RADIO CARCERE

Questa discussione ha 4959 interventi
Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Un recital ricorda Stefano Cucchi «Il debutto nel carcere di Padova»

 

Un recital per ricordare Stefano Cucchi, uno spettacolo dal titolo emblematico, «In Morte segreta» che verrà portato in tutta Italia dal 18 settembre. Promosso dalle associazioni «Nessuno tocchi Caino», «Ristretti orizzonti», «A buon diritto» e patrocinato dal garante dei detenuti del Lazio e dalla nazionale italiana cantanti, lo spettacolo verrà rappresentato per la prima volta sabato prossimo, nella casa di reclusione di Padova e prevede tappe successive a Roma (il 21 settembre nella biblioteca Vallicelliana),a Firenze e Milano. Spiega la sorella di Stefano, Ilaria: «La storia di mio fratello è un monito a chi commette soprusi: non sempre si può restare impuniti. Solo questo mi da la forza di credere che ci sia un senso. Voglio ringraziare Ugo de Vita, del quale ci ha commosso la sensibilità con la quale, senza alcuna invadenza, è entrato in famiglia e ha voluto sentire propri i nostri sentimenti La sentenza di condanna ottenuta con coraggio - ha continuato la sorella di Stefano - è importante non come sentenza in sé, ma come segnale. Da quasi un anno mio fratello non c'è più, ma per me è ancora vivo».

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
Ricostruzione completa del testo dell'atto DELIBERAZIONE 13 maggio 2010
  Fondo sanitario nazionale 2009 - Ripartizione della quota destinata al finanziamento della medicina penitenziaria tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. (Deliberazione n. 7/2010). (10A10781) (GU n. 208 del 6-9-2010 )

 

 

http://www.gazzettaufficiale.it/guridb/dispatcher?service=1&datagu=2010-09-06&task=dettaglio&numgu=208&redaz=10A10781&tmstp=1284386781166

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

 

http://dweb.repubblica.it/dweb/2010/08/07/attualita/attualita/050pro70650.html

 

"La Repubblica delle Donne", allegato a "La Repubblica" del 7 agosto 2010

 

Vorreste che vostro figlio facesse la fine di Stefano Cucchi?

Proibizionismo-Italia Nel nostro paese si stima che i giovani (13 - 28 anni)consumatori di droghe leggere siano tra i due e i tre milioni. Ma la legge (in vigore dal 2006) stabilisce sanzioni durissime per chi viene trovato in possesso di quantità anche minime di hashish (o altre sostanze). E in questi anni (soprattutto in provincia) le conseguenze di fermi, perquisizioni, arresti (spesso sproporzionati) sono diventate tragiche. Come le storie di questi ragazzi...

di Guido Blumir (*)
 
 
 
 
Alberto, niente privacy Forlì, giovedì 5 luglio 2007. Una bellissima serata d'estate. Alberto Mercuriali, 28 anni, agronomo, incensurato. Vicino ai tavoli di un bar di via dell'Appennino, con amici, fa qualche tiro di canna. I giovani non sanno di essere osservati dai militari in borghese del Nucleo operativo e radiomobile di San Martino, a caccia di trafficanti e spacciatori. Procedendo veloci e silenziosi, agguantano il ragazzo e lo incastrano per lo spinello. Lo caricano in macchina e si dirigono verso la sua abitazione, a Castrocaro Terme. Procedono - senza la presenza di un avvocato - a una "perquisizione domiciliare". La stanza è piena di libri. Ma i militari "non si lasciano incantare da quella parete che sa di cultura. Fiutano ogni centimetro della stanza", come scriveranno i quotidiani locali, aggiungendo particolari: proprio dalle pagine di un libro, scavate e tagliate a formare un nascondiglio, spunta una piccola quantità di hashish (forse 40 grammi, secondo i carabinieri). È un libro fantasy, Il regno dell'ombra. "Forse dopo aver fumato l'erba anche il giovane entrava in una dimensione lontana dalla realtà", commenterà poeticamente il Quotidiano del Nord. Perché intanto i carabinieri, soddisfatti del ritrovamento, non arrestano il giovane, ma lo denunciano per spaccio, promettendogli che non passeranno la notizia alla stampa e suggerendogli anche di non parlarne ai genitori. Alberto non nega il possesso (grave errore secondo gli avvocati: è meglio, in prima battuta, in genere, riservarsi il diritto di non rispondere). Poi parla col fratello minore e decide di non informare il padre e la madre. Domenica mattina: tutti i quotidiani locali sparano in prima pagina la notizia del clamoroso crimine. Il Resto del Carlino lancia una maxi foto dei carabinieri a tutta pagina, con titolo cubitale "IMBOTTITO DI DROGA". I pezzi fanno pensare al fermo di un trafficante professionista di medio livello, particolarmente astuto nell'escogitare il trucco del nascondiglio. I militari raccontano ogni cosa in una conferenza stampa con fotografi e tv. Non fanno il nome del ragazzo, ma in un piccolo centro l'identikit (28 anni, agronomo, vive in famiglia) non lascia dubbi. Vedendo i giornali, Alberto resta fulminato. Si sente tradito. "Un ragazzo per cui la parola data e ricevuta ha sempre avuto un grande valore", racconta il padre, Renzo Mercuriali. "Posso immaginare come si sia sentito quando ha visto che un patto così importante - il rispetto della privacy anche verso noi genitori - era stato tradito proprio da funzionari dello stato". Per alcune ore amici e genitori cercano Alberto sul cellulare, senza fortuna. Alberto Mercuriali non risponde, né chiama nessuno. Domenica sera: collega il tubo di scappamento alla macchina, accende il motore e lascia entrare il gas nell'abitacolo. La mattina successiva i genitori lo trovano. Morto. Asfissiato. "I GIORNALI HANNO SCRITTO MOLTE BUGIE" "Non ci siamo accorti della perquisizione e Alberto non ci ha detto nulla", dice Renzo. "La domenica non siamo passati dal paese e non abbiamo visto i quotidiani. Lunedì mattina eravamo al lavoro e ci hanno chiamato dall'ufficio di nostro figlio: "Stamattina Alberto non è venuto. Dov'è?". Siamo tornati a casa e lo abbiamo cercato ovunque. Poi siamo andati al podere e abbiamo visto la macchina, con Alberto dentro. Non respirava più". "I giornali hanno scritto molte bugie", ricorda la mamma, Cristina. "Era stato nostro figlio, all'inizio della perquisizione, a consegnare l'hashish ai carabinieri. Noi dormivamo di sotto, non ci siamo accorti di niente. Il ragazzo non voleva che il trambusto ci svegliasse, e si è preso le sue responsabilità, apertamente, dando subito la droga ai carabinieri. Gli articoli sono arrivati come una pugnalata alle spalle. I militari, contro i patti, avevano tenuto una conferenza stampa senza avvertirci. Se lo avessero fatto, Alberto sarebbe ancora vivo. I responsabili di questa tragedia devono pagare". I coniugi Mercuriali hanno presentato un'istanza per accertare la verità sulle cause del suicidio. Parlare con loro è come vedere il film di un dramma così atroce ed evitabile. Hanno tutto in testa. Devono districarsi tra avvocati, giudici e giornalisti. E lo fanno con il massimo di lucidità e di determinazione. TESTIMONI INASCOLTATI L'inchiesta è partita. I Mercuriali hanno aspettato per 12 mesi. In tutto questo tempo i magistrati inquirenti non hanno sentito i principali testi. Ovvero: i carabinieri protagonisti della brillante operazione e il responsabile della caserma. Il fratello minore, Diego, che ha parlato con Alberto a caldo: "Quando, in caserma, si era reso conto della gravità della situazione, stava per chiamare un avvocato e avvertire i nostri genitori". Se lo avesse fatto, tutto si sarebbe svolto diversamente. Ma i carabinieri lo hanno stoppato, dicendogli che se firmava i verbali con l'assunzione di responsabilità, la cosa si sarebbe svolta in modo indolore. Loro non avrebbero informato la stampa e neanche i genitori dell'accaduto. Di fronte a questa promessa, Alberto si è convinto. Non è stato sentito il cronista di nera Maurizio Burnacci, del Resto del Carlino: "Io non ho inventato niente. Il romanzo (sul libro imbottito di droga ecc., ndr) l'ha creato qualcun altro". Cioè i carabinieri: questo il succo delle dichiarazioni del giornalista ai colleghi Lisa Tormena e Matteo Lolletti, registrate nel documentario Il giorno in cui la notte scese due volte. Non sono stati sentiti nemmeno i numerosi colleghi e fotografi presenti all'incontro stampa. "Eppure è chiaro", spiega la signora Mercuriali, "che quello è un passaggio chiave. È stata quella bugia a essere decisiva per la sparata in prima pagina, come ammettono gli stessi giornalisti autori dei pezzi. Ed è stata quella prima pagina a spingere nostro figlio alla disperazione e al suicidio". Sia i carabinieri sia i cronisti avrebbero potuto salvare la vita di Alberto in quelle ore. I carabinieri avrebbero potuto telefonare al ragazzo e ai genitori, informandoli del fatto che avevano cambiato idea e che avrebbero tenuto una conferenza stampa. I giornalisti poi avevano a disposizione tutto il giorno per trovare il ragazzo (l'identikit era trasparente) e sentire la sua versione, quelle dei parenti e degli amici. Il minimo sindacale. E probabilmente la tragedia sarebbe stata evitata. Tutti questi testimoni non sono stati sentiti e il gup ha deciso una prima archiviazione. Ma il caso è troppo complesso e non finisce qui. Anche il pm ha sottolineato che ci sono state delle scorrettezze, perlomeno sul piano deontologico. I Mercuriali hanno fatto partire una denuncia per diffamazione contro tutti gli autori degli articoli e contro il Resto del Carlino. Sta andando avanti. Gli "Amici di Alberto" hanno aperto un sito e organizzato decine di convegni e manifestazioni con grande solidarietà della popolazione e di giornalisti ed esperti di media. Giuseppe, incensurato Pantelleria: Giuseppe Ales, 23 anni, geometra senza raccomandazioni, incensurato, lavora da manovale per aiutare la famiglia. Nel tempo libero, come metà dei giovani italiani, si fa qualche canna. Dà fastidio l'idea di dare soldi alla criminalità comprando il fumo e lui, come tanti, segue una strada diversa: la marijuana se la coltiva, per uso proprio. Non costa nulla. La semina, un po' d'acqua, clima adatto, cresce bene. Dopo qualche mese è pronta. All'alba del 20 marzo 2005, uno squadrone di carabinieri armati di mitra gli piomba in casa. I genitori di Giuseppe sono sotto shock: il padre, anziano agricoltore, è invalido, ha perso una gamba a causa del diabete. I militari trovano alcune piantine di erba, alte pochi centimetri. Sequestrate. Il giovane viene ammanettato e portato in caserma. Interrogatorio pressante. Scatta la denuncia penale per "traffico e produzione di stupefacenti". I carabinieri annunciano a Giuseppe che pochi giorni dopo a Trapani ci sarà il processo per direttissima. Rischia da uno a sei anni di carcere. Nel frattempo, arresti domiciliari. Il giorno dopo, Pantelleria è sconvolta: il Giornale di Sicilia ha fatto il paginone. "Scoperto traffico di droga nell'isola, arrestati gli spacciatori". Gli isolani non credono ai loro occhi: il grande criminale sarebbe l'incensurato geometra Giuseppe Ales. La mattina successiva la famiglia del giovane è riunita per la colazione; la madre trattiene a stento le lacrime, il padre è terreo. Manca Giuseppe. "Vado io a chiamarlo", si offre il fratello più piccolo. Apre la porta della cameretta del giovane. Giuseppe non è nel suo letto. Penzola dal soffitto, impiccato con una corda al collo. Roberto, e l'attimo fuggente Roberto Pregnolato, operaio di Aprilia (provincia di Latina), 33 anni, è un uomo felice. Dopo anni di precariato, la grande azienda farmaceutica Abbott lo ha assunto con un contratto a tempo indeterminato. Insieme alla fidanzata, ha appena fatto tutte le pratiche per un mutuo: non dovranno più pagare l'affitto della loro mansarda all'ottavo piano, piccola ma graziosa, con terrazzo. E hanno deciso di sposarsi. La sera di venerdì (17 aprile 2009), Roberto è in libera uscita con gli amici. Sono anche loro giovani, di estrazione semplice e look senza pretese. Alle quattro del mattino una pattuglia li ferma. I militari procedono, senza mandato, alla perquisizione del veicolo. Salta fuori un po' di cocaina: 6,5 grammi, secondo una valutazione approssimativa. Meno degli otto grammi trovati addosso (novembre 2008) al celebre banchiere professore di 76 anni, sorpreso a Milano con una squillo sudamericana, e poi archiviati senza conseguenze, nemmeno la sospensione della patente. Invece in questo caso i carabinieri non vanno tanto per il sottile. E i ragazzi non possono svegliare sul cellulare d'emergenza il principe del foro sempre a disposizione: direbbe loro di negare, di non rispondere alle domande, di aspettare il suo arrivo e di bloccare tutto nel frattempo. Parlerebbe coi carabinieri al telefono e suggerirebbe loro di non procedere, salvo rischiare cose inenarrabili dal punto di vista penale, civile, disciplinare eccetera. Gli uomini, intimiditi dal penalista autorevole, rispettosamente attenderebbero. I nostri queste cose non le hanno viste nemmeno nei film. Niente scanner o analisi sofisticate. Niente penalisti. "Da dove viene la droga?", incalzano i carabinieri. "È mia", risponde Pregnolato, prendendosi tutte le colpe del mondo, da solo, come in L'attimo fuggente, ma al contrario (lì tutti i ragazzi si prendevano la colpa, scena a cui poi si è ispirato il celebre spot sul preservativo). Il giovane operaio, incensurato, invece, si sacrifica per evitare che siano arrestati tutti e tre. Ma la generosità di Roberto non paga. I militari ci prendono gusto e lo accompagnano nella mansarda per una perquisizione domiciliare. C'è anche la fidanzata. Salta fuori qualche grammo di "fumo" e un bilancino, strumento ovvio di tutti i consumatori per controllare il peso esatto della marijuana acquistata: nell'ottica di alcuni segugi è una prova di spaccio. Roberto nega di essere un pusher, ma si prende la responsabilità anche dei grammi di "fumo". La perquisizione procede. Nemmeno in questa fase c'è un avvocato. La ragazza osserva i militari al lavoro. E Roberto? Non c'è più. È un attimo: guarda dappertutto, ma il ragazzo non si vede. "Roberto, dove sei?", la donna urla. Poi si precipita sul terrazzo. Il giovane non è nemmeno lì. Un militare piantona l'ingresso dell'appartamento. Di là non è uscito. Lei corre ancora sul terrazzo. E guarda giù dal parapetto: 25 metri più in basso, il corpo di Roberto giace spiaccicato sull'asfalto. "Era un bravo ragazzo", dirà il parroco Don Francesco Bruschini ai funerali, svoltisi pochi giorni dopo presso la chiesa San Pietro in Formis, a Campoverde (Latina).

