i ricorsi in Tribunale e la denuncia, avvenuta cinque anni fa, delle illegalità commesse da Giovine». Vale a dire: in tempi non sospetti. Il centrosinistra prenda nota.
Ecco perché il governatore potrebbe dimettersi senza appellarsi: obiettivo depotenziare il probabile rivale
Cota e lo "spauracchio" Chiamparino
DIEGO LONGHIN
«Si vota di nuovo?». Frase che riecheggia in qualsiasi conversazione tra politici o militanti di tutti gli schieramenti. I pronostici, gli scenari, le motivazioni in punta di diritto, come se si fosse tutti giudici amministrativi, al pari dei ct della nazionale, si sprecano. E la paura per molti è quella di finire, prima del tempo, al voto.
Secondo più di una voce, il presidente Cota, in caso di una sentenza sfavorevole, sarebbe pronto a dimettersi subito. Così si metterebbe al riparo dal possibile ricorso di uno qualsiasi dei consiglieri regionali al Consiglio di Stato. Meglio non stare sulla graticola e puntare, sfruttando un governo amico, al voto in autunno. Così non si butterebbe via tutto il lavoro fatto, giocando sull´effetto protesta («La volontà dei piemontesi annullata dai giudici su richiesta del centrosinistra») e sulla luna di miele dei primi cento giorni. Proprio oggi pomeriggio Cota è atteso all´assemblea generale degli industriali per delineare, davanti a Marcegaglia e al presidente di Intesa Sanpaolo Beltratti cosa ha fatto nei suoi primi tre mesi di lavoro in piazza Castello. Due atout che il governatore del Carroccio intenderebbe giocarsi al più presto soprattutto se lo sfidante non sarà più Mercedes Bresso ma Sergio Chiamparino.
Questo è ormai è il segreto di Pulcinella e con il ricorsi al Tar si è già raggiunto un risultato: mettere tutti d´accordo in casa Pd. Il sindaco fa sapere di essere preso tra gli impegni dell´Anci, le ultime opere del mandato e la creazione di una lista civica che vada oltre il Pd per garantire al centrosinistra un primo cittadino dopo di lui. E prova anche a dissimulare, mostrando interesse per le fondazioni bancarie. Ma caduta l´ipotesi di un Bresso bis - soprattutto dopo che l´ex presidente ha deciso di ritirare la firma da tre dei quattro ricorsi al Tar in cambio della conferma sulla poltrona del comitato europeo delle regioni - Chiamparino è l´unico vero candidato anti-Cota.
Tra l´altro il primo cittadino non avrebbe più alibi. Ormai il suo mandato si è quasi concluso e non potrebbe più dire, come la scorsa estate, «Ho un patto con i torinesi e voglio rispettarlo fino in fondo». Sulla carta Chiamparino si presenta come un nome più difficile per Cota: quel 66 per cento di consensi che il sindaco era riuscito a raccogliere in città quattro anni fa è un viatico di peso. E siccome la provincia di Torino vale elettoralmente il resto del Piemonte, se Chiamparino riuscisse a raccimolare almeno un 54 per cento di voti, la vittoria non dovrebbe sfuggirgli. Fantapolitica? Può darsi, ma i gossip di piazza Castello raccontano di sondaggi fatti fare dal governatore per verificare tra lui e il sindaco chi la spunterebbe.
Per ora il centrodestra si affida al pressing e si gioca il tutto per tutto con la fiaccolata di questa sera. E dopo la marcia? Più di uno, anche tra gli azzurri e i leghisti, andrà alla festa di compleanno del fido Bongiovanni, il braccio destro di Chiamparino. Spente le torce della protesta si prova a capire che aria tira.
Stasera il centrodestra in piazza: "Difendiamo il voto dei piemontesi"
SARA STRIPPOLI
Ventimila firme per sostenere Roberto Cota. A 24 ore dalla fiaccolata anti-ricorsi organizzata per stasera dal centrodestra (ritrovo in piazza Arbarello alle 20), è questo il primo bilancio delle due macchine organizzative (separate ma dialoganti) di Lega e Pdl: 19.600 firme raccolte nei mercati e ai gazebo del Carroccio chieste ai cittadini «per difendere il voto dei piemontesi dello scorso marzo». Per stasera sono in arrivo dodici pullman targati Lega Nord dalle province del Piemonte ed è previsto anche un pullman dall´amica Lombardia. Pare infatti che camicie verdi della provincia di Como abbiano manifestato l´intenzione di non mancare all´appuntamento torinese. Sfileranno tutti i deputati azzurri e verdi, i sindaci, consiglieri e assessori. Il tam tam viaggia sui cellulari e via mail. In questi giorni sono andati in onda sulle principali radio locali gli spot commissionati dagli organizzatori del Carroccio, una manciata di secondi per invitare alla partecipazione: «Vieni anche tu in piazza a difendere il libero voto dei piemontesi» e tutti i gazebo verdi sono mobilitati. Ci sarà anche una sorpresa orchestrata dai giovani padani, anticipa il deputato Davide Cavallotto, 34 anni, che coordina l´organizzazione. E Mentre il Carroccio si è preoccupato di non far mancare le fiaccole, al Pdl è toccata invece la campagna stampa sui giornali. In questo caso l´organizzazione è nella mani dell´assessore regionale Barbara Bonino e al giovane Luca Piovano, ex-presidente della prima circoscrizione oltre che coordinatore cittadino del Popolo delle libertà. Anche del Pdl partirà un pullman da ogni provincia. Fatte le somme, un numero plausibile potrebbe essere portare in piazza Castello seimila-settemila persone (qualcuno si spinge fino alla soglia dei diecimila) anche se tutti si sottraggono al gioco della scommessa con i numeri: nel caso di effetto "vuoto" nessuno vuole finire sulla graticola. La ventilata ipotesi che una vittoria dell´Italia potesse oscurare con rumorose vuvuzelas le fiaccole della politica, è caduta, e anche i timori di pioggia si sono attutiti dopo le consultazioni del meteo dell´ultima ora.
Si parte dunque da piazza Arbarello attorno alle 20,30 per un percorso molto breve che termina in piazza Castello. Sul palco il triumvirato del centrodestra: Enzo Ghigo, Agostino Ghiglia e il presidente Roberto Cota. Dal centrosinistra continuano a levarsi voci di critica. Il capogruppo del Pd in Consiglio comunale dice che questa manifestazione «è assolutamente inaccettabile. Mai accaduto niente di simile dal 48 ad oggi. In questo modo si imbarbarisce il confronto politico». E il deputato Giorgio Merlo: «Può nascere un fossato fra maggioranza e opposizione».
Ghigo: una manifestazione per la libertà, non contro qualcuno
"Non vogliamo interferire sulla decisione dei giudici"
Quando si fanno i matrimoni si spera che vada tutto bene e funzioni: inutile dispiacersi a posteriori
Senatore Enzo Ghigo, il Pdl ha lanciato da subito l´idea della fiaccolata di questa sera a sostegno di Cota. Sempre convinti che sia la scelta giusta?
«Assolutamente sì. Abbiamo ritenuto che fosse opportuno chiamare a raccolta chi ha votato per il centrodestra per difendere il responso delle urne. Ripeto che checché ne dica il centrosinistra questa non è manifestazione contro qualcosa o per influenzare i giudici, bensì un corteo di cittadini che vogliono riaffermare il valore del proprio voto e la propria libertà di espressione. Non è certo un´interferenza».
Perché avete imbarcato Michele Giovine? Che fosse un pasticcione lo si sapeva da tempo, non crede?
«Quando si fanno i matrimoni si spera che vada bene e che funzioni. Del tutto inutile fare riflessioni a posteriori».
Il centrosinistra sostiene che questa fiaccolata possa alzare una pesante barriera fra maggioranza e opposizione. Condivide questa tesi?
«Le solite lacrime di coccodrillo del Pd. Il quale peraltro mi sembra assai più concentrato a gestire Mercedes Bresso che conferma sempre più la sua grande carica di antipatia e molto più preoccupato di combattere guerre di correnti al suo interno. Non credo con tutta franchezza che la manifestazione di questa sera possa inasprire il tono del confronto con l´opposizione. Noi aspettiamo serenamente il pronunciamento del Tar».
Il centrodestra non sta giocando anche sul timore che un ritorno alle urne possa immobilizzare la regione?
«È un dato di fatto. L´attuale governo regionale ha già messo in moto interventi significativi come il piano per l´occupazione e per lo sviluppo dell´economia e del territorio. Un ritorno alle urne motivato da cavilli burocratici e manovre politiche costituirebbe un danno smisurato per il Piemonte».
Crede che nel caso i ricorsi siano accolti, Cota scelga di presentare il ricorso al Consiglio di Stato o preferisca andare subito a nuove elezioni?
«Non ne abbiamo parlato».
(s.str.)
Morgando: dopo la mobilitazione di oggi tutto sarà più difficile
"Uno strumento di ricatto, addio confronto politico"
Se si dovesse tornare alle urne siamo prontissimi: già a marzo come coalizione abbiamo preso più voti
Gianfranco Morgando, crede che la fiaccolata di oggi possa alzare una barriera difficile da abbattere fra maggioranza e opposizione?
«Senza dubbio con la fiaccolata di questa sera si alza il livello dello scontro, così si trasforma in mobilitazione un dibattito che finora è stato soltanto politico. Sotto questo aspetto si rischia di rendere più grave il confronto, un salto dal quale è più difficile tornare indietro».
Durante il colloquio al Quirinale, Cota ha parlato anche di un possibile rischio per l´ordine pubblico. Lei cosa ne pensa?
«A me francamente questa decisione pare tanto la ricerca di un nuovo strumento di ricatto. C´è un nostro sistema istituzionale che prevede regole, equilibri e competenze. L´idea che da una decisione del potere giudiziario che non coincide con i propri interessi e desideri, possano derivare conseguenze sull´ordine pubblico mi sembra molto grave. Un fatto che avrebbe pochi precedenti. Prendiamo il caso Molise. Nessuno allora ha paventato rischi per l´ordine pubblico e non è successo proprio nulla».
Qualcuno si attendeva una contro-manifestazione del Pd, che invece non ci sarà. Perché avete scelto toni durissimi nel commentare la fiaccolata ma nessuna contromossa?
«Il Pd ha scelto un profilo moderato e io lo rivendico. Questo profilo dice che si rispettano le leggi e le decisioni della magistratura. Non abbiamo nessuna intenzione di metterci sullo stesso piano e non avrebbe alcun senso fare qualcosa in attesa che si pronunci il tribunale».
Ghigo accusa il Pd di organizzare riunioni carbonare a Roma per pianificare le mosse nel caso di ritorno alle urne. Si riferisce ovviamente al suo incontro con Bersani. Qualcosa da ribattere?
«Mi sembra davvero assurdo considerare una riunione carbonara uno dei tanti incontri periodici fra il segretario nazionale e il segretario regionale di una delle regioni più importanti. Si è parlato ovviamente della situazione del Piemonte ma non di candidature».
Se si torna a votare il Pd è pronto?
«Prontissimo. Ricordo che a marzo la coalizione del centrosinistra ha preso più voti di quella del centrodestra».
(s.str.)
ELEZIONI REGIONALI/DOMANI SERA RIUNIONE PUBBLICA C/O SEDE RADICALE CONTRO I FURTI DI LEGALITA' ... E DI COMPUTER!
Domani, lunedì 28 giugno, alle ore 21, presso la sede dell'Associazione Radicale Adelaide Aglietta (Torino, via Botero n. 11/f), si terrà una riunione pubblica in concomitanza della manifestazione del centro-destra in Piazza Castello.
Nella riunione radicale saranno ripercorsi i dieci anni di lotte per l'affermazione della legalità in Consiglio Regionale, attraverso i ricorsi (azioni popolari) in Tribunale - gli ultimi due nei confronti di Roberto Cota e Gianluca Buonanno - e la denuncia (cinque anni fa, non adesso o domani) delle illegalità commesse da Michele Giovine.
Sarà anche lanciata una sottoscrizione straordinaria per coprire le ingenti spese provocate dal furto dei computer della sede radicale, avvenuto la notte fra martedì e mercoledì scorsi.
Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani):
Leggo che Michele Giovine è diventato il capro espiatorio della situazione; tutti, ma proprio tutti (da Cota a Gariglio a Bresso) dichiarano di essere stati vittima di Giovine. Rivendico ancora una volta di essere stato l'unico, assieme ai miei compagni radicali, ad aver denunciato le illegalità di Giovine (che nel 2005 raccolse fra l'80 e il 90% di firme sulla sua lista, a sostegno anche allora del centrodestra) e chiedo ancora una volta: come mai nel 2005 nessuno fece ricorso al TAR per far decadere Giovine (i radicali non potevano farlo perchè non si erano presentati alle regionali)? Come mai nessuno, tranne i radicali, protestò quando Giovine nel 2007 fu mandato a rappresentare la Regione Piemonte alla "festa della legalità" di Don Ciotti e Libera in Calabria? Come mai Cota ha accettato di essere sostenuto da Giovine anche questa volta, pur avendo avuto modo di conoscere il suo operato in Consiglio in questi cinque anni?
Diciamolo: Giovine, a cui per cinque anni Cota, Bresso e Gariglio hanno concesso tutto, ha la sola colpa di aver voluto strafare: questa volta che non gli servivano le firme false a corredo della sua lista, ha voluto candidare amici e nonne per non rischiare di essere fregato da altri nelle preferenze ... per sua sfortuna ha trovato sulla sua strada la signora Luigina Polacco (leader dei Pensionati, quelli veri) che ha presentato l'esposto alla magistratura.
Cota, toni da sfida elettorale: "Sono una vittima di Giovine"
Tour tra i mercati: rifare il voto costa 25 milioni
DIEGO LONGHIN
Scene da ultima settimana prima del voto con militanti pronti a rispondere a tutti, a battere qualsiasi mercato. «È la Bresso che non vuol perdere signora - risponde sicura una giovane padana, polo verde, con qualche righina nera di troppo e fazzoletto cisalpino legato al polso - e ha chiesto pure aiuto ai magistrati». E le presunte magagne di Giovine, le presunte firme farlocche per la presentazione delle candidature? Nessuna domanda, nessuna spiegazione. Un quarto d´ora e sul mercato di Borgo San Paolo arriva il capo, arriva il governatore, accolto da applausi e qualche isolato mugugno. Prima tappa del tour.
In agenda, oltre via Di Nanni, c´è Porta Palazzo e via Porpora per quella che è una campagna elettorale preventiva, alla vigilia della fiaccolata del centrodestra di domani sera e del pronunciamento del Tar sui ricorsi contro le liste che sostenevano il leader del Carroccio. Cota attacca con la Bolkestein, si fa fotografare con l´onorevole Borghezio, accetta volentieri i pasticcini offerti da Tina, titolare della latteria panetteria dell´angolo, fornitore ufficiale dei gazebo leghisti a San Paolo. Sotto le note del «Và Pensiero» mentre discute con i sostenitori di immigrati, giustizia e piano lavoro.
Via tra i banchi e subito il tema si sposta. «Fate tornare la Bresso?», chiede la massaia di turno. Il governatore perde il sorriso e anche l´aplomb. Torna il volto duro di fine campagna, del testa a testa con l´ex presidente: «È stata un´elezione regolare, regolarissima, ma qualcuno si attacca a un cavillo e tenta una furbata vergognosa». Prima bordata: «È una truffa, sì, è una vergogna perché tornare alle urne costerebbe 25 milioni. La crisi economica è spaventosa e noi buttiamo via tutti questi soldi? Gli stessi che quelli di prima hanno buttato via per pagare una parcella ad un certo Fuksas per il nuovo grattacielo». E aggiunge: «Se irregolarità ci sono state si colpisca il responsabile». Ed ecco comparire il convitato di pietra, Giovine, il consigliere "furbetto" dei Pensionati.
Cota non ha parole di comprensione: «Se ha commesso degli illeciti io non lo difendo. Se ha commesso delle irregolarità io sono il primo danneggiato, la prima vittima. Ma non è giusto che paghi io e che paghino i piemontesi. Queste irregolarità non mettono in discussione la volontà dei cittadini, sacra». E rincara: «È solo un pretesto. Le liste sono state ammesse da un tribunale, non dalla politica e se c´era qualcosa che non andava i ricorsi andavano fatti prima, non adesso. Perché dobbiamo spendere 25 milioni». La cifra rimbomba fra i banchi. «Così tanto?», si chiede qualcuno. Forse la campagna preventiva permette di gonfiare un po´ i numeri. «Ma no, ma no - risponde la massaia - vada avanti lei mi piace più di quell´altra. La Bresso non è mai venuta qui». Dal banco una commerciante commenta: «E poi è più bello dal vivo che in tivù».
Sulla strada si presenta anche un immigrato che tenta di prendere in giro il governatore: «Sono senza permesso, mi puoi aiutare?». «E no - ribatte il leader del Carroccio - te ne devi tornare a casa. Non si fanno favoritismi a nessuno». Il marocchino ride, salta sulla bici e se ne va.
Si torna a parlare di Bolkestein. «Ma siamo sicuri che ci mettete una pezza?». «Lei non mi conosce - ribatte Cota - quando dico una cosa la faccio. Non mi faccio impressionare da nessuno, nemmeno da chi tenta di fare pasticci con il voto dei piemontesi». «Già, i biellesi son di parola», dice il fruttivendolo. «Veramente sono di Novara». Poco importa, stretta di mano e via. Sorrisi, visita per vedere come si fanno gli agnolotti buoni al Pastificio San Paolo e poi in macchina verso piazza della Repubblica. Anche qui strette di mano, un po´ più tiepide. «È stato di parola, è tornato», gli dice un ambulante. «Bene, bene, vada avanti così».
