RADIO CARCERE

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r.arena

Da martedì 7 maggio alle ore 21.00 va in onda su Radio Radicale una nuova trasmissione dal titolo "Radio Carcere" sulla realtà carceraria e le condizioni dei detenuti in Italia.

A cura di Giovanna Reanda e Riccardo Arena.

Per segnalazioni scrivete a radiocarcere@radioradicale.it

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"La Repubblica", VENERDÌ, 25 MARZO 2011

Pagina IX - Torino
 
Torino avrà un nuovo carcere: siglata l´intesa per il "Vallette bis"
Si amplierà anche la prigione di Alessandria "Così i reclusi vivranno meglio"
La struttura sarà pronta in due anni costerà 40 milioni e potrà ospitare 450 detenuti
 
SARAH MARTINENGHI
Ora c´è la firma: Torino avrà un nuovo carcere, Alessandria ne avrà uno più grande, e il sistema carcerario piemontese entro qualche anno potrà avere un respiro più ampio per uscire dalla morsa dell´emergenza sovraffollamento. È stata firmata ieri a Roma l´intesa istituzionale che prevede la nuova realizzazione di un istituto penitenziario in città e l´ampliamento di un padiglione detentivo nella provincia piemontese. Hanno siglato l´accordo il commissario delegato per il piano carceri Franco Ionta e l´assessore al bilancio della Regione Piemonte Giovanna Quaglia. I tempi dovrebbero essere rapidi, sulla base delle disposizioni urgenti stabilite per il "Piano Carceri": il progetto preliminare deve ancora essere completato, ma la previsione è quella di edificare entro due anni.
A Torino il nuovo istituto sorgerà in un´area verde vicina al carcere Lo Russo e Cotugno: quasi nove ettari che si trovano compresi tra Venaria (a nord), il quartiere delle Vallette (a est), l´attuale carcere (a sud) e Villa Cristina (a ovest). La struttura avrà una capienza di 450 detenuti e costerà circa 40 milioni e mezzo di euro: «L´area è conforme dal punto di vista geologico e idoneo da quello infrastrutturale - hanno spiegato dalla Regione - si trova vicino all´uscita autostradale ed è funzionale alla traduzione dei detenuti e all´accesso di parenti, avvocati e personale giudiziario». Ad Alessandria il penitenziario, in località San Michele, sarà invece ampliato con un padiglione che potrà ospitare altri 200 reclusi. Il costo sarà di 11 milioni di euro.
Si aggiungeranno così 650 nuovi posti detentivi al sistema carcerario piemontese: attualmente nella nostra regione ci sono 5.178 carcerati in 13 istituti. «Questa sarà una risposta immediata all´emergenza in atto - ha commentato il commissario Ionta - ma le opere di edilizia sono solo un tassello di un piano del Governo che prevede anche misure deflattive alla carcerazione e l´assunzione di agenti di polizia penitenziaria». «Dal punto di vista architettonico - ha spiegato ancora la Regione - l´obiettivo del "Piano carceri" è realizzare istituti tecnicamente e funzionalmente adatti a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, ampliando gli spazi e favorendo le attività riabilitative, e a garantire al tempo stesso un elevato livello di sicurezza, ottimizzando il lavoro degli agenti». «Governo e Regione vogliono rispondere concretamente alle problematiche legate al sovraffollamento - ha aggiunto l´assessore Giovanna Quaglia - che ha determinato tensioni ed episodi drammatici».
Anche il candidato sindaco Piero Fassino ha sottolineato l´esigenza di combattere l´emergenza non solo con nuove strutture ma anche con risorse finanziarie, «in questi anni costantemente ridotte», e con «un´adeguata dotazione di personale di custodia», «indispensabili per far sì che il tempo della permanenza per un detenuto non sia solo punizione e isolamento».

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"La Stampa", 25/03/11, cronaca di Torino

 

«La rete è vicina allo sfascio, costruire non basta»

4 domandea

Gerardo Romano sindacalista

Gerardo Romano, segretario regionale Osapp, è cauto. La notizia del nuovo segmento di carcere non sembra scatenare una particolare euforia tra gli operatori delle Vallette.

Segretario, 150 nuovi posti allenterebbero la pressione sulle Vallette, la cui capienza è passata da 800 a 1600 detenuti. Soddisfatti?

«Non direi. Intanto, per gestire la struttura, i cui lavori, a quanto pare, si concluderebbero fra due anni, ci vorranno almeno 200 assunzioni di poliziotti. Altrimenti, sarebbe una pura follia pensare di tenere sotto controllo altre decine di detenuti con le forze attuali».

Si parla anche di altre iniziative simili in tutta la regione. Non è un modo per superare le emergenze del sovraffollamento?

«In teoria, sembrerebbe. Però vorrebbe anche dire che l’emergenza criminalità è salita ancora. E questo non è certo un dato positivo. Noi saremmo più inclini a favorire l’adozione di misure alternative al carcere: molte case circondariali, da Rivarolo a Mondovì, sino a Casale Monferrato, sono state chiuse. Non è costruendo nuove strutture che si risolvono i problemi».

Quali i più gravi?

«La mancanza di risorse, a tutti i livelli, dal personale ai mezzi. Prima di parlare di neo-edilizia carceraria bisognerebbe pensare a far funzionare bene la rete attuale. Che è vicina allo sfascio».

Insomma, un giudizio tutto sommato negativo. È così?

«Per carità, non vogliamo sostenere che si tratta di iniziative sbagliate. Il sovraffollamento è una tragedia per detenuti e agenti, quindi ben vengano nuove carceri in grado di allentare la pressione sugli istituti ormai vicini al tutto esaurito. Ma non vorremmo che tutta la questione si risolvesse con un’arida sequenza di numeri. Le carceri non sono fabbriche, non basta riempirle di persone. Il male da curare davvero, forse, è fuori dalle mura». [M. NUM.]

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"La Stampa", 25/03/11, cronaca di Torino

 

 

Le Vallette raddoppiano Arriva un nuovo carcere

Sorgerà accanto all’attuale, ospiterà fino a 450 detenuti

MAURIZIO TROPEANO

Intesa a Roma: «Risposta al sovraffollamento» Ieri è arrivata la firma nella capitale: per la Regione era presente l’assessore al Bilancio Giovanna Quaglia I soldi necessari alla costruzione del carcere, 40,5 milioni, li garantisce il governo nell’ambito del piano carceri

Acavallo tra la fine dell’anno e l’inizio del 2012 partiranno i lavori per costruire quelle che potremmo chiamare le Vallette 2, una nuova struttura carceraria da 450 posti che sorgerà a fianco del penitenziario verso la parte Sud di Venaria. I soldi, 40 milioni e mezzo, li mette il governo nell’ambito del piano carceri. Ma lo stanziamento è stato reso possibile grazie all’intesa firmata ieri a Roma dalla Regione Piemonte e dal commissario delegato per il piano, Franco Ionta, che individua la localizzazione della nuova struttura.

Il sito di quasi 9 ettari è stato scelto perché sorge «vicino all’uscita autostradale, funzionale alla traduzione dei detenuti e all’accesso di parenti, legali e personale giudiziario». Nelle intenzioni del governo il piano carceri servirà per realizzare istituti adatti a migliorare le condizioni di vita dei detenuti, ampliando gli spazi e favorendo le attività riabilitative, nonché a garantire al tempo stesso un elevato livello di sicurezza, ottimizzando il lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. Secondo Ionta il nuovo carcere dà una risposta immediata all’emergenza in atto legata al sovraffollamento».

La popolazione carceraria del Lorusso-Cotugno varia dai 1500 ai 1700 detenuti a fronte di una capienza ottimale di 900 posti e una «tollerabile» di 1300. Secondo l’assessore regionale al Bilancio, Giovanna Quaglia, che ieri ha firmato l’intesa per conto del governatore Roberto Cota, «l’ampliamento delle strutture, nonostante una carenza del personale operativo rispetto alle reali necessità, andrà a particolare beneficio della convivenza all’interno delle strutture e potrà migliorare seriamente le condizioni lavorative del personale di polizia penitenziaria, che svolge davvero un compito difficile e di grande importanza».