La Legge italiana Nel 2002 l'attuale Presidente della Camera, Gianfranco Fini, allora leader di Alleanza Nazionale, spinse per una nuova normativa antidroga che ribaltasse il risultato referendario (55.3 % contro 44.7%) e depenalizzatore del consumo. Il pressing di Fini trovò resistenze importanti in Forza Italia: Bondi, Contestabile, Pecorella, Maiolo, Moroni, Jannuzzi. Ma, nel 2006, il Parlamento approvò in finale di legislatura, poco prima delle elezioni, il progetto di Fini (legge 21/2/2006, n.49, in Gazzetta Ufficiale, n.48, 27/2/2006), ricorrendo alla fiducia, con una forzatura istituzionale che creò dubbi nello stesso Ciampi, allora Presidente: due settimane per firmare. Nella pratica quotidiana - quasi 600mila fermi in pochi anni - esiste un nuovo razzismo? Sicuramente nella legge che rende punibile un comportamento, il semplice uso di una sostanza, con sanzioni di polizia o penali (per chi supera le microquantità previste oppure coltiva per uso proprio). Viene quindi penalizzata/criminalizzata una categoria, un gruppo sociale: i consumatori. Come in altre epoche e in altre società si è fatto e si continua a fare contro popoli, gruppi etnici o religiosi, o comunità con certi stili di vita, come i gay, che vengono colpiti o discriminati. In una logica ancora più esasperata, da Minority report, se un fumatore viene fermato, con la macchina o il motorino, e ha dell'erba, senza fargli il test, gli si ritira la patente (art.75, comma 3). E il mezzo viene sequestrato. Come se a un normale cittadino che sta caricando in auto la spesa, si togliesse la patente perché nelle buste del supermercato ci sono delle bottiglie di vino. Punizione preventiva, presunzione di colpevolezza, processo alle intenzioni, condanna senza processo. G.B.

E gli altri paesi? Negli ultimi vent'anni, quasi tutti i paesi europei hanno cambiato le leggi. Si è preso atto che le proibizioni non bloccano il consumo. Si sono considerati gli eccellenti risultati dell'esperienza olandese: dagli anni Ottanta è legale comprare cinque grammi di cannabis tutti i giorni nel coffee shop sotto casa; i negozianti possono tenerne mezzo chilo. Così sono stati separati i mercati: quello della marijuana e quello delle droghe pesanti. Il consumo non è aumentato (dopo qualche tempo è addirittura diminuito). E nelle statistiche parallele con gli Stati Uniti proibizionisti (molto significative su un arco di trent'anni), per uso di erba gli americani battono gli olandesi. Per la coca, li doppiano. Portogallo, Repubblica Ceca e Spagna (per prima) hanno depenalizzato l'uso. Come la Germania, in seguito a una sentenza della Corte Suprema. I tedeschi hanno lasciato agli enti locali il compito di fissare il quantitativo consentito: 15 grammi a Berlino e 30 nello Schleswig Hollstein. E l'era Merkel non ha cambiato le cose. La Russia di Putin, in seguito all'approfondito lavoro di una commissione parlamentare di scienziati, ha fissato il limite in 20 grammi. La magistratura spagnola, con sentenze che hanno fatto scuola, ha depenalizzato anche la coltivazione per uso personale. Il Belgio ha autorizzato la produzione di due/tre piante a testa. Gli Stati Uniti fanno storia a sé: negli anni Settanta, in seguito agli impulsi dell'era Carter (post Nixon), undici stati hanno fissato in un'oncia (28 grammi) la quantità non punibile. Ma in maggioranza leggi dure e applicate senza pietà: fino a picchi di 800 mila arresti annui. E ora c'è una forte spinta verso il cambiamento. G.B.

In caserma per tre grammi di "fumo" Sannicola (Le), 13/7/2008: il Nucleo Radiomobile di Gallipoli fa irruzione a casa di Giuseppe Mercuri e Sophie Chaffurine. Li arrestano entrambi. "L'infallibile fiuto del cane aveva permesso di scovare della marijuana. Tre chili, dicono gli inquirenti". Potrebbe essere il tipico frutto di una coltivazione estiva. Spesso si pesano anche rami e materiale inerte. Mercuri dichiara al giudice che l'erba gli serve per curarsi da una malattia. Possibile. Anche il magistrato sembra dare un certo credito all'uomo. Dopo qualche giorno di carcere, la coppia (59 anni lui, 43 lei) viene messa ai domiciliari. Il 19 luglio, durante i controlli di rito, i militari trovano i due nel garage della masseria. Cadaveri. "Una fine orribile che raggela il sangue nelle vene. Insieme fino all'ultimo respiro smorzato dal gas di scarico. La donna seduta nella Fiat 126 blu. L'uomo per terra. Forse negli ultimi istanti la lucidità avrà preso il sopravvento, i polmoni avranno chiesto urlando aria. Ma di aria ormai non ce n'era più" (da Lecce Prima, quotidiano online, 19/7/2008). Pietralunga (Pg), ottobre2007: Aldo Bianzino, 44 anni, falegname, moglie e un figlio. Qualche pianta di canapa. Arrestato. Cella di isolamento. Ne esce cadavere: ematomi cerebrali, lesioni al fegato. Indagine penale. L'unica cosa certa è che non è un suicidio. A Perugia nasce il comitato "Verità per Aldo" per scoprire tutta la storia. Ne fanno parte la moglie e il figlio. Lo scorso anno lei muore per una malattia. Il figlio Rudra, 16 anni, resta solo. Processo in corso. Per ora è imputata una guardia penitenziaria. Rovereto (Tn), 21/7/2009: Stefano Frapporti. Muratore. Artigiano. Incensurato. 48 anni. In bici, viene fermato. Perquisizione a casa, senza avvocato, nè testimoni. Secondo i carabinieri, trenta grammi di hashish. Arresto. Trovato impiccato nella sua cella. È la versione ufficiale. I familiari, l'avvocato e un comitato stanno mettendo in luce diversi aspetti oscuri della sua morte. Se fosse un suicidio, sarebbe, ancora una volta, per una modesta quantità. Pollica (Sa), 31/7/2009: un insegnante elementare ha uno screzio con carabinieri. Se lo portano via. Dalla caserma, i militari trovano un sindaco disposto a firmare un trattamento sanitario obbligatorio. Ovvero, ricovero forzato nel reparto neurodeliri. Rinchiuso e legato a un letto di contenzione. Ne esce cadavere. Inchiesta penale. Un comitato di amici e parenti è al lavoro. Le droghe non c'entrano, ma Francesco Mastrogiovanni, 58 anni, è considerato comunque un "diverso". Ancona, 23/9/2009: Matteo Carloni, 47 anni, sposato, due figli. "Persona allegra e serena", riferisce il quotidiano online Vivere Ancona. Fermato da una pattuglia per un normale controllo: gli trovano addosso qualche grammo di coca. È incensurato e la quantità è minima. Viene denunciato a piede libero. Ma i carabinieri gli ritirano la patente. Non perché positivo alle analisi: non sappiamo se ha usato, basta la detenzione. La mattina dopo alle 5.50 esce di casa, prende un taxi (senza patente) e poi si spara con una doppietta. Vigodarzere (Pd), giugno 2004: Cristian Brazzo, incensurato, operaio. Fiume Brenta, una sera in macchina, spinello con amici. Carabinieri. Documenti. Perquisizione vettura. Tre grammi di fumo. Tutti in caserma. "Sarà solo una segnalazione alla prefettura". Gli amici vanno verso casa. Cristian chiama i genitori: "Faccio tardi". Ma non arriva. L'indomani si trova l'auto, vicino al fiume. Una settimana dopo, il Brenta restituisce il corpo. Isolabella (To), settembre 2003: Marco Pettinato, 26 anni. Lavora al Prosciuttificio Rosa. È presidente della Pro Loco. Incensurato. Gruppetto fermato. Pettinato ha pochi grammi di hashish. Arrestato e denunciato. Condannato a quattro mesi. Pochi giorni dopo, si toglie la cintura dei jeans, la appende alla recinzione del campo di calcio e si impicca. Lo trova la madre. Cremona, febbraio 2002: Alessandro Maciocia. Trovato con due grammi e mezzo di hashish. Coinvolto in vicenda giudiziaria più pesante per "concorso". Si suicida con il gas di scarico della sua auto. Lascia un biglietto: "Non c'entro niente". Un caso simile si verifica a Umbertide (Perugia), nel maggio 2002. E poi. A Conegliano Veneto (Tv), Antonio Da Re, 35 anni, insegnante, viene fermato per possesso. È soltanto un consumatore, ma il Ministero lo trasferisce: farà il bibliotecario. Assolto dal Tribunale (settembre 2004), ma non reintegrato dalla burocrazia:si uccide. Succede (solo) in Italia Sondrio, 26/5/2006: per due mesi la Guardia di Finanza registra con telecamere gli studenti di una scuola. Alla fine, grande perquisizione, ma nessun ragazzo trovato con il "fumo". Viene fermato il bidello, con un po' di hashish in un ovetto Kinder. Bologna, aprile 2007: un mese di lavoro per 120 carabinieri in dieci scuole con i cani antidroga. Controllano bagni, aule, cortili, palestre, scale, zainetti, motorini. Risultato finale: otto grammi di hashish. Siracusa, 16/3/2007: cinque ragazzi fermati e perquisiti. Una "dose" a testa. Uno ha in tasca la stratosferica cifra di 80 euro: viene arrestato, perché secondo la legge il contante è un indizio grave. Trepizzi (Le) 18/4/2007: quattro giovani (due minorenni) innaffiano alcune piantine. Arrestati. Taranto, 23/5/2007: due ragazzi fumano in macchina; le forze dell'ordine li sorprendono. Uno è un giovane parroco, viene solo denunciato. Arrestato l'altro. Colpevole di avergli passato la canna. Mola di Bari, 7/7/2007: in prigione N.G., cuoco trentenne, sposato e con due figli, arrestato per dieci grammi e sei piantine alte pochi centimetri. Senigallia (An), 24/5/2007: M.M., ristoratore di 21 anni, in manette: per sette piante. "Le piantine sono state caricate sulla pantera insieme a M.M., a cui è stato contestato il reato di produzione ai fini di spaccio, sufficiente per farlo passare dalla confortevole cucina del proprio ristorante a una più modesta cella del carcere anconetano, dove di certo non potrà dare spazio all'hobby da "pollice verde"", recitano le gazzette locali. Nocera Inferiore (Na), 16/2/2008: arrestata una donna incinta che nascondeva hashish nel reggiseno. I carabinieri hanno prima perquisito la casa di Giovanna Russo, trovando 200 euro in contanti, "ritenuti provento di attività illecita". Poi, con l'ausilio di una vigilessa, abilmente occultate nel reggiseno, sono stati trovati 15 grammi. Manette. Il giudice a disposto gli arresti domiciliari. Tricase (Lecce), 5/6/2010: i finanzieri piombano in classe: hashish tra i banchi? 1,8 grammi trovati. Dall'inizio dell'anno scolastico, ci sono già stati 133 interventi in 83 istituti. Finora sono stati sequestrati 12 grammi di hashish.

Genitori: che cosa fare se... Negli ultimi anni, 553mila giovani sono stati fermati, perquisiti, interrogati, sbattuti in celle di sicurezza di caserme e affini. Dal 2002/2003, quando è scattata, con le operazioni "strade pulite e cani nelle scuole", l'applicazione anticipata della legge Fini. Frugati e rovistati motorini, macchine, case di famiglia. Considerato che i consumatori nella fascia 13-28 anni sono due/tre milioni, le probabilità che vostro figlio (o fidanzato, fratello, nipote...) venga fermato, sono, nel corso del tempo, di uno a 6. Non poche. Che fare? RISCHI La legge Fini-Giovanardi stabilisce una quantità molto piccola: 3/4 grammi di erba di qualità media. Oltre, scatta quasi sempre la denuncia penale: da uno a sei anni, e multe da 3mila a 26mila euro (art. 73, comma 5). I settori più preparati e professionali della magistratura giudicante, tendono ad assolvere perché si tratta pur sempre di consumo personale. Ma non tutti hanno questa posizione. Per la coltivazione basta anche solo una pianta e si entra comunque nel reato di "produzione": da uno a sei anni. In primo e secondo grado le condanne sono frequenti: minimo sei-otto mesi, più spesso un anno. Alcune decisioni della Cassazione hanno ricordato, con ampiezza di argomenti, che la coltivazione di poche piante per sé è un comportamento che rientra nell'uso personale. Ma altre sentenze sono discordanti. Se vostro figlio resta sotto ai tre-quattro grammi, non crediate che vada tutto liscio: scatta un meccanismo infernale. Se è stato sorpreso "nei pressi" del motorino (anche se non guidava), gli agenti glielo possono sequestrare. Se stava guidando, senza fumare, ma gli trovano una "caccoletta", gli possono ritirare la patente al volo. Dal punto di vista psicologico, i momenti più difficili sono i primi. Il fermo o l'arresto. Il militare armato, più o meno minaccioso, o nervoso, che ordina, prende, fa. Qualche volta può diventare arrogante. Ci vuole freddezza: attenzione alle parole. Quella sbagliata può provocare una situazione difficilissima. L'impatto con la macchina può essere devastante. Anche per mamma e papà. Genitori che hanno sempre pagato ogni multa, anche per microinfrazioni al codice stradale, si trovano la casa invasa da uomini in armi e cani lupo eccitati. Che possono buttare per aria l'appartamento alla ricerca della droga. PREVENZIONE&ASSISTENZA Parlare. Serve soprattutto parlare. Spiegare che, anche per una canna, si rischia tanto. E, nel caso di problemi con la legge, consultare un legale competente e preparato. Chiamarlo anche in piena notte o all'alba. Perché dev'essere presente durante la perquisizione. E in grado di consigliare il cliente per evitare che faccia dichiarazioni controproducenti. Deve poter sottolineare ai militari una serie di fatti che escludono l'ipotesi di spaccio, anche in presenza di una quantità di sostanza superiore ai limiti. Per evitare l'arresto, e per portare argomenti solidi davanti al giudice dell'udienza preliminare. E poi il perito. Se il materiale sequestrato ha un peso lordo, per esempio, di sei grammi, il perito di parte può (se le cose stanno così) dimostrare che sono molto deboli come potenza ed equivalgono a tre/quattro, dunque sotto il limite. COSTI? Ci vuole qualcuno con esperienza specifica, che conosca perfettamente la materia (la giurisprudenza, le sentenze della Cassazione). E questo può implicare parcelle per migliaia di euro. E anche il perito chimico dev'essere agguerrito: fino a tre/quattromila euro per indagini sofisticate. G.B.