Il governatore non si fa scappare nessun problema, ascolta tutto e tutti. Dal cortile di casa che è uno schifo, alla buca per strada, dai bollettini della Tarsu troppo alti ai cassonetti non rimossi. Si annota questioni, numeri di telefono, chiama a rapporto il fido il capogruppo double face Mario Carossa, capo dei drappelli leghisti in Comune e in Regione. In via Porpora, a due passi dal quartier generale del Carroccio di via Poggio, il governatore gioca facile. È un continuo stringere mani. La prima giornata di campagna elettorale si chiude bene.
Gariglio: Giovine la scorsa legislatura ci ha tenuto spesso sotto scacco, il governatore lo sapeva ma ha accettato lo scambio
"Il leader dei pensionati? Un ricattatore"
Con Scanderebech, Lupi e Nicotra ci impose la leggina che consentiva di non raccogliere firme ai gruppi già in Regione
«La vera truffa è quella che è stata fatta ai danni dei piemontesi da alcuni alleati di Cota. Del resto Michele Giovine si era offerto anche alla nostra coalizione, in molti abbiamo chiesto alla presidente di non prendere neppure in considerazione questa ipotesi». Davide Gariglio ha presieduto il Consiglio regionale dal 2005 al 2010, dunque conosce bene Giovine, Scanderebech e tutti i protagonisti dei ricorsi.
Quanto è emerso la sorprende?
«No, purtroppo. Giovine era già incorso in episodio simile nelle liste di presentazione, quando il reato era stato depenalizzato. Non vedo come Cota potesse non sapere nulla di lui, eppure ha accettato lo scambio: ti porto 20.000 voti o più e tu fai apparentare la mia lista garantendomi così di tornare in Consiglio».
Eppure è stato con la vostra maggioranza che si è approvata la ‘leggina´ che consente a chi è già entrato una volta in consiglio di non raccogliere più firme. Leggina che molti criticano e che è alla base del ricorso contro Scanderebech…
«E´ vero, io stesso ero molto perplesso e ho cercato fino a fine legislatura di modificare quella norma. La verità è che Giovine, Scanderebech, Lupi e Nicotra ci ricattarono: se non la approvate, noi continuiamo l´ostruzionismo sul regolamento. Dopo due settimane, decidemmo di accettare, mi pare che soltanto Buquicchio (Idv) votò contro».
Qual è il suo giudizio sul consigliere Giovine?
«Preferirei non commentare. Dico solo che non si comportava in modo consono al suo ruolo, continuò a ricattare l´intero Consiglio usando tutto ciò che il regolamento gli permetteva. In questo modo chiese e ottenne di formare un gruppo autonomo. Il centrodestra lo usava per fare il ‘lavoro sporco´, ma all´ultimo lo ha lasciato solo».
E adesso?
«E adesso è chiaro che in questa partita alcuni giocatori della squadra che ha vinto erano dopati. Come regolarsi tocca ai giudici».
Perché il suo partito, il Pd, non ha partecipato ai ricorsi?
«Questo bisognerebbe chiederlo al segretario. Comunque, noi attendiamo con fiducia l´esito che arriverà dal Tar».
(v. sch.)
L´articolo pubblicato ieri da «Repubblica», rischia di inserire elementi di confusione che è bene precisare. Il primo. Dal titolo emerge che ho cambiato idea, cosa non vera, in quanto ho sempre affermato di voler sostenere il procedimento su Michele Giovine perché includeva un rilevante aspetto penale avviato dalla procura di Torino. Fin da subito, a differenza di molti, sono stata convinta che i ricorsi avviati fossero solidi e tale convinzione non è cambiata neanche dopo l´accordo politico raggiunto con il presidente Cota.
Accordo, lo ribadisco, raggiunto solo sui ricorsi amministrativi che non coinvolgessero ipotesi di reati penali e che voleva, inoltre rimuovere l´idea di un candidato sconfitto che non accettasse l´esito del voto. Non potevo, però come cittadina, rinunciare a sostenere un procedimento legale contro qualcuno che potrebbe aver commesso così gravi falsi ai fini elettorali.
Il secondo. I tempi di un procedimento giudiziario li decide solo il giudice coinvolto sul caso, ne i legali ne i giornali con i loro retroscena o ricostruzioni. Ad oggi rimane invariata la convocazione dell´udienza il prossimo 1 luglio e solo allora sapremo se ci saranno rinvii o decisioni di merito. Dobbiamo, a pochi giorni dalla convocazione delle parti e ognuno con le proprie aspettative, avere fiducia nella magistratura.
Galeotto fu il telefonino: dai tabulati forniti da Telecom e Vodafone, infatti, risulta che né Michele Giovine né il padre Carlo, entrambi rinviati a giudizio per falso nell´affaire delle firme dei candidati alle regionali, si trovavano nei pressi di Gurro o di Miasino, i due Comuni dove sono consiglieri comunali, gli unici nei territori dei quali avrebbero potuto, secondo la legge, autenticare le firme, in quel 25 febbraio nel quale dichiararono di averlo fatto. Lo stesso vale per molti candidati, in particolare per quelle intere famiglie, a loro volta imparentate da vicino o da lontano con i Giovine, che risiedono fuori Piemonte.
C´è chi telefonava tranquillamente da casa sua, a Verona, proprio nelle stesse ore nelle quali avrebbe affrontato il lungo viaggio verso Gurro, accompagnata proprio da Giovine. Viaggio del quale non ricorda nulla, in buona compagnia di altri fratelli di lista: né il tipo di vettura condotta dall´infaticabile leader dei Pensionati per Cota, né l´autostrada percorsa né tanto meno la circostanza (per altri candidati) che Miasino sia nell´entroterra di Intra. Dimenticato anche il luogo della firma, «un bar, forse un circolo, oppure se doveva essere un ufficio sarà stato un ufficio…». Altri, più coerenti con se stessi, hanno raccontato al pubblico ministero Patrizia Caputo di non aver mai saputo di essere candidati, come P.V., una giovane signora milanese che spiega così il fatto che la sua firma sia stata falsificata e i suoi dati anagrafici correttamente trascritti: «Ho avuto una relazione sentimentale con Michele Giovine fino al 2002/2003». L´attuale fidanzata, invece, S.F., ha preso parte attiva alla raccolta più o meno regolare delle firme, così come hanno fatto schiere di cugini, cognati, madri e nonne che volevano «fare un favore» a quel ragazzo tanto appassionato di politica. C´è anche la povera signora Clementina Torello, classe 1919, che i carabinieri hanno raggiunto nella sua abitazione a San Salvario dalla quale l´anziana donna non esce mai, tanto meno per recarsi nell´entroterra di laghi o sulle colline novaresi. Per parlarle è dovuto intervenire un vicino di casa, che ha firmato al posto suo perché la signora era «troppo spaventata», e anche i militari ne hanno avuto compassione.
E che dire del fatto che intorno al 6 maggio lo stesso Giovine abbia vissuto un supplemento di campagna elettorale, dovendosi recare a casa di numerosi ex candidati non eletti che sapeva essere stati convocati in Procura per testimoniare? Qualcuno invece ha accettato il suo invito, nonché il passaggio in auto suo o del padre fino al Palagiustizia, tanto è vero che in un verbale della polizia giudiziaria c´è anche la telefonata di una signora a ‘Carlo´, fatta subito dopo l´interrogatorio: «Basta, lasciatemi andare, voglio tornare a casa subito». Altri hanno riferito al pubblico ministero: «Giovine è venuto ieri a casa mia, mi ha suggerito di raccontare che ero stata a Gurro con lui, il che non è vero. Mi sono arrabbiata, perché se me lo avesse chiesto io avrei firmato». E ancora: «Si tratta di un cugino che vedo di rado», «So che è impegnato in politica, io personalmente simpatizzo per la Lega con la quale in passato mi sono candidato a….».
Insomma, sull´evidenza che ha indotto il giudice Anna Ricci a convocare Carlo e Michele Giovine per il giudizio immediato alle 9 del mattino del 15 dicembre non sembrano esserci dubbi, così come non ne avevano Patrizia Caputo, il procuratore aggiunto Andrea Beconi e il procuratore capo Gian Carlo Caselli che hanno firmato la richiesta. Il resto è – per ora – nelle mani del Tar.
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Zie ed ex fidanzate inchiodano la lista di Giovine
Oltre delle polemiche politiche, ieri, è stato il giorno delle fotocopie degli atti che accusano Michele Giovine e il padre Carlo di aver falsificato le firme di 18 dei 19 candidati della lista «Pensionati per Cota». Oltre ai collaboratori dei difensori Cesare Zaccone e Roberto Bronzini, è stato concesso di riprodurre verbali e consulenza grafica all’avvocato Enrico Piovano, che ha promosso il ricorso amministrativo di fronte al Tar Piemonte per conto di Mercedes Bresso e Luigina Staunovo: «Li depositerò al tribunale amministrativo all’inizio della prossima settimana come motivi aggiuntivi del ricorso».
Il gip Anna Ricci ha disposto il giudizio immediato - che per la cronica carenza d’organici del tribunale inizierà solo il 15 dicembre - sulla base dell’«evidenza» delle prove raccolte. In primis, gli accertamenti sulle celle telefoniche agganciate dai cellulari dei due Giovine e di molti candidati della lista nei giorni - il 24 e il 25 febbraio scorsi - in cui a Miasino e Gurro, alto Piemonte, gli uni avrebbero sottoscritto le candidature alle Regionali e gli altri ne avrebbero autenticato le firme. La tecnologia li smentisce tutti. Stavano da tutt’altra parte. Michele Giovine, ad esempio, il 25 non si è mosso dal centro di Torino.
Gli stessi verbali di interrogatorio dei candidati sono diventati prove d’accusa. Lo zoccolo duro di zii e cugini dei Giovine non ha tentennato nemmeno di fronte alle contestazioni del pm Patizia Caputo. Carlo Giovanni Tirello, cugino di Carlo, sembra persino non rendersi conto: racconta che il parente va a prendere in auto a Nizza Monferrato lui e la moglie alle 15 per portarli a Miasino, sul lago d’Orta, e alle 17.30 di averli riportati a casa. Si contraddice, è evidente, e si corregge così: «Abbiamo impiegato il tempo che ci voleva». «Ho firmato al bar». Il pm: «Ai carabinieri aveva parlato di un ufficio». Lui: «Al bar o in ufficio fa lo stesso. Che la mia firma è falsa lo dice il perito». Il magistrato insiste: «Quando ha visto per l’ultima volta suo cugino?». L’altro: «Adesso. Ci ha accompagnato qui. Gli ho telefonato e gli ho detto: “Se non viene una macchina a prenderci noi non andiamo là”. Che male c’è se gliel’abbiamo detto: non siamo mica delinquenti e nostro cugino non è un estraneo». La moglie si allinea, anche se ricorda poco di quel giorno: «Avevo un forte mal di testa».
Dai verbali si apprende che Michele Giovine ha contattato i candidati e testimoni il giorno prima della convocazione in procura per chiedere loro di confermarne la versione. Ma i Trupo, padre e figli, non accettano: «Se ce l’avesse chiesto, siamo amici, avremmo firmato. Non l’ha fatto. Tanto meno siamo stati a Gurro». Valentina Pantano, un’ex fiamma di Michele, è ancora più netta: «Dal 2002 non mi occupo più di politica, non sapevo nemmeno di essere stata candidata, vivo a Milano».
I parenti restano lo zoccolo duro. Dina Martufi, cugina del consigliere regionale, premette di non essersi mai occupata di politica: «Non avevo nessuna intenzione di candidarmi in Piemonte. L’ho fatto senza rendermi conto del peso della cosa. Ho accettato per aiutare mio cugino e mio zio. La mia firma sul modulo della candidatura e quella sulla carta d’identità sono così difformi perché la prima l’ho fatta quando portavo un tutore». C’è chi ha provato a giustificare la firma diversa sostenendo «mi viene in un modo o in altro secondo l’umore» o «il forte stato emotivo di quel momento». C’è pure una zia di Sara, la fidanzata di Michele Giovine, che assicura di aver fatto, il 25 febbraio, il doppio tour: firma a Miasino e poi a Gurro, in cima al Verbano, «non so perché», e di fronte al consigliere regionale firma in piazza, «a sera tardi».
Quel giorno lei, la sorella e la nipote (che era a Torino, secondo il suo telefonino) portano in Val Cannobina anche la madre classe 1923, «da 9 anni colpita dal morbo di Parkinson», e che pure, con l’aiuto di un deambulatore, a febbraio si sposta da Verona per «aiutare mia nipote». Solo la candidata più anziana, 91 anni, ammette di aver firmato a Torino: «Mio nipote mi ha portato un modulo della lista per cui lavora». Così come Rosina Trigila, zia di Giovine: «Ho firmato qui, non ho altro da aggiungere».
Michele Giovine verrà processato per la stessa violazione per cui fu indagato nel 2005, dopo la sua prima elezione a Palazzo Lascaris. Quella volta se la cavò con un’assoluzione per la prescrizione del reato perché: la falsità prevista dalle norme speciali elettorali era stata ridotta dal Parlamento da delitto ad ammenda, punita con una sanzione pecuniaria da 500 a 2000 euro; pure i tempi di prescrizione divennero brevissimi e Giovine non dovette pagare nemmeno quei quattro soldi.
Però, nel novembre 2006, la Corte Costituzionale, relatore Giovanni Maria Flick (un ex Guardasigilli) dichiarò l’illegittimità del comma ricontestato oggi a Giovine. Automaticamente è stato ripristinato il «delitto» punibile con il carcere.
Il perito «Imitazioni fatte da un dilettante»
«La falsità delle firme è chiara ed incontrovertibile». Il consulente grafico della procura è Luigi La Sala, ex prefetto a Torino con un incarico ad hoc per le Olimpiadi 2006, ex questore di Lecce, Vercelli, Reggio Calabria e Venezia, con alle spalle un curriculum di investigatore scientifico eccezionale. Ora che è in pensione fa il libero professionista e il procuratore capo Gian Carlo Caselli e l’aggiunto Andrea Beconi l’hanno arruolato come consulente tecnico.
Il 7 giugno firma un’«anticipazione» della relazione finale: «Le firme sono risultate palesemente apocrife e sono state eseguite da parsona (o persone) che si è avvalsa (o si sono avvalse) di modelli noti predisposti. In sostanza, chi ha falsificato, ha cercato di imitare le vere firme, riproducendole il più fedelmente possibile e per quanto consentitogli dalla sua capacità grafica di falsario».
Il giudizio dell’esperto sull’abilità del falsario sembra tutt’altro che lusinghiero. Preciso, La Sala esprime «un’unica riserva relativamente alla firma di accettazione di Giovanni Persi, sulla cui autenticità nutro ancora qualche perplessità». Ma il 14 giugno, con la relazione finale fuga anche quell’ultimo dubbio: «E’ stato un impegno organizzativamente laborioso, ma nella comparazione delle firme semplice». Aggiunge: «E’ risultato evidente e incontrovertibile, a mio parere, che tutte le sottoscrizioni delle varie candidature siano totalmente apocrife». Va da sé che non ha controllato quella di Giovine.
Infine: «Escludo in maniera categorica che le diversità evidenziate possano essere ricondotte, ad esempio, a stati emotivi o scomodità esecutive».\
Giovine e il padre a processo. Firme false, il gip non ha dubbi
Dopo l´estate il giudizio per il consigliere dei Pensionati
La procura
Decisiva la perizia calligrafica: errori grossolani, nel mirino le sigle di 18 candidati
SARAH MARTINENGHI
E´ arrivata come previsto nei cinque giorni di tempo previsti dal codice, la decisione del giudice per le indagini preliminari: la richiesta della procura è stata accolta, dunque Michele Giovine e suo padre Carlo andranno a giudizio per aver falsificato le firme dei candidati della lista "Pensionati per Cota" alle recenti elezioni regionali. Un giudizio immediato, come avevano chiesto il sostituto procuratore Patrizia Caputo e l´aggiunto Andrea Beconi, perché le prove raccolte durante le indagini sono state ritenute così forti da poter saltare la fase dell´udienza preliminare. E anche il gip, evidentemente, le ha ritenute tali.
Non si sa ancora quale sia la data fissata per il processo, che comunque comincerà dopo l´estate. Gli avvocati difensori dei due indagati, Cesare Zaccone e Roberto Bronzini, hanno comunque a disposizione tre alternative di giudizio per i loro assistiti: la prima è quella di scegliere il rito ordinario, e in questo caso padre e figlio saranno giudicati davanti alla prima sezione del tribunale presieduta da Giuseppe Casalbore. Oppure potranno scegliere il rito abbreviato, o ancora il patteggiamento, che comportano lo sconto di un terzo sulla pena, e in questi casi finirebbero davanti al giudice per l´udienza preliminare. L´accusa è quella di falso ideologico. Le firme considerate false dalla procura sono state diciotto su diciannove. Michele Giovine, esponente principale della lista, rieletto in consiglio regionale con 27 mila preferenze, e suo padre Carlo potevano procedere all´autenticazione delle firme dei candidati in quanto consiglieri comunali rispettivamente nel comune di Gurro (nel Verbano) e di Miasino (Novara), ma avrebbero preferito utilizzare una "scorciatoia" e apporre loro le firme al posto dei prescelti. La perizia calligrafica aveva confermato i sospetti dell´accusa: i due avrebbero commesso alcuni errori grossolani avendo inserito nominativi di ultranovantenni che abitavano fuori da Piemonte, oltre ad aver utilizzato persone della propria famiglia come candidati (falsificando anche le loro firme).
Il pm Caputo, nei giorni precedenti alla chiusura dell´inchiesta aveva sottoposto i due a interrogatorio: entrambi però si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Ora il Tar, che deve decidere il primo luglio su questo e altri ricorsi, potrebbe chiedere l´acquisizione degli atti dell´inchiesta penale prima di pronunciarsi sull´eventuale annullamento delle elezioni.