Per Maria Pia Brunato, garante dei detenuti per il Comune di Torino, resta invece «irrisolto il problema legato alla vita quotidiana dei detenuti. Mancano carta igienica, assorbenti, materiali per la pulizia che vengono forniti dalle associazioni di volontariato che operano all’interno del carcere oppure grazie a donazioni private possibili solo per l’attivismo del direttore». Dunque, non basta garantire più spazio, perché «la maggioranza dei detenuti che incontro mi sottolinea la mancanza degli strumenti per la pulizia personale e della cella». E l’ex ministro della Giustizia, Piero Fassino, candidato sindaco per il centrosinistra, aggiunge: «Per il buon funzionamento di un nuovo istituto di pena è indispensabile una adeguata dotazione di personale di custodia, di educatori capaci di far sì che il tempo della permanenza per un detenuto non sia solo punizione e isolamento, così come servono risorse finanziarie adeguate che garantiscano un buon funzionamento all’interno del carcere».

Ma secondo il commissario Ionta «le opere di edilizia carceraria sono solo un tassello, pur necessario e fondamentale, di un piano che prevede anche misure deflattive alla carcerazione e l’assunzione di agenti di polizia penitenziaria». Un piano «predisposto dal governo con l’obiettivo di operare una transizione dall’emergenza cronica alla stabilizzazione del sistema penitenziario». Il Piano carceri prevede la realizzazione in tempi rapidi di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni (uno da 200 posti sorgerà ad Alessandria) che garantiranno 9150 nuovi posti detentivi, per un costo complessivo stimato di 675 milioni.

LAVORI ENTRO UN ANNO Il commissario: «Presto le assunzioni di altri agenti» 40,5 1300 milioni la capienza il costo massima I soldi fanno parte L’attuale carcere alle Vallette di uno stanziamento avrebbe una capienza complessivo di 675 milioni ottimale di 900 persone, da parte del governo ma ne ospita 1500-1700

Iscritto dal: 07/09/2000
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Processo Cucchi 150 testimoni per la verità sulla fine di Stefano

 

Corrado Santantonio, assente. Antonio Domenici, assente. Aldo Fierro, assente. E così Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Rosita Caponetti, Giuseppe Fluato, Elvira Martelli e Domenico Pepe. Tranne due, l'agente di polizia penitenziaria Nicola Minichini («Doveroso esserci, non dobbiamo nasconderci») e il medico endocrinologo Stefania Corbi («Ci hanno dipinto come mostri, ma non è così. Io sono stata sommersa dalle lettere di solidarietà dei miei pazienti») la III Corte d'Assise di Roma ha dichiarato tutti contumaci gli altri imputati per il processo che si è aperto ieri per la morte di Stefano Cucchi, il 31 enne romano arrestato per droga il 15 ottobre di due anni fa e morto secondo l'accusa a causa delle mancate cure da parte del personale ospedaliero del reparto detentivo del Sandro Pertini dove il giovane era stato ricoverato per le gravi percosse subite da parte di tre guardie carcerarie quando si trovava nelle celle di sicurezza del tribunale di piazzale Clodio. L'aula bunker di Rebibbia, dove si celebra il dibattimento, era invece affollata di giornalisti e telecamere. E nel tentativo di oscurare la copertura televisiva delle udienze si sono battuti, invano, gli avvocati della difesa, che hanno chiesto alla Corte addirittura che il processo fosse celebrato a porte chiuse. «Questo è un caso che è stato pompato mediaticamente, con un'attenzione sbilanciata a favore di una soltanto delle parti coinvolte che ha sicuramente creato nell'opinione pubblica dei pregiudiziali convincimenti - ha dichiarato davanti ai giudici l'avvocato Corrado Oliviero, difensore dell'agente Santantonio - Ma qual è la rilevanza sociale di questo procedimento? Ci sono decine e decine di casi come quello di Stefano Cucchi. Chiedo sia ammessa soltanto Radio Radicale, perché essa si limita a registrare il dibattimento, senza commenti». Ad ascoltare le sue parole, seduti alle sue spalle, c'erano tra gli altri la sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, e anche suo padre e sua madre, Giovanni e Rita. E negli occhi di Ilaria, lucidi come quelli di chi non smette ormai da troppo tempo di piangere, è balenato in quegli istanti un lampo di dolore misto a rabbia.
Ascoltate le istanze delle difese, la Corte ha ritenuto invece che il processo abbia una forte rilevanza sociale e ha autorizzato la presenza delle telecamere, fatto salvo il divieto di effettuare riprese degli imputati e dei testimoni che ne faranno richiesta. Ha commentato Giovanni Cucchi, il padre di Stefano: «Noi dobbiamo ringraziare la stampa. Una stampa libera esiste. Se non fossero state pubblicate le foto del cadavere martoriato di mio figlio la sua morte sarebbe stata archiviata come morte naturale». E sua moglie Rita: «Adesso la voce di Stefano siamo noi, a lui gliel'hanno tolta. Gliel'hanno tolta dall'inizio, da quando gli hanno negato l'avvocato di fiducia e poi impedendoci di potere avere con lui un colloquio. Perché nessuno doveva sapere quello che era capitato a mio figlio. Ma finché avrò vita combatterò».
Ieri, nonostante le eccezioni delle difese, la Corte d'assise ha ammesso pure la costituzione di parte civile del Tribunale del Malato e confermata quella già decisa in sede di udienza preliminare del Comune di Roma. Prossima udienza il 28 aprile, con le prime testimonianze (150 in tutto i testi che sfileranno in aula) : quelle dei carabinieri che arrestarono Cucchi per il possesso di alcune dosi di hashish. Per quella data la Corte dovrà aver deciso anche in merito all'istanza presentata da uno degli avvocati degli imputati, relativa all'effettuazione di un sopralluogo nella cella dove Cucchi sarebbe stato picchiato. I pm, Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy, hanno invece chiesto di poter produrre gli atti dell'inchiesta compiuta dalla Commissione parlamentare presieduta dal senatore Ignazio Marino e quelli dell'inchiesta svolta dell'Amministrazione penitenziaria.
Iscritto dal: 07/09/2000
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Carceri. Senatori Radicali: nulla è successo sul nulla per le detenute madri, e nulla succederà martedì prossimo

Carceri

Dichiarazione dei Senatori Radicali Marco Perduca e Donatella Poretti e Irene Testa segretaria del'Associazione Detenuto ignoto:

"Purtroppo circola una comunicato dell'ex onorevole Colombini che ha indotto in errore le agenzie. Diciamo purtroppo non perche' non lo si condivida, anzi! Si tratta infatti di una dichiarazione di due settimane fa quando l Governo aveva acconsentito a una pausa di approfondimento consentendo un ulteriore passaggio della legge sulle detenute madri in commissione giustizia del senato. Il passaggio c'e' stato son state fatte audizioni istituzionali e non ma il Governo e' tornato a essere dell'opinione che quel nulla uscito dalla Camera fosse la migliore risposta possibile in materi.

Abbiamo quindi ripresentato tutto gli emendamenti, compresi anche quelli della relatrice e vedremo cosa succedera' martedi prossimo quando il provvedimento dovrebbe esser messo ai voti nel pomeriggio.