Giovani, operai, lavoratori. Incensurati. Di piccoli paesi e cittadine di provincia. È l'identikit che emerge dalle storie drammatiche che abbiamo elencato. Una condizione umana, una realtà, molto diversa da quella dei giovani metropolitani, perlopiù studenti, di famiglia medio o alto borghese, protetti e/o non "toccati" dalle leggi violente della strada, dove si può finire in balia di meccanismi stritolanti e paurosi. Dodici suicidi e/o morti sospette che emergono da oltre 100mila articoli di giornali esaminati tra il 2002 - anno in cui inizia l'applicazione "anticipata" della legge antidroga del 2006, in un clima da "strade pulite" - e il 2009. E solo nella ventina di provincie, su cento esistenti, monitorate. Forse altre storie sono sfuggite. C'è un confine netto fra queste vicende e i casi di suicidio in carcere (che sono almeno 50-60 all'anno) e le storie di violenza fisica contro arrestati o fermati, sia per "fumo" che per altri motivi, picchiati da agenti o militari in strada, in caserma, e le storie di persone morte in carcere in seguito a pestaggi. Magari perché poi non curati, come Cucchi. "Se un poliziotto massacra un cittadino negli Stati Uniti, viene licenziato in tronco", ricorda la mamma di Stefano. "Anche da noi, se corressero dei rischi veramente gravi, se non altro per convenienza, magari starebbero più attenti", ragiona la mamma di Alberto Mercuriali. I suicidi di ragazzi "in libertà", non detenuti, nei guai per pochi grammi di hashish, sono una realtà a parte. Sono pesanti come macigni. Puntano il dito contro una "legge assassina" (così definita all'epoca da Franco Grillini e da altri deputati e senatori dell'opposizione) e "criminogena" (dai Radicali italiani che non erano in Parlamento). Legge come causa diretta di queste tragedie, perché persone come Mercuriali oppure Ales, miti, incensurati, la polizia dovrebbero vederla solo nei telefilm. E invece vengono colpiti come se fossero dei criminali. Scatenando il caso Cucchi, bene hanno fatto esponenti storici della difesa dei principi di uguaglianza e libertà, come Luigi Manconi, presidente dell'associazione "A buon diritto" o deputati di centrodestra garantisti come Flavia Perina e Giulia Bongiorno. Ma è stato decisivo il comportamento della famiglia: il padre Giovanni, la madre Rita e la sorella Ilaria. Guardare negli occhi la madre fa venire i brividi. È impossibile non sentire il dramma, la sofferenza. Non sentire cosa può aver provato questa donna immaginando le botte, le urla di Stefano. Ma anche la forza e la determinazione della reazione, l'assoluta mancanza di paura verso possibili intimidazioni. La storia del ragazzo romano entrato vivo e uscito morto dall'ingranaggio è finita in prima pagina sui quotidiani e nei tg. Sono nati comitati e reti. Libri, iniziative. Un aspetto che accomuna storie diverse, è il fatto che per piccoli casi di "fumo" si può finire in carcere. Cucchi, per pochi grammi, in prigione non doveva starci. Se al ragazzo fossero stati dati i domiciliari, sarebbe ancora vivo. "Hanno detto che non aveva fissa dimora: ma la perquisizione l'hanno fatta a casa nostra", mi racconta la signora Rita. Dunque, i domiciliari potevano essere dati lì. Basta poco. Una firma, una carta. Il confine fra la vita e la morte. Sull'onda del caso Cucchi, anche le storie allucinanti che abbiamo raccolto, i ragazzi suicidi, stanno trovando più attenzione. E forse qualcuno potrebbe, anzi dovrebbe, ripensare alla legge in vigore (vedi box a pag. 53).

 
 
*Sociologo, presidente del Comitato scientifico "Libertà e Droga", è uno dei massimi esperti italiani in materia di stupefacenti. È autore di libri - Eroina (Feltrinelli), La droga e il sistema (Feltrinelli), Marihuana (Einaudi) - fiction tv e film (Amore Tossico).
Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Il carcere continua a fare vittime: un detenuto tunisino di 33 anni muore a Pisa

OSSERVATORIO PERMANENTE SULLE MORTI IN CARCERE

Radicali Italiani, Associazione “Il Detenuto Ignoto”, Associazione “Antigone” Associazione A “Buon Diritto”, Redazione “Radiocarcere”, Redazione “Ristretti Orizzonti”

È la 121esima persona “morta di carcere” dall’inizio dell’anno. Era stato arrestato il 16 giugno scorso, perché sprovvisto di permesso di soggiorno.

La Procura indaga sulle cause della morte: malore provocato da una overdose di farmaci, oppure suicidio?

È stato un malore causato da un mix di farmaci assunti in modo sbagliato a stroncare la vita di Moez Atadi, tunisino di 33 anni, detenuto presso il carcere Don Bosco di Pisa? La procura ha aperto un’inchiesta per fare piena luce sul fatto e per stabilire se vi sono eventuali responsabilità.

Stando ad una prima ricostruzione dell’accaduto, il tunisino ha incominciato a sentirsi male tra venerdì e sabato scorso. Come di prassi, il detenuto è stato subito ricoverato presso il Centro Clinico del “Don Bosco”, un centro questo di alto livello visto che è punto di riferimento di altre case circondariali.

Il tunisino accusava problemi respiratori e dolori polmonari ma nulla lasciava presagire al peggio. La sua situazione clinica ha cominciato a peggiorare nella nottata e quindi è stato disposto il trasferimento immediato presso una struttura civile più attrezzata come l’ospedale Santa Chiara ma sembra che l’uomo sia deceduto ancor prima di arrivare al pronto soccorso. Il corpo del tunisino è attualmente presso l’istituto di medicina legale a disposizione della procura.

Il pm Antonio Giaconi ha aperto un fascicolo d’indagine ed ha disposto l’autopsia che verrà eseguita domani dal medico legale Marco Di Paolo. Saranno decisivi i prelievi ematici che serviranno per gli esami tossicologici che dovranno accertare la natura e le reali conseguenze del mix di farmaci ingerito dal tunisino.

Per ora sembra l’ipotesi di un suicidio sembra improbabile, almeno stando ai racconti dei compagni di cella, che sono stati interrogati dalla polizia penitenziaria. Il tunisino era in carcere dal 16 giugno scorso perché inottemperante ai dispositivi della legge Bossi-Fini.

Con il decesso di Moez Atadi il totale dei detenuti morti nel 2010, tra suicidi, malattie e cause “da accertare” arriva a 121 (negli ultimi 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.681, di cui 600 per suicidio).

Fonte: http://detenutoignoto.blogspot.com/2010/09/il-carcere-continua-fare-vittime-un.html

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

"La Repubblica", LUNEDÌ, 06 SETTEMBRE 2010
Pagina 19 - Cronaca
 
La capienza regolamentare è di 44.000 persone. L´allarme del Sappe: "Alfano ha l´obbligo di trovare una soluzione"
Emergenza carceri, quasi 70.000 i reclusi superato il limite in tutti i penitenziari
 
ROMA - Carceri, è allarme in tutte le regioni. Con 68.345 detenuti presenti il 31 agosto scorso nei 207 penitenziari italiani «si è ampiamente superata la capienza ‘regolamentare´, quella per cui si è stimato che un istituto possa funzionare correttamente seguendo i dettami della Costituzione». Gli spazi sono esauriti. A denunciarlo è Donato Capece, segretario generale del sindacato penitenziario Sappe.
Le celle fatiscenti con quattro detenuti in nove metri quadrati non bastano più: il Consiglio d´Europa ha già richiamato all´ordine l´Italia ma la situazione anziché migliorare si è fatta agghiacciante. Che il rischio di collasso stava per trasformarsi in emergenza nazionale, lo aveva ammesso lo stesso ministro della Giustizia, Angelino Alfano, annunciando in gennaio un piano edilizio per la costruzione di nuovi istituti di pena. La capienza regolamentare di 44 mila detenuti era stata sforata da tempo ma è quest´anno che si è superata la quota di tollerabilità massima. Ammassando i carcerati si ricavavano poco più di 66.550 posti. In marzo erano oltre 67 mila. Adesso in cella non si respira più.
«E´ solo grazie alla professionalità e al senso dello Stato che hanno le migliaia di poliziotti penitenziari, carenti in organico di più di seimila unità, che si riescono a contenere i disagi e le proteste delle quasi 69 mila persone detenute», prosegue Capece, che torna a sollecitare misure urgenti. La previsione del piano Alfano è di investire 1,4 miliardi per 24 nuovi istituti da realizzare con procedure d´emergenza, come quelle piuttosto discusse del G8. Ma si è partiti con 700 milioni e nuovi padiglioni per espandere le strutture già esistenti. La promessa è di 21 mila posti in circa sei anni. Tuttavia basta visitare qualunque galera per capire che il problema non sono solo le strutture. Il sistema penitenziario italiano non regge l´ondata di ingressi, quasi metà dei detenuti è in attesa di giudizio.
«Alfano e i parlamentari che hanno visitato le celle a Ferragosto - scrive il Sappe in una nota - hanno l´obbligo politico e morale di trovare al più presto una soluzione, magari ascoltando anche le proposte di chi, come la polizia penitenziaria, in carcere ci lavora 24 ore al giorno tutto l´anno. Le passerelle non ci interessano».
(e.v.)

<script language="JavaScript" type="text/javascript">=252) refR=refR.substring(0,252)+"...";//--></script>
<script language="JavaScript1.1" type="text/javascript"></script>
<script language="JavaScript1.1" src="http://server-it.imrworldwide.com/a1.js" type="text/javascript"></script>

<script language="JavaScript" type="text/javascript">';if(navigator.userAgent.indexOf('Mac')!=-1){document.write(imgN);}else{ document.write(''+ ''+''+imgN+''); }}document.write("");//--></script>

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

"La Stampa", 06 Settembre 2010, pag. 56

La polizia penitenziaria

“In carcere agenti sempre più anziani
e celle oltre ogni limite di vivibilità”

  Emergenza carceri, emergenza per le forze dell’ordine alle prese con carenze d’organico e di mezzi. Alle Vallette il numero dei carcerati è sempre sopra quota 1600, quasi il doppio. E gli agenti della polizia penitenziaria non ce la fanno più a sostenere turni massacranti. I responsabili dell’Osapp, una delle sigle sindacali più battagliere, hanno inviato una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: «...La sempre più crescente gravità operativa delle oltre 216 Strutture Penitenziarie Italiane a causa di un dato inconfutabile in ascesa pari a 70.000 persone ospitate. Se a ciò si aggiunge che secondo la disciplina vigente, le persone fermate o sottoposte a fermo di polizia giudiziaria, invece di essere trattenuti nelle camere di sicurezza dei propri Comandi di appartenenza, vengono associati prima ancora della convalida dell'arresto da parte della magistratura inquirente presso i penitenziari, ciò appare ancor più critico. E' davvero assurdo, per non dire sconcertante, che per quanto riguarda il sistema carcere non venga assunto alcun provvedimento concreto in materia di esecuzione delle pene, di misure alternative, disciplinando concretamente e separando l'arrestato dal detenuto al fine di porre una graduale diminuzione della popolazione detenuta». Il segretario regionale Osapp, Gerardo Romano, attacca il sistema carceri: «Ogni giorno documentiamo irregolarità di ogni tipo, gravissimi problemi, inosservanza delle leggi di sicurezza sul lavoro. Dovremo, prima o poi, anzi saremo costretti a rivolgerci alla magistratura, per far valere i nostri diritti».
Non va meglio per polizia e carabinieri. Mancano decine di uomini e donne, negli organici. Spiega il consigliere nazionale del Sap, Massimo Montebove: «E’ una partita tutta da giocare, con il governo. Non si riescono più a colmare i vuoti che si creano, per esempio, con il personale che va in pensione. Adesso sono anche vacanti posti da primo dirigente e siamo in attesa delle decisione dell’amministrazione. Ma l’età media degli agenti è sempre più alta ed è difficile assicurare i servizi operativi, come le volanti e la mobile. La polizia funziona ancora, ma solo grazie all’impegno e alla dedizione del personale».
Nei prossimi giorni, al Viminale, ci sarà una riunione dedicata al caso Torino.\

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

"La Stampa", 05 Settembre 2010, cronaca di Torino

NEL CARCERE LORUSSO-COTUGNO

Tenta il suicidio in cella
Salvato da alcuni agenti


<script language="javascript" type="text/javascript">
//alert(cont);
if(cont==1){

immagine('20100905/foto/H10_1112.jpg');