All´esame del Tar presunte irregolarità di liste decisive per la vittoria della Lega. Lunedì fiaccolata del centrodestra
In Piemonte è rissa sui ricorsi anti-voto Cota: aria di golpe. Bresso: non minacci.
Il 1° luglio responso dei giudici del Tar Per i pm accertata la falsità di numerose firme
VERA SCHIAVAZZI
TORINO - «Per usare un eufemismo, i piemontesi non la prenderebbero bene». Roberto Cota, presidente leghista del Piemonte, ha spiegato così, ieri in Consiglio regionale, quel che pensa di una possibile sentenza negativa del Tar, che il 1° luglio dovrà pronunciarsi su due diversi ricorsi che chiedono l´annullamento del voto. E in serata ha rincarato la dose: «I golpe li fanno in Sudamerica, se accadesse qui sarebbe una rivolta. Non è facile rubare le elezioni». Vicino a lui, a un convegno, c´era anche Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e possibile futuro avversario di Cota in caso di ripetizione delle elezioni: «In Italia esiste il diritto. I ricorrenti hanno diritto di farlo».
In aula Cota aveva concluso con un «ora me ne vado a lavorare» che ha indotto i consiglieri del Pd ad occupare i seggi per protesta. Oggi il Pdl, con la Lega, tappezzerà la città di manifesti con la faccia di Cota "imbavagliata" da due grandi strisce di nastro adesivo rosso: annuncia la fiaccolata prevista per lunedì "per difendere il voto dei piemontesi da chi non sa perdere". L´irritazione del centrodestra, e i timori che i ricorsi possano essere accolti, è palese già da qualche giorno, ed è cresciuto a mano a mano che anche dalla Procura (che indaga sui possibili risvolti penali delle irregolarità nella presentazione della lista Pensionati per Cota) giungevano segnali che confermavano la potenziale forza delle contestazioni avanzate dalla ex presidente Mercedes Bresso e dai suoi alleati. Bresso ha ritirato la firma dai ricorsi in seguito a una trattativa con lo stesso Cota che l´ha portata alla presidenza del Comitato delle regioni della Ue, ma in queste è comunque intervenuta: «Cota aspetti la sentenza senza minacciare nessuno».
Ma che cosa sostengono i ricorsi che potrebbero annullare i risultati di una Regione-chiave tornata al centrodestra e con la Lega ora al vertice? I due procedimenti amministrativi sottopongono al Tar da un lato eccezioni contro tre liste (quella centrista guidata da un ex-Udc, Deodato Scanderebech, quella dei Verdi Verdi concorrenti agli ambientalisti del centrosinistra e quella dei Consumatori, tutte apparentate a Roberto Cota e destinatarie di circa 50.000 voti, mentre lo scarto tra il presidente leghista e la sua avversaria è stato di 9.000) e dall´altro contestazioni a quella Pensionati per Cota guidata da un consigliere regionale uscente, Michele Giovine. Quest´ultimo, insieme al padre Carlo, è iscritto nel registro degli indagati e i pm Andrea Beconi e Patrizia Caputo hanno già chiuso l´indagine che li riguarda, chiedendo il giudizio immediato: il gip dirà oggi se è d´accordo, ma intanto si è appreso che le prove sulla falsità di una parte delle firme degli stessi candidati in lista sono state ritenute chiare dai magistrati, che proprio per questo hanno optato per la strada più rapida. In attesa di una sentenza penale di primo grado, dunque, il Tar potrebbe sospendere il giudizio sul caso-Pensionati, pronunciandosi invece sulle altre tre liste. E, secondo le voci che arrivano dall´ambiente politico e dagli esperti di diritto, ci sarebbero elementi sufficienti per un annullamento: simboli confondibili con altri, mancanza di firme di presentazione. Ci sono tutti gli ingredienti, dunque, perché Torino diventi nei prossimi giorni l´epicentro di un altro capitolo della guerra che da tempo oppone il Pdl e il suo leader a gran parte dei magistrati italiani.
«E adesso scusatemi, vado a lavorare». Poche parole che hanno trasformato il congedo di Roberto Cota dai consiglieri regionali in un vero incidente diplomatico con l’aula. E che, soprattutto, rendono l’idea di un clima arroventato dall’incognita dei ricorsi sui quali il Tar si pronuncerà il primo luglio. Non è un caso se la decisione dei giudici, con gli scenari possibili, ha tenuto banco per il resto della giornata del governatore qualificandosi come il convitato di pietra del suo avvio di mandato: dalla visita in Università al dibattito sul federalismo con Luca Ricolfi e Sergio Chiamparino. L’uomo che, nell’eventualità di un ritorno al voto, potrebbe sbarrargli la strada.
Per capire le motivazioni che hanno innescato la bagarre a Palazzo Lascaris - seduta sospesa, emiciclo occupato dai consiglieri Pd, volti paonazzi per la rabbia, riunioni concitate - bisogna riportare le lancette indietro di un quarto d’ora rispetto alle ultime parole famose.
Consiglio regionale, ore 11: all’ordine del giorno, le comunicazioni del governatore sui ricorsi. E’ venuto ad ascoltarlo anche Gianfranco Morgando, il segretario regionale del Pd. Cota si lancia in un’arringa veemente. Le sue parole planano nell’aula, ascoltate in perfetto silenzio. «Chi ha più da perdere dai ricorsi è la sinistra», attacca Cota: «E poi chi ricandidano, Bresso? Il suo idealismo si è fermato al posticino in Europa». Soprattutto, non si capacita di una manovra che, a urne chiuse, punta a ribaltare la scelta dei piemontesi, del popolo: «Ho combattuto a viso aperto, e ho vinto. La sovranità appartiene al popolo, il suo voto è sacro e nessun giudice può ridiscuterlo. Solo le dittature pretendono di comandare affidandosi ai cavilli giuridici». Un fiume in piena. E ancora: «Non sottovalutate i piemontesi. Sotto elezioni avete diffuso un manifesto con su scritto “Piemontesi, non pirla”... infatti non vi hanno votato».
Poi il congedo: «Ora scusatemi, vado a lavorare». Cota gira i tacchi e abbandona l’aula, lasciando basiti i consiglieri di opposizione. Un secondo dopo è il caos: il centrodestra applaude, il centrosinistra esplode. A farne le spese è Valerio Cattaneo, il presidente del Consiglio. I primi a insorgere sono Aldo Reschigna e Wilmer Ronzani: «Qui non siamo a Pontida, difenda il ruolo e la dignità dell’aula!». «E’ una vergogna! - si sgola Taricco rivolto a Cattaneo -. Lo faccia rientrare subito!». Brucia l’assenza del contraddittorio. Bruciano, in particolare, le ultime parole di Cota. Come se i consiglieri fossero dei perditempo e l’aula un mero optional dell’azione della giunta.
Cota non torna. Mentre fioccano i comunicati - da Bresso al Pd (Morgando, Reschigna), da Sel (Cerutti) alla Federazione della Sinistra (Petrini, Chieppa, Artesio), passando per Italia valori (Buquicchio) e il Movimento 5 Stelle (Bono, Biolè) - comincia un’incandescente riunione dei capigruppo. Oggi l’opposizione, decisa a inchiodare il Consiglio finchè Cota non tornerà in aula, saprà come butta: il nuovo round potrebbe essere calendarizzato venerdì o martedì prossimo. Pdl (Ghigo, Bonino, Porchietto, Montaruli) e Lega (Carossa, Allasia) difendono a spada tratta il governatore.
Lui tira dritto. Nel primo pomeriggio, all’Università, ripete il concetto e lo ribadisce a sera durante il confronto con il sindaco: «Siamo in uno stato di diritto, non è facile rubare le elezioni». Quanto a Chiamparino, «lo rispetto ma non ho paura di nessuno». «In Italia esiste il diritto, che è fondato sul rispetto delle regole», taglia corto il sindaco. In ogni caso, conclude attingendo per una metafora da uno dei suoi giochi preferiti, «i punti si contano quando le bocce sono ferme».
AZIONE POPOLARE RADICALE/AVVOCATO PROCACCI CHIEDE NON LUOGO A PROCEDERE O ANTICIPO UDIENZA PER EVITARE LA “STRUMENTALIZZAZIONE MEDIATICA” …
A PROPOSITO, PROCACCI QUANDO SI DIMETTE DAL CORECOM?
Questa mattina l’avvocato radicale Alberto Ventrini, che cura assieme al collega Antonio Polito le due “azioni popolari” contro Roberto Cota e Gianluca Buonanno, ha ritirato al tribunale di Torino una memoria dell’avvocato Luca Procacci, legale di fiducia di Cota e di Buonanno, in cui si riassume quanto avvenuto negli ultimi venti giorni:
- il 3 giugno scorso i cittadini elettori Nathalie Pisano, Silvio Viale e Salvatore Grizzanti (rispettivamente segretaria, presidente e tesoriere Associazione Radicale Adelaide Aglietta) presentavano ricorso (cosiddetta “azione popolare”) nei confronti di Cota e Buonanno per far sancire la loro incompatibilità;
- l’8 giugno il Tribunale di Torino, Sezione I Civile, fissava l’udienza di discussione del ricorso per il giorno 13 luglio;
- gli avvocati radicali notificavano il ricorso tramite ufficiale giudiziario a Cota e Buonanno; il primo riceveva il ricorso l’11 giugno, il secondo il 14 giugno;
- lo stesso 14 giugno Buonanno si dimetteva da consigliere regionale (ai sensi dell’art. 6 della Legge 154 del 1981, avrebbe dovuto dimettersi entro il 13 maggio);
- il 17 giugno, con lettera inviata al Presidente della Camera, Roberto Cota si dimetteva da deputato, poiché “in data 23 aprile 2010 sono stato proclamato Presidente della Regione Piemonte” (dunque, avrebbe dovuto dimettersi entro il 3 maggio 2010).
Tutto ciò premesso, l’avvocato Procacci chiede al Tribunale di Torino di “dichiarare il non luogo a provvedere sul ricorso” oppure, in via subordinata, di anticipare l’udienza del 13 luglio, “al fine di evitare il protrarsi della strumentalizzazione mediatica della vicenda in oggi persistente sui principali quotidiani”.
Il radicale Giulio Manfredi ha commentato:
Siamo del tutto favorevoli a chiudere la pratica dopo aver costretto con la nostra azione popolare Cota e Buonanno a rispettare finalmente sia la Costituzione (art. 122) sia una legge dello Stato.
A proposito di strumentalizzazioni, invitiamo l’avvocato Procacci, visto che è occupatissimo a scrivere memorie e a fare dichiarazioni ai giornali, a dimettersi dal Comitato regionale delle Comunicazioni (Corecom). Ricordo all’avv. Procacci che l’art. 3 della legge istitutiva del Corecom così recita: “Il CO.RE.COM. é costituito da otto componenti, scelti tra persone che diano garanzia di assoluta indipendenza sia dal sistema politico istituzionale che dal sistema degli interessi di settore nel campo delle telecomunicazioni …”.
Che garanzie di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale può fornire il portavoce legale del Presidente della Regione Piemonte?
Una voce su Cota: se il Tar gli dà torto subito alle elezioni
Nel caso in cui il Tar accogliesse il ricorso sulle firme false presentate per la lista dei Pensionati che appoggiano Cota, il governatore, secondo alcune fonti, rinuncerebbe al ricorso in Consiglio di Stato preferendo di tornare subito alle urne.
Arriva in aula a Palazzo Lascaris la polemica sui ricorsi elettorali che sta occupando la scena politica piemontese nelle ultime settimane. Questa mattina Roberto Cota riferirà davanti al Consiglio regionale sulla sua posizione e sulle dichiarazioni rilasciate una settimana fa in cui aveva parlato, in caso di annullamento delle elezioni di «golpe giudiziario e aveva addirittura minacciato una sorta di ribelllione popolare.
Il Tar deciderà sui ricorsi presentati da Mercedes Bresso (che poi ha ritirato la sua firma) dai Verdi, dai Pensionati e dall´Udc il 1 luglio. Alla luce dell´inchiesta penale sulla lista Pensionati per Cota (che ha avuto 27 mila voti e eletto in Consiglio un suo rappresentante, Michele Giovine) che avrebbe accertato che le firme per le candidature di quel movimento erano false, e del precedente del Molise nel 2001 sia nel centrosinistra che nel centrodestra si spera (o si teme) che si debba ritornare al voto. La decisione del Tar piemontese però dovrà poi essere confermata, in caso di ricorso di qualcuno degli interessati, anche dal Consiglio di Stato, probabilmente in autunno. Cota spera che venga accettata la tesi dei suoi legali che sostengono che il ricorso sia stato presentato in ritardo rispetto ai tempi di legge. Altrimenti, in caso di responso negativo del Tar, si dice potrebbe accelerare i tempi e decidere di dimettersi subito, accelerando così il ritorno alle urne. Ma Cota potrebbe anche semplicemente non ricorrere al Consiglio di Stato: dopo 90 giorni la sentenza di primo grado diventerebbe esecutiva. Quindi a ottobre si dovrebbero indire nuove elezioni regionali. Intanto ieri la Federazione della Sinistra ha deciso di intervenire nel ricorso al Tar sull´esito delle elezioni contro le irregolarità delle liste. Partecipa ad adiuvandum dei ricorrenti.
Radicali contro l’illegalità: presentato ricorso contro la convalida dell’elezione di Vasco Errani a presidente della Regione Emilia Romagna.
Bologna, 21 giugno 2010
I radicali Monica Mischiatti e Werther Casali, membri del comitato nazionale di Radicali Italiani, assistiti dall’avv. Santiago Arguello, hanno oggi presentato, presso il Tribunale di Bologna, un ricorso contro la convalida dell’elezione di Vasco Errani a presidente della Regione Emilia Romagna.
L’attuale presidente Vasco Errani ricopre tale carica ininterrottamente dal 2000, con due mandati completi e consecutivi svolti in base alla legge che prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente della giunta regionale.
La situazione d’ineleggibilità deriva dalla legge che elettorale approvata nel 2004 nella quale si prevede “la non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto”.
Le ultime elezioni regionali hanno confermato lo stato di perenne illegalità nel quale versa il nostro paese: la violazione delle elementari norme democratiche e le disparità di condizioni hanno determinato l’esclusione nella maggior parte delle regioni della Lista Bonino Pannella.
I radicali denunciano da decenni che le regole democratiche alla base della Costituzione sono state fin da subito disattese dai partiti, che si sono impadroniti del sistema politico-istituzionale del nostro Paese.
Giorgis, costituzionalista e presidente del Pd, replica al leghista: "Parole fuorivianti"
"Grave parlare di violazioni, la decisione non è scontata"
Da ministro dovrebbe alimentare la fiducia nelle istituzioni non parlare di attentati alla democrazia
Al giudice ci si può appellare solo dopo le votazioni: Calderoli semmai proponga di modificare la legge
Andrea Giorgis, dopo Cota e Bossi anche Calderoli ha definito antidemocratico un possibile annullamento delle elezioni regionali in Piemonte. Lei è un esperto di diritto amministrativo, oltre che un esponente del Pd. Non è che hanno qualche ragione?
«È molto grave che un ministro della Repubblica consideri il pronunciamento di un giudice e l´applicazione della legge come un attentato alla democrazia. Non entro nel merito di quello che sarà il giudizio del Tar. Ma la democrazia è innanzitutto rispetto delle regole. In questo particolare caso c´è una legge, la 570 del 1960 che disciplina i ricorsi elettorali. Prevede espressamente, all´articolo 83, che i ricorsi per violazione della disciplina elettorale siano presentabili soltanto dopo la proclamazione degli eletti. Delle due l´una: o quelle leggi possono essere tranquillamente violate, oppure se si ritiene, come si deve ritenere, che anche le leggi elettorali debbano essere rispettate, se c´è il sospetto di una violazione occorre avere fiducia nel pronunciamento dei giudici».
Qualche firma falsa per convalidare una candidatura è una violazione grave?
«Sì, qui parrebbero essersi consumate violazioni molto gravi che integrano reati penalmente rilevanti, cioè di falso ideologico. È nell´interesse di tutti che non ci siano ombre sui risultati dei confronti elettorali. Anche chi vince è interessato a fugare ogni dubbio sulla legittimità del proprio consenso».
Perché il ricorso non è stato presentato prima delle elezioni? «La legge prevede che se una lista viene esclusa dall´ufficio elettorale i rappresentanti di questa lista possono fare immediatamente un ricorso all´ufficio elettorale centrale perché sia riammessa. È dubbio che analogo ricorso allo stesso ufficio elettorale possa essere fatto anche da chi vorrebbe che altre liste venissero escluse. In ogni caso però il ricorso al giudice si può fare per legge solo dopo le elezioni. Questo vale anche per le liste escluse. È un paradosso: ma il ministro Calderoli prima di parlare di attentato alla democrazia proponga una modifica della legge sui ricorsi elettorali».
Quindi anche lei pensa che ci sia qualche cosa da cambiare in questa procedura?
«Dal punto di vista dell´opportunità forse da questa vicenda, come da quella che si è consumata 9 anni fa in Molise, il legislatore nazionale potrebbe trarre spunto per rivedere la legge del 1960 e ammettere, per esempio, i ricorsi giurisdizionali preventivi, oggi esclusi. Anche se talvolta certi vizi è difficile accertarli prima delle elezioni. Ad esempio un´indagine penale per le firme false non potrebbe essere fatta prima, a meno di rinviare le elezioni. Si potrebbe anche anticipare i termini per la presentazione delle liste per permettere verifiche più puntuali. Insomma il problema è complesso. L´unica cosa che non si può fare è ritenere la materia elettorale sottratta al principio di legalità e di costituzionalità. Non può valere tutto, perché quello è uno dei momenti più importanti della democrazia e quindi deve svolgersi nell´assoluto rispetto delle regole».