Iscritto dal: 07/09/2000
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http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2011/03/24/visualizza_new.html_1532130524.html

 

Carceri: 2 minori su 3 dentro in attesa giudizio, come adulti

Nei minorili solo stranieri, rom e meridionali

24 marzo, 17:01

Una veduta dell'isolotto di Nisida a Napoli che ospita il carcere minorile

Una veduta dell'isolotto di Nisida a Napoli che ospita il carcere minorile

 2 minori su 3 dentro in attesa giudizio, come adulti

ROMA - Circa due terzi (nel 2009 il 61,6%) dei minori detenuti gli istituti di pena minorile(ipm) sono in custodia cautelare, mentre solo un terzo sta scontando una pena definitiva. Lo evidenzia l'associazione Antigone nel 'Primo rapporto sugli istituti penali minorili', una caratteristica del sistema carcerario minorile, che confligge con lo spirito della riforma della giustizia minorile del 1988, e che lo accomuna al sistema penale degli adulti.

Anche nel caso delle carceri per minori c'e' una sproporzione tra italiani e stranieri (rispettivamente il 57 e il 42% nel 2009). Antigone osserva anche come la giustizia minorile abbia retto meglio ''alle campagne securitarie degli ultimi anni'', che hanno portato al collasso i carceri per adulti.

''Il sistema minorile - sottolinea - sembra essere rimasto immune da questa tendenza. L'andamento della criminalita' e' rimasto invariato e gli Istituti non si sono riempiti fino all'inverosimile''. L'Italia resta uno dei Paesi dove si incarcerano meno i minori, con una proporzione di uno ogni 20 mila, come Olanda, meno che in Francia, dove finisce dentro un ragazzo ogni 12.500, ma piu' che in Spagna (la proporzione qui e' di uno ogni 50 mila).

NEI MINORILI SOLO STRANIERI, ROM E MERIDIONALI - Se e' vero che, dopo la riforma del codice di procedura penale minorile del 1988, il carcere per i ragazzi che hanno commesso reati e' ormai un'estrema ratio, gli Istituti per minori (Ipm) sono, ancora piu' che quelli per adulti, dei ''contenitori di marginalita' sociale'' dove finiscono ''solo stranieri, rom e ragazzi del Sud''. Il rapporto di Antigone evidenzia che ''il sistema funziona bene, ma non per tutti''.

A dimostrazione di questo, l'associazione mette a confronto le denunce, gli ingressi nei 27 Cpa (centri di prima accoglienza, che ospitano i minorenni fino a 96 ore dopo l'arresto) e le presenze nei 19 Istituti penali. E da questo si ricava ''una netta selettivita' a danno degli stranieri: sono una minoranza tra i denunciati, in carcere sono quanti o piu' degli italiani''. Indicativo in questo senso e' il dato delle sezioni femminili, nel 2009 su 34 ragazze detenute 28 erano straniere. Per citare solo alcune delle cifre raccolte, nel 2007 i minori stranieri denunciati sono stati 10.390, il 27,2% del totale (38.193 ragazzi), con una proporzione piu' o meno stabile fin dal 2000 (oscillante tra il 23 e il 29%).

A fronte di questi numeri nel 2007 gli stranieri passati per i 27 Cpa erano 1.840 su 3.385, nel 2010 9024 su 2.344. I detenuti nei 19 Istituti erano 218 su 422 (il 51,7%), una percentuale, tuttavia, calata negli ultimi due anni: al 45% nel 2009 e al 34,4% nel 2010. Eppure, dice Antigone, i minori stranieri ''si caratterizzano per la commissione di fatti meno gravi, per i quali il ricorso ad una misura cautelare e' meno necessario che per gli italiani'', invece quando ''una misura cautelare si rende necessaria , il carcere e' per gli stranieri piu' probabile''. Interessante e' poi la geografia del nostro sistema: nel 2010 negli Ipm del nord sono entrati 434 ragazzi, 174 italiani e 260 stranieri; al centro 100 italiani e 258 stranieri; al Sud la proporzione e' completamente rovesciata, 362 italiani e 62 stranieri, nelle Isole 248 italiani e 36 stranieri.

Iscritto dal: 11/11/2010
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Radicali/Salerno: Emergenza cibo e medicinali al carcere di Salerno

Comitato referendario radicale “23 Luglio”

COMUNICATO STAMPA
Radicali/Salerno: Non sono passate che poche ore da quando ho ricevuto il testo dell’interrogazione parlamentare depositata alla Camera dalla deputata radicale Rita Bernardini al Ministro della giustizia e della sanità sui fatti della scorsa settimana denunciati da alcuni detenuti della sezione tossicodipendenti del carcere di Fuorni, che devo sollecitare una nuova e urgentissima interrogazione dell’On. Bernardini al Ministro delle comunicazioni e della giustizia, per fare fronte all’emergenza medicine e cibo a Fuorni, dovuta al black-out da giorni dei terminali dell’ufficio postale di fronte la casa circondariale di Salerno.

Dichiarazione di Salzano:
“Ieri pomeriggio ho ricevuto il testo dell’interrogazione ai Ministri Alfano e Fazio da parte della nostra onnipresente Rita, su i fatti appunto della scorsa settimana denunciati da alcuni detenuti della sezione tossicodipendenti in una lettera al quotidiano “La Città” pubblicata a firma del collega Luigi Colombo. Purtroppo devo nuovamente e urgentemente sollecitare l’intervento parlamentare dell’On. Bernardini per fare fronte ad una ulteriore emergenza per i medicinali e il cibo dovuta al disservizio oramai ciclico dei terminali dell’ufficio postale di Fuorni.
Faccio appello al Direttore Provinciale di “Poste italiane” e al Ministro delle Comunicazioni Paolo Romani, ed ancora al Sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, affinché facciano tutto ciò che è in loro potere per ripristinare “Ad Horas”  il servizio vitale in questo piccolo preziossimo e importantissimo ufficio postale, perché l’alternativa per le donne e gli uomini di Fuorni è il vitto microscopico che fornisce l’amministrazione carceraria e l’assenza del sevizio sanitario nazionale. Ancora una volta, alla sofferenza si aggiunge altra sofferenza per questa martoriata Comunità Penitenziaria. Spes contra spem!”

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"La Stampa", 22/03/11, cronaca di Torino

 

RIVOLTA NEL CENTRO

“Diamo fuoco ai Cie” Tre casette distrutte in Corso Brunelleschi

La Digos ha aperto un’indagine dopo il precedente dil luglio

MASSIMO NUMA

Fiamme nella notte Domenica sera il presidio anarchico con lo slogan: «Fuoco ai Cie!» e neanche due ore dopo è scoppiato il secondo incendio doloso Gravi i danni

Secondo incendio in meno di 15 giorni. I tunisini sbarcati tempo fa dai barconi provenienti dalla Libia, reclusi all’interno del Cie di corso Brunelleschi, ieri notte hanno dato fuoco a tre moduli abitativi dell’area verde, quella appena ristrutturata. Venti i posti letto resi inutilizzabili. Lo scopo è quello di sfruttare la situazione attuale dei pochi centri di accoglienza italiani, tutti ormai vicini all’esaurimento, o al collasso, per la nuova massiccia ondata di immigrazione clandestina: ottenere la libertà per l’assoluta mancanza di spazi. A Gradisca d’Isonzo, il Cie è stato praticamente distrutto e la strategia ha funzionato, grazie anche all’accorta regia dei movimenti antagonisti che guidano, organizzano e promuovono la guerra ai Cie. A Torino invece no. I responsabili della questura hanno semplicemente istituito una serie di posti-letto, quelli necessari a far fronte all’emergenza, nella sala mensa, dove sono stati sistemati mobili e materassi. L’unico risultato dell’azione vandalica, preceduta da un lungo presidio anarchico, proprio sotto le mura, con slogan e minacce («Fuoco ai Cie, i Cie non si chiudono ma si distruggono») è stato quello, per ora, di rendere più pesanti e disagevoli le condizioni di vita dei 120 clandestini ospiti della struttura, una delle più avanzate e in linea con le disposizioni Onu d’Italia.

La Digos ha aperto un fascicolo, gli autori dell’ennesimo gesto vandalico che costerà all’erario somme ingenti, sarebbero già stati individuati e presto segnalati alla procura. I responsabili della prima grave distruzione, avvenuta nel luglio scorso, sono stati già processati e condannati, in base agli elementi raccolti dalla polizia, attraverso testimonianze e le immagini videoregistrate.