}
</script> Ieri notte è stato sventato un tentativo di suicidio nel carcere «Lorusso e Cotugno» di Torino. Un detenuto, rinchiuso nella sezione «B» dell’istituto di pena, ha tentato di impiccarsi con i lacci della tuta da ginnastica che indossava. Solo il tempestivo intervento di alcuni agenti della polizia penitenziaria ha evitato il peggio per un italiano di 42 anni. L’uomo, originario di Napoli, era stato arrestato nell’ottobre del 1998 e condannato a 15 anni per omicidio, strage e violazione delle leggi sulle armi. Adesso si ritrova recluso in una camera di sicurezza, piantonato a vista dalla polizia penitenziaria. A rendere noto l’episodio è Donato Capece, segretario generale del Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che denuncia il «sovraffollamento» della struttura e le «pesanti condizioni di lavoro» degli agenti.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.
Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

CONFERENZA UNIFICATA
Ricostruzione completa del testo dell'atto ACCORDO 8 luglio 2010
 

Accordo, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sul documento proposto dal Tavolo di consultazione permanente sulla sanita' penitenziaria, recante: «Monitorare l'attuazione del D.P.C.M. 1° aprile 2008 concernente le modalita' ed i criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanita' penitenziaria». (Reperterio n. 59/CU). (10A09027)

 (GU n. 172 del 26-7-2010 )

http://www.gazzettaufficiale.it/guridb/dispatcher?service=1&datagu=2010-07-26&task=dettaglio&numgu=172&redaz=10A09027&tmstp=1281536805014

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

ITALIA - Vittime del proibizionismo: tossicodipendente muore in carcere a Frosinone
Scarica e stampa il PDF
Bookmark and Share
<script type="text/javascript" src="http://s7.addthis.com/js/250/addthis_widget.js#username=xa-4b55e0481661f031"></script>
Notizia 
7 agosto 2010 8:38
 
E' morto per arresto cardiaco giovedi' pomeriggio, nella sua cella della sezione per tossicodipendenti del carcere di Frosinone. La notizia del settimo decesso in un carcere della regione nel 2010 (di cui due per suicidio) e' stata diffusa dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. La vittima si chiamava Mauro M. E' il secondo decesso per malattia che si verifica, dall'inizio dell'anno, a Frosinone. Il 20 maggio scorso era morto per un attacco di cuore, fra le braccia del fratello con cui divideva la cella, un uomo di 32 anni. Lo scorso 28 luglio, invece, gli agenti di polizia penitenziaria e i detenuti avevano salvato un recluso romeno che aveva tentato di suicidarsi. Secondo i collaboratori del Garante la vittima, di cui ancora non e' stata resa nota l'eta', era tossicodipendente, malato di Hiv ed epatite ed era sottoposto a terapia psichiatrica. Il suo corpo senza vita e' stato scoperto intorno alle 17.00 di giovedi' pomeriggio. La causa del decesso, secondo le autorita' sanitarie del carcere, sarebbe un arresto cardio-circolatorio. L'infermeria dell'Istituto di Frosinone e' dotata di un defibrillatore semi-automatico. Questo strumento salvavita, a quanto appreso dal Garante, sarebbe pero' inutilizzabile perche' avrebbe le batterie scariche e le placche scadute. La notizia della sua morte si e' rapidamente diffusa all'interno del carcere ciociaro dove, a fronte di una capienza regolamentare di 325 posti, i ristretti superano le cinquecento unita'.
"Probabilmente la morte per cause naturali di quest'uomo non fara' gridare allo scandalo contro il sovraffollamento e le precarie condizioni di vita nelle carceri italiane - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - ma per l'ennesima volta invito tutti quanti a chiedersi se fosse davvero il carcere, e non una struttura esterna adeguata, la soluzione migliore per una persona in quelle condizioni di salute".
 

http://droghe.aduc.it/notizia/vittime+proibizionismo+tossicodipendente+muore_119477.php

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Purtroppo i pezzi sul carcere quest'anno li scrive Massimo Numa (quello che invento' "Tossic Park")... Non bastava la tensione nelle carceri degli adulti, con questo pezzo sparato a tutta pagina con titoloni si rischia di aumentare la tensione anche al minorile .....

 

"La Stampa", 09 Agosto 2010, cronaca di Torino

 L'EREDE DEI BOSS IN CARCERE CON I RAGAZZINI

LA STORIA
Massimo Numa

 

L’erede designato dalla famiglia Gionta di Torre Annunziata, uno dei clan della Camorra più feroci e sanguinari, è da qualche tempo a Torino, in una cella del Ferrante Aporti. Il 2 settembre 2009 ha compiuto diciotto anni ma ha diritto di restare nell’istituto per minori sino ai ventuno. E’ stato condannato a tre anni di carcere, per estorsione e altri reati, assieme ai boss della sua famiglia. Si chiama Valentino Junior, nipote di quel Valentino che fu uno dei numeri uno del sistema criminale. Sposato con una donna dei Chierchia, i Fransuà, il suo destino rischia di essere già segnato.
I pm dell’Antimafia considerano la lettera del padre, Aldo Gionta, uno dei boss della camorra di Torre Annunziata, al figlio un breviario criminale. Sembrerebbe allontanarlo per sempre da ogni possibile recupero, dall’ipotesi di una vita finalmente normale, lontana dalla stragi, dai narcotraffici e dalle estorsioni. Simbolo dell’avvenuta trasmissione dal padre al figlio dei poteri di controllo di uno dei racket più sanguinosi e feroci: «Caro figlio, non permetterti più di fare qualcosa senza il mio permesso. Poi giura su tuo figlio. Per adesso pensi a fare i soldi. Anzi, digli a Tatore che io avanzo 26 mila euro per gli avvocati».

Fai tredicimila tu e tredicimila lui e li dai a tua madre. Perciò diglielo a Tatore. Poi ti voglio dire state attenti dove parlate tu, Tatore e tuo cognato che ci sono microspie dappertutto. Poi tutti e tre imparate a sparare mitra, fucili e kalashnikov. Imparatevi in posti dove non vengano sbirri, cioè le guardie. Poi quando sapete usarli bene vi dirò io cosa fare. Fatti furbo non parlare con nessuno che ci sono microspie e poi la gente se la canta. Ascoltami, non fare nulla per adesso. Ti bacio forte a te, Gaetano e Tatore». Valentino aveva 17 anni, davanti ai suoi occhi erano già sfilati decine di morti.
Tatore è il soprannome di Salvatore Paduano, considerato uno dei luogotenenti di Aldo Gionta, pure lui in carcere. Valentino, arrestato dalla squadra mobile di Napoli per tentato omicidio ed estorsione ad alcuni imprenditori della zona, è stato condannato a tre anni di reclusione.
Qundo fu condotto in carcere a Napoli, nella tarda primavera del 2009, Valentino jr ebbe l’onore di essere atteso e accompagnato da tutto il clan nell’istituto per i minori di Nisida. Lì era troppo facile mantenere i contatti con la famiglia; lui che è stato prescelto per riprendere le redini della cosca dopo la spaventosa catena di arresti dal 2007 ad oggi. Da qualche è tempo è recluso nell’istituto Ferrante Aporti di Torino. «E’ un detenuto modello - spiega una giovane agente della polizia carceraria - non dà nessun tipo di problema. Legge molto, ascolta la tv, partecipa alle attività sociali e ricreative. Il problema non è lui...». E qual è? «E’ che sappiamo bene quali sono i suoi rapporti con la camorra, lo sanno anche gli altri ragazzi che, in un certo senso, sembrano ammirarlo, forse invidiarlo. Ha già carisma, per la sua età». Valentino Junior è già padre di un bimbo. Un ragazzo calmo, rispettoso con gli agenti e gli operatori, dagli psicologi agli insegnanti. Si vede che è diverso dal mini-rapinatore marocchino che usa le bottiglie rotte per strappare il cellulare o la catenina alle vittima, un po’ il prototipo del detenuto del Ferrante Aporti, assediato dai media solo quando ha accolto nelle sue mura dall’aspetto rassicurante, più una scuola che un carcere, i protagonisti di efferati delitti. Come Erika e Omar, come la ragazza che uccise una suora nel profondo Nord, tanto per divertirsi, assieme alle sue amiche sataniste. «Valentino, se riuscisse a tagliare ogni contatto con Torre Annunziata, a partire dai genitori, dai cugini, dai fratelli, dagli zii, forse ce la farebbe. Ha tutte le qualità per farcela davvero. Questa è solo una speranza». Al Ferrante Aporti ci sono i soliti problemi dell’universo carcerario. Manca il personale, mancano i mezzi. «La custodia di un soggetto del genere, cioè l’erede designato di una delle famiglie più importanti del sistema camorristico, non può essere esercitata con i mezzi comuni. Non si tratta solo di impedire che evada, possibilità remota, visto che la fine della pena si va avvicinando, ma di avere contatti, dare e ricevere ordini da chi dei suoi è già in carcere o ancora fuori. Anche per proteggerlo. La vita di queste persone è in parte giù segnata, prigioniera di copioni già scritti, spesso appesa a un filo». Gli agenti, il termine di una sorta d’umana pietà, la pietas latina, non lo usano mai. Ma traspare dall’espressione del viso, dal tono di voce, dalle sfumature dei loro discorsi. Un ragazzino che deve imparare in fretta a usare i Kalashnikov, a ritirare e a dividere il pizzo con i complici. E forse anche ad uccidere.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

"La Stampa", 08 Agosto 2010, cronaca di Torino

“Altro che letti in più. Il carcere di Ivrea andrebbe chiuso”

 

Reportage

MASSIMO NUMA

 

<<Il carcere di Ivrea? Andrebbe chiuso. Mi stupisco che la magistratura non abbia ancora aperto un’inchieste sulle condizioni in cui versano detenuti e agenti di polizia penitenziaria per le palesi violazioni della 626. Se qualcuno controllasse gli impianti elettrici, lo stato delle condotte dell’acqua, i bagni, le docce, le condizioni di strutture, camminamenti e quant’altro, non esisterebbe più». Parla l’ispettore Luca Massaria, delegato regionale Osapp, ispettore e responsabile del settore collaboratori di giustizia di questo carcere che dovrebbe ospitare non più di 178 detenuti ma che, oggi, è arrivato quasi a quota 300. E’ di ieri la notizia che il provveditore regionale Aldo Fabozzi ha imposto, nella celle del terzo piano, il terzo letto, in una stanzetta di due metri per quattro. In questo spazio vivono ora tre uomini, violando così le norme europee (non meno di 7 metri per ciascuno, «lo sancisce anche il dettato costituzionale», spiegano amareggiati i sindacalisti. In quella sezione, dove ci sono 80 detenuti con condanne definitive e brevi residui di pena ancora da scontare (non tutti, però), alle 9 le porte di tutte le celle si aprono per rinchiudersi alle 20. I reclusi possono così usufruire, oltre alle ore d’aria, anche del corridoio, di circa 20 metri. Nelle camerette non ci si muove più. E gli agenti non possono svolgere la «battitura» delle sbarre, né tenere sotto controllo i detenuti, in balìa di se stessi. Un solo operatore per 80 persone. Turni massacranti, sempre sul filo del rasoio. Se succede una rissa, che si fa? «Non potremmo neanche entrare, ci farebbero a pezzi», dicono gli agenti.
E ieri il consigliere regionale pdl Roberto Tentoni ha visitato - senza preavviso - il carcere. Due ore di controlli minuziosi, seguito passo passo dagli agenti. «Credo che, all’interno, ci siano disagi ma l’atmosfera è calma, in apparenza abbastanza serena. Qui come altrove c’è il problema del sovraffollamento, c’è il timore che siano in arrivo altri bus carichi di detenuti. E il rischio è quello di un collasso. Il personale è sotto pressione, ci sono 131 operatori, e ne mancano decine per potere svolgere turni normali. Purtroppo, i tagli dei bilanci non consentono soluzioni a breve. Meglio puntare alla costruzione di nuovi istituti e allo sblocco delle assunzioni». Tentoni s’è soffermato a lungo nel braccio del terzo piano, con i tre letti che occupano tutto il pavimento, o quasi: «I detenuti apprezzano la maggiore libertà ma, in effetti, quando le grate si chiudono alle 20, sono costretti in spazi minimi. C’è abbastanza ordine, la pulizia sembra decente, l’atmosfera tranquilla. Giocano a carte e lavorano, nei giorni feriali. Certo, l’impatto visivo è spiacevole. Le celle sono davvero piccolissime».
Il viaggio continua. La portineria è in stato di abbandono. Nella sala d’aspetto riservata ai familiari, ci sono rifiuti per terra, resti di cibo nei contenitori stracolmi. Muri sbrecciati e un generale degrado. In compenso, l’aria condizionata, almeno qui, funziona. Gli agenti si alternano nella centrale operativa, osservano sui monitor le strade deserte. Un’antica Fiat Marea Station Wagon, quasi un’auto d’epoca, continua malinconicamente a girare attorno alle mura di cinta, con i lampeggianti accesi. «Le ultime evasioni le hanno fatte con i lenzuoli appesi alle sbarre tagliate con la lima - dice Massaria - e noi non possiamo neppure controllarle, le sbarre, per mancanza di spazio». E Gerardo Romano, segretario regionale Osapp: «Quell’auto che si aggira per 24 ore, con i lampeggianti accesi sotto il solleone è il frammento di una sceneggiata alla napoletana. Non serve a niente, se non a sottrarre il personale a compiti più utili e proficui».
Problemi irrisolvibili. Le docce vanno a singhiozzo, due ogni 80 detenuti. Spesso manca l’acqua e, con questo caldo, i disagi si aggravano. «Devo dire - dice Tentoni - che bagni e docce non sembravano poi così male. Le cucine sono nuovissime, il fiore all’occhiello, presto in funzione. Comunque chiederò un incontro con il provveditore regionale. E’ evidente che si potrebbe fare meglio».

 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

(<<Data l’apertura della finestra, la postura prevista per l’occupante del terzo letto, sarà quella contraria rispetto alla tradizionale. Si resta in attesa di riscontri al riguardo...»..... il provveditore delle carceri borboniche non avrebbe potuto scrivere meglio!)
 