Molti ritengono che a questo punto la possibilità che le elezioni vengano annullate sia alta. Concorda?
«La decisione del Tar non è per nulla scontata e non è possibile prevederne l´esito. Però è grave che si alimenti la sensazione che un eventuale annullamento delle elezioni costituisca una violazione della democrazia. È esattamente il contrario. Specie chi ricopre cariche istituzionali dovrebbe alimentare la fiducia nelle istituzioni. Se i cittadini dovranno tornare la voto la responsabilità non sarà del giudice amministrativo, ma di chi ha violato le regole».
Scusi ma per evitare casi come questo non sarebbe sufficiente non presentare liste civetta?
«È preoccupante e avvilente constatare il ripetersi di questi fatti: ad ogni elezione, da una parte e dall´altra, ci sono liste pensate solo per ingannare l´elettore. È un fenomeno che andrebbe stroncato in maniera radicale».
(m.trab.)
Calderoli "spalleggia" Cota sulla battaglia dei ricorsi al Tar
Il voto in bilico
A Pontida tace sul rischio amministrativo e lancia l´idea di Torino capitale dell´industria e del lavoro
Sull´ammissibilità di una lista si deve valutare prima: altrimenti si va contro la scelta del popolo
MARCO TRABUCCO
«Una decisione antidemocratica» così ieri al raduno leghista di Pontida il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli ha definito l´ipotesi che il Tar del Piemonte possa accogliere il ricorso contro l´elezione del presidente della Regione Roberto Cota. «Trovo che sull´ammissibilità della lista - ha spiegato Calderoli - si debba valutare prima delle elezioni. Un ricorso dopo sarebbe inammissibile e sarebbe incredibile che un Tar possa modificare l´esito di una consultazione popolare. Sarebbe veramente antidemocratico». Da Pontida, dall´annuale raduno leghista, però arriva anche un appello congiunto di Bossi e di Cota per far tornare a Torino un ministero: «Il decentramento significa distribuire i poteri della capitale, cioè di Roma - ha detto il senatùr nel suo discorso - e con il decentramento dei ministeri, molte città potranno avere i poteri della capitale e tra queste in particolare Torino, Milano e Venezia». Le tre capitali padane, insomma. Il governatore piemontese Roberto Cota ha preso la palla al balzo: «Torino deve essere la capitale dell´industria e del lavoro e lo faremo grazie a Bossi e al sostegno del popolo leghista» ha detto dal palco di Pontida. Poi riferendosi alle polemiche su Pomigliano ha aggiunto: «Eravamo solo noi all´inizio a dire che bisognava tutelare i nostri prodotti. Solo noi dicevamo che bisognava smettere di delocalizzare e bisognava invece rilocalizzare in Italia le produzioni. Adesso lo chiedono tutti».
Tornando alle polemiche sui ricorsi la dura dichiarazione di Calderoli arriva dopo quella di Umberto Bossi che mercoledì a Torino, con un po´ più di ironia, aveva però ripetuto lo stesso concetto: «C´è gente che non accetta mai di perdere perché perdere non è bello, ma capita. E poi certi ricorsi andavano fatti prima, non dopo» aveva affermato a proposito dei ricorsi elettorali presentati, da Pensionati, Verdi e Udc, contro alcune liste che appoggiavano il centrodestra alle ultime elezioni regionali. Ben più polemiche erano state le dichiarazioni del diretto interessato, Roberto Cota: «Il ricorso al Tar che è stato fatto è semplicemente vergognoso. Le liste le valuta il Tribunale prima del voto e se non vanno bene le esclude. Aggiungo anche che la gente non è scema, ci tiene alla democrazia, e, per usare un eufemismo, non lo prenderebbe bene». In suo appoggio il Pdl aveva annunciato una fiaccolata che si dovrebbe tenere il 28 giugno.
Due giorni prima della data fatidica, quel 1 luglio in cui il Tar di Torino si pronuncerà sui ricorsi: sono tre quelli più rilevanti presentati anche da Mercedes Bresso (che però poi, dopo un accordo con Cota, ha ritirato la sua firma) oltre che dai partiti "danneggiati": sono contro la lista «Al Centro» con Scanderebech contro i «Verdi Verdi» e contro la lista Pensionati per Cota che ha eletto in Consiglio Regionale il suo leader Michele Giovine: su questa ha aperto un´inchiesta penale anche la procura di Torino che è già arrivata alla «chiusura indagini». L´ipotesi di reato per cui sono indagati lo stesso Giovine e il padre è falso ideologico; avrebbero falsificato le liste dei candidati che hanno presentato.
A GURRO, NEL VERBANO, DOVE AVREBBERO DOVUTO AUTENTICARE LE FIRME, NESSUNO SI È PRESENTATO
Dai parenti di Giovine le prime conferme
Lo scandalo delle false firme, ammissioni davanti al pm: “Non sapevo di essere stato candidato”
Agostino Ghiglia
«Qui si vuole sovvertire il votopopolare. Al lavoro c’è una lobby con interessi politici»
Silvio Viale
<<LaLega è strabica e non ricorda tutti i ricorsi che ha presentato contro Rabellino»
ALBERTO GAINO
Gurro, Valle Cannobina, interno della provincia di Verbania. In altre parole: 3 ore buone d’auto da Torino. Là Michele Giovine, consigliere comunale di minoranza, e in quanto tale pubblico ufficiale, avrebbe dovuto autenticare le firme dei candidati della sua lista «Pensionati per Cota». Così prescrive la legge se si vuole fare tutto in famiglia: oltre alla lista di parenti, anche la certificazione. La Procura della Repubblica di Torino gli contesta, com’è ormai noto, di aver falsificato tanto le firme (se apposte da lui o da altri non ha importanza) quanto l’autentica. E Gurro, in punta al Piemonte, a pochi chilometri dalla Svizzera, è per la prima volta al centro di un caso giudiziario con chiare valenze politiche. Non fosse altro perché il nocciolo duro di zie e zii del sempre giovane segretario regionale del partito dei pensionati pro Cota - in precedenza erano «consumatori» per Ghigo - ha dichiarato di essersi spinto fin lassù, ma è stato smentito dagli accertamenti della polizia giudiziaria. Il procuratore aggiunto Andrea Beconi è un signore gentile ma si guarda bene dal fornire conferme alle indiscrezioni. Si limita a un laconico «abbiamo svolto accertamenti tecnici». Però non ci vuol molto a capire che, se la famiglia ha fatto quadrato da ogni angolo d’Italia, più d’un suo componente - sentito e risentito dal pm Patrizia Caputo - ha vacillato di fronte alle verifiche sulla propria trasferta in Valle Cannobina: giorno, tipo di viaggio, circostanze. Per la verità, nemmeno a Miasino, paese nei pressi del lago d’Orta e più accessibile - dove è consigliere comunale e pubblico ufficiale Carlo Giovine, il padre di Michele - sarebbero stati avvistati i candidati dirottati per l’autenticazione della firma. Il «fai da te» del consigliere regionale al suo secondo mandato avrebbe incluso la famiglia, a condizione che nessuno si scomodasse. A eccezione di uno che, a Palazzo di Giustizia, ha persino negato di essere a conoscenza di essere stato candidato alle elezioni regionali. Alla seconda tornata di interrogatori c’è chi si è attestato sulla tesi di ripiego: «Non sono andato dove risulta che ho firmato, ma ho firmato in ogni caso, da un’altra parte». Qui interviene la consulenza grafica che smentirebbe anche il nocciolo duro della parentela candidata. Nel 2005, precedenti elezioni regionali, Michele Giovine aveva subìto un’indagine penale dello stesso genere. Fu salvato come tanti altri da una leggina ad hoc che ridusse a contravvenzione il reato - punibile sino a 5 anni di carcere - della speciale norma elettorale. Prima che la Corte Costituzionale la rielevasse al rango di «delitto», Giovine incorse nella buona sorte di vedersi cancellare il reato per prescrizione dei termini. Per un uomo politico non è il massimo vedersi assolvere così, ma di questi tempi capita che non si colga la differenza con un’assoluzione piena.
7 domande a Luigi Costantino, sindaco di Gurro
«In paese si è vistosolo sotto elezioni»
Dottor Luigi Valter Costantini, lei è il sindaco di Gurro, dove Michele Giovine, consigliere di minoranza, avrebbe dovuto autenticare le firme dei propri candidati alle elezioni regionali: si è visto nei mesi scorsi dalle vostre parti?
«Non glielo so dire. Giovine si fa vedere ogni tanto in consiglio comunale».
Cosa vuol dire ogni tanto?
«Noi facciamonel corso di unanno 6 consigli comunali. Giovineè intervenuto alcune volte. Senza i verbali sotto mano non posso essere più preciso».
Si interessa alla vita della vostra comunità? In altre parole, com’è, a suo dire, che ha scelto di candidarsi e farsi eleggere proprio a Gurro?
«Senta, il paese ha 270 abitanti,in prevalenza anziani.Giovine non è residente a Gurro, come del resto non losono nemmeno io. Per quanto mi riguarda, sono medico ortopedico, ho diversi pazienti a Gurro: la mia scelta nasce da lì. So che Giovine è amico del precedente sindaco, ora a capo della minoranza».
Trascinato o no dall’ex sindacoper amicizia personale e,visto che dichiara da anni di battersi per gli interessi degli anziani, trova che in qualchemodo si dia da fare per i Gurresi?
«Figuriamoci».
Dottore, può dirci se la procura torinese l’ha convocatacome testimone su questa storia di firme autenticate a Gurro?
«Non mi hanno chiamato. Ho sentito dire che in lista con Giovine alle Regionali o ad altre votazioni c’era un altro nostro consigliere comunale di minoranza. Le avràautenticate lui quelle firme».
Questa è nuova. Par di capireche non vi parlate moltonemmeno a Gurro fra maggioranza e opposizione.
«In Consiglio siamo in 12, otto della maggioranza e 4 della minoranza. Ci vediamo solo lì, dove per definizione l’opposizione ti va contro su tutto. Per esempio sto facendo la piazza nuova. Loro dicono che magari c’erano altre priorità».
Come consigliere regionaleGiovine si è speso per Gurro?
«In tre anni che siamo lì solo in campagna elettorale». [AL. GA.]
CASO PROCACCI/RADICALI: L'AVVOCATO DI COTA DA' FORFAIT AL CONVEGNO DEL CORECOM ...
... E L'ASSESSORE MACCANTI CITA LE LEGGI A SUO USO E CONSUMO!
Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani), al termine del sit-in radicale sotto il Consiglio Regionale di questa mattina:
"Abbiamo atteso inutilmente l''arrivo dell'avvocato Luca Procacci, legale di Cota e componente del Corecom. Procacci avrebbe dovuto tenere, come da programma, un intervento sul digitale terrestre al convegno del Corecom. Il fatto che non si sia presentato dimostra che forse sa di non avere tutte le carte in regola, di non potere continuare a stare in un organismo regionale di controllo quando tutti i giorni veste i panni di Azzeccagarbugli per il presidente Cota, lautamente pagato con delibera di giunta regionale.
A proposito di compensi, vorremmo sapere quanto Procacci, e naturalmente gli altri componenti, percepiscono dal Corecom. E vorremmo che queste informazioni fossero inserite sul sito del Corecom, assieme a tutti i dati sul monitoraaggio dell'emittenza regionale.
Avremmo poi un'ultima richiesta da fare all'Assessore Maccanti: quando cita la legge sul Corecom (L. R. 1/2001), non parta da metà, parta dall'inizio. L'art. 3 della legge prevede che i componenti del Corecom devono essere persone di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale. E' basandosi su tale articolo che un anno fa il TAR ha rimosso il presidente del Corecom, Massimo Negarville. Negarville non va bene, Procacci sì?!".
Torino, 3 luglio 2010
CONVEGNO CORECOM/DOMANI MATTINA SIT-IN RADICALE PER RICHIEDERE SIA DATI ONLINE SIA DIMISSIONI AVV. PROCACCI.
Domani, sabato 3 luglio, i militanti dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta manifesteranno – dalle ore 10:30 alle ore 12:30 - sotto la sede del Consiglio Regionale del Piemonte (Torino, via Alfieri n. 15), in concomitanza di un convegno indetto dal CORECOM (Comitato Regionale per le Comunicazioni del Piemonte).
Saranno presenti al sit-in Nathalie Pisano (segretaria Associazione Aglietta) e Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani), che hanno dichiarato:
La Lista Bonino-Pannella chiuse la campagna elettorale delle scorse regionali di fronte alla sede del Corecom, richiedendo che venissero messi online tutti i dati relativi al monitoraggio dell’emittenza radiotelevisiva piemontese rispetto agli spazi concessi alle forze politiche. Richiesta rimasta lettera morta. E’ sufficiente una veloce comparazione del sito del Corecom con quello dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) per rendersi conto dell’inadeguatezza quantitativa e qualitativa dei dati e delle informazioni presenti nel primo.
Manifesteremo anche per richiedere le dimissioni dal Corecom dell’avvocato Luca Procacci, il legale del Presidente Cota. L’art. 3 della legge istitutiva del Corecom (L. R. n. 1/2001) prescrive che gli otto componenti del Corecom devono essere scelti “tra persone che diano garanzia di assoluta indipendenza dal sistema politico istituzionale”. Che indipendenza può sbandierare l’avv. Procacci se addirittura la sua parcella per l’assistenza legale a Cota sui ricorsi elettorali è stata deliberata dalla Giunta Regionale?
Esattamente un anno fa il TAR del Piemonte destituì Massimo Negarville da presidente del Corecom e Luca Volpe da componente perché il primo legato alla politica e il secondo incompetente. Negarville no, Procacci sì ?!
Torino, 2 luglio 2010
(Interpellare sulle questioni di legalità La Ganga è il massimo!)
"La Repubblica", DOMENICA, 04 LUGLIO 2010
La Ganga, non le pare una spiegazione un po´ troppo benevola? Contano anche le divisioni, le antipatie verso Mercedes Bresso, l´idea che tutto sommato è più comodo non tornare a votare…
«È bene attendere senza strillare l´esito del giudizio del Tar, su una materia come questa non si devono fare manifestazioni, e anche il centrodestra e la Lega hanno fatto male a farne una. Ma la vera questione è un´altra».
Cioè?
«Chi ha votato ad esempio la lista ‘Pensionati per Cota´ intendeva comunque votare il presidente o. in relazione alle irregolarità anche gravi che paiono essere state commesse dai suoi promotori, è stato fuorviato? Il punto vero è questo, e io credo che i giudici del Tar ci rifletteranno a fondo. Prima del voto nei ricorsi elettorali deve prevalere il formalismo, dopo è la sostanza della volontà degli elettori a dover essere appurata».
Lei pensa che il nome ‘Cota´ fosse ben visibile sulle piccole liste apparentate al candidato e quindi che chi le ha votate si sia espresso con chiarezza?
«Lo diranno i giudici. Certo ciò non toglie nulla alla gravità degli eventuali falsi, né al fatto che debbano essere sanzionati e che le responsabilità, anche sul piano dei costi economici che la collettività dovrà subire per questo, andrebbero caricate ai colpevoli. Ma non tutte le liste oggetto di contestazioni, comunque, erano uguali».
In effetti no. In quella di Scanderebech il nome di Cota non c´era.
«Appunto. Irregolarità che possono apparire meno eclatanti potrebbero rivelarsi più rilevanti sul piano della certezza circa la volontà degli elettori. Diversa ancora mi pare la contestazione relativa ai Verdi Verdi: se c´è confondibilità deve essere contestata subito».
In generale non le pare che questa storia mostri un certo degrado della politica e dei comportamenti elettorali? Indipendentemente dalle sentenze, infatti, a ogni votazione le liste-patacca si moltiplicano.
«È vero, esiste un´industria delle firme al servizio del miglior offerente. L´unica soluzione sarebbe uno scatto d´orgoglio dei grandi partiti che dovrebbero fare un patto tacito o esplicito per tagliarle fuori. E un grave errore è stato anche approvare, nell´ultima legislatura regionale, la leggina che consente ai piccoli partiti già presenti in consiglio di non dover più raccogliere le firme di presentazione».
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BOTTA E RISPOSTA SUL LEGALE
Procacci al Corecom, il Pd attacca
Maccanti: «Piena compatibilità»
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Diciottomila euro: è la cifra sbloccata dalla giunta regionale per autorizzare Cota a resistere nel giudizio davanti al Tar rappresentato dall’avvocato Procacci. Parola del consigliere Pd Walter Ronzani: «Procacci è uno dei commissari del Corecom, ho scritto al presidente del Consiglio Cattaneo chiedendo di valutare l’incompatibilità tra i due incarichi». Oggi, alle 12,30, i Radicali terranno un sit-in davanti a Palazzo Lascaris per chiedere, tra le altre cose, le dimissioni di Procacci». «L’articolo 4 della legge regionale 1/2001 parla chiaro - replica Maccanti -: nulla vieta a Procacci di ricevere come libero professionista un mandato a rappresentare legalmente l’ente».
La tesi dell´incompatibilità è invece sostenuta a gran voce dal consigliere regionale Wilmer Ronzani, esponente del Pd, che ha posto il problema in una lettera inviata al presidente del consiglio regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo: «I due incarichi sono fra loro incompatibili. La giunta regionale all´unanimità, con tre deliberazioni e una spesa complessiva di 18mila euro ha autorizzato il presidente Cota a resistere nel giudizio avanti al Tar rappresentato dall´avvocato Luca Procacci, a seguito dei ricorsi elettorali pendenti di fronte ai giudici amministrativi. Ma Procacci è uno dei commissari del Corecom, come risulta dalla composizione dell´organismo regionale».