L’allarme, ieri notte, è scattato attorno alla mezza; prima una colonna di fumo, poi le fiamme, con gli ospiti - anche quelli estranei alla rivolta - costretti a trovare rifugio nei cortili. In pochi minuti («sono stati davvero rapidi, li ringraziamo per l’ottimo lavoro», dicono in questura) sono arrivati i vigili del fuoco che, in pochi minuti, sono riusciti a spegnere le fiamme, contenendo così i danni che avrebbero potuto essere molto più gravi. Ieri mattina, dopo il primo sopralluogo dei funzionari della prefettura è stato deciso di allestire gli spazi necessari per accogliere le persone che erano alloggiate nei moduli distrutti. Il quartiere ha vissuto così l’ennesima notte di caos, subito dopo il presidio degli anarco-insurrezionalisti, tra slogan urlati con i megafoni, l’esplosione di petardi, musica a tutto volume e battitura ossessiva dei pali e delle transenne con martelli e spranghe. E continui incitamenti alla rivolta.

Iscritto dal: 07/09/2000
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Interrogazione (Camera) Rita Bernardini su - Grave situazione di sovraffollamento carcere di Genova

L'interrogante ha visitato la casa circondariale di Genova-Pontedecimo assieme ad Irene Testa (segretaria dell'associazione Il Detenuto Ignoto), Alessandro Rosasco (membro del comitato nazionale di Radicali Italiani), Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'associazione Radicali Genova), Stefano Petrella (segretario del gruppo radicale Adele Faccio) e Claudia Bornico (presidente dell'associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dalla direttrice, dottoressa Maria Milano; Testo INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA Atto a cui si riferisce: C.4/11115 [Grave situazione di sovraffollamento nel carcere di Genova] Atto Camera Interrogazione a risposta scritta 4-11115 presentata da RITA BERNARDINI lunedì 7 marzo 2011, seduta n.444 BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che: il 28 gennaio 2011, l'interrogante ha visitato la casa circondariale di Genova-Pontedecimo assieme ad Irene Testa (segretaria dell'associazione Il Detenuto Ignoto), Alessandro Rosasco (membro del comitato nazionale di Radicali Italiani), Susanna Mazzucchelli (segretaria dell'associazione Radicali Genova), Stefano Petrella (segretario del gruppo radicale Adele Faccio) e Claudia Bornico (presidente dell'associazione Radicali Genova); la delegazione è stata accompagnata dalla direttrice, dottoressa Maria Milano; dalla visita ispettiva è emerso il seguente quadro: nel carcere di Genova-Pontedecimo sono presenti 172 detenuti, 81 donne e 91 uomini, a fronte di una capienza regolamentare di 100 posti; gli agenti di polizia penitenziaria sono 104 di cui 34 distaccati, 5 al nucleo traduzioni e piantonamenti; nei 104 sono compresi amministrativi, malati, aspettative e altro; il numero è del tutto insufficiente per coprire tutte le esigenze dell'istituto, in primo luogo quelle trattamentali; l'istituto presenta gravi carenze strutturali che ne pregiudicano la sicurezza e la salubrità dei luoghi e, in particolare, ci sono lavori urgentissimi che dovrebbero essere eseguiti al più presto come: lavori per infiltrazioni d'acqua nelle aule scolastiche e in altri locali; rifacimento zona colloqui (c'è ancora il vietatissimo muretto divisorio); sostituzione di una telecamera dell'impianto di videosorveglianza; collegamento delle telecamere della II sezione maschile con i monitor della porta carraia e della sezione detentiva maschile; lavori di varia natura nelle celle detentive della sezione maschile; diffusori d'acqua per lavandini e docce di tutte le sezioni detentive; interruttori a tempo nei corridoi e in diversi locali; zanzariere nella cucina per i detenuti; griglie per aerazione della porta carraia; sistemazione di caditoie site sulla strada d'accesso all'istituto; sostituzione plafoniere in diversi locali; bonifica della fossa dell'ascensore per cucina detenuti; asfalto della strada d'accesso all'istituto; sostituzione dei materassi perché scaduti; revisione degli impianti per acqua calda e riscaldamento sia nei reparti detentivi sia nelle stanze che ospitano il personale; nell'istituto manca l'area verde; il passaggio della sanità penitenziaria alla ASL ha creato notevoli problemi in primo luogo perché è stato sostituito tutto il personale che precedentemente operava nell'istituto: non c'è più la guardia medica h24, c'è una copertura ridotta costituita da un medico o da un infermiere; se accade un evento critico di notte, è necessario chiamare il 118 anche per interventi che potrebbero essere risolti sul posto; attrezzature importanti che pure sono disponibili, come il defibrillatore, sono in realtà inutilizzabili perché nei turni scoperti dalla presenza di medici, il personale non è in grado di usarle; inoltre il passaggio alla ASL ha diminuito la presenza degli specialisti e a causa della carenza degli agenti di polizia penitenziaria le visite in esterna sono molto difficili da gestire; alcuni specialisti, psichiatra e dentista, si recano in istituto la domenica, creando difficoltà dovute all'ulteriore riduzione del già ridotto numero di agenti; la mancanza della guardia medica h24 implica un enorme carico di responsabilità per gli agenti che devono controllare e gestire situazioni talvolta drammatiche; nonostante le indubbie capacità della direttrice, per le gravissime carenze di mezzi che hanno registrato tagli in tutti i settori, l'istituto versa in condizioni difficilissime: bastino gli esempi del monte ore degli psicologi che attualmente coprono il servizio per sole 13 ore mensili o delle possibilità di lavoro per i detenuti che si sono ulteriormente ridotte a causa del drastico taglio delle mercedi: 30 per cento nel 2010 e 40 per cento nell'anno corrente; i detenuti lavorano per 50 euro mensili: infatti, a causa della scarsità di posti la direttrice prevede rotazioni frequenti, al fine di far lavorare il maggior numero di detenuti; in cifre, su 172 detenuti lavorano solo 14 uomini e 6 donne e chi non fa attività passa in cella ben 19 ore; quanto alle attività scolastiche, queste impegnano: 13 uomini e 23 donne nei corsi di alfabetizzazione; 26 uomini e 15 donne nelle scuole medie e 20 uomini e 22 donne in quelle superiori; l'impegno della direttrice riesce a coprire le molte carenze dell'istituto che - ad avviso degli interroganti - sono dovute alla disattenzione dell'amministrazione regionale e centrale; le capacità dirigenziali, d'altra parte, sono dimostrate dal fatto che bene o male il 50 per cento dei detenuti è impegnato in attività scolastiche o lavorative; con la legge n. 199 del 2010 sono usciti alla detenzione domiciliare solo 3 detenuti; il regolamento d'istituto ancora non c'è, anche se sono stati percorsi tutti i passaggi previsti: manca solo l'autorizzazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria -: se siano a conoscenza di quanto scritto in premessa; in che modo intenda attivarsi e in quali tempi per superare gli evidenti problemi di sovraffollamento del carcere di Genova Pontedecimo; in che tempi verrà ripristinato l'organico degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori e degli psicologi; in che tempi verranno superate le carenze strutturali dell'istituto, anche attraverso il finanziamento di progetti ad hoc; cosa si intenda fare per vigilare affinché venga garantito il diritto alla salute dei detenuti; in che modo intendano ripristinare il fondo per il lavoro in carcere dei detenuti, visto che nelle condizioni attuali, solo un'estrema minoranza di loro ha la possibilità di svolgere un attività, peraltro poco qualificante, all'interno dell'istituto; in che tempi verrà sanata la violazione normativa riguardante l'inesistenza di un regolamento interno all'istituto. (4-11115) http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_16/showXhtml.Asp?idAtto=36325&stile=6&highLight=1 da: http://parlamento.openpolis.it/atto/documento/id/59055

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Fonte: http://radicalige.splinder.com/post/24334832/interrogazione-camera-rita-bernardini-su-grave-situazione-di-sovraffollamento-carcere-di-genova

Iscritto dal: 11/11/2010
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Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 46 settimane 3 giorni ago.

http://notizie.radicali.it/articolo/2011-03-21/editoriale/nel-carcere-di-pescara-35enne-si-impicca-13-i-detenuti-suicidi-e-33-i
 
Osservatorio permanente sulle morti in carcere
 

Nel carcere di Pescara 35enne si impicca: 13 i detenuti suicidi e 33 i morti del 2011

 
 
21-03-2011

Mario Di Fonso, 35 anni, si è suicidato questa mattina nel carcere di Pescara impiccandosi alle sbarre con un rudimentale cappio ricavato da una striscia di lenzuolo. Scattato l’allarme, oltre al medico del carcere è intervenuto anche il 118, ma l'uomo era già morto. Il magistrato di turno, Silvia Santoro, ha disposto l'autopsia.