 
"La Stampa", 07 Agosto 2010, cronaca di Torino
 
AGGIUNGI UN POSTO IN CELLA
 
Massimo Numa

 

 

Ferragosto, tempo di tutto esaurito. Anche nelle carceri. Ma il provveditore regionale Vito Fabozzi non s’è perso d’animo. A Ivrea, dove l’istituto di pena ha da tempo superato i limiti della capienza, una soluzione s’è trovata: un letto in più in ogni cella. Va bene, i reclusi dovranno rinunciare al tavolino e a quel poco spazio ancora disponibile, ma pazienza. La legge europea prevede che ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione almeno sette metri quadrati, mentre in Italialo spazio s’è ridotto a 3 o a 4. In alcune celle i detenuti possono alzarsi solo a turno, e le condizioni igienico-sanitarie hanno ormai superato il livello di guardia.
Ma torniamo a Ivrea. Scrive il provveditore, con lettera protocollata del 2 agosto, nella sua prosa molto tecnica ma del tutto chiara, anche ai non addetti ai lavori: «Considerato che gli occupanti della sezione in parola godranno di un maggior numero di ore di permanenza all’esterno della camera detentiva, si conferma la necessità di installazione del terzo letto, escludendo soluzioni che prevedono castelli a tre posti.

Pertanto, il terzo letto dovrà essere posizionato nella parete opposta ai castelli due posti, previo smontaggio del tavolino pensile e collocazione di un tavolino su gambe in altro posto. Data l’apertura della finestra, la postura prevista per l’occupante del terzo letto, sarà quella contraria rispetto alla tradizionale. Si resta in attesa di riscontri al riguardo...».
Il segretario regionale Osapp, Gerardo Romano spiega che «non è tanto il piano ad essere sbagliato, anche se i detenuti saranno costretti a vivere in una specie di labirinto e, in generale, non è giusto, proprio se si affronta il tema del valore e il significato della pena, ma è la politica generale dello Stato che non funziona più. La questione della “postura” del detenuto può anche far sorridere, ma la gestione delle carcere senza mezzi, senza risorse, senza prospettiva è già di per se una fonte di disequilibrio sociale. Non è con il terzo letto che si risolve il problema del sovraffollamento».
Parole dure. E la tensione i pericoli per gli agenti della polizia carceraria, aumentano con il trascorrere nei mesi. Con una lettera del 27 luglio, inviata ai i direttori delle carceri del Piemonte, viene sollevato il problema delle misure anti-evasione, dopo le recenti fughe di detenuti, avvenute negli ultimi giorni. Scrive tra l’altro Fabozzi: «...Nella quasi totalità dei casi i tentativi avvengono dalla cinta muraria... Si osserva che il muro di cinta non è presidiato in modo stabile... Tale situazione può indurre i detenuti che avessero in animo di evadere ad utilizzare la via del muro di cinta, identificato quale “punto debole” del sistema di sicurezza. Si è consapevoli dell’impossibilità di garantire la sorveglianza continua e completa in tutti i presidi e pertanto è necessario operare alcune scelte...».
Quali? «I direttori dovranno garantire, al di là della predisposizione della vigilanza armata, lungo il muro di cinta, un’autopattuglia radio formata da 02 unità ben visibile sia ai detenuti che ad eventuali fiancheggiatori esterni. Detta autopattuglia opererà con il lampeggiante acceso ed effettuerà anche una ricognizione all’esterno di detto perimetro...». Commento Osapp: «È l’ammuina della marina borbonica, tutti che si agitano ma son sempre gli stessi. Altri carichi di lavoro, con gli organici attuali, non sono tollerabili».

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

ITALIA - Visito' Cucchi in carcere. Medico allontanato e non trova lavoro
Scarica e stampa il PDF
Bookmark and Share
<script type="text/javascript" src="http://s7.addthis.com/js/250/addthis_widget.js#username=xa-4b55e0481661f031"></script>
Notizia 
30 luglio 2010 20:46
 
'A dicembre del 2009, dopo il ritorno dal mio viaggio di nozze ho tentato di rientrare in servizio a Regina Coeli dove lavoravo come medico di guardia ininterrottamente da sei anni e non ci sono riuscito'. Lo riferisce Rolando Degli Angioli, il medico che visito' Stefano Cucchi al suo ingresso a Regina Coeli, il giorno dopo l'arresto, diagnosticandogli un pericolo di vita e che, in seguito, ha segnalato di aver subito pressioni per autosospendersi dal servizio. Cucchi mori' il 22 ottobre 2009 nell'ospedale Sandro Pertini, una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga. Per la sua morte la procura ha indagato 13 tra medici, infermieri e agenti penitenziari. Per accertare le eventuali pressioni sul medico e possibili collegamenti con il caso Cucchi il 22 dicembre scorso la Procura di Roma ha aperto un fascicolo. 'Da sei mesi ormai sono senza lavoro e non riesco a spiegarmene il motivo. Ho sempre lavorato con i detenuti e non lo posso piu' fare. Mi auguro che la Procura di Roma faccia chiarezza al piu' presto su queste che spero essere delle semplici coincidenze. Credo e continuero' sempre a credere nella legge', spiega il medico.
Degli Angioli ha anche riferito di 'un tentativo di conciliazione' avviato, attraverso il suo avvocato Carlo Pereno, 'circa un mese fa con la Asl Rm A, la dirigenza sanitaria di Regina Coeli e la commissione provinciale del Lavoro per la riammissione e il risarcimento dei danni subiti'.
 

http://droghe.aduc.it/notizia/visito+cucchi+carcere+medico+allontanato+non+trova_119355.php

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

(Alfano, Gramellini, Donadi ... tutti pazzi per Enrichetto! E gli altri?!)
 
 
"La Stampa", 05 Agosto 2010, pag. 18
 

La storia

ANGELA MERLONE

“Enrichetto libero”. Scende in campo anche il ministro.

Alfano: la sua pena contraria al senso di umanità

ASTI

  Enrichetto ancora non crede che persone «così importanti» parlino di lui. Non crede di «essere finito» sul giornale, gli pare impossibile che qualcuno pensi a lui. Eppure la sua storia ha commosso qualche coscienza. Mandato ai domiciliari per guida in stato di ebbrezza (era in bicicletta...), poi in carcere per evasione (era uscito di casa per andare a comprare un salame), Enrichetto ha deciso di lasciarsi morire di fame, se la malinconia non lo uccide prima.
E’ stato il parlamentare Massimo Donadi, dell’Italia dei Valori, a sottoporre per primo alla Camera la storia di Enrichetto raccontata su La Stampa da Massimo Gramellini. «Ho dato mandato ai miei uffici - ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, in aula - di valutare se esistono presupposti che possano consentire un intervento del ministero della Giustizia». Secondo Alfano, è una vicenda «grave, perché viola una parte dell’articolo 27 molto spesso trascurato della Costituzione: non quello della funzione rieducativa della pena, ma quanto il fatto che la pena non può essere contraria al senso di umanità. Questo, nel caso Enrichetto mi è apparso visibile e proprio per questo mi sono immediatamente attivato».
Intanto, oggi il deputato Donadi andrà in visita al carcere di Quarto ad Asti, dove è rinchiuso Enrichetto. Ieri sera anche le tivù sono andate in paese, a Baldichieri, dove Enrichetto, 55 anni, è conosciuto da tutti. E, se i ragazzini lo prendono in giro per quel cappello con la coda da cui mai si separa, i paesani e i vicini di Tigliole gli vogliono un gran bene. C’è la guardia giurata che quando lo vede lo saluta e lui, rispettoso delle divise, «Comandi». C’è la ragazza bionda che lo aveva curato quando era caduto dalla bici ed era stato portato in ospedale, che si sta prendendo cura di Pumin, il suo cane. Oltre alla vergogna di essere finito dietro le sbarre è il pensiero del suo cane, di «quella povera bestia tutta sola», a divorarlo. Tanto che da giorni ha smesso di mangiare. Non per protesta: per il timore di uscire e non trovare più Pumin con cui da anni condivide la vita.
Anche i lettori di Specchio dei tempi, storica rubrica de La Stampa, hanno fatto sentire la loro solidarietà: grazie a loro Enrichetto avrà un assegno che gli permetterà di sostenere le spese legali e di far fronte alle sue necessità. La pensione, infatti, basta appena per lui e Pumin. E poi, come si tormenta Enrichetto, chissà che fine avrà fatto l’assegno arrivato alle Poste: lo troverà ancora in ufficio o sarà tornato indietro, mentre lui non c’era?
Un legale di Asti si è dichiarato disponibile ad assisterlo casomai dovesse averne bisogno per quanto riguarda il procedimento per l’evasione dagli arresti domiciliari. Il 13 agosto scadono i due mesi di detenzione per la guida in stato d’ebbrezza e Enrichetto potrà tornare a casa sua, l’altro procedimento è ancora da fissare.
In paese sorridono al ricordo di quella bicicletta, fonte prima dei suoi guai: «Enrichetto in bici? Ma no, è la bicicletta che porta a spasso lui». In carcere Enrichetto ha trovato tante persone che gli vogliono bene, ma non bastano ad allontanare dal cuore la malinconia e un ingiustificato senso di vergogna. Gli mancano tanto gli scodinzolii e le lappate gioiose di Pumin.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-08-03/carcere-preventivo-solo-serve-080524.shtml?uuid=AYnNMeDC

 

Commenti e idee

 

Carcere preventivo solo se serve

3/08/10

 

C'è un antico vizio nella nostra legislazione e nella nostra opinione pubblica: quello di oscillare irragionevolmente, in tema di politica criminale, fra due eccessi, a seconda che in quel momento prevalga la preoccupazione per l'"allarme sociale" suscitato dai reati o da certi reati, ovvero la preoccupazione per veri o presunti eccessi della magistratura, in particolare nell'applicare la carcerazione preventiva.

<script type="text/javascript">OAS_RICH('VideoBox_180x150');</script>

.article-body .top.body .ad {display:none}Se prevale la prima preoccupazione, si grida al "lassismo" dei magistrati e s'invocano misure draconiane ("buttiamo la chiave"), dimenticando ogni esigenza di ragionevolezza e di rispetto dei principi del sistema penale. Se prevale la seconda (in un'oscillazione del "pendolo"), si grida al "giustizialismo" e s'invocano, a ragione o a torto, più rigorose garanzie per gli accusati di reati in nome della presunzione di non colpevolezza.

In materia di custodia cautelare in carcere valgono, e dovrebbero sempre valere, elementari principi di civiltà giuridica, tante volte affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo, a tutela del diritto fondamentale alla libertà personale.

L'accusato in attesa di giudizio si presume non colpevole, e dunque misure restrittive, specie personali, possono essere adottate nei suoi confronti a condizione che non solo sussistano gravi indizi del reato, ma anche che sussistano specifiche esigenze cautelari, come quelle derivanti dal pericolo di reiterazione del reato, dal pericolo di fuga o dal pericolo d'inquinamento delle prove. Le condizioni che legittimano la misura restrittiva devono di norma essere accertate in concreto, e le misure adottate devono essere proporzionate e ristrette al minimo indispensabile per fronteggiare in concreto le riscontrate esigenze cautelari.

Se si scorrono le disposizioni del nostro codice di procedura penale (articoli 280 e seguenti) non solo si trovano questi principi chiaramente enunciati, ma è anche palese la successiva stratificazione di modifiche succedutesi negli anni, per lo più nell'intento di rafforzarne le garanzie di osservanza e di prevenire veri o presunti abusi operati dalla magistratura nell'impiego della carcerazione preventiva. Una modifica del 2009, invece, riprendendo una linea già affermatasi nel 1991, ma fortemente ridimensionata nel 1995 (a proposito di oscillazioni del pendolo), aveva nuovamente esteso a una serie numerosa di reati, fra cui quelli sessuali, la regola eccezionale per cui, in presenza di gravi indizi di colpevolezza, la magistratura deve comunque applicare la carcerazione preventiva, salvo che si dimostri l'insussistenza di esigenze cautelari (una sorta di inversione dell'onere della prova) e soprattutto senza alcuna possibilità di ricorrere a misure meno restrittive come gli arresti domiciliari.

Questo regime cautelare speciale, prima del 2009, era limitato agli accusati di reati di criminalità organizzata: e a questo riguardo era stato già esaminato sia dalla Corte costituzionale sia dalla Corte europea dei diritti, e ritenuto non incompatibile con le garanzie fondamentali dei diritti, data l'eccezionalità delle esigenze di politica criminale concernenti la lotta alle mafie.

Ora la Corte costituzionale, con la sentenza n. 265 pubblicata il 7 luglio, ha invece giudicato parzialmente incostituzionale tale regime speciale in quanto applicato ai reati sessuali (solo di questi era chiamata a giudicare nel caso) affermando che, ove in concreto si dimostri che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con misure meno restrittive, il giudice deve far ricorso a esse e non disporre la carcerazione preventiva. Resta dunque il regime cautelare speciale, resta la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, mentre cade soltanto il rigido divieto di far ricorso a misure meno restrittive pur quando esse appaiano in concreto idonee a fronteggiare dette esigenze.

C'è davvero da sorprendersi della sorpresa indignata di certi commenti. Il principio del "minimo sacrificio" della libertà personale prima della condanna, per cui la carcerazione preventiva non può essere usata in funzione di anticipazione della pena, ma solo per soddisfare specifiche esigenze cautelari non altrimenti fronteggiabili, è chiaramente implicito nella Costituzione. Semmai il problema è se si giustifichi, e come, il regime speciale previsto dalla legge, e ritenuto non incostituzionale, nel caso dei reati di mafia.

Ma a questo proposito è del tutto fuori luogo la critica di chi afferma che i reati sessuali non sono meritevoli di un trattamento meno severo rispetto ai crimini mafiosi. Infatti la deroga ai principi, se si giustifica, può giustificarsi eventualmente (e così lo è stata dalle Corti) solo in vista delle caratteristiche oggettive dei reati di criminalità organizzata, in cui sussiste fin dal momento dell'indagine la non irragionevole esigenza d'impedire efficacemente il permanere dei collegamenti degli accusati fra loro e con l'associazione mafiosa, ciò che solo il regime carcerario potrebbe assicurare.

La gravità dei reati per cui si procede (e così dei reati sessuali) non c'entra: l'apprezzamento di essa deve trovare posto, come afferma la Corte, attraverso la «comminatoria di pene adeguate, da infliggere all'esito di processi rapidi a chi sia stato riconosciuto responsabile di quei reati, in sede di fissazione e di applicazione della pena», e non già con «una indebita anticipazione di queste prima di un giudizio di colpevolezza».