«La legge istitutiva del Corecom, del 2001, individua infatti tra le cause di incompatibilità la titolarità di rapporti di consulenza retribuita con la giunta e il consiglio regionale. Procacci dovrebbe essere dichiarato decaduto dal Corecom», sostiene ancora Ronzani.
«Ma io non sono un consulente né un collaboratore - replica Procacci - sono un libero professionista e questo è un singolo mandato professionale non continuativo. I procedimenti per cui sono stato nominato sono due, ma riguardano entrambi difese del presidente per l´impugnazione e la proclamazione degli eletti. La legge parla solo di consulenze e collaborazioni. Se fosse accertata l´incompatibilità verrebbe compromessa una libera professione, quindi o modificano la legge oppure significa che un avvocato non può più avere ruoli nel Corecom».
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di Riccardo Bianchi
IL VOTO DELLE REGIONALI/I LEGALI DI COTA CHIEDONO TEMPO PER ESAMINARE GLI ATTI, QUELLI DI BRESSO REPLICANO: «ADESSO HANNO PAURA»
Ricorsi, 15 giorni per leggere i documenti
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RAPHAËL ZANOTTI
Clima arroventato intorno alla decisione del Tar sui ricorsi elettorali. Nell’udienza cominciata ieri con tre ore di ritardo, il tribunale ha deciso di rimandare la discussione al 15 luglio. Rinvio tecnico, avvenuto però in un contesto pesante, con un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine in tenuta antisommossa e uno dei tre giudici messo sotto scorta a seguito di una serie di episodi sospetti. Si tratta del giudice relatore, il magistrato che avrà il compito di redigere la sentenza una volta che il collegio avrà preso la sua decisione. Al magistrato qualcuno avrebbe manomesso il quadro elettrico di casa, isolandolo completamente. Inoltre, nella fiaccolata di lunedì scorso di Pdl e Lega, il suo nome è stato fatto un po’ troppo insistentemente per non far drizzare le antenne agli investigatori. Episodi che gettano una luce fosca su quel che si sta muovendo intorno alla partita elettorale. Proprio ieri alcuni deputati piemontesi del Pd (Mario Lovelli, Luigi Bobba, Stefano Esposito, Massimo Fiorio, Mimmo Lucà e Anna Rossomando) hanno presentato un’interrogazione al ministro degli Interni per i cartelli esposti nel corso della famosa fiaccolata. Su alcuni si poteva leggere: «Stasera le fiaccole, domani i fucili». La risposta del deputato del Carroccio, Stefano Allasia: «Il Pd dovrebbe sprecare meno tempo con queste interrogazioni inutili».
Ma intanto il clima politico avvelenato sembra aver coinvolto anche i tecnici visto il nervosismo dei legali durante tutta l’udienza e anche dopo. Il tribunale ha rinviato il ricorso su Verdi Verdi, Scanderebech e Consumatori per acquisire i verbali di ammissione delle liste. Mentre per l’altro ricorso, quello contro la lista di Michele Giovine (ieri «presente» alla causa con il suo legale Giorgio Strambi) il rinvio è stato disposto per consentire agli avvocati del centrodestra di visionare il fascicolo acquisito dalla procura sull’inchiesta penale per le firme false e rispondere. Sulla data del rinvio gli animi si sono accesi: «Non abbiamo materialmente il tempo di visionare oltre 600 pagine di indagine - ha dichiarato l’avvocato Procacci - per questo chiediamo più tempo». Immediata la replica dell’avvocato Luca Di Raimondo per il centrosinistra: «Il tempo è sufficiente, registriamo però un cambio di atteggiamento nella controparte: la scorsa udienza voleva decidere tutto e subito, anche forzando la mano, oggi prende tempo».
La data è rimasta quella del 15. «Dobbiamo restare sui binari giudiziari - ha spiegato il presidente Bianchi - E i binari hanno le stazioni: la nostra prossima sarà quella del 15 luglio». Se si dovesse andare più lunghi, la data successiva sarebbe il 7 ottobre.
PIEMONTE/RICORSI ELETTORALI/EMMA BONINO: SENTENZA TAR DI DOMANI PUO’ COSTITUIRE UN ARGINE DI DIRITTO ALLA PIENA DI ILLEGALITA’ AVVENUTA DURANTE LE ELEZIONI REGIONALI.
COTA: "IO NON HO PAURA DELLE URNE"
Da "Il Corriere della Sera" di martedì 29 giugno 2010
MILANO - «Siamo all`assurdo. Io mai avrei creduto che lo sprezzo per la democrazia sarebbe potuto arrivare a questo.
In un momento del genere, poi...».
Roberto Cota è furibondo e non cerca di nasconderlo. Ieri sera, i sostenitori del governatore piemontese - leghisti ma anche del Pdl - hanno dato vita a Torino alla fiaccolata «per difendere l`esito delle urne». Il fatto è che quei tre ricorsi presentati per presunte irregolarità nelle liste del centrodestra, all`ex capogruppo padano alla Camera sembrano davvero «uno schiaffo agli elettori».
Presidente, la legge i ricorsi li prevede.
E tanto strano che qualcuno li presenti se ritiene che nel processo elettorale ci siano state anomalie? «Più che strano, è scandaloso. Perché qui non è in discussione il risultato delle elezioni. Non ci sono rimostranze sulle operazioni di voto. Non si ritiene che un errore di conteggio abbia assegnato la vittoria in modo falsato. No. Qui vengono tirati fuori cavilli sull`accettazione della candidatura da parte di chi, sulla base di una legge voluta da Mercedes Bresso, non aveva neppure bisogno di presentare le firme».
Il processo elettorale ha regole meticolose.
Perché lei ritiene che il chiederne il rispetto significhi mettere in discussione il voto? «Le faccio un altro esempio. L`ammissibilità delle candidature non la decide la politica. La decide il tribunale. Un soggetto neutro a cui può rivolgersi chiunque abbia qualcosa da ridire sulle liste e la loro presentazione. Si può farlo in modo limpido, prima che vengano stampatele schede elettorali. Io, per esempio, con la massima buona fede, avevo molto da ridire riguardo a certe liste patacca.
Prima delle elezioni, ho presentato ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Nella massima correttezza e trasparenza. Un po` troppo comodo far votare il popolo e dopo dire che il voto non vale. Qui non è in discussione una posizione piuttosto che un`altra. Qui dobbiamo difendere il diritto dei piemontesi a che il loro voto regolarmente espresso sia valido».
Ma lei non aveva stretto un accordo con Mercedes Bresso sui ricorsi? «Sì, ma la sua pervicace non accettazione delle regole della democrazia non conosce limiti. La Bresso aveva fatto ricorso.
Poi, ha detto che avrebbe rinunciato se avesse ottenuto il posto di Presidente del Comitato delle regioni in Europa. Cosa che è avvenuta. Ma l`irresponsabilità non ha limiti. Prima cerca il cavillo dopo che i piemontesi si sono espressi. Poi, chiede e ottiene il riconoscimento della sua posizione in Europa. Quindi, sconfessa l`accordo che aveva sottoscritto».
Per i Verdi la fiaccolata è un modo per fare pressioni sui magistrati.
«Macché. Stasera in piazza la gente è scesa non per difendere me, ma il voto.
Sa cosa le dico? Io non ho paura delle ur- ne. Sono convinto che l`indignazione della gente contro chi cerca di barare su una cosa come le elezioni, ci farebbe rivincere con un margine più ampio. Ma non può passare il principio che qualche furbetto può modificare l`esito delle urne. E poi, ripeto, tornare al voto sarebbe una cosa da irresponsabili».
In che senso? «Le sembra normale in un momento come questo far spendere ai cittadini altri 25 milioni di euro? Tanto costerebbero nuove elezioni. Ma cosa andiamo a dire alla gente? Ma che segnale si dà sulle istituzioni e sulla democrazia? Io sono senza parole. Noi dobbiamo lavorare. Ho appena presentato un piano per il lavoro da 390 milioni destinati a politiche strutturali per favorire nuovi insediamenti produttivi e occupazione.Io dall`opposizione mi sarei atteso un entrare nel merito delle cose, avrei apprezzato un apporto. E invece stanno nell`ombra a inventarsi cavilli. E demenziale...».
Se qualcuno avesse fatto pasticci con le firme non andrebbe sanzionato? «Certo, chi ha mai detto il contrario? Ma da questo a tornare alle urne, ce ne corre. Solo che qui si cavilla sull`accettazione della candidatura da parte di chi ha preso cinque preferenze. Cinque preferenze, capisce? Di questo stiamo parlando».
SARA STRIPPOLI
I giudici del Tar giovedì dovranno esaminare quattro ricorsi. Uno quasi sicuramente slitterà a metà mese per consentire di acquisire e valutare gli atti della procura. Sul banco degli imputati il consigliere Michele Giovine dei Pensionati: secondo i pm avrebbe falsificato le firme di accettazione della candidatura delle persone inserite nella lista. Era presente alla fiaccolata, in coda, in disparte. Poi è sparito.
E se ancora ieri uno dei legali di Cota, Luca Procacci, ha presentato una nuova memoria difensiva al Tar per spiegare che «la sovranità popolare dovrebbe prevalere a fronte dei singoli», il governatore ha già iniziato una campagna elettorale preventiva. Il precedente del Molise pesa e il clima in casa Lega è teso. Insomma, sembra quasi che il governatore si prepari al peggio, arrivando a trasformare l´intervento all´assemblea dell´Unione industriali, davanti al presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, in un comizio. «Difendo il diritto di milioni di piemontesi a che ci sia un governo e non venga il caos», ha detto Cota. Parole ribadite alla fiaccolata. Comizio che ha preso spunto da un assist del numero uno dell´Unione industriale sotto la Mole, Gianfranco Carbonato: «Non per spirito di parte, ma nell´interesse del Piemonte, auspichiamo continuità nell´azione regionale intrapresa».
Il governatore del Carroccio, in caso di una sentenza sfavorevole, sarebbe pronto a dimettersi. Meglio non stare sulla graticola in attesa della sentenza d´appello del Consiglio di Stato, meglio non buttare via il lavoro fatto, giocando sull´effetto protesta («La volontà dei piemontesi annullata dai giudici su richiesta del centrosinistra») e sulla luna di miele dei primi cento giorni. «I ricorsi si ritorceranno come un boomerang contro chi li ha promossi», urlava dal palco della marcia. Il presidente non vuole perdere tempo e giocarsi al più presto questi due assi, soprattutto se lo sfidante non sarà più Bresso ma Chiamparino. Il primo cittadino di Torino è l´unico vero candidato anti-Cota. E non ha più alibi per scendere in campo: ormai il suo mandato si è quasi concluso.
Sulla carta Chiamparino si presenta come un concorrente più difficile per Cota: il 66 per cento di consensi che il sindaco ha raccolto in città quattro anni fa sono un viatico di peso. Non solo. Il sindaco può sparigliare, attirando verso di sé i consensi che la Bresso non è riuscita più a conquistare quattro mesi fa, soprattutto nell´elettorato più vicino al centrodestra. Cota lo sa bene e per lui Chiamparino è diventato uno "spauracchio". L´unico modo per limitare gli effetti sarebbe non tergiversare. Fantapolitica? Può darsi, ma sul fronte centrodestra si racconta di sondaggi fatti fare dal governatore per verificare tra lui e il sindaco chi la spunterebbe, mentre dall´altra parte si narra di incontri, anche con il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, per prepararsi ad un repertino ritorno alle urne.
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DIECIMILA PERSONE PER GLI ORGANIZZATORI, MENO DELLA META’ PER LA POLIZIA
“No allo scippo elettorale”. Il centrodestra in strada.
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ALESSANDRO MONDO
«State tranquilli che non mollo! Affronto i miei avversari a viso aperto io, non li accoltello alle spalle!». Piazza Castello, ore 21,30 di un’afosa sera di fine giugno. Roberto Cota, affiancato da Enzo Ghigo e Agostino Ghiglia, si sgola dal palco montato davanti al palazzo della Regione sovrastando striscioni e bandiere. Sembra che le lancette dell’orologio siano tornate ad un’altra sera, quella del 29 marzo, quando i militanti di Lega e Pdl si riversarono in questa stessa piazza per alzare i primi calici alla clamorosa vittoria contro Mercedes Bresso.
Invece le parole di Cota, stravolto dal caldo ma fedele al blazer blu scuro con la pochette verde, raccontano un’altra storia: una storia di firme false per una delle liste che lo ha sostenuto e di ricorsi pendenti che rischiano di far tornare i piemontesi alle urne. «Non vogliamo esercitare pressioni sui giudici - precisa Cota -, ma i ricorsi saranno un boomerang». Ovazione e applausi.
Ieri sera, con la fiaccolata organizzata nel centro di Torino - oltre 10 mila persone per gli organizzatori, la metà secondo la Questura - , Lega e Pdl hanno lanciato un altolà preventivo a qualsiasi ipotesi di «scippo elettorale». E’ la stessa città dove il Consiglio comunale, mentre sfilava il corteo, approvava a tambur battente la delibera sul riconoscimento delle unioni civili: 24 voti favorevoli, 3 contrari, 4 astenuti.
Due Torino diverse e incomunicabili, espressione di mondi e valori antitetici. Quella che si riconosce nella Lega e nel Pdl ha scelto la strada. Esibizione muscolare, accompagnata fino all’ultimo da voci, infondate, sull’arrivo di Bossi. In compenso, erano presenti la giunta regionale al completo, consiglieri e amministratori ai vari livelli, parlamentari come Osvaldo Napoli e Vito Bonsignore, senatori come Andrea Fluttero e Maria Rizzotti: più o meno convinti ma decisi a non mancare un’occasione-clou per contarsi. In prima fila Cota, Ghigo, Ghiglia e Carossa, con le fiaccole in mano, anticipati dal un mega-striscione: «Giù le mani dal voto, il popolo è sovrano». Alle loro spalle, tutto il mondo del centrodestra torinese e piemontese, unito dallo slogan «Lo vuole la gente, Cota presidente». Ci sono tutti: da Luca Procacci, il braccio legale del Carroccio, a Claudio Zanon, consulente di Cota per la Sanità, da Augusta Montaruli all’inossidabile Mario Borghezio, che dal palco ha scaldato la folla prima dell’intervento del governatore: «Ricordo ancora quando la sinistra ci ha scippato la vittoria per il sindaco. Patrioti piemontesi, forza e coraggio!».
Tra la folla, praticamente in incognito, c’è anche Michele Giovine, il leader della lista «Pensionati per Cota», finito in una bufera elettoral-giudiziaria più grande di lui e ora trattato come un paria dai vertici del centrodestra: «Sono qui per solidarietà verso Cota. No, non ci vado in prima fila. Non è una manifestazione elettorale».
Sarà. I militanti, con una netta prevalenza dei leghisti nel farsi sentire, non gli badano. Invocano Cota - baciato, abbracciato e applaudito come una star - e ne dicono di tutti i colori all’indirizzo di Bresso e Chiamparino. Di tanto in tanto sembra di essere nel pratone di Pontida. La polizia circonda il gazebo dell’Italia dei valori montato in piazza Castello ma non ce n’è bisogno. La fiumana, in arrivo da piazza Arbarello, gli sfila accanto, ignorandolo. Tutti gli occhi sono per Cota.
“MARCIA SU TORINO”/RADICALI: GHIGO SI ARRAMPICA SUI VETRI PER GIUSTICARE UNA MANIFESTAZIONE INAMMISSIBILE E LA RELAZIONE PERICOLOSA CON GIOVINE … MA NON SI SPOSA DUE VOLTE UNA PERSONA SE LA SI CONSIDERA INAFFIDABILE!
L’inchiesta penale sulla lista Pensionati
Accusati di falsa testimonianza, ora rischiano anche i candidati
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</script> L’inchiesta sui Giovine, padre e figlio, non si è conclusa con il decreto di fissazione di giudizio immediato, possibile solo quando il gip incaricato abbia ritenuto evidenti le prove raccolte dalla procura. C’è almeno uno sviluppo giudiziario: l’iscrizione nel registro degli indagati, per falsa testimonianza, di numerosi candidati della lista «Pensionati per Cota». Quelli che, risentiti dal pm Patrizia Caputo, hanno continuato a dichiarare di aver firmato l’accettazione della candidatura secondo le regole elettorali: a Miasino o Gurro, paesi dell’alto Piemonte in cui Carlo e Michele Giovine sono rispettivamente consiglieri comunali e pubblici ufficiali.
L’indagine-bis è ovviamente coperta dal segreto istruttorio, ma, essendo stati i verbali degli ex testimoni messi a disposizione degli avvocati, sia dei Giovine, sia dei ricorrenti contro di loro al Tar Piemonte, la notizia è trapelata nella maniera più semplice. Per esempio, il 27 maggio scorso, il pm ha interrotto la deposizione di Carlo Giovanni Tirello, cugino di primo grado della madre del consigliere regionale, dando atto nel verbale che avrebbe potuto riprendere solo con la presenza di un difensore. Aveva ravvisato gli estremi per indagare Tirello di falsa testimonianza.
Tirello avrebbe mentito per tutta la sua deposizione, con un’unica eccezione. Quando, rispondendo alla domanda del pm - «in quale circostanza ha visto per l’ultima volta suo cugino?» - ha risposto: «Ora, Carlo mi ha accompagnato in procura». Poi ha reagito aggiungendo «che male c’è? Non siamo mica delinquenti».
Il suo commento è stato solo apparentemente sdegnato: oltre che mettere nei guai se stesso, l’ex testimone ha rafforzato il sospetto del magistrato di aver concordato con il cugino la versione da fornire in procura sulle modalità dell’accettazione della candidatura. Un sospetto che si è tradotto in certezza, da parte dei pm, dopo aver ascoltato altri testimoni riferire di essere stati appena contattati da Michele Giovine e invitati da lui a non smentirlo. «Inquinamento delle prove» definisce il codice penale un tale comportamento.