Di Fonso era in carcere dallo scorso settembre, quando fu arrestato assieme ad altre sette persone nell’ambito di un’inchiesta del commissariato di Lanciano (Chieti) per un presunto traffico di sostanze stupefacenti.

Salgono così a tredici i detenuti morti per suicidio dall’inizio del 2011 (quattro nel solo mese di marzo) e a trentatré il totale dei detenuti morti per cause diverse nelle carceri italiane. L’ultimo decesso era avvenuto ieri nella Casa Circondariale di Reggio Calabria, vittima una donna marocchina di 44 anni.

 

 

Nome

Cognome

Età

Data morte

Causa morte

Carcere

Mario

Di Fonso

35 anni

19-mar-11

Suicidio

Pescara

Detenuta

Marocchina

44 anni

18-mar-11

Da accertare

Reggio Calabria

Detenuto

Albanese

25 anni

15-mar-11

Suicidio

Parma

Adel

Mzoughi

36 anni

14-mar-11

Da accertare

Padova C. Circ.

Victor

Galvez

47 anni

13-mar-11

Da accertare

Pesaro

Enzo

Di Marco

49 anni

11-mar-11

Da accertare

Massa

Giuseppe

Denaro

28 anni

08-mar-11

Suicidio

Opg Montelupo (Fi)

Francesco

Sparaccio

53 anni

08-mar-11

Infarto

Carinola (Ce)

Michele

Trebbi

30 anni

01-mar-11

Infarto

Piacenza

Jean Jaques

Olivier Esposito

39 anni

01-mar-11

Suicidio

Avellino

Vasile

Gavrilas

48 anni

14-feb-11

Suicidio

Castrovillari (Cs)

Detenuto

Italiano

53 anni

13-feb-11

Infarto

Sanremo (Im)

Raffaele

Busiello

27 anni

13-feb-11

Infarto

Chieti

Gianluca

Corsi

37 anni

13-feb-11

Suicidio

Velletri (Rm)

Jon

R. (romeno)

38 anni

11-feb-11

Suicidio

Pavia

Ciprian Florin

Gheorghita

25 anni

08-feb-11

Suicidio

Genova

Detenuto

Marocchino

30 anni

30-gen-11

Infarto

Monza

Gioffrè

Antonio

75 anni

29-gen-11

Malattia

Messina

Salvatore

Camelia

39 anni

20-gen-11

Suicidio

Caltagirone (Ct)

Antonino

Montalto

22 anni

20-gen-11

Suicidio

Prato

Mahmoud

Tawfic

66 anni

19-gen-11

Suicidio

Sulmona (Aq)

Michele

Massaro

23 anni

12-gen-11

Suicidio

Perugia

Brahim

Macher

32 anni

09-gen-11

Infarto

Saluzzo (Cn)

Yuri

Attinà

28 anni

05-gen-11

Infarto

Livorno

B.

Massimo

32 anni

05-gen-11

Suicidio

Aversa Opg (Ce)

H.

S. (marocchino)

35 anni

03-gen-11

Infarto

Siracusa

Salvatore

Morelli

35 anni

01-gen-11

Infarto

Lecce

Iscritto dal: 07/09/2000
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Rita Bernardini
 

I conti non tornano, Alfano lo sa

 
 
21-03-2011

Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano continua a sbandierare in televisione i grandi successi
riportati sul fronte delle carceri senza aver dovuto far ricorso a provvedimenti di clemenza. E, per il futuro, preannuncia altri grandi successi con il cosiddetto «piano carceri» che con l’iperbolico stanziamento di 670 milioni produrrà nel giro di un paio di anni 9.700 posti in più nelle patrie galere, per un costo di 70.000 euro a posto letto.

Fatto sta che adesso di posti ne mancano 23.000 e la popolazione detenuta è destinata ad aumentare perché anche con la legge n. 199, svuotata dei suoi buoni contenuti iniziali che noi radicali abbiamo sollecitato e sostenuto, le carceri continuano a riempirsi, seppure a ritmo meno incalzante che nel passato.

Questi conti il ministro li conosce, così come sa perfettamente che mancando già oggi il personale di ogni tipo, non saprebbe chi mettere a governare i nuovi istituti. Poiché conosce i conti, si giustifica affermando che tutto si risolverebbe mandando i detenuti stranieri a scontare la pena nel loro paese. Ma nessuna giustificazione viene avanzata (cosa potrebbe dire il ministro?) di fronte allo stato di totale illegalità delle nostre patrie galere.

Alfano si legga la sentenza della Corte Costituzionale tedesca che ha obbligato le autorità penitenziarie del Paese a rilasciare un detenuto qualora non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. E in Germania non c’è sovraffollamento visto che i detenuti occupano il 90 per cento dello spazio a disposizione... in Italia siamo al 150 per cento.

La realtà che noi radicali conosciamo bene andando costantemente a visitare le carceri è molto diversa. Tutta la comunità penitenziaria è sottoposta a un tale stress di costanti violazioni di elementari diritti umani che è ogni giorno di più al collasso. Agenti costretti a controllare da soli più sezioni di decine di detenuti i quali sono costretti a vivere in spazi così ristretti da sembrare polli allevati in batteria. Detenuti che nel 90 per cento dei casi non possono lavorare, studiare, svolgere attività trattamentali perché sono stati drasticamente tagliati i già carenti fondi a ciò destinati. Detenuti che non vengono curati, che in molti casi vivono lontani da figli, mogli e genitori; detenuti che nel 30 per cento dei casi sono tossicodipendenti e nel 20 per cento soffrono di patologie psichiatriche.

 

Rita Bernardini (Roma, 27 dicembre 1952) è una politica italiana, già segretaria dei Radicali Italiani ed attuale deputata della delegazione Radicale nel Partito Democratico.
 
 

Mentre trascorrono inesorabili i giorni con il loro triste carico di suicidi, morti improvvise, atti di autolesionismo, aggressioni, si costruiscono nuove carceri e, intanto, quelle già esistenti vanno in malora anche dal punto di vista strutturale perché anche il capitolo di spesa destinato alla manutenzione è stato ulteriormente decurtato.

Quanto agli stranieri che il ministro invita «a farsi pagare vitto e alloggio dai loro paesi di origine», continuano ad arrivarmi lettere di detenuti che documentano che questi «rimpatri», nella realtà dei fatti, sono impediti proprio dalle istituzioni italiane.

Solo pochi giorni fa un detenuto rumeno mi ha fatto sapere che da mesi aspetta di salire su un aereo, avendo completato tutte le pratiche necessarie per il trasferimento in base in alla Convenzione di Strasburgo: «Il magistrato di sorveglianza dice che la mia pratica è già pronta, ma non ci sono soldi per trasferirmi in Romania, il mio paese natale dove ci sono i miei figli che non vedo da 3 anni e 2 mesi per motivi economici e di lontananza». E aggiunge: «Sono pronto a pagare subito le mie spese di trasferimento, perché perdendo tempo qui in Italia ho spese lo stesso per mantenere il mio regime carcerario».