Ancora una volta la Corte ha portato la ragione là dove l'irrazionale tende, troppo spesso, a impadronirsi delle leggi.

<script type="text/javascript">OAS_RICH('VideoBox');</script>

<script id="extFlashVideoBox1" src="http://adv.ilsole24ore.it/0/TFSMflashobject.js" type="text/javascript"></script>
<script language="JavaScript" type="text/javascript">

if(!document.body)
document.write("");
OASd = document;
var plug = false;
var flashVersion = -1;
var minFlashVersion = 8;
if(navigator.plugins != null && navigator.plugins.length > 0){flashVersion =(navigator.plugins["Shockwave Flash 2.0"] || navigator.plugins["Shockwave Flash"]) ? navigator.plugins["Shockwave Flash" +(navigator.plugins["Shockwave Flash 2.0"] ? " 2.0" : "")].description.split(" ")[2].split(".")[0] : -1;
plug = flashVersion >= minFlashVersion;}
else if(navigator.userAgent.toLowerCase().indexOf("webtv/2.6") != -1){flashVersion = 4;plug = flashVersion >= minFlashVersion;}
else if(navigator.userAgent.toLowerCase().indexOf("webtv/2.5") != -1){flashVersion = 3;plug = flashVersion >= minFlashVersion;}
else if(navigator.userAgent.toLowerCase().indexOf("webtv") != -1){flashVersion = 2;plug = flashVersion >= minFlashVersion;}
else if((navigator.appVersion.indexOf("MSIE") != -1) &&(navigator.appVersion.toLowerCase().indexOf("win") != -1) &&(navigator.userAgent.indexOf("Opera") == -1)){var oasobj;
var exc;
try{oasobj = new ActiveXObject("ShockwaveFlash.ShockwaveFlash.7");
flashVersion = oasobj.GetVariable("$version");} catch(exc){try{oasobj = new ActiveXObject("ShockwaveFlash.ShockwaveFlash.6");
version = "WIN 6,0,21,0";
oasobj.AllowScriptAccess = "always";
flashVersion = oasobj.GetVariable("$version");} catch(exc){try{oasobj = new ActiveXObject("ShockwaveFlash.ShockwaveFlash.3");
flashVersion = oasobj.GetVariable("$version");} catch(exc){try{oasobj = new ActiveXObject("ShockwaveFlash.ShockwaveFlash.3");
flashVersion = "WIN 3,0,18,0";} catch(exc){try{oasobj = new ActiveXObject("ShockwaveFlash.ShockwaveFlash");
flashVersion = "WIN 2,0,0,11";} catch(exc){flashVersion = -1;}}}}}
plug =(flashVersion != -1)? flashVersion.split(" ")[1].split(",")[0] >= minFlashVersion : false;}

if(plug)
{
document.write("

");
function loadFlashVideoBox1(){
if(navigator.userAgent.indexOf("MSIE") != -1 && navigator.userAgent.indexOf("Opera") == -1){

if (extFlashVideoBox1.readyState == "complete")
{
FlashObject("http://adv.ilsole24ore.it/0/OasDefault/Medusa_SNT_hp_100727//"+SWF_IMAGEVideoBox+"?clickTag=http://adv.ilsole24ore.it/RealMedia/ads/click_lx.ads/www.ilsole24ore.it/10/_02_080_/_notizie_/_le_idee/930207035/VideoBox/OasDefault/Medusa_SNT_hp_100727/halfPage_ShutterIsland.html/39653636613230383438653066323830?DaEscludere", "OAS_AD_VideoBox", "width="+WIDTH_DIMVideoBox+" height="+HEIGHT_DIMVideoBox+"","opaque", "clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" ,"8", "FinContentVideoBox1");
extFlashVideoBox1.onreadystatechange = "";
}

extFlashVideoBox1.onreadystatechange = loadFlashVideoBox1;
}
else
{
OASfp=" Menu=FALSE swModifyReport=TRUE width="+WIDTH_DIMVideoBox+" height="+HEIGHT_DIMVideoBox+" ";
OASd.write("");
OASd.write("");
OASd.write("");
OASd.write("");
}

}
loadFlashVideoBox1();
}
else
{
OASd.write("");}
if(!document.body)
document.write("");
//-->
</script>

 

 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

SECONDO FERRAGOSTO IN CARCERE - ANNO 2010

VENERDI' 13, SABATO 14 E DOMENICA 15 AGOSTO

http://www.radicali.it/ferragosto-in-carcere-2010

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Sotto l'ombrellone spunta l'amnistia

Quattro anni di indulto e quattro di amnistia che valgono complessivamente ben più del dimezzamento della popolazione carceraria nonché l'azzeramento delle pendenze processuali nei tribunali. L'estate sta finendo ed è arrivata la proposta di amnistia. A presentarla il senatore del Pdl Luigi Compagna. I cofirmatari della proposta sono tutti di centrosinistra, tra cui Franca Chiaromonte del Pd ed Emma Bonino dei radicali. Non è facile che il disegno di legge trovi spazio nell'agenda parlamentare. Esso però rende possibile l'avvio della discussione pubblica sulla necessità di un provvedimento di clemenza. I contenuti sono ben più ampi rispetto a quelli presenti nella legge sull'indulto del luglio 2006. In primo luogo la proposta comprende anche l'amnistia, in secondo luogo l'indulto sarebbe di quattro anziché di tre anni come invece era ai tempi del Guardasigilli Clemente Mastella. Nel 1992, con legge costituzionale, fu elevato il quorum necessario per approvare una legge di clemenza. Da allora il Parlamento non ha mai varato un provvedimento di amnistia. L'ultimo in ordine cronologico risale a vent'anni fa. Nel disegno di legge Compagna vi è un lungo elenco di reati estinguibili. L'amnistia non si applicherebbe invece, tra gli altri, ai seguenti reati: delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, peculato, corruzione, evasione, delitti colposi contro la salute pubblica, omicidio colposo e lesioni personali colpose limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all'igiene del lavoro, corruzione di minorenne, usura. I contenuti della proposta ricalcano sostanzialmente quelli della legge n. 73 del 1990. L'esclusione di taluni reati finanziari toglie spazio alle critiche provenienti da chi a sinistra potrebbe paventare il classico colpo di spugna per i crimini dei colletti bianchi. L'amnistia che si andrebbe a concedere non sarebbe una amnistia condizionata: essa non verrebbe revocata nel caso di nuovo reato commesso negli anni successivi alla concessione del provvedimento. Si legge testualmente nella relazione introduttiva del disegno di legge che: «Non si concorda con le varie ipotesi di amnistia condizionata avanzate in passato; il controllo sulla buona condotta dell'amnistiato sarebbe incombenza non meno gravosa per gli uffici competenti, che andrebbero anche individuati e forniti delle risorse economiche necessarie; l'amnistia condizionata in sé si presta, poi, all'obiezione che essa mantiene in vita (in certi casi anche dopo il termine di prescrizione del reato) procedimenti che si accumulano negli uffici giudiziari per un altro quinquiennio». Per la parte relativa i all'indulto, nel disegno di legge vengono condonati sino a quattro anni di pena, che diverrebbero cinque nel caso di persone affette da determinate patologie gravissime (Aids, tumori ed epatiti). Sono esclusi coloro che si sono macchiati di delitti gravissimi, come strage, associazione di tipo mafioso, sequestro di persona, usura. L'indulto, a differenza dell'amnistia, verrebbe revocato se chi ne ha usufruito dovesse commettere, entro cinque anni, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Infine nei confronti dello straniero si prevede che all'indulto si accompagni l'espulsione. È quasi impossibile che si trovi in Parlamento l'accordo necessario per approvare la legge di clemenza. Nel frattempo i detenuti hanno superato la soglia delle 68 mila unità mentre i posti letto regolamentari sono 43 mila circa. Il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Franco Ionta, in una lettera rivolta al personale, ha però affermato che l'emergenza è frutto di eccessive campagne mediatiche.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Se la legalità diventa solo una bella parola

 

Legalità" è la parola magica dei finiani. Pare, infatti, che i sostenitori del Presidente della Camera non siano favorevoli all'avvento della mafia, alla presa dei potere da parte della 'ndrangheta o alla occupazione degli scranni di Montecitorio da parte degli esponenti della camorra ma, udite udite, fautori della legalità. E chi l'avrebbe mai detto. Già, chi l'avrebbe mai detto, visto che non ricordiamo di aver mai sentito un Granata o un Bocchino che fossero a dire mezza parola a proposito, ad esempio, sulla carneficina in atto nelle carceri italiane. Non una parola dal legalitario campano Bocchino a proposito della situazione dei detenuti di quella regione, con il carcere di Benevento che potrebbe accogliere 233 ospiti ma che ne accoglie 381 (+63,51 %); Poggioreale, dove nonostante i posti disponibili siano 1.658, i detenuti sono quasi il doppio: 2679; o Santa Maria Capua Vetere, in cui invece dei 547 detenuti previsti gli ospiti sono 914. Non dimostra maggiore sensibilità legalitaria l'onorevole Fabio Granata, quantomeno a proposito del trend dei suicidi in carcere che nella natia Sicilia che fa registrare un triste primato. Proprio l'altro ieri, infatti, Corrado Liotta, detenuto nel carcere Cavadonna di Siracusa, si è ucciso impiccandosi alle sbarre. Nel 2010, dei 39 suicidi consumati fino ad ora, ben sette sono avvenuti nella regione del legalitario Granata. Il culto della legalità professato dai neo moralizzatori dei Pdl pare dunque arrestarsi dinanzi ai portoni blindati delle carceri italiane. Varcare quella soglia - come i radicali di Marco Pannella fanno da anni in occasione del Ferragosto - oltre a non essere piacevole per nessuno, non dev'essere politicamente redditizio.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

(Servono programmi metadonici a mantenimento che, iniziati in carcere, proseguano dopo la scarcerazione, così da fornire all'ex detenuto la stampella necessaria e indispensabile per non cadere nuovamente nel consumo di droga con i rischi connessi!

Ma nelle carceri italiane i programmi metadonici a mantenimento sono una mosca bianca!)

 

http://www.dronet.org/comunicazioni/res_news.php?id=2008

28-07-2010
Mortalità droga correlata dopo la scarcerazione, linee guida per la prevenzione
 

Fonte: World Health Organization
invia articolo
Titolo originale e autori: Prevention of acute drug-related mortality in prison populations during the immediate post-release period-World Health Organization 
 

La percentuale di morti tra ex-detenuti correlata all’uso di droghe è particolarmente drammatica nel periodo immediatamente successivo alla scarcerazione. Le cause sono molteplici, prima fra tutte la ridotta tolleranza alle droghe dopo un periodo di relativa astinenza durante la detenzione e il consumo combinato di oppiacei e altre droghe. L’uso di droghe nella popolazione carceraria è un fenomeno sovra rappresentato, che supera in Unione europea il 50%.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità esamina gli effetti e la portata di tale fenomeno in un nuovo report dal titolo “Prevention of acute drug-related mortality in prison populations during the immediate post-release period”. La pubblicazione propone una rassegna della letteratura scientifica sui problemi e sui rischi associati alla mortalità acuta per droga nella popolazione carceraria dopo la scarcerazione e i possibili interventi per la prevenzione di tali morti. I dati raccolti confermano l'ipotesi che i detenuti rilasciati sono esposti ad un rischio significativamente maggiore di morte per droga rispetto ai tossicodipendenti nella popolazione generale. I tassi di mortalità per droga tra ex detenuti risultano inoltre ancora più elevati nel periodo immediatamente successivo alla scarcerazione.
La reclusione rappresenta spesso un periodo di astinenza o riduzione dell’uso di droghe con una conseguente riduzione della tolleranza fisiologica rispetto alle dosi assunte. Ciò espone i detenuti a un più alto rischio di mortalità acuta per droga una volta che, usciti dal carcere, ne riprendono l’uso. I programmi di prevenzione focalizzati sui rapporti con la famiglia e il reinserimento nella comunità posso contribuire alla preparazione dei detenuti prima della scarcerazione, istruendo i partecipanti a riconoscere e gestire eventuali sintomi legati all’overdose.
 

Redattore: Staff Dronet
Indirizzo: Programma Regionale sulle Dipendenze
Email: info@dronet.org
 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

 
La situazione. Un detenuto in attesa da mesi di essere operato.
Risposta a Camilleri

27 luglio 2010

 

di Valter Vecellio
 
Adriana Tocco è Garante dei detenuti di Napoli. Racconta che nel carcere di Poggioreale c’è un giovane detenuto che da mesi attende un’operazione chirurgica per occlusione delle vie urinarie. Cammina con una sacca addosso e non può fare nulla. È l’ennesimo caso, dice: “Siamo ad un livello di diniego dei diritti civili, anche i più elementari, che non può essere ulteriormente sopportato”. Ovviamente il garante ha mille ragioni; ma a quanto pare avere ragione non basta, visto che questi episodi accadono, e - almeno a livello ufficiale, di ministero della Giustizia – li si sopporta benissimo. Non basta, dunque, il sovraffollamento, l’essere rinchiusi in piccole celle in quattro, cinque, sei, con il caldo che fa impazzire e tutto quello che sappiamo. Ora abbiamo anche casi clamorosi di mancata assistenza come quello che il Garante dei detenuti di Napoli segnala.
 
Chissà se anche questo episodio rientra nella amplificazione mediatica ingiustificata che ingenera sfiducia, come dice la recente circolare che il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ha diffuso.
 
Per restare in tema di amplificazione mediatica ingiustificata che ingenera sfiducia. L’altro giorno “l’Unità” ha pubblicato un dialogo tra un giornalista del quotidiano e lo scrittore Andrea Camilleri, il padre del commissario Montalbano e di molte altre deliziose storie. 
 