Tuttavia, nella montagna di frottole raccontate da molti candidati dei «Pensionati per Cota» - 27 mila voti ottenuti alle Regionali decisivi ai fini della vittoria del centrodestra - la procura deve aver giustamente distinto i casi umanamente particolari. Come quello di Clementina Torello, con i suoi 91 la più anziana concorrente alle elezioni di fine marzo. Michele Giovine è suo pronipote. L’ha difeso con i poliziotti che, recatisi a casa sua, le hanno cortesemente chiesto di sottoscrivere le proprie affermazioni. Agitata com’era, non ha voluto firmare il verbale.\
Cota marcia su Torino: “Non si torna alle urne”
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ALESSANDRO MONDO
Seimila persone, stando agli auspici degli organizzatori. Parte raggiungeranno Torino su 12 pullman in arrivo da sei province piemontesi: 2 da Novara, dove Roberto Cota ha le sue radici; 2 da Alessandria; 2 da Vercelli; altri 2 da Verbania; 3 da Cuneo. Un altro partirà da Biella. Molta altra gente si sposterà in auto.
Forti di questa mobilitazione, e delle 20 mila firme pro-Cota raccolte tra sabato e domenica nei 170 gazebo padani, questa sera Lega e Pdl impugneranno le fiaccole per lanciare ancora una volta il guanto di sfida contro chi - dal loro punto di vista - punta al ribaltone elettorale. Appuntamento in piazza Arbarello alle ore 20, partenza alle 21 alla volta di piazza Castello. Di rigore la presenza del governatore, con Enzo Ghigo e Agostino Ghiglia.
Meno scontata la presenza di Michele Giovine, leader della lista «Pensionati per Cota» e da settimane al centro della «querelle» elettorale-giudiziaria. Una presenza di cui la Lega e il Pdl, pur senza dirlo apertamente, farebbero volentieri a meno. Tanto più che, si fa presente, qualche militante potrebbe non gradire. Della serie: faccia come crede, ma se non si fa vedere nessuno si straccerà le vesti. Una freddezza che fa il paio con l’incomunicabilità tra lui e Cota e soprattutto con la dichiarazione, piuttosto sbrigativa, rilasciata sabato dal governatore durante la visita nei mercati rionali. «Giovine? - ha risposto alla domanda dei cronisti - Se ha commesso irregolarità va punito, il primo a essere danneggiato sono io, ma non per questo devono pagare i piemontesi».
Un benservito che l’interessato non ha gradito, per usare un eufemismo, e che ieri lo ha spinto a rompere gli indugi. «Non avendo nulla di cui vergognarmi, e per cui nascondermi, sarò presente alla fiaccolata», annuncia seccamente Giovine. Restano «la delusione e l’amarezza» per le parole di Cota: parole che bruciano. «Non so se si è trattato di illazioni giornalistiche - premette, pur sapendo che a quella frase non è seguita alcuna smentita -. In caso contrario, ricordo che l’ultima parola sui ricorsi non è ancora stata scritta e che a fronte dei 28 mila voti portati dalla mia lista, fondamentali per la vittoria, il governatore dovrebbe osservare maggiore prudenza». Sono gli stessi voti che, se la lista dei «Pensionati per Cota» dovesse essere invalidata, rischiano di riportare i piemontesi alle urne: questo è il punto.
Oggi tutti gli sforzi della Lega, e del Pdl, sono concentrati sulla fiaccolata nel centro di Torino. «Nessuna intimidazione verso la magistratura - precisa Ghigo replicando alle accuse dell’opposizione -. Sarà una manifestazione di popolo per difendere il libero voto dei piemontesi». Insieme al «popolo sovrano», per usare un’espressione usata recentemente da Cota, sfileranno parlamentari, amministratori e dirigenti del centrodestra.
I radicali rispondono a modo loro. Questa sera, alle 21, in via Botero 11 - presso la sede dell’associazione Adelaide Aglietta - si terrà una riunione pubblica. Obiettivo: «Ripercorrere dieci anni di lotte per l’affermazione della legalità in Consiglio regionale attraverso i ricorsi in Tribunale e la denuncia, avvenuta cinque anni fa, delle illegalità commesse da Giovine». Vale a dire: in tempi non sospetti. Il centrosinistra prenda nota.
Secondo più di una voce, il presidente Cota, in caso di una sentenza sfavorevole, sarebbe pronto a dimettersi subito. Così si metterebbe al riparo dal possibile ricorso di uno qualsiasi dei consiglieri regionali al Consiglio di Stato. Meglio non stare sulla graticola e puntare, sfruttando un governo amico, al voto in autunno. Così non si butterebbe via tutto il lavoro fatto, giocando sull´effetto protesta («La volontà dei piemontesi annullata dai giudici su richiesta del centrosinistra») e sulla luna di miele dei primi cento giorni. Proprio oggi pomeriggio Cota è atteso all´assemblea generale degli industriali per delineare, davanti a Marcegaglia e al presidente di Intesa Sanpaolo Beltratti cosa ha fatto nei suoi primi tre mesi di lavoro in piazza Castello. Due atout che il governatore del Carroccio intenderebbe giocarsi al più presto soprattutto se lo sfidante non sarà più Mercedes Bresso ma Sergio Chiamparino.
Questo è ormai è il segreto di Pulcinella e con il ricorsi al Tar si è già raggiunto un risultato: mettere tutti d´accordo in casa Pd. Il sindaco fa sapere di essere preso tra gli impegni dell´Anci, le ultime opere del mandato e la creazione di una lista civica che vada oltre il Pd per garantire al centrosinistra un primo cittadino dopo di lui. E prova anche a dissimulare, mostrando interesse per le fondazioni bancarie. Ma caduta l´ipotesi di un Bresso bis - soprattutto dopo che l´ex presidente ha deciso di ritirare la firma da tre dei quattro ricorsi al Tar in cambio della conferma sulla poltrona del comitato europeo delle regioni - Chiamparino è l´unico vero candidato anti-Cota.
Tra l´altro il primo cittadino non avrebbe più alibi. Ormai il suo mandato si è quasi concluso e non potrebbe più dire, come la scorsa estate, «Ho un patto con i torinesi e voglio rispettarlo fino in fondo». Sulla carta Chiamparino si presenta come un nome più difficile per Cota: quel 66 per cento di consensi che il sindaco era riuscito a raccogliere in città quattro anni fa è un viatico di peso. E siccome la provincia di Torino vale elettoralmente il resto del Piemonte, se Chiamparino riuscisse a raccimolare almeno un 54 per cento di voti, la vittoria non dovrebbe sfuggirgli. Fantapolitica? Può darsi, ma i gossip di piazza Castello raccontano di sondaggi fatti fare dal governatore per verificare tra lui e il sindaco chi la spunterebbe.
Per ora il centrodestra si affida al pressing e si gioca il tutto per tutto con la fiaccolata di questa sera. E dopo la marcia? Più di uno, anche tra gli azzurri e i leghisti, andrà alla festa di compleanno del fido Bongiovanni, il braccio destro di Chiamparino. Spente le torce della protesta si prova a capire che aria tira.
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Si parte dunque da piazza Arbarello attorno alle 20,30 per un percorso molto breve che termina in piazza Castello. Sul palco il triumvirato del centrodestra: Enzo Ghigo, Agostino Ghiglia e il presidente Roberto Cota. Dal centrosinistra continuano a levarsi voci di critica. Il capogruppo del Pd in Consiglio comunale dice che questa manifestazione «è assolutamente inaccettabile. Mai accaduto niente di simile dal 48 ad oggi. In questo modo si imbarbarisce il confronto politico». E il deputato Giorgio Merlo: «Può nascere un fossato fra maggioranza e opposizione».
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«Assolutamente sì. Abbiamo ritenuto che fosse opportuno chiamare a raccolta chi ha votato per il centrodestra per difendere il responso delle urne. Ripeto che checché ne dica il centrosinistra questa non è manifestazione contro qualcosa o per influenzare i giudici, bensì un corteo di cittadini che vogliono riaffermare il valore del proprio voto e la propria libertà di espressione. Non è certo un´interferenza».
Perché avete imbarcato Michele Giovine? Che fosse un pasticcione lo si sapeva da tempo, non crede?
«Quando si fanno i matrimoni si spera che vada bene e che funzioni. Del tutto inutile fare riflessioni a posteriori».
Il centrosinistra sostiene che questa fiaccolata possa alzare una pesante barriera fra maggioranza e opposizione. Condivide questa tesi?
«Le solite lacrime di coccodrillo del Pd. Il quale peraltro mi sembra assai più concentrato a gestire Mercedes Bresso che conferma sempre più la sua grande carica di antipatia e molto più preoccupato di combattere guerre di correnti al suo interno. Non credo con tutta franchezza che la manifestazione di questa sera possa inasprire il tono del confronto con l´opposizione. Noi aspettiamo serenamente il pronunciamento del Tar».
Il centrodestra non sta giocando anche sul timore che un ritorno alle urne possa immobilizzare la regione?
«È un dato di fatto. L´attuale governo regionale ha già messo in moto interventi significativi come il piano per l´occupazione e per lo sviluppo dell´economia e del territorio. Un ritorno alle urne motivato da cavilli burocratici e manovre politiche costituirebbe un danno smisurato per il Piemonte».
Crede che nel caso i ricorsi siano accolti, Cota scelga di presentare il ricorso al Consiglio di Stato o preferisca andare subito a nuove elezioni?
«Non ne abbiamo parlato».
(s.str.)
Morgando: dopo la mobilitazione di oggi tutto sarà più difficile
«Senza dubbio con la fiaccolata di questa sera si alza il livello dello scontro, così si trasforma in mobilitazione un dibattito che finora è stato soltanto politico. Sotto questo aspetto si rischia di rendere più grave il confronto, un salto dal quale è più difficile tornare indietro».
Durante il colloquio al Quirinale, Cota ha parlato anche di un possibile rischio per l´ordine pubblico. Lei cosa ne pensa?
«A me francamente questa decisione pare tanto la ricerca di un nuovo strumento di ricatto. C´è un nostro sistema istituzionale che prevede regole, equilibri e competenze. L´idea che da una decisione del potere giudiziario che non coincide con i propri interessi e desideri, possano derivare conseguenze sull´ordine pubblico mi sembra molto grave. Un fatto che avrebbe pochi precedenti. Prendiamo il caso Molise. Nessuno allora ha paventato rischi per l´ordine pubblico e non è successo proprio nulla».
Qualcuno si attendeva una contro-manifestazione del Pd, che invece non ci sarà. Perché avete scelto toni durissimi nel commentare la fiaccolata ma nessuna contromossa?
«Il Pd ha scelto un profilo moderato e io lo rivendico. Questo profilo dice che si rispettano le leggi e le decisioni della magistratura. Non abbiamo nessuna intenzione di metterci sullo stesso piano e non avrebbe alcun senso fare qualcosa in attesa che si pronunci il tribunale».
Ghigo accusa il Pd di organizzare riunioni carbonare a Roma per pianificare le mosse nel caso di ritorno alle urne. Si riferisce ovviamente al suo incontro con Bersani. Qualcosa da ribattere?
«Mi sembra davvero assurdo considerare una riunione carbonara uno dei tanti incontri periodici fra il segretario nazionale e il segretario regionale di una delle regioni più importanti. Si è parlato ovviamente della situazione del Piemonte ma non di candidature».
Se si torna a votare il Pd è pronto?
«Prontissimo. Ricordo che a marzo la coalizione del centrosinistra ha preso più voti di quella del centrodestra».
(s.str.)
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ELEZIONI REGIONALI/DOMANI SERA RIUNIONE PUBBLICA C/O SEDE RADICALE CONTRO I FURTI DI LEGALITA' ... E DI COMPUTER!
Domani, lunedì 28 giugno, alle ore 21, presso la sede dell'Associazione Radicale Adelaide Aglietta (Torino, via Botero n. 11/f), si terrà una riunione pubblica in concomitanza della manifestazione del centro-destra in Piazza Castello.
Nella riunione radicale saranno ripercorsi i dieci anni di lotte per l'affermazione della legalità in Consiglio Regionale, attraverso i ricorsi (azioni popolari) in Tribunale - gli ultimi due nei confronti di Roberto Cota e Gianluca Buonanno - e la denuncia (cinque anni fa, non adesso o domani) delle illegalità commesse da Michele Giovine.
Sarà anche lanciata una sottoscrizione straordinaria per coprire le ingenti spese provocate dal furto dei computer della sede radicale, avvenuto la notte fra martedì e mercoledì scorsi.
Giulio Manfredi (Comitato nazionale Radicali Italiani):
Leggo che Michele Giovine è diventato il capro espiatorio della situazione; tutti, ma proprio tutti (da Cota a Gariglio a Bresso) dichiarano di essere stati vittima di Giovine. Rivendico ancora una volta di essere stato l'unico, assieme ai miei compagni radicali, ad aver denunciato le illegalità di Giovine (che nel 2005 raccolse fra l'80 e il 90% di firme sulla sua lista, a sostegno anche allora del centrodestra) e chiedo ancora una volta: come mai nel 2005 nessuno fece ricorso al TAR per far decadere Giovine (i radicali non potevano farlo perchè non si erano presentati alle regionali)? Come mai nessuno, tranne i radicali, protestò quando Giovine nel 2007 fu mandato a rappresentare la Regione Piemonte alla "festa della legalità" di Don Ciotti e Libera in Calabria? Come mai Cota ha accettato di essere sostenuto da Giovine anche questa volta, pur avendo avuto modo di conoscere il suo operato in Consiglio in questi cinque anni?
Diciamolo: Giovine, a cui per cinque anni Cota, Bresso e Gariglio hanno concesso tutto, ha la sola colpa di aver voluto strafare: questa volta che non gli servivano le firme false a corredo della sua lista, ha voluto candidare amici e nonne per non rischiare di essere fregato da altri nelle preferenze ... per sua sfortuna ha trovato sulla sua strada la signora Luigina Polacco (leader dei Pensionati, quelli veri) che ha presentato l'esposto alla magistratura.
Torino, 27 giugno 2010
http://www.associazioneaglietta.it/ghiglia-cota.html#cota_buonanno
http://forum.radicali.it/content/el-regionali-e-legalitaazioni-popolari-ovunque-possibile
In agenda, oltre via Di Nanni, c´è Porta Palazzo e via Porpora per quella che è una campagna elettorale preventiva, alla vigilia della fiaccolata del centrodestra di domani sera e del pronunciamento del Tar sui ricorsi contro le liste che sostenevano il leader del Carroccio. Cota attacca con la Bolkestein, si fa fotografare con l´onorevole Borghezio, accetta volentieri i pasticcini offerti da Tina, titolare della latteria panetteria dell´angolo, fornitore ufficiale dei gazebo leghisti a San Paolo. Sotto le note del «Và Pensiero» mentre discute con i sostenitori di immigrati, giustizia e piano lavoro.
Via tra i banchi e subito il tema si sposta. «Fate tornare la Bresso?», chiede la massaia di turno. Il governatore perde il sorriso e anche l´aplomb. Torna il volto duro di fine campagna, del testa a testa con l´ex presidente: «È stata un´elezione regolare, regolarissima, ma qualcuno si attacca a un cavillo e tenta una furbata vergognosa». Prima bordata: «È una truffa, sì, è una vergogna perché tornare alle urne costerebbe 25 milioni. La crisi economica è spaventosa e noi buttiamo via tutti questi soldi? Gli stessi che quelli di prima hanno buttato via per pagare una parcella ad un certo Fuksas per il nuovo grattacielo». E aggiunge: «Se irregolarità ci sono state si colpisca il responsabile». Ed ecco comparire il convitato di pietra, Giovine, il consigliere "furbetto" dei Pensionati.
Cota non ha parole di comprensione: «Se ha commesso degli illeciti io non lo difendo. Se ha commesso delle irregolarità io sono il primo danneggiato, la prima vittima. Ma non è giusto che paghi io e che paghino i piemontesi. Queste irregolarità non mettono in discussione la volontà dei cittadini, sacra». E rincara: «È solo un pretesto. Le liste sono state ammesse da un tribunale, non dalla politica e se c´era qualcosa che non andava i ricorsi andavano fatti prima, non adesso. Perché dobbiamo spendere 25 milioni». La cifra rimbomba fra i banchi. «Così tanto?», si chiede qualcuno. Forse la campagna preventiva permette di gonfiare un po´ i numeri. «Ma no, ma no - risponde la massaia - vada avanti lei mi piace più di quell´altra. La Bresso non è mai venuta qui». Dal banco una commerciante commenta: «E poi è più bello dal vivo che in tivù».
Sulla strada si presenta anche un immigrato che tenta di prendere in giro il governatore: «Sono senza permesso, mi puoi aiutare?». «E no - ribatte il leader del Carroccio - te ne devi tornare a casa. Non si fanno favoritismi a nessuno». Il marocchino ride, salta sulla bici e se ne va.
Si torna a parlare di Bolkestein. «Ma siamo sicuri che ci mettete una pezza?». «Lei non mi conosce - ribatte Cota - quando dico una cosa la faccio. Non mi faccio impressionare da nessuno, nemmeno da chi tenta di fare pasticci con il voto dei piemontesi». «Già, i biellesi son di parola», dice il fruttivendolo. «Veramente sono di Novara». Poco importa, stretta di mano e via. Sorrisi, visita per vedere come si fanno gli agnolotti buoni al Pastificio San Paolo e poi in macchina verso piazza della Repubblica. Anche qui strette di mano, un po´ più tiepide. «È stato di parola, è tornato», gli dice un ambulante. «Bene, bene, vada avanti così».