Prima di accusare questi detenuti di rifiutare quello che è un loro diritto, il ministro dovrebbe sincerarsi che lo stesso diritto, rivendicato, sia rispettato. Magari distribuendo le risorse economiche sulla base delle priorità reali e non per provvedimenti spot, o «piani» di costruzione di nuove carceri che probabilmente rendono bene in televisione ma non risolvono il dramma della disumana (e incostituzionale) situazione delle carceri italiane.

 

*da "Il manifesto"

Iscritto dal: 07/09/2000
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CIE/RADICALI/TORINO: DISORDINI AL CIE. E’ ORA DI INTERROGARSI SUL SENSO DI QUESTE STRUTTURE INUMANE, INEFFICACI E COSTOSE CHE NON POSSONO RAPPRESENTARE UNA RISPOSTA AL FENOMENO MIGRATORIO.

Questa notte al CIE di Torino alcuni migranti reclusi hanno dato fuoco a dei materassi, danneggiando in parte la struttura. Questo è l’ultimo episodio di una serie di manifestazioni di protesta che continuano a rimanere inascoltate.

Dichiarazione di Domenico Massano (giunta di segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta):

“Quello di questa notte è l’ultimo di una lunga serie di episodi (scioperi della fame, atti di autolesionismo, bocche cucite, …) che evidenziano la difficile situazione che i migranti vivono all’interno del CIE, resa ancora più difficile dagli ultimi arrivi di immigrati provenienti dalla Tunisia che, probabilmente, si sarebbero aspettati ben altra e più civile accoglienza.

La detenzione nel CIE non può essere la prima risposta alle richieste di asilo degli immigrati, nè parte delle politiche in tema di immigrazione. I dati e le notizie che arrivano da queste strutture ci parlano di condizioni di vita inumane e degradanti, di violazioni dei diritti umani, di costi altissimi (mediamente 80 € pro capite al giorno) a fronte di un impatto minimo sugli obiettivi che si prefiggono.

Mi auguro che non vi sia una strumentalizzazione di questo episodio con dichiarazioni demagogiche esclusivamente di condanna, ma che si sappia anche ascoltare la voce e le ragioni della protesta di queste persone private della libertà non appena arrivate in Italia.

Ricordo, inoltre, che il trattenimento nei CIE come prima risposta all’immigrato irregolare è in evidente contrasto con la direttiva europea 2008/115/CE, che l’Italia avrebbe dovuto recepire entro il 24 dicembre 2010, che prevede il regime di trattenimento nei CIE esclusivamente come extrema ratio e non come misura ordinaria di intervento.

I CIE sono strutture inumane, inefficaci e costose, che ci interrogano sul loro senso e ci richiedono di avviare una riflessione seria sulla loro chiusura e sull’utilizzo delle risorse che attualmente vi sono impiegate per altri tipi di interventi.”

 

Torino, 21 marzo 2011

Iscritto dal: 07/09/2000
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Pisapia: io in carcere da innocente. Progetti per i detenuti

 

Ci è passato anche lui. E non soltanto per motivi di lavoro (è avvocato), come tiene per primo a premettere. Quarant'anni fa il candidato sindaco del centrosinistra Giuliano Pisapia lavorò come educatore nel carcere minorile Beccaria. Dieci anni dopo, Pisapia in cella ci finì come detenuto. «Fui arrestato, innocente, per banda armata e concorso morale nel furto di un'autovettura. Prosciolto dalla prima accusa; giudicato e assolto anche per la seconda. Si trattò di errore giudiziario, riconosciuto da una sentenza passata in giudicato, che comunque ho pagato con quasi quattro, mesi e mezzo di carcere». Allora come oggi «la tutela dei diritti delle persone in cella è una questione di giustizia sociale scevra da qualsiasi tentativo di manipolazione». Dice Pisapia d'aver incontrato un esercito di lavoratori eccellenti, per fortuna: «Il cappellano del Beccaria don Gino Rigoldi, educatori e operatori che ci mettono le mani e l'impegno». Con modi e mezzi diversi a seconda dei carcerati. Un conto è rapportarsi con un adulto. Un altro conto è incontrare un ragazzino, e succede al Beccaria, che ha commesso reati, che spesso arriva da situazioni di difficoltà. Il Beccaria, dunque. Pur sempre uno specchio della città. «Ai miei tempi c'erano quasi esclusivamente italiani». Ce ne sono meno, oggi, ma restano tanti. «Sì, e non credo di esagerare», dice Pisapia, «se in certe periferie trovo una situazione peggiorata. Mancano punti di ritrovo e di riferimento. Sono appena stato in Comasina. Ho trovato pochi, davvero pochi rispetto al numero dei residenti e ai ragazzi presenti luogo di aggregazione e di coinvolgimento».
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Iscritto dal: 07/09/2000
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segnalato da Rita Bernardini sulla sua pagina facebook

Sentenza storica in Germania: se il carcere non è dignitoso, il detenuto va liberato

Patrizio Gonnella*   
 
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sovraffollamento-carcereLa Corte Costituzionale tedesca, con una sentenza storica, obbliga le autorità penitenziarie del Paese a rilasciare un detenuto qualora non siano in grado di assicurare una prigionia rispettosa dei diritti umani fondamentali. Si tratta di una decisione giudiziaria che rovescia una giurisprudenza precedente molto più cauta e che nella gerarchia dei valori costituzionali ritiene di anteporre il valore della dignità umana a quello della sicurezza.

 Il caso riguardava un detenuto originario del Nord-Reno Westfalia. Costui era stato rinchiuso durante la sua carcerazione per 23 ore su 24 in una cella di 8 metri quadri con annessa toilette non separata da alcun muro divisorio. Il detenuto doveva condividere lo spazio con un'altra persona; per cui ognuno di loro aveva a disposizione solo 4 metri quadri, bagno compreso. In quelle condizioni c’era stato 151 giorni. Gli era consentito farsi la doccia solo 2 volte alla settimana. Inoltre, la persona con cui condivideva la cella era un fumatore e ciò, a dire della Corte, aggravava la qualità della vita.

Il sistema penitenziario tedesco è organizzato su base federale. La Regione – alla quale egli aveva fatto ricorso - gli aveva dato torto. La Corte Costituzionale federale gli ha invece, lo scorso 9 marzo, dato ragione. Secondo i giudici supremi tedeschi non si può vivere in meno di 6-7 metri quadri.

Se lo Stato non è in grado di assicurare una simile minima condizione detentiva allora dovrà in extrema ratio rinunciare alla punizione e liberare i detenuti in surplus rispetto agli spazi disponibili. Di conseguenza i detenuti che vivono in condizioni simili a quelle descritte potrebbero richiedere l’interruzione, oppure il rinvio della pena.

La decisione tedesca – più radicale nei contenuti rispetto ad analoghe prese di posizione di corti nazionali di altri paesi – di fatto apre la via alle liste di attesa penitenziarie che già sono state realizzate in altri paesi del nord Europa.

Il governo norvegese, oramai 25 anni fa, così intitolò il piano di edilizia penitenziaria “ridurre le attese per scontare la pena”. Era ovvio per il governo scandinavo non incarcerare persone alle quali non potesse essere assicurato un posto letto. Le liste di attesa per detenuti sono un’invenzione norvegese. Se non c’è posto in carcere si aspetta a casa che il posto si liberi.

Poi sono arrivati il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e la Corte europea sui diritti umani a fissare gli standard ineludibili di vita penitenziaria, tra cui i metri quadri che ogni detenuto deve avere a disposizione affinché lo Stato non incorra in trattamenti inumani e degradanti.