Il giornalista, Saverio Lodato, traccia il quadro della situazione carceraria: quasi 40 detenuti che si sono tolti la vita. Da Roma a Siracusa, da Milano a Ragusa, da Torino a Lamezia Terme, da Padova a Piacenza a Reggio Emilia, da Varese a Como, da Brescia a Venezia a Ancona a Frosinone, si moltiplicano i casi di autolesionismo estremo. I suicidi non hanno nulla in comune. Uno era ergastolano. Uno sarebbe uscito per buona condotta. Uno si è impiccato poco prima di tornare in libertà. Uno perché lo stavano estradando. Uno era Rom. Uno napoletano. Uno albanese. Tutti sanno che in questo momento nelle carceri sono rinchiuse 68.000 persone ma che la capienza prevista è di un massimo di 43.000. Ad appesantire il bilancio, una cinquantina di casi in cui gli agenti hanno evitato il tragico epilogo. Cosa non si è detto e scritto sulle carceri italiane. Che erano poche, e ne andavano costruite altre. Che erano troppe, e bisognava depenalizzare. Spalancare le porte o buttare la chiave? E ora? Riprenderanno le visite dei parlamentari di ogni colore. Non crede?, chiede a Camilleri.
 
Mi pare”, risponde lo scrittore, “che alla notizia del suicidio di un detenuto, uno dei tanti, alcuni giornali abbiano riportato il nobile commento di un deputato della Lega: “uno di meno”. Poteva un leghista smentirsi? Naturalmente ci sono state le solite sdegnate reazioni, si è ripetuto insomma quello stanco rituale tutto italiano di accuse e controaccuse destinato a finire come una bolla di sapone. Perché il problema delle carceri in Italia non è stato seriamente affrontato da nessun governo. E certo non può essere risolto in modo definitivo con sfoltimenti momentanei dovuti ad amnistie, indulti, depenalizzazioni che, tra l’altro, hanno troppe controindicazioni. Il fatto certo è che mentre le carceri scoppiano, manca la volontà politica di porvi rimedio. Il ministro Alfano, tra un lodo e l’altro, aveva sbandierato tempo addietro un suo piano-carceri. Dov’è andato a finire? E qui c’è da chiedersi il perché di questa non volontà. L’opinione pubblica, ammesso che esista, si dimostra poco interessata al problema. Agli italiani, so di dire una spiacevole verità, importa sempre meno delle difficoltà altrui, la loro sensibilità negli ultimi decenni si è molto appannata. Fatte le dovute eccezioni, naturalmente. Non si sono ribellati alla disumana legge sui respingimenti indiscriminati, alla legge che fa dell’emigrato clandestino un reo, figurati quanto gliene importa se in cella si sta un po’ strettini. Da parte loro, i politici si sentono al sicuro: a forza di leggine, norme, regolamenti, non si darà che rarissimamente il caso che uno di loro vada a finire dietro le sbarre. Sono sempre così decisi a far quadrato davanti alle richieste della magistratura, così granitici nella difesa della casta da far invidia al sindacato del tempo di Di Vittorio. Ora mi chiedo: quando una cella che potrebbe contenere al massimo quattro detenuti ne contiene otto, viverci dentro minuto dietro minuto per mesi e mesi e anni e anni, non diventa impresa disumana? Siamo così attenti che gli animali degli zoo abbiano buone condizioni di vita nelle loro gabbie e ce ne freghiamo di quello che avviene nelle carceri? Credo che l’esistenza quotidiana dei detenuti in un carcere sovraffollato somigli molto a un’insopportabile forma di tortura. La quale tortura, se non sbaglio, non è un reato contemplato dal nostro codice. Ed ecco spiegato perché il governo Berlusconi, visto e considerato come vengono trattati i detenuti in Italia, ha dichiarato di non avere nessuna intenzione d’introdurlo. Accà nisciuno è fesso!”.
 
Che dire? Se quelli come quel deputato leghista che esulta dicendo “uno di meno” sono gli intelligenti o i furbi, con una punta di fierezza si rivendica di appartenere ai fessi. Ma vengo all’appunto a Camilleri. Parla di disumana legge sui respingimenti indiscriminati. E’ la conseguenza del trattato siglato con la Libia di Gheddafi; trattato votato anche dai parlamentari del PD. Come ha ricordato Furio Colombo “D’Alema ha interpretato il Trattato e ha guidato, o piuttosto ordinato, il “sì” del PD alla legge che vìola Costituzione, Carta dei Diritti dell’Uomo e Carta dell’Onu. Tutto il Pd ha taciuto e votato, come chiedeva D’Alema, tranne due soli ”NO”, mio e del deputato Sarubbi, e dell’intero pattuglia Radicale, e di venti astensioni. IL PD, PER RAGIONE INSPIEGATE, E’ STATO DUNQUE IL SOLO PARTITO DI OPPOSIZIONE A VOTARE IL TRATTATO MILITARE CON GHEDDAFI CHE CAMBIA LA POLITICA ESTERA ITALIANA”.
 
E ora Camilleri ci parla di disumana legge sui respingimenti indiscriminati? E va bene denunciare fatti e misfatti di Berlusconi e dei suoi ministri. Però, quando Camilleri dice che “ce ne freghiamo di quello che avviene nelle carceri”, abbia cura, la prossima volta di fare nomi e cognomi di chi se ne frega. E sia così gentile da non mettere i radicali tra coloro che se ne fregano. Perché quando fa così, i cabasisi girano a mille.
 
va.vecellio@gmail.com
 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Un altro detenuto suicida

 

Ancora un suicidio nelle carceri italiane: ieri mattina un detenuto della casa circondariale di Catania Bicocca si è ucciso in cella mentre si stava facendo la barba, recidendosi la carotide. Le modalità sono comunque ancora tutte da accertare. «È il 38esimo caso di questo funesto 2010», ha detto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. «Abbiamo la sensazione - ha aggiunto - che nemmeno questa strage silenziosa che si consuma all'interno delle nostre degradanti prigioni scuota dal torpore una classe politica che ha, evidentemente, accantonato la questione penitenziaria. Dal 1 gennaio 38 detenuti, 4 agenti penitenziari e un dirigente generale si sono suicidati». L'allarme è condiviso anche dall'Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria: «Le proteste per le condizioni disumane dovute al sovraffollamento - ha detto il vice segretario generale Domenico Nicotra - possono portare anche ad azioni dimostrative molto pericolose come quella di oggi. Purtroppo, questa volta, non è stato possibile salvare un'altra vita». La Procura della Repubblica di Catania ha aperto un'inchiesta e sta per disporre l'autopsia. L'uomo si chiamava Andrea Corallo, aveva 39 anni e non era recluso nel settore di massima sicurezza. Secondo quanto riferito da Riccardo Arena di Radio Radicale, Corallo aveva iniziato «una rumorosa protesta e minacciava di uccidersi proprio tagliandosi la gola. I tentativi degli agenti di farlo calmare sono stati inutili». Andrea Corallo si trovava in carcere dall'aprile del 2008 e divideva la cella con altri due detenuti, che ora sono ascoltati dagli inquirenti.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Sì, il garantismo valga per tutti, proprio per tutti...

 

Quando ho presentato il disegno di legge n. 2217 (concessione di amnistia e indulto), ero consapevole di fare una "proposta indecente". Non volevo però farmi anch'io trascinare, per dirla con Benedetto Della Vedova, dalla «folle rincorsa pan-penalistica» innescatasi da qualche legislatura. Anzi, avevo quasi la presunzione di contribuire a disinnescarla. Indulto e amnistia sono misure eccezionali, previste per liberare carceri e tribunali da un sovrappiù (di uomini, carte, processi), che ostacola la giustizia, i suoi tempi, le sue procedure. Saggezza avrebbe voluto che camminassero insieme. Non fu così nel 2006. Parve che quell'indulto senza amnistia servisse a far allora da capro espiatorio di un sistema impazzito. Rispetto a quel provvedimento, anche la mia proposta di amnistia e indulto fra loro contestuali offrirebbe un palliativo soltanto momentaneo. Lo so. Quel palliativo però, non meno dell'indultino del 2007, potrebbe rivelarsi irrinunciabile e giustificherebbe, se non il merito, lo spirito della mia iniziativa. Agli altri amici del Secolo d'Italia debbo la massima sincerità. E ne approfitto. Per me ci sono questioni e occasioni sulle quali Rita Bernardini può essere un punto di riferimento, mentre mai può esserlo Donatella Ferranti. Nulla di personale. Provo a spiegarmi. Perché a pagare le inefficienze del sistema giustizia devono essere i detenuti? Chi ha loro inflitto quella ulteriore ingiusta e disumana pena del sovraffollamento? Con quale diritto altri cittadini, estranei al mondo delle carceri, vanno evocando problemi di sicurezza e di illegalità diffuse senza accorgersi di come una severità senza rispetto per la persona umana si traduca per forza in arbitrio? Cosa significa "tolleranza zero" se non siamo poi in grado nemmeno di giudicare i sospetti e di trattare con civiltà i condannati? Nel dibattito politico la magistratura fattasi "democratica" ha inserito un punto di vista disonorevole. Giustizia e legalità sono diventate armi improprie da brandire contro Brancher, Cosentino, Verdini, etc. A me nell'ultima settimana è parsa, ad esempio, troppo giacobina (o troppo poco girondina) l'interpretazione che dal presidente della Camera è stata data dei propri poteri nei confronti dei propri colleghi deputati. Né mi convince l'idea che in un partito politico ci si confronti fra garantisti, giustizialisti, legalitari. Al "garantista impenitente" di sempre, all'amico (se posso permettermelo) Benedetto Della Vedova, non chiedo di condividere minuto per minuto le stesse sensazioni e le stesse valutazioni. Fra l'altro talvolta le mie e talvolta le sue possono essere sbagliate. Quel che entrambi, per la nostra storia politica e personale dobbiamo al Pdl, è di mirare per il nostro paese a esser più vicini a quei sistemi dove il processo deve iniziare 48 ore dopo l'arresto, mentre da noi si può tenere qualcuno in carcere anche più di due anni senza fargli nemmeno il primo grado. Noti alle cronache di storia patria sono piemme e gip che della custodia cautelare han fatto la loro spada di casta. Della loro idea di giustizia e di legalità ho orrore. Per essere ancora più esplicito, non penso sia stato "uso politico" del garantismo difendere mesi addietro Nicola Cosentino da chi voleva metterlo in galera senza neppure prevederne il processo. Quanto al mio piccolo mondo di senatore leale al proprio presidente di gruppo, non riesco comunque a provare nessun senso di colpa per aver fatto una "proposta indecente".

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

"La Stampa", 27 Luglio 2010, cronaca di Torino

“Emergenza: le carceri piemontesi senza soldi”

  Il 5 luglio scorso, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria del Piemonte, ha scritto una lettera al direttore generale delle Risorse Materiali, Enrico Ragosa, e al direttore generale del Bilancio e della Contabilità, Alessandro Giuliani. Dal tono burocratico e formalmente corretto, emerge una situazione drammatica: «Pur prendendo atto delle scarse disponibilità di bilancio assegnata a codesta direzione... lo scrivente ha evidenziato che la progressiva e costante mancanza di fondi ha come effetto di impedire la programmazione e, soprattutto, l’esecuzione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di disservizi, mancanza di sicurezza e depauperamento del patrimonio statale. Ne consegue un aumento degli interventi di somma urgenza che, comunque, si cerca di contenere quanto più possibile e che, purtroppo, non si riesce a finanziare con gli esigui fondi assegnati».
Il provveditore non usa mezzi termini per denunciare la gravissima situazione degli istituti di pena del Piemonte: «Allo stato, considerato anche le sempre più impellenti richieste di interventi che pervengono dalla direzioni penitenziarie, i fondi assegnati sono in pratica del tutto esauriti e non è possibile garantire neanche la manutenzione ordinaria degli impianti di sicurezza con tutte le implicazioni che ciò comporta». Solo le ultime righe, inducono a un cauto ottimismo: «...Si assicura, comunque, il massimo impegno da parte di questo Provveditorato per far sì che gli istituti e i servizi penitenziari possano continuare a funzionare, per quanto possibile, in maniera ordinata e sicura nonostante le problematiche esposte».
Insomma, si confida in una specie di miracolo. Commenta il segretario regionale Osapp Gerardo Romano: «Siamo allo sfascio, come da tempo denunciamo. E gli agenti non ce la fanno più, gravati come sono da carenze d’organico e da orari massacranti».\
Irina Di Vincenzo ha 21 anni come l’amica Giulia Minola, che ha perso la vita sabato, insieme ad altri 18 ragazzi, alla Love Parade di Duisburg, in Germania. Le due studentesse frequentavano gli stessi corsi della facoltà di design al Politecnico di Milano. Abitavano in diversi appartamenti, ma condividevano, oltre allo studio, gran parte del tempo libero. Entrambe attratte dal mondo della moda, erano incuriosite dalla sfilate e dai set di fotografia artistica. La musica techno un’altra delle loro passioni.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Carceri/Suicidio Provveditore regionale Calabria, Radicali: Vicini alla famiglia Del Dott. Quattrone
 
23 luglio 2010

 

-->

I dirigenti e i parlamentari Radicali hanno inviato questa mattina il seguente telegramma di cordoglio alla signora Guglielma Puntillo e ai figli del dott. Paolino Maria Quattrone, Provveditore Regionale dell'amministrazione penitenziaria della Calabria, che ieri si è tolto la vita:
“Esprimiamo tutta la nostra vicinanza al dolore per la scomparsa del vostro caro congiunto, Dott. Paolino Maria Quattrone, convinti come siamo che la vera e propria tragedia penitenziaria che l’Italia è costretta a subire non possa non avere contribuito a ferire gravemente una personalità come la sua più di quanto non fosse accaduto per l'ostilità manifestata nei suoi confronti dalla criminalità organizzata.
Marco Pannella [Presidente del Partito Radicale Nonviolento transnazionale e transpartito]
Emma Bonino [Vice Presidente del Senato]
Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti [deputati della delegazione radicale nel Gruppo del PD]
Marco Perduca, Donatella Poretti [senatori della delegazione radicale nel Gruppo del PD]”

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

LA SICUREZZA POCO RAGIONEVOLE
 
• da Il Riformista del 23 luglio 2010

-->

di Marcello Buttazzo

 

Caro direttore, quando certe misure restrittive si dimostrano palesemente inadeguate, fallimentari, non è uno scandalo adoperarsi per predisporre necessari, razionali aggiustamenti. Le politiche antropologiche del nostro governo andrebbero profondamente riviste, perché non riescono a tenere il passo degli eventi, perché non soddisfano le esigenze del popolo migrante. In questa nuova era della comunicazione nel villaggio globale, le genti si spostano liberamente, ordinariamente. E, pertanto, una forzatura, un arbitrio, legalizzare un reato di clandestinità, che di fatto innalza steccati e discrimina. Non è legittimo sottoscrivere accordi bilaterali con paesi dittatoriali, che non riconoscono le convenzioni internazionali sui rifugiati. E inconcepibile la politica dei respingimenti in mare, perché c'è il rischio fondato di rimandare indietro migranti, che fuggono dalla nera miseria, dalle persecuzioni. Un centinaio degli eritrei, che hanno ultimamente subito violenze nei campi di detenzione libici, che avevano il sacrosanto diritto di accedere allo status di politici, erano stati malaccortamente espulsi dall'Italia l'anno scorso. Ora da noi i Centri di identificazione ed espulsione sono in rivolta, in subbuglio. E saggio minacciare rimpatri di massa? Nel dicembre scorso, Emma Bonino e i suoi compagni radicali, in visita in alcuni Cei della penisola, denunciarono una situazione di totale irregolarità: veri e propri centri di reclusione, sporchi, con servizi igienici carenti. Ci chiediamo: che criterio di ragionevolezza è stato seguito nel "pacchetto sicurezza", aumentando il tempo massimo di reclusione da 60 a 180 giorni? Quanto sono opportune e lungimiranti le dichiarazioni del ministro Maroni, che, invece di prevedere il disciplinato smantellamento dei Cie, ha promesso la costruzione di quattro nuovi centri entro la fine dell'anno?