Il governatore non si fa scappare nessun problema, ascolta tutto e tutti. Dal cortile di casa che è uno schifo, alla buca per strada, dai bollettini della Tarsu troppo alti ai cassonetti non rimossi. Si annota questioni, numeri di telefono, chiama a rapporto il fido il capogruppo double face Mario Carossa, capo dei drappelli leghisti in Comune e in Regione. In via Porpora, a due passi dal quartier generale del Carroccio di via Poggio, il governatore gioca facile. È un continuo stringere mani. La prima giornata di campagna elettorale si chiude bene.
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Quanto è emerso la sorprende?
«No, purtroppo. Giovine era già incorso in episodio simile nelle liste di presentazione, quando il reato era stato depenalizzato. Non vedo come Cota potesse non sapere nulla di lui, eppure ha accettato lo scambio: ti porto 20.000 voti o più e tu fai apparentare la mia lista garantendomi così di tornare in Consiglio».
Eppure è stato con la vostra maggioranza che si è approvata la ‘leggina´ che consente a chi è già entrato una volta in consiglio di non raccogliere più firme. Leggina che molti criticano e che è alla base del ricorso contro Scanderebech…
«E´ vero, io stesso ero molto perplesso e ho cercato fino a fine legislatura di modificare quella norma. La verità è che Giovine, Scanderebech, Lupi e Nicotra ci ricattarono: se non la approvate, noi continuiamo l´ostruzionismo sul regolamento. Dopo due settimane, decidemmo di accettare, mi pare che soltanto Buquicchio (Idv) votò contro».
Qual è il suo giudizio sul consigliere Giovine?
«Preferirei non commentare. Dico solo che non si comportava in modo consono al suo ruolo, continuò a ricattare l´intero Consiglio usando tutto ciò che il regolamento gli permetteva. In questo modo chiese e ottenne di formare un gruppo autonomo. Il centrodestra lo usava per fare il ‘lavoro sporco´, ma all´ultimo lo ha lasciato solo».
E adesso?
«E adesso è chiaro che in questa partita alcuni giocatori della squadra che ha vinto erano dopati. Come regolarsi tocca ai giudici».
Perché il suo partito, il Pd, non ha partecipato ai ricorsi?
«Questo bisognerebbe chiederlo al segretario. Comunque, noi attendiamo con fiducia l´esito che arriverà dal Tar».
(v. sch.)
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L´articolo pubblicato ieri da «Repubblica», rischia di inserire elementi di confusione che è bene precisare. Il primo. Dal titolo emerge che ho cambiato idea, cosa non vera, in quanto ho sempre affermato di voler sostenere il procedimento su Michele Giovine perché includeva un rilevante aspetto penale avviato dalla procura di Torino. Fin da subito, a differenza di molti, sono stata convinta che i ricorsi avviati fossero solidi e tale convinzione non è cambiata neanche dopo l´accordo politico raggiunto con il presidente Cota.
Accordo, lo ribadisco, raggiunto solo sui ricorsi amministrativi che non coinvolgessero ipotesi di reati penali e che voleva, inoltre rimuovere l´idea di un candidato sconfitto che non accettasse l´esito del voto. Non potevo, però come cittadina, rinunciare a sostenere un procedimento legale contro qualcuno che potrebbe aver commesso così gravi falsi ai fini elettorali.
Il secondo. I tempi di un procedimento giudiziario li decide solo il giudice coinvolto sul caso, ne i legali ne i giornali con i loro retroscena o ricostruzioni. Ad oggi rimane invariata la convocazione dell´udienza il prossimo 1 luglio e solo allora sapremo se ci saranno rinvii o decisioni di merito. Dobbiamo, a pochi giorni dalla convocazione delle parti e ognuno con le proprie aspettative, avere fiducia nella magistratura.
Consigliere regionale
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Galeotto fu il telefonino: dai tabulati forniti da Telecom e Vodafone, infatti, risulta che né Michele Giovine né il padre Carlo, entrambi rinviati a giudizio per falso nell´affaire delle firme dei candidati alle regionali, si trovavano nei pressi di Gurro o di Miasino, i due Comuni dove sono consiglieri comunali, gli unici nei territori dei quali avrebbero potuto, secondo la legge, autenticare le firme, in quel 25 febbraio nel quale dichiararono di averlo fatto. Lo stesso vale per molti candidati, in particolare per quelle intere famiglie, a loro volta imparentate da vicino o da lontano con i Giovine, che risiedono fuori Piemonte.
C´è chi telefonava tranquillamente da casa sua, a Verona, proprio nelle stesse ore nelle quali avrebbe affrontato il lungo viaggio verso Gurro, accompagnata proprio da Giovine. Viaggio del quale non ricorda nulla, in buona compagnia di altri fratelli di lista: né il tipo di vettura condotta dall´infaticabile leader dei Pensionati per Cota, né l´autostrada percorsa né tanto meno la circostanza (per altri candidati) che Miasino sia nell´entroterra di Intra. Dimenticato anche il luogo della firma, «un bar, forse un circolo, oppure se doveva essere un ufficio sarà stato un ufficio…». Altri, più coerenti con se stessi, hanno raccontato al pubblico ministero Patrizia Caputo di non aver mai saputo di essere candidati, come P.V., una giovane signora milanese che spiega così il fatto che la sua firma sia stata falsificata e i suoi dati anagrafici correttamente trascritti: «Ho avuto una relazione sentimentale con Michele Giovine fino al 2002/2003». L´attuale fidanzata, invece, S.F., ha preso parte attiva alla raccolta più o meno regolare delle firme, così come hanno fatto schiere di cugini, cognati, madri e nonne che volevano «fare un favore» a quel ragazzo tanto appassionato di politica. C´è anche la povera signora Clementina Torello, classe 1919, che i carabinieri hanno raggiunto nella sua abitazione a San Salvario dalla quale l´anziana donna non esce mai, tanto meno per recarsi nell´entroterra di laghi o sulle colline novaresi. Per parlarle è dovuto intervenire un vicino di casa, che ha firmato al posto suo perché la signora era «troppo spaventata», e anche i militari ne hanno avuto compassione.

E che dire del fatto che intorno al 6 maggio lo stesso Giovine abbia vissuto un supplemento di campagna elettorale, dovendosi recare a casa di numerosi ex candidati non eletti che sapeva essere stati convocati in Procura per testimoniare? Qualcuno invece ha accettato il suo invito, nonché il passaggio in auto suo o del padre fino al Palagiustizia, tanto è vero che in un verbale della polizia giudiziaria c´è anche la telefonata di una signora a ‘Carlo´, fatta subito dopo l´interrogatorio: «Basta, lasciatemi andare, voglio tornare a casa subito». Altri hanno riferito al pubblico ministero: «Giovine è venuto ieri a casa mia, mi ha suggerito di raccontare che ero stata a Gurro con lui, il che non è vero. Mi sono arrabbiata, perché se me lo avesse chiesto io avrei firmato». E ancora: «Si tratta di un cugino che vedo di rado», «So che è impegnato in politica, io personalmente simpatizzo per la Lega con la quale in passato mi sono candidato a….».
Insomma, sull´evidenza che ha indotto il giudice Anna Ricci a convocare Carlo e Michele Giovine per il giudizio immediato alle 9 del mattino del 15 dicembre non sembrano esserci dubbi, così come non ne avevano Patrizia Caputo, il procuratore aggiunto Andrea Beconi e il procuratore capo Gian Carlo Caselli che hanno firmato la richiesta. Il resto è – per ora – nelle mani del Tar.
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Zie ed ex fidanzate inchiodano la lista di Giovine
Il gip Anna Ricci ha disposto il giudizio immediato - che per la cronica carenza d’organici del tribunale inizierà solo il 15 dicembre - sulla base dell’«evidenza» delle prove raccolte. In primis, gli accertamenti sulle celle telefoniche agganciate dai cellulari dei due Giovine e di molti candidati della lista nei giorni - il 24 e il 25 febbraio scorsi - in cui a Miasino e Gurro, alto Piemonte, gli uni avrebbero sottoscritto le candidature alle Regionali e gli altri ne avrebbero autenticato le firme. La tecnologia li smentisce tutti. Stavano da tutt’altra parte. Michele Giovine, ad esempio, il 25 non si è mosso dal centro di Torino.
Gli stessi verbali di interrogatorio dei candidati sono diventati prove d’accusa. Lo zoccolo duro di zii e cugini dei Giovine non ha tentennato nemmeno di fronte alle contestazioni del pm Patizia Caputo. Carlo Giovanni Tirello, cugino di Carlo, sembra persino non rendersi conto: racconta che il parente va a prendere in auto a Nizza Monferrato lui e la moglie alle 15 per portarli a Miasino, sul lago d’Orta, e alle 17.30 di averli riportati a casa. Si contraddice, è evidente, e si corregge così: «Abbiamo impiegato il tempo che ci voleva». «Ho firmato al bar». Il pm: «Ai carabinieri aveva parlato di un ufficio». Lui: «Al bar o in ufficio fa lo stesso. Che la mia firma è falsa lo dice il perito». Il magistrato insiste: «Quando ha visto per l’ultima volta suo cugino?». L’altro: «Adesso. Ci ha accompagnato qui. Gli ho telefonato e gli ho detto: “Se non viene una macchina a prenderci noi non andiamo là”. Che male c’è se gliel’abbiamo detto: non siamo mica delinquenti e nostro cugino non è un estraneo». La moglie si allinea, anche se ricorda poco di quel giorno: «Avevo un forte mal di testa».
Dai verbali si apprende che Michele Giovine ha contattato i candidati e testimoni il giorno prima della convocazione in procura per chiedere loro di confermarne la versione. Ma i Trupo, padre e figli, non accettano: «Se ce l’avesse chiesto, siamo amici, avremmo firmato. Non l’ha fatto. Tanto meno siamo stati a Gurro». Valentina Pantano, un’ex fiamma di Michele, è ancora più netta: «Dal 2002 non mi occupo più di politica, non sapevo nemmeno di essere stata candidata, vivo a Milano».
I parenti restano lo zoccolo duro. Dina Martufi, cugina del consigliere regionale, premette di non essersi mai occupata di politica: «Non avevo nessuna intenzione di candidarmi in Piemonte. L’ho fatto senza rendermi conto del peso della cosa. Ho accettato per aiutare mio cugino e mio zio. La mia firma sul modulo della candidatura e quella sulla carta d’identità sono così difformi perché la prima l’ho fatta quando portavo un tutore». C’è chi ha provato a giustificare la firma diversa sostenendo «mi viene in un modo o in altro secondo l’umore» o «il forte stato emotivo di quel momento». C’è pure una zia di Sara, la fidanzata di Michele Giovine, che assicura di aver fatto, il 25 febbraio, il doppio tour: firma a Miasino e poi a Gurro, in cima al Verbano, «non so perché», e di fronte al consigliere regionale firma in piazza, «a sera tardi».
Quel giorno lei, la sorella e la nipote (che era a Torino, secondo il suo telefonino) portano in Val Cannobina anche la madre classe 1923, «da 9 anni colpita dal morbo di Parkinson», e che pure, con l’aiuto di un deambulatore, a febbraio si sposta da Verona per «aiutare mia nipote». Solo la candidata più anziana, 91 anni, ammette di aver firmato a Torino: «Mio nipote mi ha portato un modulo della lista per cui lavora». Così come Rosina Trigila, zia di Giovine: «Ho firmato qui, non ho altro da aggiungere».
Già salvato una volta dalla prescrizione
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Michele Giovine verrà processato per la stessa violazione per cui fu indagato nel 2005, dopo la sua prima elezione a Palazzo Lascaris. Quella volta se la cavò con un’assoluzione per la prescrizione del reato perché: la falsità prevista dalle norme speciali elettorali era stata ridotta dal Parlamento da delitto ad ammenda, punita con una sanzione pecuniaria da 500 a 2000 euro; pure i tempi di prescrizione divennero brevissimi e Giovine non dovette pagare nemmeno quei quattro soldi.
Però, nel novembre 2006, la Corte Costituzionale, relatore Giovanni Maria Flick (un ex Guardasigilli) dichiarò l’illegittimità del comma ricontestato oggi a Giovine. Automaticamente è stato ripristinato il «delitto» punibile con il carcere.
«Imitazioni fatte da un dilettante»
Il 7 giugno firma un’«anticipazione» della relazione finale: «Le firme sono risultate palesemente apocrife e sono state eseguite da parsona (o persone) che si è avvalsa (o si sono avvalse) di modelli noti predisposti. In sostanza, chi ha falsificato, ha cercato di imitare le vere firme, riproducendole il più fedelmente possibile e per quanto consentitogli dalla sua capacità grafica di falsario».
Il giudizio dell’esperto sull’abilità del falsario sembra tutt’altro che lusinghiero. Preciso, La Sala esprime «un’unica riserva relativamente alla firma di accettazione di Giovanni Persi, sulla cui autenticità nutro ancora qualche perplessità». Ma il 14 giugno, con la relazione finale fuga anche quell’ultimo dubbio: «E’ stato un impegno organizzativamente laborioso, ma nella comparazione delle firme semplice». Aggiunge: «E’ risultato evidente e incontrovertibile, a mio parere, che tutte le sottoscrizioni delle varie candidature siano totalmente apocrife». Va da sé che non ha controllato quella di Giovine.
Infine: «Escludo in maniera categorica che le diversità evidenziate possano essere ricondotte, ad esempio, a stati emotivi o scomodità esecutive».\
Non si sa ancora quale sia la data fissata per il processo, che comunque comincerà dopo l´estate. Gli avvocati difensori dei due indagati, Cesare Zaccone e Roberto Bronzini, hanno comunque a disposizione tre alternative di giudizio per i loro assistiti: la prima è quella di scegliere il rito ordinario, e in questo caso padre e figlio saranno giudicati davanti alla prima sezione del tribunale presieduta da Giuseppe Casalbore. Oppure potranno scegliere il rito abbreviato, o ancora il patteggiamento, che comportano lo sconto di un terzo sulla pena, e in questi casi finirebbero davanti al giudice per l´udienza preliminare. L´accusa è quella di falso ideologico. Le firme considerate false dalla procura sono state diciotto su diciannove. Michele Giovine, esponente principale della lista, rieletto in consiglio regionale con 27 mila preferenze, e suo padre Carlo potevano procedere all´autenticazione delle firme dei candidati in quanto consiglieri comunali rispettivamente nel comune di Gurro (nel Verbano) e di Miasino (Novara), ma avrebbero preferito utilizzare una "scorciatoia" e apporre loro le firme al posto dei prescelti. La perizia calligrafica aveva confermato i sospetti dell´accusa: i due avrebbero commesso alcuni errori grossolani avendo inserito nominativi di ultranovantenni che abitavano fuori da Piemonte, oltre ad aver utilizzato persone della propria famiglia come candidati (falsificando anche le loro firme).
Il pm Caputo, nei giorni precedenti alla chiusura dell´inchiesta aveva sottoposto i due a interrogatorio: entrambi però si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. Ora il Tar, che deve decidere il primo luglio su questo e altri ricorsi, potrebbe chiedere l´acquisizione degli atti dell´inchiesta penale prima di pronunciarsi sull´eventuale annullamento delle elezioni.
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In aula Cota aveva concluso con un «ora me ne vado a lavorare» che ha indotto i consiglieri del Pd ad occupare i seggi per protesta. Oggi il Pdl, con la Lega, tappezzerà la città di manifesti con la faccia di Cota "imbavagliata" da due grandi strisce di nastro adesivo rosso: annuncia la fiaccolata prevista per lunedì "per difendere il voto dei piemontesi da chi non sa perdere". L´irritazione del centrodestra, e i timori che i ricorsi possano essere accolti, è palese già da qualche giorno, ed è cresciuto a mano a mano che anche dalla Procura (che indaga sui possibili risvolti penali delle irregolarità nella presentazione della lista Pensionati per Cota) giungevano segnali che confermavano la potenziale forza delle contestazioni avanzate dalla ex presidente Mercedes Bresso e dai suoi alleati. Bresso ha ritirato la firma dai ricorsi in seguito a una trattativa con lo stesso Cota che l´ha portata alla presidenza del Comitato delle regioni della Ue, ma in queste è comunque intervenuta: «Cota aspetti la sentenza senza minacciare nessuno».
Ma che cosa sostengono i ricorsi che potrebbero annullare i risultati di una Regione-chiave tornata al centrodestra e con la Lega ora al vertice? I due procedimenti amministrativi sottopongono al Tar da un lato eccezioni contro tre liste (quella centrista guidata da un ex-Udc, Deodato Scanderebech, quella dei Verdi Verdi concorrenti agli ambientalisti del centrosinistra e quella dei Consumatori, tutte apparentate a Roberto Cota e destinatarie di circa 50.000 voti, mentre lo scarto tra il presidente leghista e la sua avversaria è stato di 9.000) e dall´altro contestazioni a quella Pensionati per Cota guidata da un consigliere regionale uscente, Michele Giovine. Quest´ultimo, insieme al padre Carlo, è iscritto nel registro degli indagati e i pm Andrea Beconi e Patrizia Caputo hanno già chiuso l´indagine che li riguarda, chiedendo il giudizio immediato: il gip dirà oggi se è d´accordo, ma intanto si è appreso che le prove sulla falsità di una parte delle firme degli stessi candidati in lista sono state ritenute chiare dai magistrati, che proprio per questo hanno optato per la strada più rapida. In attesa di una sentenza penale di primo grado, dunque, il Tar potrebbe sospendere il giudizio sul caso-Pensionati, pronunciandosi invece sulle altre tre liste. E, secondo le voci che arrivano dall´ambiente politico e dagli esperti di diritto, ci sarebbero elementi sufficienti per un annullamento: simboli confondibili con altri, mancanza di firme di presentazione. Ci sono tutti gli ingredienti, dunque, perché Torino diventi nei prossimi giorni l´epicentro di un altro capitolo della guerra che da tempo oppone il Pdl e il suo leader a gran parte dei magistrati italiani.