I giudici di Strasburgo hanno nel luglio del 2009 condannato l’Italia perché nel caso Sulejmanovic (detenuto di origine bosniaca) aveva costretto un prigioniero a vivere in meno di 3 metri quadri e ciò secondo i giudici europei costituisce una ipotesi di violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani del 1950 che proibisce la tortura. Da allora centinaia sono stati i ricorsi presentati alla Corte che da un momento all’altro dovrebbe iniziare a decidere a riguardo.

D’altronde la Germania – ove è stata presa una decisione che ben può essere definita epocale – ha un tasso di affollamento inferiore al 90%, ossia ha più posti letto che detenuti. L’Italia è messa molto peggio: ha un tasso di affollamento che sfiora il 150%. In Europa siamo superati solo da Bulgaria e Cipro. Anche per questo è stata avviata dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, presieduta da Pietro Marcenaro, una indagine conoscitiva sulla situazione delle carceri in Italia. Martedì scorso sono iniziate la audizioni.

*Articolo pubblicato su Italia Oggi

(18 marzo 2011)

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"La Stampa", 18/03/11

 

La storia

Seghetto e lenzuola annodate In tre beffano il supercarcere

Clamorosa evasione a Voghera. Gli agenti: vigilanza impossibile per colpa dei tagli

DANIELE SALERNO VOGHERA (Pavia)

Determinati Raggiunta la statale hanno bloccato un’auto guidata da una donna di 82 anni e hanno proseguito la fuga Il precedente Il 19 agosto 2009 scappò un collaboratore di giustizia condannato per omicidio: fu ripreso pochi giorni dopo

Sono tre albanesi, pericolosi delinquenti: avrebbero dovuto lasciare le loro celle nel 2024, 2025 e 2033. Hanno anticipato considerevolmente i tempi e da ieri pomeriggio sono liberi dopo essere evasi dal carcere di massima sicurezza di Voghera con un sistema classico: seghetto, lenzuola e un po’ di acrobazie. Una fuga da carbonari dell’Unità d’Italia, incredibile 150 dopo. Infatti già divampa la polemica: i sindacati della polizia penitenziaria accusano il Governo per i tagli e i mancati rimpiazzi di organici.

L’evasione è avvenuta attorno alle 14.45. I tre sono: Leonard Mirtai, 32 anni, sequestro di persona ed estorsione; Dritan Rexhpai, di 31, tentato omicidio e altri reati; Yllo Doy, 34 anni tentato omicidio, traffico di droga e altri reati. Erano rinchiusi nel «quinto reparto» al piano terra, lo stesso dove nel 1986 si suicidò il finanziere Michele Sindona. Pare che fossero nel cortile «dei passeggi» insieme ad altri detenuti. Hanno segato le sbarre di una finestra, sono saliti sul tetto, poi con un balzo su di un muro divisorio e quindi con un altro salto sul muro di cinta. A quel punto hanno usato una corda fatta con le lenzuola lasciandosi cadere a terra.

L’allarme è stato lanciato da un passante che ha notato tre persone acquattate nell’erba. Ma ormai era tardi. Hanno raggiunto la statale che porta a Tortona. Uno di loro ha bloccato un’auto guidata da una donna di 82 anni: prendendola per i capelli l’hanno gettata sulla strada (per fortuna solo uno choc per lei) e quindi sono ripartiti probabilmente verso il vicino casello autostradale. Sulla direzione successiva c’è solo l’imbarazzo della scelta, perché da Voghera passano sia la Milano–Genova che la Torino – Piacenza. Ovviamente sono stati predisposti posti di blocco, ma finora nessuna traccia dei fuggitivi.

Il carcere di Voghera ospita più di 230 detenuti e sono avviati lavori che porteranno a quasi il doppio delle presenze. L’evasione di ieri non è la prima. Il 19 agosto del 2009 scappò il collaboratore di giustizia Luciano Vella, noto come «Luciano due pistole», con alle spalle una condanna per omicidio. Lo ripresero pochi giorni dopo. Nel 2001 toccò al francese Stephane Lanza (12 anni per spaccio di droga).

Dopo la fuga dei tre parte la protesta dei sindacati. «Questa tripla evasione certifica come il sistema penitenziario italiano non solo non è più in grado di assicurare dignità, umanità e civiltà – sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale dell UIL Penitenziari - ma neppure di tutelare la sicurezza sociale. I nostri allarmi, rimasti inascoltati, erano più che fondati. Non possiamo non sottolineare le responsabilità di chi gestisce l’amministrazione penitenziaria e quelle ancor più evidenti del ministro Alfano. In attesa che si realizzi il piano carceri e si dia corso alle annunciate assunzioni, si continua a perpetrare una politica di prosciugamento degli organici, per destinare unità a non meglio precisati servizi presso i dorati palazzi del potere».

Sulla stessa linea Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria: «I tre hanno approfittato della vigilanza ridotta. È opportuno valutare attentamente quanto le gravi carenze di organico di poliziotti a Voghera incidano sui livelli di sicurezza della struttura».

L’IDENTIKIT Trentenni, albanesi, in cella per sequestro di persona, estorsione e tentato omicidio

Iscritto dal: 07/09/2000
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"La Stampa", 18/03/11

 

“Reclusi all’inferno” In un video l’orrore degli ospedali giudiziari

La denuncia: “Condizioni disumane”

FLAVIA AMABILE ROMA

1535 internati 376 dimissibili Questo il numero complessivo di pazienti negli Ospedali psichiatrici giudiziari Sono giudicati guariti ma solo per 65 di loro è stata effettuata la dimissione 115 in proroga 10 milioni Per loro è stata prevista una proroga della pena e 5 sono ancora internati perché ritenuti pericolosi La somma promessa dal governo per l’assistenza degli internati da dimettere Molti detenuti rimangono reclusi solo perché non ci sono strutture adeguate per accoglierli

Commissione d’inchiesta Ignazio Marino ha parlato per questi detenuti di «ergastolo bianco»

Un letto dove si viene legati e un foro nel mezzo per la caduta degli escrementi ed un paziente, completamento nudo, bloccato con corde intorno alle braccia e alle gambe. Il letto è arrugginito, per l’urina che da anni lo bagna. C’è anche questo nelle immagini presentate ieri mattina dalla Commissione d’inchiesta sul Sistema sanitario nazionale per denunciare l’orrore degli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani.

Le immagini sono contenute in un video girato in sei strutture. «È semplicemente un inferno dei dimenticati», denuncia il presidente della commissione, Ignazio Marino. Il video sarà trasmesso domenica prossima nel programma «Presa diretta» di Raitre.

I detenuti sono in condizioni che Marino definisce «disumane». Sporcizia ovunque, spazi angusti, bottiglie d’acqua nel buco dei bagni alla turca per rinfrescarle o per impedire la risalita dei topi. Loro, i malati prigionieri, in molti casi si trovano negli ospedali per reati minori che risalgono anche ad molti anni addietro e soffrono di patologie mentali per le quali non sono però curati: pochissimi infatti i medici presenti, e nessuno psichiatra, per 4 ore a settimana in strutture in cui si contano anche 300 persone.

«Qui ti uccidono piano piano», dice uno di loro. «Sono luoghi infernali, rimasti inalterati dal 1930 all’epoca del Codice Rocco - spiega Ignazio Marino -. Molti vi sono rinchiusi anche per reati minori di decenni prima ed in numerosi casi esiste anche la proroga, per cui una persona viene mantenuta negli Opg per mancanza di percorsi alternativi di assistenza, fino ad arrivare a una condizione che gli stessi magistrati definiscono di “ergastolo bianco”. Non possiamo tollerare che persone vengano dimenticate così per decenni e vogliamo arrivare - aggiunge Marino - ad un superamento definitivo degli Opg». Vale a dire chiuderne almeno tre su sei e, comunque, arrivare all’individuazione di nuove strutture a custodia attenuata anche più necessarie dopo le vicende di Montelupo Fiorentino (dove un internato è morto per aver inalato del gas) e Aversa (dove due guardie della polizia penitenziaria sono arresti domiciliari per aver abusato di un internato trans).