 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Feccia
 
• da Gli Altri del 23 luglio 2010

-->

di Valentina Ascione

 

"Qui ci mandano la feccia". Parole graffianti, come unghie su una parete. O nella carne viva di chi - la "feccia" appunto - mettendo piede tra queste mura ha lasciato ogni speranza. Come davanti alla porta dell'inferno dantesco. Parole che accolgono la delegazione radicale in visita ispettiva alla Casa Circondariale di San Sebastiano, a Sassari, Un carcere dove il degrado raggiunge livelli intollerabili. Inimmaginabili perfino per visitatori esperti quali sono i Radicali; che conoscono a fondo la realtà penitenziaria italiana, perché le galere le girano da anni. E per tutto l'anno, incluse le feste comandate. Ma allo strazio della vita in disuso è difficile abituarsi, per fortuna. Non si può che rabbrividire, infatti, ascoltando di topi e scarafaggi che escono dagli scarichi dei bagni. Dinanzi ai piccioni che volano da una parte all'altra dei corridoi, lasciando un po' ovunque tracce maleodoranti della propria presenza. Non c'è pelo che tenga, sullo stomaco, davanti al sudiciume; ai giornali usati al posto della carta igienica che qui non arriva, come nemmeno il sapone; al muschio che in piena estate dipinge e divora i muri scrostati e macchiati delle celle, rendendole simili a presepi, senza comete ne bambinelli. Presepi di 7 metri quadrati, dove in tre bisogna spartirsi lo spazio vitale di una sola persona. E un bagno "alla turca«, pure, messo lì nella cella e separato dal resto - dai letti e dal misero mobilio solamente con un muretto divisorio. Basso. Troppo basso davvero per garantire un angolo, o anche solo uno spicchio di intimità. Un momento di riparo da quella convivenza obbligata, tanto stretta da sfiorare il contatto fisico. E non senza rischi in un posto come San Sebastiano, dove tra i reclusi ce ne sono diversi affetti da malattie infettive. Magari da tempo e senza saperlo, perché per alcuni detenuti - soprattutto stranieri- il carcere e la prima istituzione a occuparsi del loro stato di salute. Ed è qui che, sempre per la prima volta, ricevono un'assistenza sanitaria. Per quanto carente. "San Sebastiano è uno schifo", chiosa Irene Testa, Segretaria dell'Associazione Il Detenuto Ignoto, dopo averlo visitato con la deputata radicale Rita Bernardini. Uno schifo, sì. E prima, di chiamarla "feccia", forse sarebbe meglio chiedersi se questo è un uomo.

 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Reati sessuali, Bernardini: Ineccepibile la sentenza della Consulta. Spetta alla pena e non al carcere preventivo la funzione di ridurre l'allarme sociale provocato da certi delitti
 
22 luglio 2010

 

-->

  • Dichiarazione di Rita Bernardini, deputato radicale eletto nelle liste del PD, membro della Commissione Giustizia della Camera
 
Trovo ineccepibile la sentenza con la quale la Consulta ha dichiarato incompatibile con i nostri principi costituzionali la norma che prevede il carcere preventivo obbligatorio per chi è accusato di violenza sessuale. Ricordo infatti che già durante l'approvazione del decreto legge contenente misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, intervenni in Aula manifestando la mia netta contrarietà  a qualsiasi forma di custodia cautelare obbligatoria la cui imposizione fosse dettata dalla legge sulla base del solo titolo di reato. Definii quella scelta palesemente illegittima in quanto toglieva al giudice il potere di valutare, caso per caso, se la custodia cautelare in carcere fosse necessaria ed in quale misura, e ciò sulla base di una valutazione a priori fatta dal legislatore, secondo la quale chiunque è accusato di aver commesso un determinato reato debba essere, per ciò stesso, al massimo grado di pericolosità sociale. La sentenza di oggi della Corte Costituzionale conferma il mio giudizio di ieri. Al Ministro Carfagna, che ha duramente criticato la decisione adottata dai giudici costituzionali, ricordo che anche la persona accusata di un reato di violenza sessuale è presunto innocente fino a sentenza definitiva, proprio come qualsiasi altro cittadino, e che legiferare in reazione a pur comprensibili reazioni dell'opinione pubblica, ovvero sulla base di episodi di piazza, rappresenta sempre una grave regressione della democrazia. Peraltro, come scritto nella mozione sulle carceri approvata dalla Camera dei Deputati, l'abuso della carcerazione preventiva rappresenta una delle principali distorsioni della nostra giustizia penale e dell'attuale sovraffollamento carcerario, per cui il legislatore farebbe bene ad intervenire limitandone l'applicazione solo ove assolutamente necessario, proprio come previsto in ogni Stato di Diritto degno di questo nome, e non certo per saziare quella sete di giustizialismo e di vendetta spesso alimentati da vere e proprie forme di gogna mediatica.

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Bernardini: «Le peggiori in Sicilia»
 
• da Il manifesto del 22 luglio 2010

-->

di Eleonora Martini

 

«Le carceri siciliane? Tra le peggiori che abbia mai visto». Eppure di celle la radicale Rita Bernardini ne ha viste molte. Insieme ad una delegazione di volontari di «Ristretti orizzonti» e ad altri esponenti radicali, la deputata Pd ha trascorso l'intero fine settimana a visitare i penitenziari siciliani, arrivando senza preavviso e andando a curiosare ovunque, cella per cella, come è permesso solo ai parlamentari e non certo ai giornalisti che dipendono invece dal permesso del Dap. Racconta di sovraffollamento oltre i limiti della sopportabilità umana che con il caldo di questi giorni si trasforma in una forma nemmeno troppo velata di tortura di Stato, come ha denunciato ieri anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp in una lettera indirizzata al gover- no per chiedere di intervenire immediatamente. Cessi, dove ci sono, a vista nelle celle, che sono prive di sufficiente ventilazione; docce a disposizione solo un paio di volte a settimana; centri diagnostici e terapeutici dove scorrazzano scarafaggi e topi, e i detenuti affetti anche da patologie gravissime o contagiose vengono abbandonati a loro stessi senza cure e assistenza adeguate. E l'elenco delle illegalità potrebbe continuare a lungo. Bernardini presenterà in questi giorni un'interrogazione parlamentare per chiedere al governo di ritornare nella legalità. I Radicali italiani e l'associazione Luca Coscioni, invece, hanno visitato il carcere di Varese, formalmente dismesso nel 2001 in quanto «non idoneo alla funzione». «Nel 2004 - spiegano - il ministro Castelli annunciava la costruzione, nel tempo record di 5 anni, di una nuova struttura con la formula del leasing ma ad oggi non è ancora stato individuato nemmeno il sito dove dovrebbe sorgere il nuovo carcere.

 

Iscritto dal: 07/09/2000
User offline. Last seen 48 weeks 2 giorni ago.

Celle affollate, appello a Vendola
 
• da Gazzetta del Mezzogiorno del 22 luglio 2010

-->

di Bernardini, D'Elia, Napoli, Staderini, Turco e Zamparutti

 

I detenuti sono ormai stabilmente venticinquemila di più dei posti regolamentari. Viceversa, gli agenti sono ottomila in meno rispetto alla pianta organica, peraltro concepita in tempi e situazioni di "normalità". Tradotto in pratica, il sovraffollamento significa stare per oltre venti ore al giorno in sei, in otto o in dodici in celle sporche e degradate concepite per due, quattro o sei detenuti. Celle che d'estate diventano dei veri e propri forni, dove la gente rischia di impazzire. Siamo arrivati al punto che in alcune prigioni non bastano più neanche i letti a castello che arrivano a un palmo dal soffitto e i direttori sono costretti a tenere un "registro dei materassi" per stabilire a chi tocca dormire sul pavimento e a usare anche i corridoi delle sezioni e gli spazi dedicati alla "socialità", alla scuola e ai corsi di formazione per dare posti-letto a persone della più varia umanità e pericolosità. Nella promiscuità più scriteriata, ci sono detenuti condannati assieme a detenuti in attesa di giudizio, colpevoli in via definitiva e innocenti fino a prova contraria, prossimi al fine pena o coi "fine pena: mai". C'è chi è malato e non viene curato, c'è chi è straniero e non viene nemmeno considerato, c'è chi non ce la fa più e si toglie la vita. In base a una calcolo fatto da "Ristretti Orizzonti", negli ultimi dieci anni nelle carceri italiane sono morti 1.702 detenuti, di cui 593 per suicidio. Il 2009 aveva fatto registrare 72 suicidi in carcere, il numero più alto della storia italiana, ma anche i primi sei mesi e mezzo di quest'anno sono trascorsi all'insegna della medesima "emergenza": 32 detenuti si sono impiccati e altri 5 si sono suicidati con il gas delle bombolette, mentre 67 detenuti sono morti per malattia, asfissia da gas o per cause ancora da accertare. Non c'è nulla di "naturale" in queste morti, che sono solo frutto di malagiustizia e malaprigione italiane, ragion per cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo continua a condannare l'Italia per denegata giustizia e violazione dell'articolo 3 della "Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali" che vieta la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti. Nell'Italia di oggi vige quindi la tortura e anche un tipo di pena di morte che non è comminata "di diritto" dai tribunali ma è praticata "di fatto" nelle carceri. Non solo perché l'esecuzione della pena può accadere che si risolva in "esecuzione" tout court tramite suicidio o presunto tale, vero e proprio omicidio o cosiddetta malattia, ma anche perché in Italia vige ancora il "fine pena: mai" dei detenuti in 41 bis condannati a un ergastolo senza via di uscita e il "carcere a tempo indeterminato", l'ergastolo bianco" che rischia di essere il destino degli "internati" sottoposti alle misure di sicurezza. Il tutto avviene nell'indifferenza più assoluta della politica, della maggioranza e della opposizione parlamentare, Radicali esclusi. Se il nostro fosse uno Stato di Diritto, si cercherebbero soluzioni all'insegna della legalità e del rispetto dei principi costituzionali. Per far fronte al sovraffollamento nelle carceri, basterebbe ad esempio applicare la legge Gozzini sulle misure alternative alla detenzione, una legge vilipesa, criminalizzata e ormai caduta in disuso nel nostro Paese, nonostante le statistiche dicano che le misure alternative sono lo strumento più efficace contro la recidiva e per una maggiore sicurezza sociale. Invece no, e in molte carceri i detenuti continuano a essere - è il caso di dire - "ristretti" in spazi di tre metri quadrati a testa e gli agenti costretti a un lavoro massacrante che nulla ha a che vedere con la rieducazione. Nella classifica nazionale del "sovraffollamento", termine tecnico e impersonale che non rende minimamente la proporzione di quella che è una vera e propria catastrofe umanitaria, la Puglia figura al secondo posto. Alla fine di giugno, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.601, oltre 2.000 rispetto alla "capienza regolamentare" e 600 in più anche di quella "tollerabile"... tollerabile per chi non si sa: forse per il ministero, non certo per gli agenti di polizia penitenziaria e tantomeno per i detenuti, come quei tre detenuti del carcere di Lecce che si sono tolti la vita negli ultimi mesi! La Regione Puglia non merita questo infelice primato, anche perché nella scorsa legislatura il Presidente Vendola ha voluto che venisse istituito con una legge ad hoc il Garante Regionale dei Diritti delle persone private della libertà. La Puglia è stata una delle poche regioni italiane a dotarsi di questo strumento, ma sono passati quattro anni e alla legge scritta non hanno fatto seguito gli atti conseguenti: il decreto attuativo della legge e la nomina del Garante. Ci appelliamo al Presidente Vendola perché voglia marcare subito il suo secondo mandato con il completamento di un'opera che è di estrema attualità, necessità e urgenza. Secondo la nostra impostazione, l'ufficio del garante sarebbe, uno strumento democratico di conoscenza, di controllo e di proposta relativo alla condizione non solo dei detenuti-detenuti, ma anche dei semi-detenuti che alla fin fine sono gli "agenti di custodia", i direttori e gli altri componenti la comunità penitenziaria, vittime anche loro della stessa catastrofe umanitaria e della ordinaria illegalità, carceraria e non, che vige nel nostro Paese.
 
Sergio D'Elia (Segretario di Nessuno tocchi Caino), Rita Bernardini (Deputata radicale presentatrice della proposta di legge istitutiva del Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà), Giuseppe Napoli (Segretario dell'Associazione radicale "Diritto e Libertà'), Mario Staderini (Segretario di Radicali Italiani), Maurizio Turco, (Deputato radicale, presidente vicario del Senato del Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito), Elisabetta Zamparutti (Deputata Radicale, tesoriera di Nessuno tocchi Caino)