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Cota: non sarà facile rubarmi l’elezione
ALESSANDRO MONDO
«E adesso scusatemi, vado a lavorare». Poche parole che hanno trasformato il congedo di Roberto Cota dai consiglieri regionali in un vero incidente diplomatico con l’aula. E che, soprattutto, rendono l’idea di un clima arroventato dall’incognita dei ricorsi sui quali il Tar si pronuncerà il primo luglio. Non è un caso se la decisione dei giudici, con gli scenari possibili, ha tenuto banco per il resto della giornata del governatore qualificandosi come il convitato di pietra del suo avvio di mandato: dalla visita in Università al dibattito sul federalismo con Luca Ricolfi e Sergio Chiamparino. L’uomo che, nell’eventualità di un ritorno al voto, potrebbe sbarrargli la strada.
Per capire le motivazioni che hanno innescato la bagarre a Palazzo Lascaris - seduta sospesa, emiciclo occupato dai consiglieri Pd, volti paonazzi per la rabbia, riunioni concitate - bisogna riportare le lancette indietro di un quarto d’ora rispetto alle ultime parole famose.
Consiglio regionale, ore 11: all’ordine del giorno, le comunicazioni del governatore sui ricorsi. E’ venuto ad ascoltarlo anche Gianfranco Morgando, il segretario regionale del Pd. Cota si lancia in un’arringa veemente. Le sue parole planano nell’aula, ascoltate in perfetto silenzio. «Chi ha più da perdere dai ricorsi è la sinistra», attacca Cota: «E poi chi ricandidano, Bresso? Il suo idealismo si è fermato al posticino in Europa». Soprattutto, non si capacita di una manovra che, a urne chiuse, punta a ribaltare la scelta dei piemontesi, del popolo: «Ho combattuto a viso aperto, e ho vinto. La sovranità appartiene al popolo, il suo voto è sacro e nessun giudice può ridiscuterlo. Solo le dittature pretendono di comandare affidandosi ai cavilli giuridici». Un fiume in piena. E ancora: «Non sottovalutate i piemontesi. Sotto elezioni avete diffuso un manifesto con su scritto “Piemontesi, non pirla”... infatti non vi hanno votato».
Poi il congedo: «Ora scusatemi, vado a lavorare». Cota gira i tacchi e abbandona l’aula, lasciando basiti i consiglieri di opposizione. Un secondo dopo è il caos: il centrodestra applaude, il centrosinistra esplode. A farne le spese è Valerio Cattaneo, il presidente del Consiglio. I primi a insorgere sono Aldo Reschigna e Wilmer Ronzani: «Qui non siamo a Pontida, difenda il ruolo e la dignità dell’aula!». «E’ una vergogna! - si sgola Taricco rivolto a Cattaneo -. Lo faccia rientrare subito!». Brucia l’assenza del contraddittorio. Bruciano, in particolare, le ultime parole di Cota. Come se i consiglieri fossero dei perditempo e l’aula un mero optional dell’azione della giunta.
Cota non torna. Mentre fioccano i comunicati - da Bresso al Pd (Morgando, Reschigna), da Sel (Cerutti) alla Federazione della Sinistra (Petrini, Chieppa, Artesio), passando per Italia valori (Buquicchio) e il Movimento 5 Stelle (Bono, Biolè) - comincia un’incandescente riunione dei capigruppo. Oggi l’opposizione, decisa a inchiodare il Consiglio finchè Cota non tornerà in aula, saprà come butta: il nuovo round potrebbe essere calendarizzato venerdì o martedì prossimo. Pdl (Ghigo, Bonino, Porchietto, Montaruli) e Lega (Carossa, Allasia) difendono a spada tratta il governatore.
Lui tira dritto. Nel primo pomeriggio, all’Università, ripete il concetto e lo ribadisce a sera durante il confronto con il sindaco: «Siamo in uno stato di diritto, non è facile rubare le elezioni». Quanto a Chiamparino, «lo rispetto ma non ho paura di nessuno». «In Italia esiste il diritto, che è fondato sul rispetto delle regole», taglia corto il sindaco. In ogni caso, conclude attingendo per una metafora da uno dei suoi giochi preferiti, «i punti si contano quando le bocce sono ferme».
AZIONE POPOLARE RADICALE/AVVOCATO PROCACCI CHIEDE NON LUOGO A PROCEDERE O ANTICIPO UDIENZA PER EVITARE LA “STRUMENTALIZZAZIONE MEDIATICA” …
"La Repubblica", MARTEDÌ, 22 GIUGNO 2010
Arriva in aula a Palazzo Lascaris la polemica sui ricorsi elettorali che sta occupando la scena politica piemontese nelle ultime settimane. Questa mattina Roberto Cota riferirà davanti al Consiglio regionale sulla sua posizione e sulle dichiarazioni rilasciate una settimana fa in cui aveva parlato, in caso di annullamento delle elezioni di «golpe giudiziario e aveva addirittura minacciato una sorta di ribelllione popolare.
Il Tar deciderà sui ricorsi presentati da Mercedes Bresso (che poi ha ritirato la sua firma) dai Verdi, dai Pensionati e dall´Udc il 1 luglio. Alla luce dell´inchiesta penale sulla lista Pensionati per Cota (che ha avuto 27 mila voti e eletto in Consiglio un suo rappresentante, Michele Giovine) che avrebbe accertato che le firme per le candidature di quel movimento erano false, e del precedente del Molise nel 2001 sia nel centrosinistra che nel centrodestra si spera (o si teme) che si debba ritornare al voto. La decisione del Tar piemontese però dovrà poi essere confermata, in caso di ricorso di qualcuno degli interessati, anche dal Consiglio di Stato, probabilmente in autunno. Cota spera che venga accettata la tesi dei suoi legali che sostengono che il ricorso sia stato presentato in ritardo rispetto ai tempi di legge. Altrimenti, in caso di responso negativo del Tar, si dice potrebbe accelerare i tempi e decidere di dimettersi subito, accelerando così il ritorno alle urne. Ma Cota potrebbe anche semplicemente non ricorrere al Consiglio di Stato: dopo 90 giorni la sentenza di primo grado diventerebbe esecutiva. Quindi a ottobre si dovrebbero indire nuove elezioni regionali. Intanto ieri la Federazione della Sinistra ha deciso di intervenire nel ricorso al Tar sull´esito delle elezioni contro le irregolarità delle liste. Partecipa ad adiuvandum dei ricorrenti.
«È molto grave che un ministro della Repubblica consideri il pronunciamento di un giudice e l´applicazione della legge come un attentato alla democrazia. Non entro nel merito di quello che sarà il giudizio del Tar. Ma la democrazia è innanzitutto rispetto delle regole. In questo particolare caso c´è una legge, la 570 del 1960 che disciplina i ricorsi elettorali. Prevede espressamente, all´articolo 83, che i ricorsi per violazione della disciplina elettorale siano presentabili soltanto dopo la proclamazione degli eletti. Delle due l´una: o quelle leggi possono essere tranquillamente violate, oppure se si ritiene, come si deve ritenere, che anche le leggi elettorali debbano essere rispettate, se c´è il sospetto di una violazione occorre avere fiducia nel pronunciamento dei giudici».
Qualche firma falsa per convalidare una candidatura è una violazione grave?
«Sì, qui parrebbero essersi consumate violazioni molto gravi che integrano reati penalmente rilevanti, cioè di falso ideologico. È nell´interesse di tutti che non ci siano ombre sui risultati dei confronti elettorali. Anche chi vince è interessato a fugare ogni dubbio sulla legittimità del proprio consenso».
Perché il ricorso non è stato presentato prima delle elezioni? «La legge prevede che se una lista viene esclusa dall´ufficio elettorale i rappresentanti di questa lista possono fare immediatamente un ricorso all´ufficio elettorale centrale perché sia riammessa. È dubbio che analogo ricorso allo stesso ufficio elettorale possa essere fatto anche da chi vorrebbe che altre liste venissero escluse. In ogni caso però il ricorso al giudice si può fare per legge solo dopo le elezioni. Questo vale anche per le liste escluse. È un paradosso: ma il ministro Calderoli prima di parlare di attentato alla democrazia proponga una modifica della legge sui ricorsi elettorali».
Quindi anche lei pensa che ci sia qualche cosa da cambiare in questa procedura?
«Dal punto di vista dell´opportunità forse da questa vicenda, come da quella che si è consumata 9 anni fa in Molise, il legislatore nazionale potrebbe trarre spunto per rivedere la legge del 1960 e ammettere, per esempio, i ricorsi giurisdizionali preventivi, oggi esclusi. Anche se talvolta certi vizi è difficile accertarli prima delle elezioni. Ad esempio un´indagine penale per le firme false non potrebbe essere fatta prima, a meno di rinviare le elezioni. Si potrebbe anche anticipare i termini per la presentazione delle liste per permettere verifiche più puntuali. Insomma il problema è complesso. L´unica cosa che non si può fare è ritenere la materia elettorale sottratta al principio di legalità e di costituzionalità. Non può valere tutto, perché quello è uno dei momenti più importanti della democrazia e quindi deve svolgersi nell´assoluto rispetto delle regole».
Molti ritengono che a questo punto la possibilità che le elezioni vengano annullate sia alta. Concorda?
«La decisione del Tar non è per nulla scontata e non è possibile prevederne l´esito. Però è grave che si alimenti la sensazione che un eventuale annullamento delle elezioni costituisca una violazione della democrazia. È esattamente il contrario. Specie chi ricopre cariche istituzionali dovrebbe alimentare la fiducia nelle istituzioni. Se i cittadini dovranno tornare la voto la responsabilità non sarà del giudice amministrativo, ma di chi ha violato le regole».
Scusi ma per evitare casi come questo non sarebbe sufficiente non presentare liste civetta?
«È preoccupante e avvilente constatare il ripetersi di questi fatti: ad ogni elezione, da una parte e dall´altra, ci sono liste pensate solo per ingannare l´elettore. È un fenomeno che andrebbe stroncato in maniera radicale».
(m.trab.)
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Tornando alle polemiche sui ricorsi la dura dichiarazione di Calderoli arriva dopo quella di Umberto Bossi che mercoledì a Torino, con un po´ più di ironia, aveva però ripetuto lo stesso concetto: «C´è gente che non accetta mai di perdere perché perdere non è bello, ma capita. E poi certi ricorsi andavano fatti prima, non dopo» aveva affermato a proposito dei ricorsi elettorali presentati, da Pensionati, Verdi e Udc, contro alcune liste che appoggiavano il centrodestra alle ultime elezioni regionali. Ben più polemiche erano state le dichiarazioni del diretto interessato, Roberto Cota: «Il ricorso al Tar che è stato fatto è semplicemente vergognoso. Le liste le valuta il Tribunale prima del voto e se non vanno bene le esclude. Aggiungo anche che la gente non è scema, ci tiene alla democrazia, e, per usare un eufemismo, non lo prenderebbe bene». In suo appoggio il Pdl aveva annunciato una fiaccolata che si dovrebbe tenere il 28 giugno.
Due giorni prima della data fatidica, quel 1 luglio in cui il Tar di Torino si pronuncerà sui ricorsi: sono tre quelli più rilevanti presentati anche da Mercedes Bresso (che però poi, dopo un accordo con Cota, ha ritirato la sua firma) oltre che dai partiti "danneggiati": sono contro la lista «Al Centro» con Scanderebech contro i «Verdi Verdi» e contro la lista Pensionati per Cota che ha eletto in Consiglio Regionale il suo leader Michele Giovine: su questa ha aperto un´inchiesta penale anche la procura di Torino che è già arrivata alla «chiusura indagini». L´ipotesi di reato per cui sono indagati lo stesso Giovine e il padre è falso ideologico; avrebbero falsificato le liste dei candidati che hanno presentato.
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LA STAMPA - 20 Giugno 2010 pag. 62
L’INDAGINE SUL VOTO REGIONALE
A GURRO, NEL VERBANO, DOVE AVREBBERO DOVUTO AUTENTICARE LE FIRME, NESSUNO SI È PRESENTATO
Dai parenti di Giovine le prime conferme
Lo scandalo delle false firme, ammissioni davanti al pm: “Non sapevo di essere stato candidato”
Agostino Ghiglia
«Qui si vuole sovvertire il votopopolare. Al lavoro c’è una lobby con interessi politici»
Silvio Viale
<<LaLega è strabica e non ricorda tutti i ricorsi che ha presentato contro Rabellino»
ALBERTO GAINO
Gurro, Valle Cannobina, interno della provincia di Verbania. In altre parole: 3 ore buone d’auto da Torino. Là Michele Giovine, consigliere comunale di minoranza, e in quanto tale pubblico ufficiale, avrebbe dovuto autenticare le firme dei candidati della sua lista «Pensionati per Cota». Così prescrive la legge se si vuole fare tutto in famiglia: oltre alla lista di parenti, anche la certificazione. La Procura della Repubblica di Torino gli contesta, com’è ormai noto, di aver falsificato tanto le firme (se apposte da lui o da altri non ha importanza) quanto l’autentica. E Gurro, in punta al Piemonte, a pochi chilometri dalla Svizzera, è per la prima volta al centro di un caso giudiziario con chiare valenze politiche. Non fosse altro perché il nocciolo duro di zie e zii del sempre giovane segretario regionale del partito dei pensionati pro Cota - in precedenza erano «consumatori» per Ghigo - ha dichiarato di essersi spinto fin lassù, ma è stato smentito dagli accertamenti della polizia giudiziaria.
Il procuratore aggiunto Andrea Beconi è un signore gentile ma si guarda bene dal fornire conferme alle indiscrezioni. Si limita a un laconico «abbiamo svolto accertamenti tecnici». Però non ci vuol molto a capire che, se la famiglia ha fatto quadrato da ogni angolo d’Italia, più d’un suo componente - sentito e risentito dal pm Patrizia Caputo - ha vacillato di fronte alle verifiche sulla propria trasferta in Valle Cannobina: giorno, tipo di viaggio, circostanze.
Per la verità, nemmeno a Miasino, paese nei pressi del lago d’Orta e più accessibile - dove è consigliere comunale e pubblico ufficiale Carlo Giovine, il padre di Michele - sarebbero stati avvistati i candidati dirottati per l’autenticazione della firma. Il «fai da te» del consigliere regionale al suo secondo mandato avrebbe incluso la famiglia, a condizione che nessuno si scomodasse. A eccezione di uno che, a Palazzo di Giustizia, ha persino negato di essere a conoscenza di essere stato candidato alle elezioni regionali.
Alla seconda tornata di interrogatori c’è chi si è attestato sulla tesi di ripiego: «Non sono andato dove risulta che ho firmato, ma ho firmato in ogni caso, da un’altra parte». Qui interviene la consulenza grafica che smentirebbe anche il nocciolo duro della parentela candidata.
Nel 2005, precedenti elezioni regionali, Michele Giovine aveva subìto un’indagine penale dello stesso genere. Fu salvato come tanti altri da una leggina ad hoc che ridusse a contravvenzione il reato - punibile sino a 5 anni di carcere - della speciale norma elettorale. Prima che la Corte Costituzionale la rielevasse al rango di «delitto», Giovine incorse nella buona sorte di vedersi cancellare il reato per prescrizione dei termini.
Per un uomo politico non è il massimo vedersi assolvere così, ma di questi tempi capita che non si colga la differenza con un’assoluzione piena.
7 domande a Luigi Costantino, sindaco di Gurro
«In paese si è visto solo sotto elezioni»
Dottor Luigi Valter Costantini, lei è il sindaco di Gurro, dove Michele Giovine, consigliere di minoranza, avrebbe dovuto autenticare le firme dei propri candidati alle elezioni regionali: si è visto nei mesi scorsi dalle vostre parti?
«Non glielo so dire. Giovine si fa vedere ogni tanto in consiglio comunale».
Cosa vuol dire ogni tanto?
«Noi facciamo nel corso di un anno 6 consigli comunali. Giovine è intervenuto alcune volte. Senza i verbali sotto mano non posso essere più preciso».
Si interessa alla vita della vostra comunità? In altre parole, com’è, a suo dire, che ha scelto di candidarsi e farsi eleggere proprio a Gurro?
«Senta, il paese ha 270 abitanti, in prevalenza anziani. Giovine non è residente a Gurro, come del resto non lo sono nemmeno io. Per quanto mi riguarda, sono medico ortopedico, ho diversi pazienti a Gurro: la mia scelta nasce da lì. So che Giovine è amico del precedente sindaco, ora a capo della minoranza».
Trascinato o no dall’ex sindaco per amicizia personale e, visto che dichiara da anni di battersi per gli interessi degli anziani, trova che in qualchemodo si dia da fare per i Gurresi?
«Figuriamoci».
Dottore, può dirci se la procura torinese l’ha convocata come testimone su questa storia di firme autenticate a Gurro?
«Non mi hanno chiamato. Ho sentito dire che in lista con Giovine alle Regionali o ad altre votazioni c’era un altro nostro consigliere comunale di minoranza. Le avrà autenticate lui quelle firme».
Questa è nuova. Par di capire che non vi parlate molto nemmeno a Gurro fra maggioranza e opposizione.
«In Consiglio siamo in 12, otto della maggioranza e 4 della minoranza. Ci vediamo solo lì, dove per definizione l’opposizione ti va contro su tutto. Per esempio sto facendo la piazza nuova. Loro dicono che magari c’erano altre priorità».
Come consigliere regionale Giovine si è speso per Gurro?
«In tre anni che siamo lì solo in campagna elettorale». [AL. GA.]