La commissione sta realizzando un monitoraggio settimanale dei sei Opg per arrivare alla «liberazione» di 376 internati (su un totale di circa 1500) per i quali non sussiste il requisito della pericolosità sociale: i primi 65 sono già usciti. Per altri 115 è stata prevista una proroga della pena. Di questi ultimi, solo 5 sono ancora internati, perché ritenuti socialmente pericolosi, per gli altri accade qualcosa di diverso, sono dentro perché «il territorio li rifiuta».

L’iniziativa ha il sostegno della maggioranza. Lo ha ricordato il senatore Michele Saccomanno, del Pdl, relatore dell’inchiesta. «Lo sforzo economico a sostegno della riabilitazione e presa in carico di questi cittadini da parte della sanità regionale c’è: la commissione ha ottenuto dal governo l’impegno per uno stanziamento di 10 milioni di euro per l’assistenza».

Guarda il video su www.lastampa.it

 

LA TESTIMONIANZA

“Io, in balìa di un fratello che nessuno vuole curare”

ROMA [F.AMA.]

È il 23 febbraio scorso quando nell’aula della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia del Sistema sanitario prende la parola una donna che viene indicata come L.M. È stata lei a scrivere alla commissione per denunciare la storia di suo fratello, R., che da dodici anni attende una cura mai arrivata. R. ha 37 anni, soffre di «disturbo bipolare», racconta la sorella, una malattia maniacodepressiva. «R. ha subito il suo primo ricovero nel 1997, circa due mesi dopo la morte di nostro padre. Da allora non è mai stato sottoposto ad un programma di recupero, ma lo si è solo sottoposto ad una serie inenarrabile di TSO (Trattamenti sanitari obbligatori), con gli unici due disarmanti risultati: il primo, è che la malattia si è ormai cristallizzata, mescolandosi all’alcolismo ed all’abuso di droghe leggere; il secondo è che noi familiari abbiamo subito fino ad oggi le sue continue crisi maniacali, senza alcuna possibilità di difesa». Anzi, a rischio della stessa vita, come si capirà dal seguito del racconto.

«L’unica cosa che facciamo è cercare di limitare quotidianamente i danni che provoca. Tutta la famiglia subisce i suoi stati di esaltazione», spiega. La situazione precipita il 30 ottobre. R., in evidente stato di ebbrezza ed agitazione, viene accompagnato a casa dai carabinieri, insieme all’auto di mia madre, che lui guida senza patente. Pochi minuti dopo punta il coltello alla gola di mia madre, che viene salvata dall’intervento di un altro fratello. Il giorno seguente prende a martellate la porta della casa. Le Forze dell’ordine convincono la famiglia a non far intervenire il 118, per evitarsi evidentemente ulteriori verbali e seccature burocratiche. R. viene quindi semplicemente ammonito verbalmente dai carabinieri e si rifugia in casa per qualche ora, dopo di che «riprende l’auto di mia madre ed esce nuovamente».

Per trattenerlo in ospedale è necessaria una denuncia, sostengono i medici. La famiglia va a sporgere querela. «Ma i medici continuano a sostenere che non sarà nelle loro facoltà trattenere R. e che in ogni caso qualora i tempi della magistratura si fossero prolungati non avrebbero potuto garantirci che R. non fosse dimesso». In realtà la famiglia può opporsi alle dimissioni, lo fa e ottiene come risposta la promessa di una commissione esterna per valutare il caso.
L’appello di L. M. I medici continuano a dire che non spetta a loro trattenerlo Cerchiamo solo di limitare i danni

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"La Repubblica", GIOVEDÌ, 17 MARZO 2011

 
Pagina 24 - Cronaca
 
Ospedali psichiatrici documentario shock "L´inferno per i malati"
I blitz negli Opg della commissione d´inchiesta di Ignazio Marino Il video in tv
 
PAOLA COPPOLA
ROMA - Muri cadenti, sporcizia. Malati lasciati senza cure. Lenzuola mai cambiate, per settimane. Farmaci scaduti. Internati legati con le corde ai letti, con un foro nel materasso e un altro nella rete per lasciar scivolare gli escrementi nel bagno alla turca. Stanze da quattro che ospitano il doppio delle persone su letti a castello, proibiti in un ospedale. «Ci stanno ammazzando piano piano», racconta chi vive in questo pezzo d´Italia, rimasto fermo a 80 anni fa, al Codice Rocco che istituì i manicomi. Immagini agghiaccianti girate negli ospedali psichiatrici giudiziari, che saranno trasmesse integralmente domenica dalla trasmissione "Presa diretta" di Rai Tre.
Dietro quei cancelli comincia «l´inferno dei dimenticati» raccontato in un documentario-shock della commissione d´inchiesta sul servizio sanitario nazionale presieduta da Ignazio Marino. Raccolte nei blitz organizzati nei sei Opg rimasti in Italia, a Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa e Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere.
In questi luoghi vivono circa 1500 internati. Accanto a chi si è macchiato di crimini efferati e a chi è un pericolo per la società, la Commissione oggi ne conta 376 che scontano un "ergastolo bianco". Considerati "dimissibili" ma ancora negli Opg a causa delle proroghe delle misure cautelari. Di fatto, perché nessuno se ne vuole fare carico. C´è chi ha commesso una rapina da 7000 lire nel ´92 in un´edicola fingendo di avere una pistola in tasca e chi ha procurato danni al patrimonio della sua città. Solo 65 di questi internati sono stati dimessi, per altri 115 - racconta Marino - «è stata prevista una proroga della pena: di questi ultimi, solo cinque sono ancora ritenuti socialmente pericolosi, gli altri sono dentro perché non hanno ricevuto un progetto terapeutico, non hanno una comunità che li accolga o una Asl che li assista». Se Castiglione delle Stiviere è un modello, in altri sono stipate fino a 300 persone con pochi medici presenti quattro ore a settimana. In condizioni in alcuni casi ai limiti con la tortura. Obiettivo della Commissione è arrivare alla liberazione degli internati dimissibili e a chiudere almeno tre di questi ospedali. Non ci sono più scuse. La Commissione - racconta Marino - ha ottenuto dal governo l´impegno per uno stanziamento di 10 milioni di euro «per agevolare l´assistenza di coloro che devono uscire per essere accuditi altrove».
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Carceri: Senatori Radicali in Toscana perfetta media nazionale illegalità, ma grave carenza direttori. Subito il garante regionale!

Casa circondariale Lucca

I senatori Radicali Marco Perduca e Donatella Poretti hanno presentato stamani in una conferenza stampa i dati delle carceri toscane a seguito di una serie di visite ispettive effettuate nel finesettimana.
"In Toscana sono ristretti 4462 detenuti di cui 190 donne" hanno detto i due "e solo 130 hanno potuto godere dei domiciliari come previsti dal cosiddetto decreto 'svuotacarceri' adottato dal Parlamento nel
dicembre scorso. Mediamente c'è una sovrappolazione nazionale intorno al 70%, dove dovrebbe sare un detenuto ce ne sono spesso tre, oltre il 65% dei detenuti non è italiano, solo la metà ha una sentenza
definitiva, la polizia penitenziaria sconta la carenza media di un 20-25% di organico col picco di Livorno dove si va oltre il 30%, ma il vero scandalo nello scandalo è la mancanza di direttori. In Italia non
son stati fatti concorsi per l'assunzione di direttori di carceri dal 1996, il contratto delle categoria è fermo al 2006, ma in Toscana a fronte di 18 istituti mancano direttori fissi nei carceri della Gorgona, Livorno, Pistoia, Massa Marittima, San Gimignano, l'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo fiorentino, l'istituto Gozzini (Solliccianino) e al momento anche a Massa per l'arresto del direttore.